esercito e città dall'unità agli anni trenta. tomo i - Sistema ...

esercito e città dall'unità agli anni trenta. tomo i - Sistema ... esercito e città dall'unità agli anni trenta. tomo i - Sistema ...

archivi.beniculturali.it
from archivi.beniculturali.it More from this publisher
31.05.2013 Views

472 BRUNELLA DALLA CASA - FIORENZA TAROZZI - ANGELO VARNI festazione estemporanea ed episodica, contenuta dentro i confini dello sconcerto e della confusione dei primi mesi postunitari, ma assolutamente stroncato nella sua reiterazione. Una conferma di un progressivo irrigidimento delle autorità militari verso il reato di diserzione si ha anche da un'analisi delle sentenze emesse dal Tribunale militare. Mentre infatti nel corso del 1860 questo reato veniva per lo più annullato attraverso le dichiarazioni di non luogo a procedere della Commissione d'inchiesta e le amnistie o, in caso di procedimento penale, punito con pene che variavano da qualche mese all'anno di carcere (si hanno anche alcune condanne a l o 3 anni di reclusione militare, ma si tratta di pochi casi con particolari aggravanti) fra la fine del 1860 e gli inizi del 1861 l'atteggiamento delle autorità militari cambiò sensibilmente: le commissioni d'inchiesta iniziarono una sequela di rinvii a giudizio per il reato di diserzione semplice (per lo più si trattava della non presentazione all'atto della partenza per il corpo) che il Tribunale militare di Bologna puniva sistematicamente con la condanna a l anno di carcere militare. Fra le 188 sentenze emesse dal Tribunale, ben 92 (49%) furono le condanne appunto a l anno di carcere militare, quasi esclusivamente di soldati accusati di diserzione semplice. La diserzione come allontanamento dal corpo poteva anche essere punita con 2 anni di reclusione militare, ridotta a volte a l anno di carcere, in caso di costituzione volontaria del reo. Le pene più severe inflitte furono comunque per il reato di insubordinazione, che, se pur contenuto di numero come abbiamo visto, impensieriva notevolmente le gerarchie militari, per il pericolo che essa rappresentava al mantenimento dell'ordine rigido e della disciplina ferrea, principi sui quali il nuovo esercito doveva essere fondato. Con condanne esemplari, che andavano da un minimo di 3 anni di reclusione militare a un massimo di 10, oltre a una pena di morte eseguita per insubordinazione con tentato omicidio, il Tribunale militare di Bologna tentò di bloccare il fenomeno al suo primo manifestarsi, mandando un messaggio esplicito e univoco di repressione intransigente. Se passiamo ad analizzare i procedimenti istruiti dai primi mesi del gennaio 1863 a metà dicembre dello stesso anno si ha la conferma di una macchina repressiva già perfettamente oliata e in piena efficienza (anche la registrazione dei procedimenti ora è molto più puntuale e precisa rispetto al1860, segno evidente del formarsi di un apparato burocratico più solido e sicuro). La riduzione del numero dei procedimenti (299 in quasi dodici mesi) e dei soggetti coinvolti (3 76 militari e 28 borghesi) sembra testimoniare di un certo successo ottenuto dalle gerarchie militari nel controllo di un meccanismo complesso e articolato quale era la costituzione di un esercito nazionale in un paese giudicato di debole vocazione patriottica. DISCIPLINA MILITARE E TERRITORIO 473 Il gruppo maggiore di soldati sottoposti a procedimento (282 su 3 76, pari al 75%) è costituito da giovani dai 20 ai 25 anni; solo 7 sono quelli di età inferiore, 65 quelli dai 26 ai 30 anni, 5 dai 31 ai 40 e 2 quelli di età superiore ancora (per 15 inquisiti manca questo dato). Fra i sottoposti a procedimento penale quelli in stato di detenzione sono oramai la stragrande maggioranza (315 su 3 76, cioè 1'84%) e il fenomeno della latitanza è ridotto notevolmente (solamente 50 sono i latitanti, pari al 13% ) . Tra i detenuti, inol­ tre, 104 si sono costituiti volontariamente: un dato in notevole aumento ri­ spetto al triennio precedente. Tuttavia se guardiamo la qualità dei reati, il quadro risulta più complesso. Anche nel 1863 il reato di gran lunga più contestato rimaneva sempre la diserzione in tutte le sue forme. Su un totale di 395 reati contestati 245 sono di diserzione (7 5%): nella maggioranza dei casi si trattava di diserzione semplice (182), 20 erano i casi di diserzione qualificata con asportazione di equipaggio militare e armi da fuoco, l O quelli di diserzione all'estero, 16 di diserzione in complotto e l 7 quelli di diserzione recidiva. Connessi in qualche modo al reato di diserzione sono anche due procedimenti, uno di complicità in diserzione e l'altro di invito sempre alla diserzione. Come si può constatare una percentuale di poco inferiore a quella del 1860-61, a riprova che, se pur più contenuta numericamente, la diserzione continuava ad essere il problema principale del nuovo esercito, anche a tre anni dall'Unità, aggravato inoltre dal profilarsi del nuovo fenomeno della renitenza (già 45 sono nel corso di quest'anno, cioè l' 11%) che negli anni successivi sarebbe divenuto la manifestazione tipica e più vistosa di rifiuto della leva. Se consideriamo quindi la renitenza e la diserzione nel suo complesso, dobbiamo prendere atto che la sua consistenza rappresenta uno scacco evidente della duplice strategia messa in atto dalle autorità militari per controllare e neutralizzare il fenomeno, sia attraverso l'uso di pene severe che di amnistie e assoluzioni. Non solo, nonostante il deterrente delle severe condanne, i soldati continuavano a disertare non presentandosi, all'atto della partenza e fuggendo dai corpi, ma i giovani cominciavano addirittura a sottrarsi preventivamente alla coscrizione con la complicità e la solidarietà sempre più palese delle famiglie, del paese e di quanti davano loro ricetta. Le pene esemplari sembrano invece aver esercitato una funzione deterrente nei confronti del reato di insubordinazione che si riduce infatti a 20 casi, puniti sempre comunque in maniera severa (non meno di tre anni di reclusione militare). Si riducono anche i casi di vendita o alienazione di beni militari (8 procedimenti), mentre sostanzialmente stazionari rimangono i reati di furto (34 procedimenti). Gli altri reati contestati continuano ad essere l'abbandono del posto di guardia, la disobbedienza, il falso, la prevaricazione,

474 BRUNELLA DALLA CASA - FIORENZA TAROZZI - ANGELO VARNI ecc. L'unico caso di omicidio volontario viene passato alla competenza della giustizia civile, come già si è detto. Si assiste quindi a un evidente rincrudimento dell'attività repressiva del Tribunale militare: dei 3 76 sottoposti a procedimento nessuno viene amnistiato - l'unica forma di clemenza è rappresentata dalla grazia individuale, in genere riduttiva della pena, elargita a fronte di sentenze particolarmente severe o come premio dell'atto di costituzione volontaria (esemplare il caso di un ventitreenne contadino condannato a 15 anni di reclusione militare per diserzione aggravata e qualificata all'estero, che si vide ridurre la pena a 5 anni, quando venne nella decisione di costituirsi) -, i prosciolti in istruttoria dalla Commissione d'inchiesta sono 95 (25%) e i rinviati a giudizio 291 (77% ): una percentuale ben maggiore rispetto a quella del 1860-61! Dei 291 rinviati a giudizio 60 vennero condannati a pene inferiori all'anno di carcere; tra questi erano i renitenti, per i quali all'inizio non si volle adottare il pugno di ferro, nella speranza forse che o si trattasse di un fenomeno contingente o si potesse contenerlo entro limiti accettabili, ma si trattò di una valutazione sbagliata, visto che la renitenza anziché fermarsi crebbe vistosamente nel tempo. 97 furono i condannati a l anno di carcere militare, 3 a più di due anni; si trattava in genere di sentenze comminate a militari giudicati per furto o per diserzione semplice e quasi tutte, in particolare quelle per furto, erano accompagnate da degradazione e passaggio a corpi disciplinari. Le diserzioni qualificate vennero punite, a seconda della gravità, con l anno di reclusione militare (57) o con 2 anni della medesima pena detenti­ va (26 casi); più severi furono i giudici con i disertori all'estero che vennero puniti con 3 anni di reclusione militare (16 tali condanne). Del resto, in con­ siderazione forse anche del fatto che non si era riusciti in alcun modo a contenere il fenomeno della « fuga '' dall'esercito, la condanna ad l anno di re­ clusione militare divenne, nel codice del 1870, la pena minima per i disertori. 3. La città di fronte alla giustizia militare: il caso di Augusto Masetti. Solamente di fronte ai casi più clamorosi (insubordinazione, ferimenti di ufficiali, tentati omicidi) e alle sentenze più dure (condanne a morte o a lunghe pene detentive nei reclusori militari o addirittura nei manicomi) l'attività dei tribunali militari, in genere contenuta dentro le aule giudiziarie, assumeva toni e valenze tali da coinvolgere e mobilitare l'opinione pubblica e la gran massa dei cittadini. Il processo contro Augusto Masetti, " l'anarchico o il pazzo criminale " che a Bologna, nella caserma Cialdini, sparò contro DISCIPLINA MILITARE E TERRITORIO 475 un superiore ferendolo nemmeno tanto gravemente, fu una di queste occasioni. Il caso Masetti scoppiò alla fine di quella che solitamente viene chiamata " età giolittiana ", in piena ripresa della politica coloniale italiana, e si inserì in quel coacervo di forme di ribellismo contro lo Stato borghese che la propaganda sindacalista e anarchica aveva da tempo innestate e che la crisi economica e l'aumento conseguente della disoccupazione avevano accentuato e aggravato. L'opposizione al governo aveva trovato nel militarismo il bersaglio centrale; suo strumento era la propaganda e l'educazione antimilitarista nelle masse e nella gioventù. In alcune regioni, tra cui l'Emilia Romagna, dove il movimento di resistenza popolare era più radicalizzato per l'influenza sindacalista e anarchica, non solo si distribuivano ai coscritti giornali e opuscoli antimilitaristi, ma si consigliava loro di rivolgere le armi contro gli ufficiali e i carabinieri 24. Centro di tutto questo fervore « sovversivo ,, fu la città di Bologna, dove l'attivismo antimilitarista aveva trovato una solida base; non c'era infatti partenza di coscritti in cui non succedessero disordini e incidenti. La presenza in città dei maggiori agitatori anarchici e sindacalisti del momento, che qui avevano trasportato e ripreso a diffondere il " Rompete le file ,, giornale antimilitarista per eccellenza, faceva temere al ministro Giolitti " propositi fanatici per atti individuali ,, 25. Lo stretto controllo esercitato sugli elementi anarchici dalle autorità non riuscì ad evitare comunque ciò che il ministro temeva: l'attentato individuale. Nella caserma Cialdini, all'alba del 30 ottobre 1911, il soldato Augusto Masetti sparò contro un gruppo di ufficiali, ferendo il colonnello Strappa, al grido - dissero testimoni oculari, anche se poi il Masetti non ricordò il fatto - di " Viva l'anarchia, abbasso l'esercito, fratelli ribellatevi ,, 26. Il Masetti era un muratore senza precedenti penali, soldato della classe 1888, mandato in congedo illimitato nel 1910, richiamato in servizio il 26 settembre 1911 e destinato effettivo alla ]O Compagnia del 35o Reggimento Fanteria, sorteggiato a far parte del corpo di spedizione per la guerra d'Africa. Tutte le testimonianze prodotte davanti alla Commissione d'inchiesta lo descrivono come un giovane apparentemente tranquillo, debole di carattere e fortemente colpito all'idea della partenza per la Tripolitania dalla paura 24 Cfr. G. CERRITO, L 'antimilitarismo anarchico in Italia nel primo ventennio del secolo, Pistoia 1968; G. OLIVA, Esercito, paese ... , cit. 25 A.S.B., Gabinetto di Prefettura (G. P.), cat. 6, fase. 2, 1911, Nota del ministro Giolitti al prefetto di Bologna del 29 ottobre 1911. 26 A.S.B., Tribunale militare territoriale di Venezia, fase. Masetti Augusto, Testimonianza.

472 BRUNELLA DALLA CASA - FIORENZA TAROZZI - ANGELO VARNI<br />

festazione estemporanea ed episodica, contenuta dentro i confini dello sconcerto<br />

e della confusione dei primi mesi postunitari, ma assolutamente stroncato<br />

nella sua reiterazione.<br />

Una conferma di un progressivo irrigidimento delle autorità militari verso<br />

il reato di diserzione si ha anche da un'analisi delle sentenze emesse dal Tribunale<br />

militare. Mentre infatti nel corso del 1860 questo reato veniva per<br />

lo più annullato attraverso le dichiarazioni di non luogo a procedere della<br />

Commissione d'inchiesta e le amnistie o, in caso di procedimento penale,<br />

punito con pene che variavano da qualche mese all'anno di carcere (si hanno<br />

anche alcune condanne a l o 3 <strong>anni</strong> di reclusione militare, ma si tratta<br />

di pochi casi con particolari aggravanti) fra la fine del 1860 e gli inizi del<br />

1861 l'atteggiamento delle autorità militari cambiò sensibilmente: le commissioni<br />

d'inchiesta iniziarono una sequela di rinvii a giudizio per il reato<br />

di diserzione semplice (per lo più si trattava della non presentazione all'atto<br />

della partenza per il corpo) che il Tribunale militare di Bologna puniva sistematicamente<br />

con la condanna a l anno di carcere militare. Fra le 188 sentenze<br />

emesse dal Tribunale, ben 92 (49%) furono le condanne appunto a<br />

l anno di carcere militare, quasi esclusivamente di soldati accusati di diserzione<br />

semplice. La diserzione come allontanamento dal corpo poteva anche<br />

essere punita con 2 <strong>anni</strong> di reclusione militare, ridotta a volte a l anno di<br />

carcere, in caso di costituzione volontaria del reo.<br />

Le pene più severe inflitte furono comunque per il reato di insubordinazione,<br />

che, se pur contenuto di numero come abbiamo visto, impensieriva<br />

notevolmente le gerarchie militari, per il pericolo che essa rappresentava al<br />

mantenimento dell'ordine rigido e della disciplina ferrea, principi sui quali il<br />

nuovo <strong>esercito</strong> doveva essere fondato. Con condanne esemplari, che andavano<br />

da un minimo di 3 <strong>anni</strong> di reclusione militare a un massimo di 10, oltre a<br />

una pena di morte eseguita per insubordinazione con tentato omicidio, il Tribunale<br />

militare di Bologna tentò di bloccare il fenomeno al suo primo manifestarsi,<br />

mandando un messaggio esplicito e univoco di repressione intransigente.<br />

Se passiamo ad analizzare i procedimenti istruiti dai primi mesi del gennaio<br />

1863 a metà dicembre dello stesso anno si ha la conferma di una macchina<br />

repressiva già perfettamente oliata e in piena efficienza (anche la registrazione<br />

dei procedimenti ora è molto più puntuale e precisa rispetto al1860,<br />

segno evidente del formarsi di un apparato burocratico più solido e sicuro).<br />

La riduzione del numero dei procedimenti (299 in quasi dodici mesi)<br />

e dei soggetti coinvolti (3 76 militari e 28 borghesi) sembra testimoniare di<br />

un certo successo ottenuto dalle gerarchie militari nel controllo di un meccanismo<br />

complesso e articolato quale era la costituzione di un <strong>esercito</strong> nazionale<br />

in un paese giudicato di debole vocazione patriottica.<br />

DISCIPLINA MILITARE E TERRITORIO 473<br />

Il gruppo maggiore di soldati sottoposti a procedimento (282 su 3 76,<br />

pari al 75%) è costituito da giovani dai 20 ai 25 <strong>anni</strong>; solo 7 sono quelli di<br />

età inferiore, 65 quelli dai 26 ai 30 <strong>anni</strong>, 5 dai 31 ai 40 e 2 quelli di età superiore<br />

ancora (per 15 inquisiti manca questo dato). Fra i sottoposti a procedimento<br />

penale quelli in stato di detenzione sono oramai la stragrande maggioranza<br />

(315 su 3 76, cioè 1'84%) e il fenomeno della latitanza è ridotto notevolmente<br />

(solamente 50 sono i latitanti, pari al 13% ) . Tra i detenuti, inol­<br />

tre, 104 si sono costituiti volontariamente: un dato in notevole aumento ri­<br />

spetto al triennio precedente.<br />

Tuttavia se guardiamo la qualità dei reati, il quadro risulta più complesso.<br />

Anche nel 1863 il reato di gran lunga più contestato rimaneva sempre<br />

la diserzione in tutte le sue forme. Su un totale di 395 reati contestati 245<br />

sono di diserzione (7 5%): nella maggioranza dei casi si trattava di diserzione<br />

semplice (182), 20 erano i casi di diserzione qualificata con asportazione di<br />

equipaggio militare e armi da fuoco, l O quelli di diserzione all'estero, 16 di<br />

diserzione in complotto e l 7 quelli di diserzione recidiva. Connessi in qualche<br />

modo al reato di diserzione sono anche due procedimenti, uno di complicità<br />

in diserzione e l'altro di invito sempre alla diserzione. Come si può<br />

constatare una percentuale di poco inferiore a quella del 1860-61, a riprova<br />

che, se pur più contenuta numericamente, la diserzione continuava ad essere<br />

il problema principale del nuovo <strong>esercito</strong>, anche a tre <strong>anni</strong> dall'Unità, aggravato<br />

inoltre dal profilarsi del nuovo fenomeno della renitenza (già 45 sono<br />

nel corso di quest'anno, cioè l' 11%) che negli <strong>anni</strong> successivi sarebbe<br />

divenuto la manifestazione tipica e più vistosa di rifiuto della leva.<br />

Se consideriamo quindi la renitenza e la diserzione nel suo complesso,<br />

dobbiamo prendere atto che la sua consistenza rappresenta uno scacco evidente<br />

della duplice strategia messa in atto dalle autorità militari per controllare<br />

e neutralizzare il fenomeno, sia attraverso l'uso di pene severe che di<br />

amnistie e assoluzioni. Non solo, nonostante il deterrente delle severe condanne,<br />

i soldati continuavano a disertare non presentandosi, all'atto della<br />

partenza e fuggendo dai corpi, ma i giovani cominciavano addirittura a sottrarsi<br />

preventivamente alla coscrizione con la complicità e la solidarietà sempre<br />

più palese delle famiglie, del paese e di quanti davano loro ricetta.<br />

Le pene esemplari sembrano invece aver esercitato una funzione deterrente<br />

nei confronti del reato di insubordinazione che si riduce infatti a 20<br />

casi, puniti sempre comunque in maniera severa (non meno di tre <strong>anni</strong> di<br />

reclusione militare). Si riducono anche i casi di vendita o alienazione di beni<br />

militari (8 procedimenti), mentre sostanzialmente stazionari rimangono i reati<br />

di furto (34 procedimenti). Gli altri reati contestati continuano ad essere l'abbandono<br />

del posto di guardia, la disobbedienza, il falso, la prevaricazione,

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!