esercito e città dall'unità agli anni trenta. tomo i - Sistema ...
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466 BRUNELLA DALLA CASA - FIORENZA TAROZZI - ANGELO VARNI<br />
manifestandosi in aiuti concreti (vestiti civili, cibo, nascondigli, lavoro) che<br />
spesso finiscono col compromettere penalmente anche chi si rende protagonista<br />
di tale azione. Tali sostegni si diversificavano poi tra ambiente cittadino<br />
e ambiente rurale, tra zone più o meno vicine ai confini di stato.<br />
Un elemento che ci è subito parso evidente e che ha trovato conferma<br />
mano a mano che la macchina della giustizia militare andava perfezionandosi<br />
è l'eccessiva severità delle pene, la rigidità nell'applicarle, fattore questo<br />
che sul lungo periodo finirà col dimostrare l'inadeguatezza di una logica dura<br />
con tempi mutati. È chiaro, crediamo, che i timori e le cautele degli <strong>anni</strong><br />
post-unitari, quando occorreva tutto costruire, anche la « coscienza , di un<br />
<strong>esercito</strong> nazionale, potessero richiedere interventi non più credibili e giustificabili<br />
<strong>trenta</strong>-cinquant'<strong>anni</strong> dopo, e che la diserzione in tempo di pace avesse<br />
ben altre ragioni (insofferenza, disadattamento) che non in tempo di guerra<br />
(paura di cadere in combattimento, rifiuto ideologico della guerra, ecc.). Di<br />
tali inadeguatezze, o più ancora della rigidità delle norme come causa, se<br />
non prima, fra le principali del disamore del cittadino per l'<strong>esercito</strong> ci si rendeva<br />
probabilmente conto, anche se era difficile intervenire se non arrivando<br />
ad una riforma della codificazione che come abbiamo visto fu tentata ,<br />
ma non realizzata. Soluzioni intermedie, non si sa quanto convincenti, erano<br />
le amnistie, la grazia e la riduzione della pena. Su questo terreno crediamo<br />
tuttavia che per azzardare ipotesi occorrerà affrontare una casistica più<br />
ampia - soprattutto di più ampio respiro temporale - di quella che oggi<br />
possediamo, ma è sicuramente un elemento su cui appuntare l'attenzione.<br />
Tornando ad un discorso teorico-generale di inquadramento, ci pare opportuno<br />
sottolineare le pene previste per reati militari per meglio comprendere<br />
e valutare l'attività del Tribunale militare bolognese. In graduazione esse erano:<br />
morte col mezzo della fucilazione al petto, morte col mezzo della fucilazione<br />
alla schiena, reclusione militare, carcere militare, degradazione, dimissione,<br />
sospensione dall'impiego, destituzione, rimozione dal grado.<br />
Di pene di morte, oltre a quella già ricordata, tra le sentenze emesse dal<br />
Tribunale militare di Bologna ne troviamo un'altra nel 1863, non eseguita<br />
perché il giudicato era latitante da quando, il 25 giugno 1859, aveva abbandonato,<br />
sul campo di batt<strong>agli</strong>a a San Martino, il suo batt<strong>agli</strong>one. Se formalmente<br />
questa decisione appare ineccepibile - il soldato aveva disertato sul<br />
campo di batt<strong>agli</strong>a e si trattava anche di una delle batt<strong>agli</strong>e più significative<br />
della lotta per l'unificazione nazionale - ben diversa valenza politica ha la<br />
condanna a l anno di carcere militare comminata nel l863 a un giovane muratore<br />
bolognese che in Genova, all'inizio del giugno 1860, aveva lasciato<br />
il suo reggimento per seguire Garibaldi. Pare chiaro, in questo caso, come<br />
DISCIPLINA MILITARE E TERRITORIO<br />
la giustizia militare seguisse il proprio corso senza guardarsi attorno, quasi<br />
disconoscendo quanto all'esterno, nella società, avveniva e acquistava valore,<br />
<strong>agli</strong> ideali nuovi che spesso si sovrapponevano o contrapponevano a lo-<br />
giche rigide e inalterabili.<br />
467<br />
A dieci <strong>anni</strong> di lavori forzati, degradazione e interdizione dai pubblici<br />
uffici, nel dicembre del 1863, venne condannato un soldato, anch'egli lati<br />
tante, accusato di diserzione e furto. _<br />
Le pene più gravi oltre a queste furono quelle comminate per 7 diser-<br />
zioni all'estero. " Addio caporale ' gridò un ventitreenne soldato entrando<br />
in territorio austriaco. Quell'addio gli costò una condanna a 15 <strong>anni</strong> di re<br />
clusione, ridotta a cinque quando, nel giugno del l865, si costituì. E 5 <strong>anni</strong><br />
in reclusione scontarono gli altri suoi « compagni », disertori come lui in Ve<br />
neto o in Francia, quando rientrarono in Italia 2 1 .<br />
Aiuti ai disertori, specie nelle zone di confine, venivano ovviamente dalla<br />
popolazione civile che dava loro abiti, cibo, molto spesso li traghettava al<br />
di là del Po. Era tra i contadini che i giovani disertori, anch'essi molto spes<br />
erano sempre pronti a offrire un rifugio e forse anche un lavoro. Non era<br />
so « uomini della terra ", cercavano e trovavano il più delle volte aiuti. Essi<br />
cambiato molto, nonostante gli <strong>anni</strong> trascorsi, rispetto a quanto Franco Del<br />
la Peruta scrive per le diserzioni nell'armata del Regno d'Italia napoleonico.<br />
« I soldati che disertavano nel Regno e che vi restavano senza tentare, come<br />
pure alcuni facevano, la sorte dell'emigrazione, riuscivano spesso a soprav<br />
vivere e ad eludere le ricerche perché potevano in generale contare sull'ap<br />
poggio di quei ceti popolari cui li accumunava l'estrazione sociale, dal mo<br />
mento che coloro che fuggivano dall'<strong>esercito</strong> o divenivano renitenti erano<br />
nella grande maggioranza contadini e, in assai minor misura, artigiani; un<br />
appoggio che era certamente più facile quando questi uomini non si allonta<br />
navano troppo dai comuni in cui erano nati e vissuti, dove i legami di pa<br />
rentela e di amicizia favorivano la trama della connivenza, ma che assai spesso<br />
non mancava neppure quando essi si aggiravano errabondi per borghi e cam<br />
pagne lontano dai focolari natii perché dovunque si trovassero vi erano sem<br />
pre famiglie che, toccate direttamente o indirettamente dalla coscrizione e<br />
dalla leva, odiavano il servizio militare e mostravano comprensione per chi<br />
aveva fatto la scelta di sottrarvisi con la renitenza o con la diserzione. I disertori<br />
ottenevano così una ospitalità, sia pure precaria (e in qualche caso<br />
procurata anche con le minacce), nelle osterie, nelle cascine, nelle case co<br />
loniche, nelle stalle; venivano informati sulle mosse dei gendarmi e dei sol-<br />
21 Per tutti questi casi cfr. A.S.B., Tribunale militare territoriale di Bologna, Registro<br />
dei processi 1863-1865, cit.