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esercito e città dall'unità agli anni trenta. tomo i - Sistema ...

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432 FERRUCCIO BOTTI<br />

Le illuminanti pagine di Mel ville nel libro « Giacchetta bianca , sulla fustigazione<br />

e sull'anticostituzionalità in genere del regime disciplinare in uso<br />

nella Marina americana del 1843, la tradizionale rigida disciplina della Royal<br />

Navy, i severi giudizi di un uomo come Carlo Mezzacapo (già ufficiale borbonico)<br />

33 e del De Cesare sulla bastonatura, sulle discriminazioni, sui favoritismi<br />

e sul sistema disciplinare in uso nell'<strong>esercito</strong> delle Due Sicilie, bastano<br />

a testimoniare che la disciplina dell'<strong>esercito</strong> piemontese e unitario tutto<br />

sommato non merita di essere oggi eretta a simbolo di repressione e autoritarismo.<br />

Afferma, in particolare, il De Cesare che nell'<strong>esercito</strong> borbonico del<br />

1850 e 1860<br />

la disciplina veniva mantenuta con pene severissime, persino crudeli. Tutta<br />

la parte morale, che tiene oggi il maggior posto nell'educazione militare, allora<br />

non c'era. -Non il sentimento del dovere, né l'onore della divisa rattenevano<br />

il soldato dalle cattive azioni, ma la bacchetta e le legnate, pene che raggiungevano<br />

l'orrore di una flagellazione [ . .. ]. Più che una raccolta di uomini<br />

d'arme, l'<strong>esercito</strong> poteva dirsi una raccolta di frati armati, desiderosi di quieto<br />

vivere. Le imprese contro il nemico interno li trovavano disposti a menar le<br />

mani 34.<br />

*<br />

In conclusione, nella compagine militare affrettatamente nata nel 1861<br />

non mancano certo difetti emblematici e destinati a far sentire a lungo (ben<br />

oltre le amare pagine di Custoza e Lissa del 1866) i loro effetti. Tra di essi<br />

ricordiamo la tendenza a privilegiare il numero rispetto alla qualità, le rivalità<br />

e gelosie al vertice, la mancanza di coordinamento tra <strong>esercito</strong> e rmata<br />

navale, la (inevitabile) scarsa coesione dei quadri, la tendenza tutta francese<br />

e jominiana a soffocare, nella realtà quotidiana, l'iniziativa dei minori livelli<br />

con prescrizioni minute ed eccessivi formalismi, l'eccesso di carte e burocrazia<br />

anche ai minori livelli. Va peraltro riconosciuto che dal 1861 al 1870<br />

si manifestano in quell'<strong>esercito</strong> non a caso chiamato Italiano anche numerosi<br />

fermenti nuovi e moderni e un grande fervore culturale, suscettibili di<br />

farne uno strumento tecnicamente all'altezza dei tempi e in piena armonia<br />

con il resto della società. L'<strong>esercito</strong> del l861 non è dinastico, o lo è in misura<br />

assai limitata. Come anche il fervente repubblicano e massone Garibaldi<br />

33 Cfr. C. MEZZACAPO, Stato militare dell 'Italia, " Rivista militare ", 1858, Vol. I, parte<br />

II - Regno di Napoli.<br />

, ,<br />

162-163.<br />

34 R. DE CESARE, La fine di un regno (Vol. I), Roma, Newton Compton 1975 pp.<br />

LA CASERMA ITALIANA NEI PRIMI ANNI 433<br />

aveva capito, la monarchia era in quel periodo più che altro un indispensabile<br />

riferimento comune, un elemento di coesione e continuità intorno al<br />

quale i nuovi fermenti avrebbero potuto essere metabolizzati senza traumi,<br />

il sano legame tra <strong>esercito</strong> e società avrebbe potuto rinsaldarsi, e, insieme,<br />

il concetto di salvaguardia dell'indipendenza e unità nazionale (strettamente<br />

legato a quello di libertà costituzionali) avrebbe potuto trovare nell'<strong>esercito</strong><br />

il suo degno custode e il suo simbolo, da tutti riconosciuto.<br />

In quanto alla disciplina e alla vita di caserma di quei tempi, se rapportiamo<br />

l'impostazione di allora con quella attuale, il giudizio sarebbe indubbiamente<br />

severo. Ma un siffatto metodo attualizzante sarebbe antistorico e<br />

contro ogni logica: le decisioni, gli eventi, le idee, le leggi e i regolamenti<br />

vanno giudicati esclusivamente nell'ottica del tempo e in rapporto alla situazione,<br />

alla mentalità, alla realtà sociopolitica del momento, e soprattutto<br />

non bisogna mai trascurare la ricerca di termini di raffronto all'estero.<br />

Solo in questo modo si possono individuare riferimenti probanti per<br />

dare giudizi che in tutti i casi non possono che essere relativi, e rifuggire<br />

da categoriche condanne o assoluzioni. Per queste ragioni, sulla base della<br />

sia pure non esaustiva analisi condotta, mi sembra sostanzialmente fondato<br />

il giudizio (1889) del liberatore di Roma generale Raffaele Cadorna, giudizio<br />

tale da far giustizia di affrettate demonizzazioni:<br />

gran buona pasta di soldato, è quella del soldato italiano [ . .. ]la nostra disciplina<br />

è severa senza durezza e rigidezza, e si vincola moralmente il soldato coll'interessamento<br />

alla sua salute, al suo benessere. Se la disciplina fosse troppo<br />

rigida da noi, esplicando modi ruvidi, male si comporterebbe, si reagirebbe,<br />

si avrebbero dei rivoltosi [ . .. ]. Questa indole nazionale, rispettata nel modo<br />

di praticare la disciplina, fa sì che in Italia il ceto militare non è come in altre<br />

Nazioni una casta a parte separata e distinta, ma si confonde colla Nazione tutta<br />

( . .. ). Tale è almeno l'opinione di chi scrive, dopo 46 <strong>anni</strong> di non interrotto<br />

servizio a cominciare da semplice soldato e militando anche a fianco di eserciti<br />

stranieri, coi quali perciò crede di aver potuto stabilire criteri e giudizi<br />

comparativi 35.<br />

35 R. CADORNA, La liberazione di Roma nell'anno 1870 e il plebiscito, Roma-Torino,<br />

Roux, 1889, pp. 228-229.

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