esercito e città dall'unità agli anni trenta. tomo i - Sistema ...
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352 EMILIO FRANZINA terno urbano vive in un certo modo l'esperienza della propria inserzione nell'esercito (ossia della
354 EMILIO FRANZINA Nella sua sintetica relazione dedicata alla rappresentazione del rapporto esercito-città nelle cartoline reggimentali, Gianni Oliva ricorda come rispetto agli sforzi della più irenica iconografia militare « la realtà quotidiana , presentasse stacchi nettissimi e obiettivi, primo fra tutti quello fra esercito; territorio, due " entità distinte e in gran parte antagonistiche con soldati che si facevano strumento docile di repressione anche perché non avevano alcun legame 'culturale' (talora neppure linguistico) con la popolazione residente "· Rimaniamo, per questo aspetto, legati ancora al caso di Torino. In uno studio del 1906 il ten. col. Alberto Cavaci occhi cita espressamente l'episodio della città subalpina e delle discussioni registratesi in seno al suo Consiglio comunale nel settembre del 1904 per vagliare la legittimità e l'opportunità dell'uso delle truppe nei conflitti tra capitale e lavoro. L'ufficiale si rende conto della particolarità di un tale intervento - siamo in età giolittiana e nel cuore piemontese del potere di Giolitti- ma resta nondimeno dell'idea che la forza militare possa e debba essere usata negli scioperi scontando consapevolmente il rischio della contrapposizione pressoché frontale fra caserma e città, fra soldati e popolazioni, qui per giunta " operaie , 7• Nel concreto dei fatti come si presentava questo rischio? Forse come lo raffigurò in un suo romanzo, citato da Spriana, Augusto Monti. Teste attendibile, questi, nei panni di " Carlin » , rievoca in Tradimento e fedeltà 8, proprio lo sciopero generale di sabato l 7 settembre 1904 che aveva propiziato le discussioni consiliari menzionate dal Cavaciocchi e al quale, da bambino, egli stesso aveva assistito. Nel corso dei disordini che ne erano scaturiti aveva trovato la morte Giovanni Garelli, la prima vittima operaia degli scontri di classe del nuovo secolo a Torino: « Via Cibrario, dove sbocca in piazza, bloccata da due file di soldati, artiglieria di montagna, alti giovanotti membruti in tela di Russia e filetti gialli; un bel sole, un po' di vento, polvere per aria. Scende la fiumana giù per la via cantando: ' ... e noi vivremo - del lavorooo ... '. Un saputo che le precede, parlamenta con l'ufficiale: ha dattorno tre o quattro viragini schiamazzanti 'sangue proletario' e simili: ragazze e soldati ora sono di fronte: silenzio. E da una fila là dietro una bella voce di contralto ripiglia il canto, ma in piemontese E mé piceur a fa' l fòndeur a'm piassa'l tubò ... Artiglieria alpina capisce il dialetto, la disciplina è rigida, ma tener testa facile non sarà ... » 7 Esercito e paese. Studio del ten. col. Alberto Cavaciocchi, Torino 1906, pp. 20-21. s Ci t. in P. SPRIANO, Storia di Torino operaia e socialista. Da De Amicis a Gramsci, Torino 1972, pp. 101-102. CASERMA, SOLDATI E POPOLAZIONE 355 A parte l'esito dell'episodio in sé, un esito luttuoso e cruento, il brano offre numerosi motivi di riflessione a cominciare da quello, evidentissimo, del fronteggiamento di soldati e ragazze (solitamente immaginati o ritratti in un'attitudine reciproca alquanto diversa), ma sembra anche infirmare la validità delle osservazioni sul divario linguistico di cui sopra si diceva. Quel divario, tuttavia, sussisteva in effetti ed anzi era di solito stridente, collegandosi, com'è noto, alla limitatezza delreclutamento territoriale che, tolti appunto i reparti alpini, potenziava con la sua mancanza o con la sua casuale episodicità le contraddizioni d'ordine culturale, psicologico e linguistico. Ancora Torino, la Torino apparentemente compassata e fredda, ma poi teatro frequente di gravi sommosse urbane fra Otto e Novecento, ce lo ricorda con protagonisti d'eccezione all'indomani del primo conflitto mondiale quando sono Gramsci e alcuni suoi compatrioti isolani a rivolgersi, in dialetto, ai soldati della Brigata Sassari per far opera di convincimento filoproletario e per svolgere fra le truppe di leva o non ancora smobilitate un particolare lavoro politico. Come si svolgeva questo lavoro? Nel Gramsci raccontato di Cesare Bermani ce lo ricorda Pia Carena: " Beh, con altri sardi avvicinava questi soldati sardi, gli parlava, li faceva parlare, questi sardi parlavano agli altri sardi, e adagio adagio si è allentata quella morsa che avevano creato. A un certo punto hanno ritirato la Brigata Sassari e l'hanno fatta partire di notte. Perché la polizia era l'unica che bene o male filava, ma l'esercito non marciava contro gli operai. E di chi si fidavano ormai? [Già nei moti d'agosto del 1917J le donne verso Porta Palazzo si sono lanciate contro la cavalleria ... a fermare i cavalli e a urlare ai soldati: 'Ci battiamo per voi, perché non andiate a morire' ... , 9. Naturalmente qui siamo già alla fine della parabola e d'altronde, come osserva lo stesso Davis, il ruolo dell'esercito nei contesti urbani dell'Italia liberale non può essere limitato alla sola e ristretta prospettiva del mantenimento o del rafforzamernto dell'ordine pubblico ossia ai puri compiti di polizia dei quali riferisce in dettaglio la sua relazione. Essa, nondimeno, offre per tali aspetti un punto di partenza da cui vorrei muovere anch'io nell'azzardare il riassunto dei contributi di questa sezione e nella speranza di non averne a fare - come dice un termine entrato in uso nei dialetti e nell'italiano popolare uscendo dalla '' storia militare , del nostro Ottocento - misdea. Il tema dell'ordine pubblico, dunque, può ancora rimanere al centro della nostra attenzione non solo perché adombra un nesso con gli atteggiamenti di gran parte delle masse popolari italiane nei riguardi dell'esercito 9 C. BERMANI (a cura di), Gramsci raccontato, (Roma] 1987, p. 69.
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