esercito e città dall'unità agli anni trenta. tomo i - Sistema ...
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340 LA DISCUSSIONE que tenuto presente che mortalità, malattie ed epidemie erano molto elevate anche tra la popolazione civile del tempo. Non si può fare carico all'Amministrazione militare di disinteresse o incompetenza per un problema che - non va dimenticato - causa notevole disagio anche ai Quadri: lo dimostrano i numerosi articoli sul Giornale del Genio Militare e le opere del Carnevale-Arella (1851) e del Baroffio e Quagliotti (1860), ambedue pubblicate sotto gli auspici o con l'approvazione del ministro della Guerra 4, e soprattutto le relazioni dei ministri della Guerra sull'amministrazione negli anni 1864, 1985 e 1986 (che cito anche per altri aspetti nella mia comunicazione). La mancata risoluzione del problema delle caserme, nel secolo XIX e anche dopo, è principalmente dovuta alla scelc ta quantitativa - cioè al basso livello di spesa in rapporto alla elevata forza alle armi - che è una costante della politica militare italiana, e che per tutto il secolo XIX costringe a sacrificare le pur importanti esigenze relative all'addestramento, agli immobili e poligoni permanenti e ai materiali e servizi. MARCO MERIGGI: Dalla relazione di sintesi di Isnenghi è emerso, tra gli altri, un tema - quello della differenziazione regionale nel rapporto esercito/società nell'Italia liberale - a proposito del quale cercherò di proporre qualche considerazione ulteriore. Se confrontato con quello di altre monarchie costituzionali coeve (in particolare il Kaiserreich e l'Austria-Ungheria), l'esercito italiano si presenta sin dai primi anni da un lato assai meno aristocratico nella sua composizione, dall'altro regolato da norme (non meno che da prassi applicative delle medesime) contraddistinte da un'inclinazione autoritaria relativamente debole. Basti pensare in tal senso, all'atteggiamento di tolleranza nei confronti del fenomeno di diffusa tendenza all'aggiramento delle norme matrimoniali da parte degli ufficiali (relazione Minniti), o all'ampia (e largamente usufruita da parte degli ufficiali) facoltà di esprimere il proprio pensiero (militare e non) sulla stampa (militare e non) accordata ai quadri dell'esercito italiano. Sono dati di fatto che situano il caso italiano a debita distanza da quella costellazione monarchico-autoritaria che è invece tipica degli eserciti delle altre due potenze della Triplice. Né ha riscontri, per il caso tedesco e per quello austro-ungarico, un fenomeno come quello del modernismo militare, che, con la sua carica contestativa nei confronti delle gerarchie e con la sua larga diffusione tra gli ufficiali, costituì uno dei momenti di massima esplicitazio- 4 Cfr. A. CARNEVALE-ARELLA, Trattato di igiene militare scritto per ordine di S.M. Carlo Alberto, Torino 1851 (2 vol.), e F. BAROFFIO-A. QuAGLIOTTI, L 'alimentazione del soldato, Torino, Zoppis, 1860 (2 vol.). LA DISCUSSIONE 341 ne dell'apertura dell'esercito italiano nei confronti delle tensioni emergenti dalla società civile in età giolittiana. Se queste caratteristiche di " militarismo temperato » (rispetto a quello " organico , prussiano ed austriaco) sono da far risalire a fattori di indole politica generale (l'esito della tensione tra prerogativa regia e regime parlamentare in termini favorevoli al secondo, già nel Piemonte degli anni '50), la relativamente scarsa adesione tra aristocrazia e istituzione militare nel Regno d'Italia si può invece spiegare da un lato con l'assenza di tradizione militare presso i patriziati cittadini di vaste aree dell'Italia centro-settentrionale, dall'altro con la diffidenza (se non ostilità) nei riguardi dell'unificazione nazionale da parte di aristocrazie feudalterriere, come ad esempio quella napoletana, cui non era probabilmente estranea in precedenza una propensione alla carriera militare. D'altro canto, se l'esercito italiano non imboccò quella parabola aristocratico-autoritaria che delineava la natura
342 LA DISCUSSIONE periodo. Il 'militarismo' era un fenomeno piemontese, prima ancora di essere un fenomeno della nobiltà piemontese. Vi era certamente un nucleo duro nobiliare, ma intorno a questo nucleo si collocavano altre classi sociali. La seconda osservazione trae origine da una vecchia ricerca, che per varie peripezie ho troncato e che spero prima o dopo di riprendere, sugli alti ufficiali degli eserciti piemontesi negli anni 1848-49 e 1859. Dai dati da me raccolti emergeva la presenza sempre più massiccia di una nobiltà recente, di origini sette-ottocentesche. Non ci si deve lasciar ingannare dal titolo nobiliare. Un caso ricordato da Meriggi: il barone Paolo Solaroli di Briana. Solaroli era un ex-sarto dell'esercito piemontese, che aveva dovuto abbandonare il Piemonte a causa della sua partecipazione ai moti del 1821. Dopo molte vicende era approdato in India, dove aveva sposato la figlia di un maragià. La morte del suocero lo aveva reso ricchissimo. Se ne era ritornato in Piemonte e Carlo Alberto non solo lo aveva graziato, ma gli aveva anche conferito il titolo di barone e lo aveva riammesso nell'esercito sardo con il grado di colonnello. Mentre, ad esempio, i Cadorna erano una famiglia semi-gentilizia di Pallanza in un secondo tempo premiata con un titolo, nel caso di Solaroli si ha a che fare con un percorso - nel senso letterale - dall'ago al milione, percorso consacrato dalla baronia. In ogni caso il problema del Piemonte aristocratico appare un problema assai particolare. Se si tiene presente che il totale degli ufficiali nobili dell'esercito italiano si aggirava intorno alle cinque-seicento unità, gli aristocratici piemontesi emergono come la componente di gran lunga più importante. EZIO FERRANTE: Vorrei apportare « dulcis in fundo ,, una nota d'acqua salata sul tema generale della composizione sociale dell'ufficialità. Ritengo infatti che sia necessario includere almeno un cenno sull'argomento sotto il profilo navale, non foss'altro in considerazione del fatto che, tra la fine degli anni Ottanta e gli inizi degli anni Novanta, la flotta italiana era la terza nella graduatoria internazinale delle Potenze marittime e nel susseguirsi di ben .... crociere internazionali effettuate dalla Marina militare in giro per il mondo, all'estero l'ufficiale di Marina era in fondo quello meglio conosciuto. Con questa premessa che mi sembra doverosa, faccio riferimento soprattutto alla relazione Cardoza e agli interventi Meriggi e Mazzonis per proporre qualche nota a margine sul tema della composizione sociale dell'ufficialità di Marina, un profilo critico purtroppo sinora trascurato dalla storiografia navale. Naturalmente quando nell'Ottocento parliamo di ufficiali di Marina ci riferiamo soprattutto agli ufficiali di vascello, o meglio dello Stato Maggiore Generale come a lungo si chiameranno, gli ufficiali commissari e medici ed LA DISCUSSIONE 343 i miei colleghi ufficiali di porto saranno ancora civili per un certo periodo di tempo, a seconda della storia dei singoli Corpi, e che non esistevano corpi tecnici modernamente intesi (Genio e Armi navali) perché tali specialità in genere erano fagocitate nell'ambito stesso del ruolo navigante 1 • Parlando a braccio la mia impressione è che la tradizione nobiliare si sente soprattutto nella Marina borbonica dove i primogeniti abbracciavano con più frequenza la carriera delle armi(pensiamo agli Acton). Se poi consideriamo nel suo complesso la composizione sociale degli ufficiali di Marina nell'Italia post-unitaria, ci accorgiamo che la provenienza più comune è proprio dalla borghesia ovvero dai figli cadetti delle famiglie nobili che un gettito ingente avevano già dato costantemente dai tre nuclei regionali che costituivano la Marina srda (genovese, nizzardo e savoiardo, specialmente quest'ultimo, per cui basta pensare alle grandi figure di Simone Pacoret di Saint Bon e Paolo Thaon di Revel, del ramo cadetto dei conti di Revel e marchesi di Sant'André). A questo panorama formato per lo più da borghesi e cadetti di famiglie nobili, si devono naturalmente aggiungere i membri dei diversi rami di Casa Savoia (come Eugenio di Savoia-Carignano, luogotenente del Re durante le guerre risorgimentali, Tommaso duca di Genova, Luigi Amedeo duca degli Abruzzi ed in seguito Ferdinando, principe di Udine e Aimone, duca di Spoleto), primi per diritto di nascita ad ogni valutazione, sempre in testa all'Annuario (chiamato in gergo La Smorfia), gli unici che nel periodo che va da Lissa alla Grande Guerra (da Persano a Thaon di Revel, tanto per intenderei) si fregeranno del titolo di ammiraglio (mentre gli altri, tutti gli altri saranno sempre e solo dei vice-ammiragli). E con la Grande Guerra si viene a creare poi una teoria di nobili che conquistano sul campo i propri titoli, secondo la più antica prassi; avremo così un duca del Mare (Thaon di Revel) e numerosi marinai insigniti del titolo comitale (il conte di Cortellazzo - Costanzo Ciano -, di Grado - Luigi Rizzo -, di Val Maggiore - Raffaele Paolucci). Ma in linea generale, nella storia della Marina, i personaggi più famosi di estrazione nobiliare saranno indubbiamente Carlo Pellion dei conti di Persano e Semiana nella Lomellina, di recente nobiltà (1773) e di scarse rendite (come si evince dalla vita grama che, colui che si definiva già ammiraglio I Ad ulteriore chiarimento del lettore si precisa che il primo ordinamento organico della R. Marina (R. D. l aprile 1861) prevedeva infatti solo tre Corpi militari: Stato Maggiore Generale (che, oltre agli ufficiali di vascello, comprendeva anche i piloti ed i cappellani, mentre in posizione di aggregati erano gli ufficiali di maggiorità, gli ufficiali di arsenale e gli ufficiali macchinisti), il Corpo Reale Equipaggi ed il Corpo Fanteria Real Marina.
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que tenuto presente che mortalità, malattie ed epidemie erano molto elevate<br />
anche tra la popolazione civile del tempo.<br />
Non si può fare carico all'Amministrazione militare di disinteresse o incompetenza<br />
per un problema che - non va dimenticato - causa notevole<br />
disagio anche ai Quadri: lo dimostrano i numerosi articoli sul Giornale del<br />
Genio Militare e le opere del Carnevale-Arella (1851) e del Baroffio e Qu<strong>agli</strong>otti<br />
(1860), ambedue pubblicate sotto gli auspici o con l'approvazione del<br />
ministro della Guerra 4, e soprattutto le relazioni dei ministri della Guerra<br />
sull'amministrazione negli <strong>anni</strong> 1864, 1985 e 1986 (che cito anche per altri<br />
aspetti nella mia comunicazione). La mancata risoluzione del problema delle<br />
caserme, nel secolo XIX e anche dopo, è principalmente dovuta alla scelc<br />
ta quantitativa - cioè al basso livello di spesa in rapporto alla elevata forza<br />
alle armi - che è una costante della politica militare italiana, e che per tutto<br />
il secolo XIX costringe a sacrificare le pur importanti esigenze relative all'addestramento,<br />
<strong>agli</strong> immobili e poligoni permanenti e ai materiali e servizi.<br />
MARCO MERIGGI: Dalla relazione di sintesi di Isnenghi è emerso, tra gli<br />
altri, un tema - quello della differenziazione regionale nel rapporto <strong>esercito</strong>/società<br />
nell'Italia liberale - a proposito del quale cercherò di proporre<br />
qualche considerazione ulteriore.<br />
Se confrontato con quello di altre monarchie costituzionali coeve (in<br />
particolare il Kaiserreich e l'Austria-Ungheria), l'<strong>esercito</strong> italiano si presenta<br />
sin dai primi <strong>anni</strong> da un lato assai meno aristocratico nella sua composizione,<br />
dall'altro regolato da norme (non meno che da prassi applicative delle<br />
medesime) contraddistinte da un'inclinazione autoritaria relativamente debole.<br />
Basti pensare in tal senso, all'atteggiamento di tolleranza nei confronti<br />
del fenomeno di diffusa tendenza all'aggiramento delle norme matrimoniali<br />
da parte degli ufficiali (relazione Minniti), o all'ampia (e largamente usufruita<br />
da parte degli ufficiali) facoltà di esprimere il proprio pensiero (militare e<br />
non) sulla stampa (militare e non) accordata ai quadri dell'<strong>esercito</strong> italiano.<br />
Sono dati di fatto che situano il caso italiano a debita distanza da quella costellazione<br />
monarchico-autoritaria che è invece tipica degli eserciti delle altre<br />
due potenze della Triplice. Né ha riscontri, per il caso tedesco e per quello<br />
austro-ungarico, un fenomeno come quello del modernismo militare, che,<br />
con la sua carica contestativa nei confronti delle gerarchie e con la sua larga<br />
diffusione tra gli ufficiali, costituì uno dei momenti di massima esplicitazio-<br />
4 Cfr. A. CARNEVALE-ARELLA, Trattato di igiene militare scritto per ordine di S.M.<br />
Carlo Alberto, Torino 1851 (2 vol.), e F. BAROFFIO-A. QuAGLIOTTI, L 'alimentazione del<br />
soldato, Torino, Zoppis, 1860 (2 vol.).<br />
LA DISCUSSIONE 341<br />
ne dell'apertura dell'<strong>esercito</strong> italiano nei confronti delle tensioni emergenti<br />
dalla società civile in età giolittiana.<br />
Se queste caratteristiche di " militarismo temperato » (rispetto a quello<br />
" organico , prussiano ed austriaco) sono da far risalire a fattori di indole<br />
politica generale (l'esito della tensione tra prerogativa regia e regime parlamentare<br />
in termini favorevoli al secondo, già nel Piemonte degli <strong>anni</strong> '50),<br />
la relativamente scarsa adesione tra aristocrazia e istituzione militare nel Regno<br />
d'Italia si può invece spiegare da un lato con l'assenza di tradizione militare<br />
presso i patriziati cittadini di vaste aree dell'Italia centro-settentrionale,<br />
dall'altro con la diffidenza (se non ostilità) nei riguardi dell'unificazione nazionale<br />
da parte di aristocrazie feudalterriere, come ad esempio quella napoletana,<br />
cui non era probabilmente estranea in precedenza una propensione<br />
alla carriera militare.<br />
D'altro canto, se l'<strong>esercito</strong> italiano non imboccò quella parabola<br />
aristocratico-autoritaria che delineava la natura