esercito e città dall'unità agli anni trenta. tomo i - Sistema ...
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294 MARCO MERIGGI<br />
fermazioni, per altro, che non erano in realtà sostenute da un'ispirazione<br />
ideologica « forte ,, , e che costituivano, negli ultimi <strong>anni</strong> di residua credibilità<br />
del verbo positivista, null'altro che la naturale derivazione di un principio<br />
che Ferrera sin dalla prima delle sue conferenze aveva voluto enunciare<br />
con lapidaria laconicità: '' fuggire il dolore, trovare il piacere , 5o. Ma, come<br />
vedremo, il contrasto tra il « militarismo , e tale «missione storica , della<br />
civiltà borghese, era forse più apparente (e contingente) che reale (e<br />
strutturale).<br />
Lo scorcio finale dell'età giolittiana, infatti, pur evidenziando da un lato<br />
ancor più vigorosamente la crisi di integrazione tra carriera militare e ceti<br />
civili nelle aree a forte sviluppo industriale 51, avrebbe dall'altro proposto<br />
una ancora a fine secolo imprevedibile ricongiunzione, sul piano istituzionale,<br />
tra la Milano antimilitarista e la Roma burocratica e coloniale.<br />
A sollevare qualche dubbio sullo spessore ideale dell'antimilitarismo milanese<br />
era stato per altro, già alla fine del secolo, Francesco Saverio Nitti,<br />
che, notando come, su 149 generali in servizio nel Regio Esercito, ben 34<br />
fossero lombardi, aveva tacciato la regione insubre di essere in realtà antimilitarista<br />
« solo nei discorsi parlamentari , 52. Questo dato, il primo dissonante<br />
in un tracciato che si è sin qui snodato in direzione univoca, va tuttavia<br />
apprezzato, come già ha suggerito Del Negro 53, come esito di una dinamica<br />
di lungo periodo che ha il suo punto d'avvio nella guerra d'indipendenza<br />
del 1859 e che non coincide con la tendenza fisiologica delle vocazioni<br />
militari regionali. A quasi quarant'<strong>anni</strong> di distanza, la forte concentrazione<br />
di lombardi nelle gerarchie dirigenti dell'<strong>esercito</strong> rappresenta così un<br />
tardivo e meccanico riverbero di quella conciliazione regional-nazionale sotto<br />
il primato contingente della politica di cui ci è già accaduto di cogliere l'irradiazione<br />
iniziale nella « buona socialità , goduta d<strong>agli</strong> ufficiali a Milano negli<br />
<strong>anni</strong> tra il 1859 e il l866. Abbiamo identificato solo alcuni tra i 34 lombardi<br />
censiti da Nitti nella generalità dell'<strong>esercito</strong>. Ma le schede biografiche di coloro<br />
che ci è riuscito di riconoscere ci han suggerito i tratti di una serie di<br />
carriere accomunate da un particolare centrale: la partecipazione, tutta politica,<br />
alle campagne del Risorgimento; per Luchino Dal Verme, Ercole Rizzardi,<br />
Carlo Medici di Marignano, Stefano e Luigi Majnoni d'Intignano, Lu-<br />
50 G. PERRERO, Il militarismo, cit., p. 5.<br />
1 Cf., tra la copiosa pubblicistica dell'epoca che esamina il problema, in particolare<br />
1 sagg1 dJ _ F. DE CHAURAND DE ST. EUSTACHE, l quadri dell '<strong>esercito</strong>, in ,, Nuova Antologia<br />
", 1913, fase. VI, pp. 659-668 e F. MARAZZI, Pro Esercito. Pericoli e rimedi ' in « Nuo-<br />
va Antologia ", 1906, fase. VI, pp. 672-689.<br />
5Z F. S. NITTI, Il bilancio, ci t., pp. 3 76-3 77 e tabella 91 a p. 382.<br />
53 P. DEL NEGRO, Ufficiali di carriera, cit., p. 276.<br />
L'UFFICIALE A MILANO IN ETÀ LIBERALE 295<br />
chino Del Majno, nelle file piemontesi; per Giuseppe Dezza, Ettore Pedotti,<br />
Ettore Viganò, tra i garibaldini. Con la sola eccezione di Ugo Brusati, che<br />
proprio nel 1897 corona un servizio tutto post-unitario con la nomina agenerale,<br />
non si tratta, dunque, di militari di vocazione puramente professionale,<br />
ma di patrioti che, giovani o giovanissimi nei tardi <strong>anni</strong> '50, sono entrati<br />
nell'<strong>esercito</strong> in modo estemporaneo, e che vi sono poi rimasti, coronando<br />
con l'ascesa ai vertici della carrie(a un tragitto iniziato sotto la costellazione<br />
dell'eccezionalità.<br />
Nel primo decennio del '900, del resto, questa particolare forma di « lom<br />
-bardismo , nelle alte gerarchie dell'<strong>esercito</strong> avrebbe conosciuto momenti<br />
di esplicitazione ancora più evidenti, con l'esercizio della carica di ministro<br />
della guerra da parte di ben tre tra i generali che abbiamo poc'anzi citato:<br />
Ettore P edotti, Ettore Viganò, Luigi Majnoni d'Intignano 54, una triade lombarda<br />
dai tratti inusuali, se confrontata con la schiera quasi compattamente<br />
piemontese, solo interrotta da qualche inserzione napoletana e tascaemiliana,<br />
dei ministri della guerra del quarantennio precedente. Si trattava<br />
per altro degli esiti terminali del quadro di derivazione politica, e non professionale,<br />
colto già nel 1897 da Nitti; così che, all'imprevedibile « lombardismo<br />
, dei vertici faceva nello stesso torno di tempo penda n t l'ormai quasi<br />
integrale « delombardizzazione , dei quadri intermedi e inferiori dell'ufficialità,<br />
prepotentemente sospinta dalla piena affermazione, nella regione, dei<br />
valori dell'economia rispetto a quelli del burocratismo professionale.<br />
Se frughiamo, tuttavia, tra le carte del ministro della guerra Pedotti <br />
senza per questo voler attribuire un carattere più che occasionale alla coincidenza<br />
tra la sua presenza di lombardo nelle alte gerarchie militari con quanto<br />
ora segnaleremo - ci accorgiamo della presenza di un elemento nuovo, che<br />
segnala il manifestarsi di una svolta nel rapporto tra lo « Stato di Milano ,<br />
e l'istituzione militare. A sostenere nell'ombra i progetti di spese militari,<br />
cui i ceti dirigenti ambrosiani si dichiaravano fino a qualche anno prima sistematicamente<br />
avversi, è infatti ora, attraverso le figure del giornalista e onorevole<br />
Torraca e dell'industriale e senatore Ernesto De Angeli, quel medesimo<br />
Corriere della Sera che sotto la direzione di Torelli-Viollier nel 1898<br />
aveva tuonato contro il militarismo di Bava Beccaris e di Pelloux 55. È un<br />
primo riscontro documentario di quel processo di avvicinamento tra le due<br />
54 Pedotti dal 3.10. 1903 al 24.12.1905; Majnoni dal 24.12.1905 al 27.5.1906; Viganò<br />
dal 27.5.1906 al 29.12.1907.<br />
55 Cfr. la lettera di Ernesto De Angeli a Pedotti del 27.5.1905 in ACS, Fondo Ugo<br />
Brusati, b. 19, XII -2. Altre due lettere di De Angeli a Pedotti, ivi, 11.11.1904 e 8.12.1904.<br />
Sul ruolo di De Angeli nel panorama del ceto dirigente milanese cfr. F. FoNzr, Crispi, cit.,<br />
pp. 121 e 329.