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31.05.2013 Views

248 FILIPPO MAZZONIS gativo delle norme 61 e sia nel modello ideologico ad esso sotteso: e se il primo aspetto è ovviamente comprensibile, il secondo merita che ci si soffermi brevemente. Quel che maggiormente colpisce è il venir meno di quella componente di massima astrazione che si è detto costituire il fondamento di Modena '82 (e '81): lì, il discorso nasceva dall'incontro tra un modello ideale aristocratico (ufficiale-gentiluomo-cavaliere) e le esigenze poste dalla realtà concreta (ufficiale-medio) sulla quale si doveva far convergere la divulgazione delle buone maniere. Nella nuova edizione, invece, quel modello astratto non c'è più; la parola gentiluomo non viene neppure mai nominata. Non è senza motivo: in un contesto sociale (tendenzialmente) di massa, in cui le buone maniere hanno perduto l'antico valore coercitivo, il comportarsi bene è diventato assai più importante e vincolante per tutti 62. Se per i militari, e in particolare per l'ufficiale, l'obbligo di tutti diventa un dovere, ciò è dovuto a motivi storici, a tradizioni del passato, piuttosto che a condizioni oggettive dell'attualità 63. Detto altrimenti, gli ufficiali non costituiscono più una casta, bensì una categoria professionale: un po' speciale, senza dubbio, ma non più speciale di altre che come la loro siano state incaricate di importanti e delicate funzioni istituzionali (p.es.: i magistrati). È venuta meno pertanto la distinzione tra vita militare in caserma, regolamentata da norme rigide e indiscutibili, e vita militare in società, per la quale era sufficiente una griglia di indicazioni di massima o di principio, lasciando poi ognuno arbitro di comportarsi secondo il proprio livello socioculturale (salvo poi valutare le conseguenze di tali scelte e, al caso, reprimerle): o meglio è venuta meno la specificità di tale distinzione (cioè, il suo essere una caratteristica propria della condizione militare), ed è rimasta invece la distinzione comune a tutta la società « borghese professionale », in base alla quale « le forme di socialità { ... ], l'etichetta che regola le visite o il rituale del mangiare sono ormai relegate nella sfera privata ,, 64. Così, come nei moderni galatei " borghesi ", che il manuale di Modena ora fedelmente ricalca 65, nulla è più lasciato all'arbitrio del singolo: tutti i comportamenti sono previsti e regolati (sia pure con quel tanto di moderna disinvoltura che la vita del xx secolo comporta), e senza escludere alcuna situazione o occasione sociale. 61 Solo a stento e a prezzo di un'attenta e puntigliosa lettura comparata è dato rinvenire qua e là (dove si parla dell'attendente o del contegno per strada e al caffè, per esempio) qualche stralcio del vecchio opuscolo. 62 In proposito cfr. E GoFFMAN, Il comportamento in pubblico, cit., pp. 208-9. 63 Cfr. Modena '41, p. 26. 64 N. ELIAS, op. cit., II, p. 393. 65 Tanto più che la precettistica specifica relativa a comportamenti derivanti dalla condizione militare è interamente concentrata nella I parte; cfr. Modena '41 , pp. 7-23. USI DELLA BUONA SOCIETÀ E QUESTIONI D'ONORE 249 un ciclo si è dunque concluso: la contraddizione tra ufficiale-gentiluomo 1 ufficiale-medio apertasi con Modena '82 è chiusa da Modena '41. 3) Questioni d'onore. Ho inteso trattare per ultimo l'argomento delle « questioni d'onore », e quindi del duello, sia per il carattere-tutto speciale che esso assume nel­ l'ambito del nostro discorso, sia, e soprattutto, per il suo valore e il suo si­ gnificato definitivi. Per coglierne appieno la portata, occorre fare un passo indietro: secondo la civiltà delle buone manie're le norme che regolavano le relazioni sociali, nel momento stesso in cui ne fissavano e codificavano i comportamenti, non facevano altro che fissare e codificare la distanza o le distanze, tanto tra le varie gerarchie sociali, quanto all'interno di ognuna di esse. L'essenza finale delle buone maniere era dunque quella di mantene­ re te distanze 66: violarle o provare a violarle (il che fa lo stesso) significava sovvertire, o comunque turbare, l'ordine sociale. Se il tentativo riguardava le distanze tra le gerarchie, l'intento sovvertitore (rivoluzione, insubordinazione) era evidente e tutto era più semplice: era la società stessa, minacciata nel suo insieme, a reagire per mezzo delle sue istituzioni (re, magistratura, esercito, polizia) . Se le distanze venivano violate, invece, all'interno della stessa gerarchia, il discorso era diverso. Come si è detto, le distanze erano, talvolta minuziosamente e talaltra lasciando un margine alla discrezionalità personale, regolate dalle buone maniere: attorno ad ognuno esisteva, come ha osservato Georg Simmel, una sfera, « l'onore ,, che non poteva « essere penetrata se non distruggendo il valore della personalità dell'individuo , 67. Per questo, è sempre Simmel a dircelo, gli inglesi traducevano l'offesa al pro­ prio onore con un'espressione molto felice: « farsi troppo vicino , (coming too close); e per questo nei manuali di buone maniere (anche quelli militari) veniva espressamente messa al bando ogni « familiarità »: non solo verso su­ periori e inferiori 68 ma anche verso gli uguali: Emanuele Filiberto Iviglia ne spiegava il motivo con l'espressione « Jamiliarité engendre mépris >> , e il di­ sprezzo, si sa, è il fondamento, implicito o esplicito, di ogni offesa all'ono­ re 69. La riparazione all'offesa portata all'onore, cioè la repressione della vio- 66 In proposito cfr. E. GOFFMAN, La vita quotidiana ecc. cit., pp. 71-81. 67 Riportato ivi, p. 81. . . . . , . , 68 Nei due casi si verificherebbe una grave menomaz10ne del pnnCipto d autonta, espressione dell'ordine gerarchico: diretto nel primo, di riflesso nel secondo. Cfr. Modena '82, pp. 18-21. . 69 Cfr. Torino '07, p. 19. Analogo principio è sotteso alla grande cautela che m tutti i manuali si raccomanda nel fare le presentazioni, affinché non si commetta " la sbada-

250 FILIPPO MAZZONIS !azione delle distanze all'interno di una stessa gerarchia, era affidata al singolo offeso, né questi poteva sottrarvisi: insomma, il duello costituiva la conseguenza estrema e inevitabile di un tentativo di turbare l'ordine sociale; al contempo, rappresentava la reazione che la società affidava al singolo perché fosse restaurato l'ordine turbato. Nella misura in cui la « civiltà delle buone maniere ,, si avviò a scomparire per lasciare il posto all'affermarsi di un modello di società borghese, tali caratteristiche del duello, pur se sopravvissero ancora a lungo quale giustificazione ideologica astratta dello stesso, vennero perdendo gran parte del loro valore originario per assumerne di nuovi, più connotati da motivazioni sociali. Per quasi tutto il secolo scorso, il duello, o meglio « il privilegio del duello divenne un criterio di appartenenza alla classe dominante quasi altrettanto importante della nascita, della ricchezza e dell'istruzione , 70; pertanto ne restavano esclusi coloro che erano considerati socialmente inferiori o moralmente indegni. In un contesto sociale sottoposto con ritmi crescenti a un processo di rapida trasformazione e caratterizzato dal diffondersi di idee totalmente sovvertitrici dell'ordine costituito, era soprattutto un bisogno di identità e di sicurezza a spingere aristocratici e militari a mantenere viva la pratica del duello 71. Col passare del tempo, già verso la fine del secolo, anziché diminuire, l'uso del duello crebbe e si diffuse, divenendo frequente anche tra i ceti borghesi; malgrado lo sforzo di divulgazione compiuto dai codici cavallereschi 72 e di controllo e supervisione compiuto da istituzioni del tipo della Commissione permanente d'onore nell'intento di regolamentare le vertenze e di ricondurle ai nobili ideali delle origini (riparazione dell'onore gravemente offeso), i motivi delle contese si fecero sempre meno nobili e meno gravi; tanto più che era sempre più di moda lo scontro al primo sangue (era infatti prescritto che l'offesa fosse lavata col sangue, ma non era prescritta la quantità ... ). Erano tutti sintomi di una ten- taggine di avvicinare due persone che desiderano star lontane l'una dall'altra , (Modena '82, p. 24, il corsivo è mio. Si veda, inoltre, il più ampio cap. " Sull'opportunità e il modo di presentare » in BERGANDO CONTE ALFONSO, op. ci t., in particolare pp. 121-122). Infine, sull'importanza che il mutamento delle relazioni familiari, in senso più intimo, ha avuto sul mutamento generale dei costumi, si rinvia alle già citate pagine dell'ampio studio di Marzio Barbagli. 70 A.]. MAYER, Il potere dell 'Ancien Régimefino alla prima guerra mondiale, Roma­ Bari, Laterza, 1982 , p. 102. Inoltre cfr. ]. C. CHESNAIS, Histoire de la violence en Occident de 1800 à nos jours, Paris, Laffont, 1981, in particolare il cap. IV, pp. 125-137. 71 Sull'atteggiamento dei militari cfr. ]. GoocH, op. cit., pp. 66-7. 72 Un elenco essenziale dei codici cavallereschi di allora considerati per la maggiore si trova in M. BoRGATTI, colonnello del Genio, Saggio di Codice Cavalleresco Militare, Ristampa fatta per cura del Comando in 2 a dell'Accademia Militare, Torino, Tipografia E. Schioppo, 1914, pp. 6-8. USI DELLA BUONA SOCIETÀ E QUESTIONI D'ONORE 251 denza verso un modello di società dove non vi fosse più posto per le vertenze cavalleresche e le loro conclusioni. Quanti tra aristocratici e militari più fortemente si sentivano attaccati agli antichi valori, insorsero: protestarono contro il malcostume e la volgarità dei futili motivi, sostennero la necessità dell'offesa grave (lasciando trapelare che solo l'onore di un gentiluomo, con o senza divisa, ne valesse la pena), e che la gravità esigesse l'ultimo sangue, e, quindi, affinché il risultato finale fosse sicuramente raggiunto si fecero sostenitori del duello alla pistola 73• E veniamo allo specifico del nostro argomento: alla soluzione delle questioni d'onore tra gli ufficiali. Per loro il duello _è proibito: o meglio è punito chi si batte. Ciò che invece è assolutamente vietato all'ufficiale, che sia stato sfidato o offeso gravemente nell'onore, è proprio di non battersi, pena la perdita delle spalline 74• Questo prescrive la legge sullo stato degli ufficiali del 26 maggio 1852 (artt. 2-7) rimasta in vigore dopo l'unità; così la pensano (quasi?) tutti gli ufficiali, ma con una riserva di fondo: mentre nessuno di loro mette in dubbio il dovere di un ufficiale di battersi (e con loro è d'accordo buona parte della

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gativo delle norme 61 e sia nel modello ideologico ad esso sotteso: e se il<br />

primo aspetto è ovviamente comprensibile, il secondo merita che ci si soffermi<br />

brevemente. Quel che maggiormente colpisce è il venir meno di quella<br />

componente di massima astrazione che si è detto costituire il fondamento<br />

di Modena '82 (e '81): lì, il discorso nasceva dall'incontro tra un modello<br />

ideale aristocratico (ufficiale-gentiluomo-cavaliere) e le esigenze poste dalla<br />

realtà concreta (ufficiale-medio) sulla quale si doveva far convergere la divulgazione<br />

delle buone maniere. Nella nuova edizione, invece, quel modello<br />

astratto non c'è più; la parola gentiluomo non viene neppure mai nominata.<br />

Non è senza motivo: in un contesto sociale (tendenzialmente) di massa,<br />

in cui le buone maniere hanno perduto l'antico valore coercitivo, il comportarsi<br />

bene è diventato assai più importante e vincolante per tutti 62. Se<br />

per i militari, e in particolare per l'ufficiale, l'obbligo di tutti diventa un dovere,<br />

ciò è dovuto a motivi storici, a tradizioni del passato, piuttosto che<br />

a condizioni oggettive dell'attualità 63. Detto altrimenti, gli ufficiali non costituiscono<br />

più una casta, bensì una categoria professionale: un po' speciale,<br />

senza dubbio, ma non più speciale di altre che come la loro siano state<br />

incaricate di importanti e delicate funzioni istituzionali (p.es.: i magistrati).<br />

È venuta meno pertanto la distinzione tra vita militare in caserma, regolamentata<br />

da norme rigide e indiscutibili, e vita militare in società, per la quale<br />

era sufficiente una griglia di indicazioni di massima o di principio, lasciando<br />

poi ognuno arbitro di comportarsi secondo il proprio livello socioculturale<br />

(salvo poi valutare le conseguenze di tali scelte e, al caso, reprimerle):<br />

o meglio è venuta meno la specificità di tale distinzione (cioè, il suo<br />

essere una caratteristica propria della condizione militare), ed è rimasta invece<br />

la distinzione comune a tutta la società « borghese professionale », in<br />

base alla quale « le forme di socialità { ... ], l'etichetta che regola le visite o<br />

il rituale del mangiare sono ormai relegate nella sfera privata ,, 64. Così, come<br />

nei moderni galatei " borghesi ", che il manuale di Modena ora fedelmente<br />

ricalca 65, nulla è più lasciato all'arbitrio del singolo: tutti i comportamenti<br />

sono previsti e regolati (sia pure con quel tanto di moderna disinvoltura che<br />

la vita del xx secolo comporta), e senza escludere alcuna situazione o occasione<br />

sociale.<br />

61 Solo a stento e a prezzo di un'attenta e puntigliosa lettura comparata è dato rinvenire<br />

qua e là (dove si parla dell'attendente o del contegno per strada e al caffè, per<br />

esempio) qualche stralcio del vecchio opuscolo.<br />

62 In proposito cfr. E GoFFMAN, Il comportamento in pubblico, cit., pp. 208-9.<br />

63 Cfr. Modena '41, p. 26.<br />

64 N. ELIAS, op. cit., II, p. 393.<br />

65 Tanto più che la precettistica specifica relativa a comportamenti derivanti dalla<br />

condizione militare è interamente concentrata nella I parte; cfr. Modena '41 , pp. 7-23.<br />

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un ciclo si è dunque concluso: la contraddizione tra ufficiale-gentiluomo<br />

1 ufficiale-medio apertasi con Modena '82 è chiusa da Modena '41.<br />

3) Questioni d'onore.<br />

Ho inteso trattare per ultimo l'argomento delle « questioni d'onore »,<br />

e quindi del duello, sia per il carattere-tutto speciale che esso assume nel­<br />

l'ambito del nostro discorso, sia, e soprattutto, per il suo valore e il suo si­<br />

gnificato definitivi. Per coglierne appieno la portata, occorre fare un passo<br />

indietro: secondo la civiltà delle buone manie're le norme che regolavano<br />

le relazioni sociali, nel momento stesso in cui ne fissavano e codificavano<br />

i comportamenti, non facevano altro che fissare e codificare la distanza o<br />

le distanze, tanto tra le varie gerarchie sociali, quanto all'interno di ognuna<br />

di esse. L'essenza finale delle buone maniere era dunque quella di mantene­<br />

re te distanze 66: violarle o provare a violarle (il che fa lo stesso) significava<br />

sovvertire, o comunque turbare, l'ordine sociale. Se il tentativo riguardava<br />

le distanze tra le gerarchie, l'intento sovvertitore (rivoluzione, insubordinazione)<br />

era evidente e tutto era più semplice: era la società stessa, minacciata<br />

nel suo insieme, a reagire per mezzo delle sue istituzioni (re, magistratura,<br />

<strong>esercito</strong>, polizia) . Se le distanze venivano violate, invece, all'interno della<br />

stessa gerarchia, il discorso era diverso. Come si è detto, le distanze erano,<br />

talvolta minuziosamente e talaltra lasciando un margine alla discrezionalità<br />

personale, regolate dalle buone maniere: attorno ad ognuno esisteva, come<br />

ha osservato Georg Simmel, una sfera, « l'onore ,, che non poteva « essere<br />

penetrata se non distruggendo il valore della personalità dell'individuo , 67.<br />

Per questo, è sempre Simmel a dircelo, gli inglesi traducevano l'offesa al pro­<br />

prio onore con un'espressione molto felice: « farsi troppo vicino , (coming<br />

too close); e per questo nei manuali di buone maniere (anche quelli militari)<br />

veniva espressamente messa al bando ogni « familiarità »: non solo verso su­<br />

periori e inferiori 68 ma anche verso gli uguali: Emanuele Filiberto Iviglia ne<br />

spiegava il motivo con l'espressione « Jamiliarité engendre mépris >> , e il di­<br />

sprezzo, si sa, è il fondamento, implicito o esplicito, di ogni offesa all'ono­<br />

re 69. La riparazione all'offesa portata all'onore, cioè la repressione della vio-<br />

66 In proposito cfr. E. GOFFMAN, La vita quotidiana ecc. cit., pp. 71-81.<br />

67 Riportato ivi, p. 81.<br />

. . . . , . ,<br />

68 Nei due casi si verificherebbe una grave menomaz10ne del pnnCipto d autonta,<br />

espressione dell'ordine gerarchico: diretto nel primo, di riflesso nel secondo. Cfr. Modena<br />

'82, pp. 18-21.<br />

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69 Cfr. Torino '07, p. 19. Analogo principio è sotteso alla grande cautela che m tutti<br />

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