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Rossana Copez, Si chiama Violante - Sardegna Cultura

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vece, rilassata e perfino contenta, lo invitai a continuare,<br />

e gli assicurai che ascoltavo con attenzione.<br />

Lui continuò:<br />

– Ecco, i Sardi restano negli stagni. Qui i Saraceni<br />

non penetrano, non saprebbero come fare. Le nostre<br />

misere abitazioni sono qua, nella parte interna, e lo stagno<br />

le protegge. Noi peschiamo con barchette leggere e<br />

con ami di spina Christi: vedete? Quella pianta selvatica<br />

lì, con i fiorellini rossi e spine lunghe e robuste. Ma<br />

non possiamo difenderci dai nostri salvatori. Questo è<br />

il nostro problema, e forse il nostro destino.<br />

Mi agitai non poco davanti a quelle affermazioni. Il<br />

piacere delle sue parole era disturbato dal dubbio: e se<br />

fosse stato un simpatizzante di quella Eleonora lì?<br />

– Dite che siete stato buon servitore del mio padre, –<br />

gli dissi con una voce dura, ma sperando disperatamente<br />

che la risposta fosse negativa, – ma non avrete, per<br />

caso, simpatie per quella Eleonora?<br />

– Mia cara nuova padrona, ve l’ho detto: dovete perdonare<br />

a questo uomo che oramai ne ha viste tante e<br />

nulla più teme, né spera. Eleonora, la giudicessa di Arborea,<br />

mai riuscirà a spuntarla con gli Aragonesi. Innanzitutto<br />

perché la vostra potenza è superiore alla sua,<br />

e poi perché i Sardi sanno colpire, e bene, solo quando<br />

hanno di fronte un cinghiale, e non un uomo.<br />

– Se siete stato davvero buon servitore di mio padre,<br />

– gli chiesi allora più affabilmente, – vi chiedo, se sapete,<br />

di raccontarmi qualcosa della sua morte. So che è<br />

morto in queste terre e nient’altro.<br />

Il vecchio lanciò uno sguardo interrogativo a don<br />

Ignacio - rimasto poco lontano da noi e di colpo più attento<br />

alla domanda che avevo posto al pescatore - e<br />

disse:<br />

92<br />

– Mi ricordo ancora bene quel momento… – continuando<br />

a interrogare con gli occhi don Ignacio.<br />

– Vi prego, non abbiate paura, il mio cuore saprà<br />

reggere.<br />

E il vecchio, lanciato un ultimo sguardo al Castellano:<br />

– Tre giorni e tre notti è stato vegliato. Tre giorni e<br />

tre notti donne, <strong>chiama</strong>te e arrivate dai villaggi vicini, si<br />

sono battute il petto e hanno cantato le sue lodi. Tre<br />

giorni e tre notti urlavano le donne, come fanno qui da<br />

noi. Cantilenavano “Gloria ne avrà il cielo ad accoglierlo”<br />

e ancora “Era forte e valoroso, il conte Berengario,<br />

bello e gioioso”.<br />

– Sì, ma ditemi: in che modo è morto?<br />

– Sapete, quelle donne, tutte vestite di nero, intorno<br />

alla sua salma, si sono strappate i capelli, lacerate le vesti<br />

e urlato al cielo il dolore di tutti “Grande perdita ha<br />

avuto oggi la nostra terra, ma anche grande onore per<br />

averlo avuto padrone e signore”.<br />

– Sì, ma…<br />

– E poi sapete, – riprende Pedru con fare accattivante<br />

ma non dando possibilità alcuna di interromperlo, –<br />

accanto al suo corpo è stata messa “sa pippiedda po su<br />

consolu de su mortu”, come si fa per chi è morto in stato<br />

di vedovanza.<br />

– Cosa vuol dire questa cosa, cosa è?<br />

– Solo così, dandole compagnia, una bamboletta di<br />

stoffa, illusione di donna, il morto non ritorna più, non<br />

ritorna a cercare e prendersi femmine vive nelle nostre<br />

terre… chè già ne aveva abbastanza di predilette.<br />

– Ma siete scortese, ancora non mi dite come è<br />

morto?<br />

– Certe cose, cara contessa, è meglio che una figlia<br />

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