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Rossana Copez, Si chiama Violante - Sardegna Cultura

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ta della mia Regina era stata proprio la scelta giusta. Il<br />

suo cuore di fanciulla era sempre ridente e tutto per lei<br />

sembrava facile e bello.<br />

La sua intelligenza e curiosità le avevano permesso di<br />

imparare tante cose su quella gente e su quei luoghi in<br />

brevissimo tempo.<br />

La sua gioia nel rivedermi e le premure perché mi riprendessi<br />

dalla stanchezza di quel viaggio interminabile<br />

e sfiancante mi ridiedero un po’ di coraggio, e a lei che,<br />

con parole e gesti mi sollecitava ad entrare subito nella<br />

parte di contessa e padrona di un vasto territorio, ricordavo,<br />

con in bocca il sapore della paura, che il velo nero<br />

che mi ricopriva il volto e la persona aveva un significato<br />

ben preciso, e che io desideravo essere morta alla vita,<br />

nonostante il Re avesse deciso diversamente.<br />

Ma Maria era incalzante e cercava di stimolarmi:<br />

– Mia signora, – affannava, aiutandomi a liberarmi<br />

dagli abiti impolverati, – alto compito è il vostro. Gli<br />

abitanti di queste terre vi aspettano per onorarvi e servirvi.<br />

Dovrete pure mostrare il vostro volto. Avete un<br />

dovere con la Corona d’Aragona. E poi, Eleonora d’Arborea,<br />

la vostra vicina, è una grande avversaria. Ricordate<br />

le parole di Teresa: in nome della gente sarda, combatte<br />

con le armi il Re d’Aragona. Fatele vedere quale<br />

potere ha una nobildonna aragonese.<br />

Mi aizzava come si aizza un cane verso la preda, anzi<br />

come si aizzano quei galli da combattimento che, senza<br />

la voce roca e avvinazzata del padrone, non avrebbero<br />

nessuna voglia di beccarsi l’un l’altro fino a dissanguarsi,<br />

per la gioia dei miei conterranei.<br />

Sfinita dalla stanchezza, le risposi che avevo bisogno<br />

di raccogliermi e pregare Dio per avermi fatta giungere<br />

sana e salva fin lassù, e chiedergli aiuto in quel gravoso<br />

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compito. Che tacesse, dunque. E non parlasse di Eleonora,<br />

che mi parlasse invece di quel posto.<br />

– Se vi piace, – e a Maria brillarono gli occhi di entusiasmo,<br />

– ai piedi del Castello c’è una chiesetta. È piccola,<br />

fatta di mattoni rossi. Potrà accogliere le vostre preghiere<br />

e le vostre soltanto, se vorrete. È sempre aperta,<br />

e, se non avete paura, potete andarci quando meglio vi<br />

aggrada. Nessuno vi entra, ma pare che sempre si odano<br />

canti…<br />

Quella descrizione odorava di mistero e mi incuriosì.<br />

Con quel pensiero mi addormentai quella prima notte,<br />

nel Castello di Quirra.<br />

L’indomani pomeriggio montai su una cavalla bionda<br />

e docilissima, che da allora sarebbe stata la mia fedele.<br />

Scortata dal palafreniere, ridiscesi la china del colle<br />

che da non molto avevo percorso.<br />

Il palafreniere era un tipo ben strano. Tutto pieno di<br />

premure, tutto impettito nel suo compito. Aveva un’aria<br />

maestosa, sempre: nel guidarmi per i viottoli e nelle<br />

mansioni più umili.<br />

– State attenta, mia signora, prima del calar del sole,<br />

– diceva con voce tremolante, – andate via dalla chiesa.<br />

<strong>Si</strong> raccontano certe cose… Anzi, aspetterò qui che voi<br />

diciate le vostre orazioni.<br />

Insistevo per licenziarlo. Che non doveva preoccuparsi.<br />

Che non mi sarei attardata. Insomma che io non<br />

avevo paura di nulla e di nessuno.<br />

Così aveva parlato tutta la mia insicurezza.<br />

L’andare e lo stupore fu tutt’uno.<br />

Il ruscello che mi era stato indicato portava direttamente<br />

alla chiesa.<br />

Mi sembrava che quella terra non fosse come me l’avevano<br />

dipinta. “Una sorta d’inferno, povera la mia<br />

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