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Rossana Copez, Si chiama Violante - Sardegna Cultura

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siccità rendeva avara la terra e il risultato erano distese<br />

giallognole come le facce di quei contadini fiaccati dalla<br />

malaria. Ma mi onoravano e rispettavano. In fondo avevamo<br />

lo stesso colorito e sangue, che a volte faceva i capricci,<br />

il loro come il mio: la febbre della malaria non ci<br />

risparmiava e ci faceva spesso delirare e sudare e intirizzire<br />

con le sue febbri.<br />

C’era, però, nella nostra esistenza, qualcosa di dolce<br />

per tutti noi: Preciosa. La figlia che mio fratello, morendo,<br />

mi aveva affidato. Eravamo cresciuti insieme, pochi<br />

anni di differenza. Ero io, maschio adulto, ad avere la<br />

sua tutela, ma era lei che mi dava la forza. Era la sua presenza<br />

a darmi benessere. Era bella e gentile, e il suo sorriso,<br />

aperto e luminoso, era un dono per tutti.<br />

Ah! Preciosa.<br />

All’inizio io non capivo l’accanimento di Carròz e il<br />

perché di quelle devastazioni notturne. All’inizio. Poi la<br />

cosa fu chiara come la luce del sole. Le parole che quegli<br />

uomini cantavano e urlavano al cielo nero non erano incomprensibili.<br />

I contadini che, pieni di terrore, al tramonto del sole<br />

si rintanavano nelle loro case, avevano udito chiaramente<br />

cosa usciva dalle bocche degli scherani del conte.<br />

– Una parola sola era chiara come luna d’estate:<br />

“Preciosa” e l’eco “…osa” risuonava nell’aria anche dopo<br />

il passaggio degli zoccoli dei cavalli.<br />

Me lo aveva raccontato un giovane contadino, tenendo<br />

il suo copricapo tra le mani e abbassando lo<br />

sguardo e serrando la bocca con forza per non dire di<br />

più, anche dietro le mie insistenze. E non ci fu verso di<br />

fargliene uscire altre di parole da quella bocca.<br />

Un’altra volta il Conte, e poi mai più, mi si presentò<br />

davanti, in armi e con tutto il seguito.<br />

58<br />

– Occorre uno scrigno per le cose preziose. Tu non<br />

ce l’hai, de Açen. Io sì. Il mio Castello svetta su tutta la<br />

piana del Campidano. Solo lì possono essere custodite<br />

certe cose che così sono <strong>chiama</strong>te: preziose.<br />

Il sangue mi salì alla testa. I nostri sguardi si incrociarono.<br />

Il mio tagliente più che spada.<br />

Le devastazioni continuarono. Io non disponevo di<br />

un gruppo armato come il suo. Lui era potente feudatario<br />

aragonese e, nei fatti, nell’isola, più potente del Re.<br />

Concedeva asilo ai malfattori. E non poteva farlo.<br />

Non poteva imporre tributi. E lo faceva.<br />

Gli amministratori reali erano impotenti con lui. Lui<br />

era un Carròz e al Re questo bastava.<br />

Me le prese quelle terre, pezzo dopo pezzo, un villaggio<br />

dopo l’altro. Tutto fu dei Carròz. I vassalli sottoposti<br />

a duro governo e i contadini a pesante sfruttamento.<br />

Tutto mi ha tolto, il sonno e le terre. Ma Preciosa no.<br />

Preciosa aveva tolto il sonno a lui.<br />

Prepotente Berengario. Maledetto Berengario.<br />

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