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Rossana Copez, Si chiama Violante - Sardegna Cultura

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– Lo vedete? Lo vedete? – domandava don Paolo avvicinando<br />

il suo volto al mio, come a sostituirsi ai miei<br />

occhi.<br />

– Sembra di poterlo toccare con una mano e, a porgere<br />

bene l’orecchio, – mi spiegava don Federico, fregandosi<br />

le mani lentamente e con fare ammiccante, –<br />

pare che il chiacchiericcio della servitù arrivi fin qui.<br />

– A don Federico, – rivelava don Paolo, sempre più<br />

chino verso i miei pizzi, – piace farlo. Certe sere, col<br />

vento favorevole, dice che sente le maldicenze delle<br />

serve e dice di immaginarne anche le forme, dietro<br />

quelle voci.<br />

– Ih!… ih!… donna <strong>Violante</strong>, – replicava l’altro con<br />

un alito puzzolente che, penetrando il mio velo, mi arrivava<br />

dritto dentro il naso, – don Paolo ama scherzare,<br />

vedrete quante belle serate riuscirà a farvi trascorrere.<br />

– Se verrete a trovarci… naturalmente!<br />

Il giorno dopo ero già in marcia, carrozza e cavalli<br />

in pompa magna.<br />

L’agitazione non mi permetteva di dare via libera alla<br />

mia curiosità: tutto quello che riuscivo a vedere dalla<br />

fessura tra le pesanti tende della carrozza, erano<br />

campi incolti, sterpaglie e gente che si aggirava per le<br />

strade, stracciata e svagata.<br />

Quel castello non era poi così a portata di mano, né<br />

d’orecchio.<br />

Sentire le voci delle serve! Brutti e sciocchi vecchiacci!<br />

Presa in giro come fossi stata una bambina con<br />

cui potevano giocare e da deridere. E mentre il mio<br />

pensiero era ancora dietro a quei due, Maria mi tirò per<br />

la manica.<br />

38<br />

Eravamo quasi arrivate. Fu naturale sollevare gli occhi.<br />

Perché grandi torrioni aveva quel Castello dall’aria<br />

minacciosa: sagoma pesante su un’altura circondata da<br />

vigne e alberi da frutto. Imponenti ma tozzi torrioni di<br />

un grigio color guerra, su un cielo azzurro sereno. Era<br />

così, quel castello, così poco slanciato, così poco “castello”.<br />

Entrammo.<br />

Entrai.<br />

Come un pesante e scuro abito di monaca nasconde<br />

spesso delicate forme di donna, così quel castello, cupo<br />

di fuori, dentro era solare. Arazzi colorati coprivano<br />

grandi pareti, poi fregi preziosi dalle forme di foglie<br />

che sembravano cornici di altare, e decorazioni di marmo<br />

intorno ai camini che mandavano fiamme alte e crepitanti.<br />

In un lungo corridoio, in fila come soldati, statue<br />

di santi ricoperte di lamina d’oro. Erano tanti quei<br />

santi. Il mio sguardo non riusciva a contenerli tutti perché<br />

continuavano oltre una curva del corridoio, a finire<br />

chissà dove.<br />

Mi meravigliava quel Castello, per la luce dei candelabri<br />

d’argento che lo rischiarava la sera. E per il sole<br />

che di giorno penetrava ovunque, fin nelle sale dei sotterranei.<br />

Maria, che già domandava solerte della nostra sistemazione<br />

per la notte, me l’ero portata appresso dalla<br />

corte della regina.<br />

L’aveva scelta lei, la regina, tra tante donne. – È fidata,<br />

<strong>Violante</strong>, portala con te. E poi, è sempre allegra e di<br />

buon umore. Ti sarà di grande giovamento una fanciulla<br />

di animo sereno al tuo fianco.<br />

In un attimo tutte quelle persone che si aggiravano<br />

39

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