Rossana Copez, Si chiama Violante - Sardegna Cultura
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Avevano legato sulla bestia un uomo mezzo nudo -<br />
uno straccio a coprirgli le vergogne - con la faccia rivolta<br />
al di dietro dell’asino, che, quando è spaventato<br />
fa puzze a non finire. E poi spingevano la bestia, a colpi<br />
di qualunque cosa gli capitasse in mano, per farla<br />
correre lontano, verso il nulla.<br />
Donne che parevano ancora più arrabbiate lanciavano<br />
maledizioni ancestrali:<br />
– Via storpio bastardo.<br />
– Brutto come il peccato e pure traditore.<br />
– Ti spolpino gli spiriti del bosco.<br />
– Ti rincorra la tentazione.<br />
– Li volevi adesso i tuoi calzoni che abbiamo appeso<br />
sulla pianta di fico più alta e più vecchia!<br />
L’asino, sollecitato a più non posso da tutta quella<br />
gente infuriata, finalmente partì scattando.<br />
– Aiò. Aiò a su molenti.<br />
– Vai come il fumo, brutto traditore.<br />
– Come il fumo, quando soffia tramontana.<br />
Sembravano impazziti, tutti, uomini e donne. Delle<br />
furie.<br />
<strong>Si</strong> erano vendicati di quello col flauto, dello spione<br />
col flauto, si erano vendicati come i loro antichi, per<br />
proteggere la comunità dai traditori. Su quello storpio<br />
avevano riversato rabbie antiche.<br />
Maria, eccitata da tutto quello che aveva visto, si rivolse<br />
verso di me. Mi fissò. Sembrava illuminata. Con<br />
occhi di fuoco fece: – <strong>Si</strong> sono vendicati, mia signora,<br />
loro. Ora tocca a voi la giustizia. Ora tocca a voi. Li<br />
avete minacciati già una volta, ora fate giustizia.<br />
Abbassai lo sguardo.<br />
Nel mettermi a letto, quella notte, speravo tanto di<br />
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rivedere nel sogno l’arcangelo Michele che mi aveva<br />
indicato la strada dove scappare, tempo prima.<br />
Non avrebbe potuto indirizzare la sua spada di fuoco,<br />
anche questa volta, verso chissàdove?<br />
Ma il sonno non mi regalò nessun angelo, né arcangeli.<br />
Alcuni giorni dopo, don Ignazio venne a chiedermi<br />
se concedessi un po’ del mio tempo per ascoltare i funzionari.<br />
Acchiappata. Nella rete. Non potei più sottrarmi. Feci<br />
sì con la testa.<br />
* * *<br />
Il salone viene approntato come per una seduta ufficiale<br />
e solenne.<br />
Il grande tavolo ovale al centro e intorno tante seggiole<br />
con lo schienale di cuoio e i braccioli di legno: tante<br />
quanti sono i dignitari, gente spedita in terra di conquista<br />
dalla Catalogna, con promessa di benefici e prebende<br />
e potere. Gente, quindi, assetata di benefici, prebende<br />
e potere. Al servizio del Re e, sotto di lui, del<br />
grande feudatario.<br />
Ed eccoli lì, ritti sulle seggiole, con le mani incrociate,<br />
a protezione delle loro pance.<br />
Con un occhio guardano verso di me, ma i loro corpi<br />
sono rivolti verso don Ignazio, il castellano che, infatti,<br />
comincia a parlare. È suadente la sua voce e piagnucolosa.<br />
– Sarebbe arrivata una donna, qui al Castello. Una<br />
nobildonna. Per quanto sorpresi e perplessi, eravamo<br />
felici nell’attendervi. <strong>Si</strong>ete arrivata voi, donna <strong>Violante</strong><br />
e avete portato una ventata di grazia femminile, di gio-<br />
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