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Rossana Copez, Si chiama Violante - Sardegna Cultura

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– Vedete Pedru, quando i Saraceni, un anno fa, ci<br />

hanno fatto prigionieri, eravamo pieni di paura. Ci hanno<br />

portato nei loro paesi. E abbiamo capito una cosa:<br />

per noi, non cambiava molto: servi eravamo, lì come<br />

qui.<br />

– A volte era più facile intendersi con quelli che non<br />

con questi padroni di qua, – aggiunge un compare, e<br />

Pedru sollecita la continuazione di quel racconto che<br />

ancora gli riesce poco chiaro.<br />

– Lì, in quei paesi lontani, – riprende quello che aveva<br />

parlato per primo, – abbiamo visto cose meravigliose:<br />

costruzioni tutte d’oro, dove quelli pregano chissàchi.<br />

Non è come nelle nostre chiese, lì non c’è Gesù<br />

Cristo, ma quei templi sono la cosa più straordinaria e<br />

grandiosa che un uomo abbia potuto costruire… La casa<br />

del sultano, poi, è una vera e propria reggia: un’infinità<br />

di sale, anticamere e salotti elegantemente arredati…<br />

È un grande castello con una corte quadrata con<br />

intorno novantanove porte di legno di sandalo e una<br />

d’oro e molte scalinate che conducono agli appartamenti<br />

di sopra. Le cento porte conducono in giardini e<br />

in luoghi dove ci sono cose meravigliose a vedersi. Una<br />

porta immette in un giardino dove c’è abbondanza di<br />

alberi e di frutti di mille specie sconosciute: giardino di<br />

delizie con una rete di rigagnoli che fa arrivare acqua in<br />

abbondanza alle radici, per far spuntare alle piante le<br />

prime foglie e i primi fiori. Un’altra porta immette in<br />

un giardino solo di fiori. Ce ne sono un’infinità, di tutti<br />

i colori. E non c’è cosa più dolce dell’aria che si respira<br />

in quel giardino. La magnificenza di quel palazzo è cosa<br />

che non si può raccontare. Dicevano che dentro ci sono<br />

gabbie di legno profumato, dove sono rinchiusi usignoli,<br />

cardellini, canarini e altri uccelli ancora più strani,<br />

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dei quali non avevamo sentito parlare in tutta la nostra<br />

vita. E di sera, di sera, bracci d’argento giganteschi reggono<br />

mille torce che illuminano le sale come fosse giorno,<br />

anche quando il cielo si fa molto scuro.<br />

– Venite al dunque, – incita Pedru, che vuole capire<br />

e basta.<br />

– E poi, e poi di nascosto siamo riusciti a parlare con<br />

altri prigionieri. Ce n’era anche qualcuno pisano. E allora<br />

ci hanno raccontato cose… cose che noi ce le sogniamo.<br />

Loro non sanno chi sia un feudatario, loro hanno<br />

città ricche e non sanno cosa siano fame e miseria, e<br />

il loro guadagno non lo dividono con nessuno.<br />

E qui Pedru si fa pensieroso. A capo chino, col tono<br />

di voce di chi spiega a chi non sa, dice:<br />

– Non le voglio neanche sentire queste cose. Voi siete<br />

giovani, molto giovani, e non li avete conosciuti i Pisani,<br />

quando erano loro i padroni, qui. I nostri antichi<br />

ne sapevano qualcosa. La loro ricchezza ha purtroppo<br />

molto a che vedere con la nostra miseria… ma è inutile,<br />

non potete capire per ora. Raccontatemi, piuttosto,<br />

com’è che avete organizzato il piano e come siete riusciti<br />

a scappare.<br />

– Eravamo in cinque noi prigionieri, quattro uomini<br />

e una donna… ricordate la povera Marielène? Eravamo<br />

sempre controllati a vista: ci avevano messo a lavorare<br />

il ferro in una officina dove si stava preparando<br />

una cancellata di ferro battuto per non so quale altra<br />

porta di quella reggia. La cancellata doveva essere lavorata<br />

di fino, a formare disegni e ghirigori che, per<br />

quelli, sono parole e preghiere. Comunque, per noi: lavoro<br />

e silenzio. Se no, frustate. Ma nell’officina stavamo<br />

solo noi uomini. Marielène la tenevano nella casa<br />

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