Rossana Copez, Si chiama Violante - Sardegna Cultura
Rossana Copez, Si chiama Violante - Sardegna Cultura
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ROSSANA COPEZ<br />
SI CHIAMA VIOLANTE<br />
IL MAESTRALE
NARRATIVA
Editing<br />
Giancarlo Porcu<br />
Grafica<br />
Nino Mele<br />
Imago multimedia<br />
Foto di copertina<br />
Archivio Imago multimedia<br />
© 2004, Edizioni Il Maestrale<br />
Redazione: via Massimo D’Azeglio 8 - 08100 Nuoro<br />
Telefono e Fax 0784.31830<br />
E-mail: edizionimaestrale@tiscali.it<br />
Internet: www.edizionimaestrale.it<br />
ISBN 88-86109-83-0<br />
ROSSANA COPEZ<br />
<strong>Si</strong> <strong>chiama</strong> <strong>Violante</strong><br />
IL MAESTRALE
a Jenny
La morte è la curva della strada.<br />
Morire è solo non essere visto.<br />
Fernando Pessoa, da Una sola moltitudine<br />
Sola, non posso stare –<br />
Perché mi vengono a far visita –<br />
Ospiti al di là della memoria –<br />
Ospiti che ignorano la chiave di casa<br />
Emily Dickinson, da <strong>Si</strong>lenzi<br />
Io ho veduto tutto ciò che si fa sotto il<br />
sole: ed ecco tutto è vanità e un correr<br />
dietro al vento.<br />
Ecclesiaste, 1,14
1<br />
Manuel de Figueira, questo era il nome con cui mi si<br />
era presentato con modi ossequiosi, peraltro rari in un<br />
uomo di mare, non aveva più la faccia tirata e tesa di alcuni<br />
giorni prima, al momento della partenza. Aveva<br />
combattuto con le onde lui, aveva governato con sapienza<br />
il suo equipaggio, forse non aveva chiuso occhio<br />
per troppe ore di fila. Ma adesso che l’imbarcazione era<br />
sicura dentro il porto, il volto gli si era rilassato e un accenno<br />
di sorriso rivelava la soddisfazione per l’impresa:<br />
nessuna tempesta, nessuna malattia tra gli uomini a bordo,<br />
nessuna minaccia di pirati, niente. <strong>Si</strong> era accostato a<br />
me con uno sguardo d’intesa, come dire sono stato bravo!,<br />
ma gli era uscito solo: – Per la grazia de Diòs è andato<br />
tutto bene, la canaglia morisca si è tenuta lontana da<br />
noi per tutto il tempo.<br />
Per tutto il tempo…<br />
Sono approdata in quella terra in un settembre.<br />
Per tutto il tempo della traversata avevo assaggiato<br />
gli spruzzi salati delle onde. Da Barcelona fino a lì. Poi<br />
Esperansa era scivolata leggera e la città si era avvicinata<br />
sempre di più, sempre di più. Gli occhi stretti a vederla<br />
meglio, a ripararmi da un sole che filtrava per una<br />
foschia chiara, quasi lattiginosa.<br />
11
Ed eccola Cagliari bianca, su un grande zoccolo di<br />
roccia calcarea affiorante dal mare. Difficile capire dove<br />
terminava la roccia e dove iniziavano le case. Poi le<br />
acque del golfo avevano risucchiato dolcemente la nave,<br />
come ad abbracciarla. E si approdò.<br />
Era in un dolce settembre e il mare profumava come<br />
mai avevo saputo. Penetrante, eccitante, che portava<br />
d’istinto a tirar su col naso, a inspirare senza sosta. Per<br />
non perderlo, per rubarlo agli altri… Ma ancora odori:<br />
di zafferano, di rosmarino, e ancora di zafferano, di cui<br />
erano colme grosse ceste pronte all’imbarco, nuvole di<br />
fiori viola, e profumo di alghe vive che facevano sentire<br />
la loro presenza da sotto gli scogli.<br />
Manuel de Figueira, col suo fare gentile, stava al mio<br />
fianco, appoggiato al parapetto a guardare uomini di<br />
carnagione scura, cotta dal sole e dal salmastro che si<br />
davano da fare con le funi per permettere alla nave di<br />
attraccare senza troppi scossoni.<br />
Lui era il capitano, e il suo compito, quello di portare<br />
la sua nave da un porto all’altro, l’aveva già svolto.<br />
Nave e persone e merci erano ormai arrivate a destinazione,<br />
sane e salve.<br />
Voleva farmi compagnia. Ora si prodigava in spiegazioni<br />
non richieste. Mi indicava la fila di uomini che salivano<br />
lungo l’asse di legno che collegava l’imbarcazione<br />
alla banchina. Li <strong>chiama</strong>no bastàscius, mi diceva, è<br />
sempre uno spettacolo vederli in azione e soprattutto<br />
sentire come si incitano a vicenda; le parole non si capiscono<br />
quasi mai, ma hanno una intonazione che sembra<br />
una musica.<br />
E quelli proprio asini sembravano, asini che portavano<br />
il basto, bastasci. Grandi pesi sulle spalle ricurve,<br />
12<br />
salivano in fila indiana e pareva che il ventre della nave<br />
se li ingoiasse uno per uno, uno dietro l’altro, per risputarli<br />
subito dopo, uno per uno, uno dietro l’altro, con<br />
altri pesi in spalla.<br />
Dall’alto della nave era più facile sentire le voci e le<br />
urla di incitamento che vedere quegli uomini in faccia.<br />
Aveva ragione il capitano, quegli accenti risuonavano<br />
come una musica, incomprensibili. Anche le loro teste,<br />
cappucci di lana, si muovevano secondo un ritmo determinato.<br />
Formiche, formiche intorno ad un boccone<br />
prelibato.<br />
– Carico prezioso! – voce roca e perentoria che ammoniva<br />
le altre formiche.<br />
Dalla nave gli uomini dell’equipaggio dovevano avere<br />
già fatto arrivare in banchina notizie di prima mano e<br />
per prime scaricate.<br />
Quel carico prezioso ero io. Io faccia disfatta per la<br />
stanchezza della traversata e testa che scoppiava per<br />
quello che andavo a fare lì, in quella terra.<br />
Cinque o sei uomini avvicinarono una scaletta rudimentale<br />
allo scafo, e non so quante braccia, più di quante<br />
potessero appartenere in realtà ai corpi che vedevo,<br />
mi aiutarono a scendere. Io davanti, dietro i bauli con<br />
tutto quello che, a corte, la servitù aveva pensato potesse<br />
essere utile in una terra straniera ad una donna e dama<br />
come me. Del mio rango.<br />
Il capitano Manuel de Figueira si congedò con un<br />
bel sorriso di augurio e di incoraggiamento.<br />
– Lassù, – mi disse, – dove si vedono quelle torri: là<br />
vi aspettano.<br />
Sulla nave sapevo che la responsabilità era tutta sua,<br />
ma sulla terra non più. Sulla terra cominciava la mia. E<br />
il capitano, a terra, non ci aveva messo neanche piede.<br />
13
Manuel de Figueira, bruno di carnagione e coi capelli<br />
ricci, il volto profondamente segnato da lunghe rughe<br />
- ma quando sorrideva gli si illuminavano gli occhi -<br />
aveva aperto le braccia, quasi a scusarsi, e poi aveva<br />
guidato il mio sguardo oltre il porto, indicando un<br />
punto:<br />
– Lassù.<br />
* * *<br />
– L’avete sentita la notizia? Donna <strong>Violante</strong> se ne va.<br />
Donna Carmelita de Jerez y Ortega aveva parlato<br />
con tono complice e di scherno alle sue amiche riunite.<br />
– Se ne va? E dove può andare una così? – aveva risposto<br />
donna Maria.<br />
– Dove ha voluto il Re. In persona. Va a fare la feuda-ta-ria.<br />
– La feudataria? – fu la richiesta del coro, – e dove,<br />
dove?<br />
– In un’isola. L’isola di <strong>Sardegna</strong>. Io non capisco<br />
proprio. Ma cosa pensa quella? Che comandare a dei<br />
selvaggi sia roba per lei? Mah! È sempre stata strana,<br />
con quella sua aria da… da… è meglio non dirlo, il <strong>Si</strong>gnore<br />
mi perdoni.<br />
Perfino la vecchia donna Inés, che faticava a parlare<br />
per via di quel labbro tutto cicatrici, aveva trovato,<br />
all’improvviso, una parlantina chiara e limpida:<br />
– Secondo me il Re, che sa sempre quello che fa, se<br />
ne vuole disfare. Avete visto come fa gli occhi quando<br />
si trova al suo cospetto? Solo quando è con noi quella<br />
lì li tiene abbassati o rivolti verso il cielo. E poi, non<br />
crediate, selvaggi sì, ce ne saranno in quella terra, ma ci<br />
sono anche molti catalani e valenzani, uomini dabbe-<br />
14<br />
ne. Ecco perché il Re la manda lì, chissà che non riesca<br />
a soddisfare vergognose voglie, lontano dalla nostra<br />
corte.<br />
– Ma… e la regina <strong>Si</strong>billa? Eh? Secondo me è proprio<br />
lei che ha convinto il suo regale consorte a spedire<br />
Donna <strong>Violante</strong> lontano. Sembra che sia la sua pupilla,<br />
ma in fondo in fondo… mi sbaglierò, non la vuole proprio<br />
vicino.<br />
– Ma che dite donna Carmelita? Ma se è proprio la<br />
regina che la vuole sempre attaccata alle sue gonne?<br />
– Certo, donna Inés, non capite? Basta poco ad arrivarci…<br />
solo se sta attaccata alle sue gonne può stare sicura<br />
che non si attacca ai pantaloni di qualcun altro… il<br />
<strong>Si</strong>gnore e lo Spirito Santo mi perdonino…<br />
– Ma e poi… poi… vi ricordate cosa si diceva quando<br />
è arrivata qui a Barcelona? Strane voci girano sul<br />
suo conto… voci strane che puzzano di eresia e stregoneria…<br />
– Tacete donna Maria, tacete… non si nomina neanche<br />
il… perché ne spunta subito la coda…<br />
– Comunque, che vada, e che non si faccia più vedere<br />
qui a corte. I nostri uomini saranno più tranquilli<br />
così. Finalmente.<br />
* * *<br />
Una solerte scorta mi accompagnò ai quartieri alti.<br />
Dal porto fin lassù una interminabile salita. Una serpentina<br />
di stradine, e sempre quei penetranti profumi,<br />
quello di mare su tutti. Me lo sentivo addosso e scacciava<br />
perfino l’angoscia che mi prendeva a tratti, quando<br />
mi ricordavo la ragione di quel viaggio e di ciò che mi<br />
aspettava.<br />
15
Portoni di legno e ferro introducevano nel quartier<br />
della corte aragonese.<br />
Era <strong>chiama</strong>to Castello di Cagliari, ma del castello<br />
vantava solo delle imponenti torri bianche e quadrate,<br />
a delimitarne il perimetro.<br />
All’interno una piccola città, solo di aristocratici, solo<br />
di Aragonesi.<br />
Lì ero attesa da nobiluomini della mia stessa terra.<br />
Una corte meno sfarzosa di quella che avevo lasciato<br />
mi accolse con effusioni prive di cordialità.<br />
Alla corte che avevo lasciato, a Barcelona dalla regina<br />
<strong>Si</strong>billa de Fortià, erano stati ben felici di dirmi addio.<br />
Le dame - le dame soprattutto - non stavano più nei<br />
panni dalla contentezza, una volta appresa la notizia<br />
della mia partenza. Non avevano risparmiato ad alta<br />
voce commenti salaci sul mio conto, e insinuazioni tra<br />
le più malevole erano uscite da quelle bocche: che avevo<br />
la faccia da santarellina ma… che quegli abiti neri<br />
erano più provocanti delle gonne rosse tutte svolazzi di<br />
una ballerina andalusa, e altre cattiverie che solo donne<br />
brutte e vaiolose come quelle potevano partorire.<br />
Quelle dame: che dame! Lì, alla corte di Barcelona.<br />
A Cagliari fu diverso.<br />
I miei veli neri facevano paura e imbarazzavo tutti.<br />
Mi guardavano di sottecchi e con aria perplessa perché,<br />
per loro, una così non s’era mai vista: una così alla successione<br />
del feudo. Perché mio padre Berengario Carròz,<br />
morto senza figli maschi, lasciava un feudo senza<br />
successore. Unica figlia, io. Una donna.<br />
Mio padre, morto nell’anno del <strong>Si</strong>gnore 1373.<br />
Mio padre conosciuto appena.<br />
16<br />
Mio padre sbarcato ancor molto giovane nella terra<br />
dei Sardi, nuova conquista del regno d’Aragona. Primo<br />
conte del feudo di Quirra.<br />
Lì le prefiche piansero la sua morte. Lì, poi, hanno<br />
mandato me a reggere il suo feudo.<br />
In quanto alla inattesa successione, a nulla erano<br />
valse le rimostranze accese della Corte e di tutti i consanguinei<br />
sulle pretese avanzate da mio nonno l’ammiraglio<br />
Carròz alla morte di mio padre. E il Re aveva sostenuto<br />
che: – A un Carròz, al vecchio Berengario Carròz<br />
bisogna dare quel che chiede, quando chiede. Anche<br />
se quel che reclama non è stato in uso finora. Ma da<br />
ora in poi lo sarà. Così è deciso. Avrà la successione femminile.<br />
L’ultima e definitiva conquista di Berengario I Carròz.<br />
Ultima, perché mio nonno morì subito dopo e prima<br />
di vedermi salire sulla galea per la <strong>Sardegna</strong>. Definitiva,<br />
perché sancita dalla parola del Re.<br />
* * *<br />
Era un giorno di festa. La messa solenne era appena<br />
terminata. Nobiluomini e nobildonne della corte abbandonavano<br />
lentamente la Chiesa, alcuni indugiavano<br />
scambiandosi sorrisi e parole gentili.<br />
La Regina <strong>Si</strong>billa, cui dovevo stare sempre accanto,<br />
mi sussurrò, indicandomi il Re: – Ti aspetta. Ha da parlarti.<br />
La stanza del Gran Consiglio oggi sarà per te. Vai,<br />
<strong>Violante</strong>, ascoltalo e obbedisci.<br />
Lui seduto sul grande scranno regale, io inginocchiata<br />
ai suoi piedi. Mi sollecitò paternamente a tirarmi<br />
su. Io e il Re da soli nella grande sala. Non s’era mai<br />
sentito.<br />
17
Teso verso di me, aveva un tono di voce solenne ma<br />
parlava piano, come a non farsi udire da altri:<br />
– È giunto il momento che si realizzi quanto desiderato<br />
da tuo nonno quando chiese e ottenne la successione<br />
del feudo in linea femminile. Sei una donna, <strong>Violante</strong>,<br />
e le donne, in genere, non si occupano né di faccende<br />
di guerra né di conquiste. Anche tu, poco o nulla<br />
puoi capire del mondo o di controllo dei mari. Ma sei<br />
una Carròz e questo ai miei occhi fa di te una donna<br />
speciale. Purtroppo la vita non è stata tenera privandoti<br />
di due mariti che con cura il Re e la Regina avevano<br />
cercato per te. Sei schiva, come nessun’altra, di frivolezze<br />
e mondanità. Dopo aver a lungo pensato e riflettuto<br />
e con l’aiuto del Padreterno Nostro <strong>Si</strong>gnore, ora il<br />
Re ha deciso. Tu andrai in terra di <strong>Sardegna</strong>. Userai il tuo<br />
titolo di feudataria e Contessa di Quirra che fu di tuo<br />
padre.<br />
Tentai di dire qualcosa, ma il Re:<br />
– Taci <strong>Violante</strong>, – e allungò la mano inguantata a impedire<br />
il mio accenno di obiettare, – ascolta bene il tuo<br />
Re che ti spiegherà tutto. A te, poi, il dovere di obbedienza.<br />
In piedi davanti a lui continuai ad ascoltarlo senza<br />
battere ciglio.<br />
– Tu andrai lì. In <strong>Sardegna</strong> ci sono tanti pericoli e<br />
tanti nemici. Ma uno, uno solo è davvero temibile.<br />
La tua forza sarà il tuo nome. Carròz è nome che<br />
impaurisce i nostri funzionari del Castello di Cagliari.<br />
Quando li incontrerai non degnare il loro disappunto<br />
e non far caso alla loro ostilità, che celeranno, verso il<br />
tuo casato.<br />
Carròz è nome che farà inginocchiare il Castellano e<br />
gli abitanti del castello di San Michele, che visiterai do-<br />
18<br />
po quello di Cagliari. Ma non serve che tu vi indugi a<br />
lungo.<br />
Punterai verso il castello di Quirra. E anche lì Carròz<br />
è il nome, l’unico, che mette in allerta i confinanti<br />
sardi del Castello di Quirra. E tu, proprio lì dovrai andare.<br />
Perché se Carròz è il nome portato da una donna,<br />
allora, così per lo meno spera il tuo Re, il nemico più temibile<br />
ritrarrà le proprie unghie.<br />
Quel nemico, <strong>Violante</strong>, è una donna. Come te. È<br />
Eleonora d’Arborea. Il territorio in mano alla Corona<br />
d’Aragona le fa gola, preme con le sue truppe ai confini.<br />
Lo vuole conquistare e prendere come una femmina fa<br />
con un maschio, giocando come gatto con topo.<br />
Mi sembrava di non sentire più il corpo: gambe intorpidite<br />
per lo stare in piedi, testa in fiamme per quello<br />
che le mie orecchie stavano sentendo. Ma lui continuava…<br />
– È donna caparbia e testarda questa Eleonora. Farebbe<br />
di tutto pur di conquistare l’intera isola per i suoi<br />
sardi, oserebbe sacrificare anche marito e figli. È donna<br />
che si misura con un altro uomo come un guerriero. La<br />
tua presenza, la presenza di una donna la disorienterà.<br />
Un Carròz la eccita alla battaglia, ma una Carròz con le<br />
gonne la terrà per un po’ di tempo occupata a pensare…<br />
a chiedersi il significato del tuo essere lì. Resterà<br />
perplessa sul da farsi… Le acque si placheranno fino a<br />
quando… il tuo Re appronterà una grande forza d’armati<br />
che la sbaraglierà per sempre.<br />
Quel finale felice della storia mi rincuorò e gli sorrisi<br />
sollevata.<br />
19
– A te, quindi, il compito di governare il feudo di<br />
Quirra, e tenere la calma in quei territori.<br />
E senza altre parole mi congedò.<br />
Mi inginocchiai a lui, com’era mio dovere, esprimendo<br />
gratitudine e rinnovando obbedienza.<br />
Uscii lentamente e arrivai alle mie stanze, ma non so<br />
come.<br />
Una lama gelata mi attraversava tutta la schiena a<br />
dispetto del fuoco che bruciava nella mia testa.<br />
Amministrare la giustizia? Controllare il territorio?<br />
E come? Io? Da sola? Senza un uomo al mio fianco?<br />
Sentii tutta la solitudine del mondo e l’angoscia che<br />
mi afferrava i visceri.<br />
Quella notte, volti colori suoni si intrecciarono nella<br />
mia mente. Luoghi paurosi mi si paravano davanti agli<br />
occhi senza che io potessi distinguerne forme conosciute.<br />
Due occhi verde scuro si affacciavano tra i merli<br />
di un castello e mi arrivava una voce calda “Vai Viola.<br />
Castelli turriti saranno le tue tappe. Segui il cammino<br />
che ti verrà indicato. Senza fermarti. Io sarò lì con te”.<br />
Conoscevo quegli occhi: erano di Felipe, il mio primo<br />
marito.<br />
Poi, immagini di sterpaglie, rovi, anche fiori senza<br />
odore. E mi sentivo i piedi inchiodati al terreno, immobilizzata<br />
tra gli arbusti. E tra le spine di un rovo intravedevo<br />
una testa incappucciata. Non vedevo occhi né volto.<br />
Ma udivo “Le mie preghiere ti accompagneranno.<br />
Bisogna però che tu ti metta in cammino”. Conoscevo<br />
quella voce cantilenante: era di Bernardo, il mio secondo<br />
marito.<br />
Mi svegliai di soprassalto, tutta sudata. Cosa era stato?<br />
Ricordi? Sogni? Erano sogni. Senza dubbio. Perché<br />
ai sogni mancano gli odori.<br />
20<br />
* * *<br />
Tutto fu pronto per salpare. La galea per il porto di<br />
Cagliari era davanti a me. Tremavo fino alla punta dei<br />
piedi all’idea di salirvi. Già mi arrivava una forte nausea.<br />
Ma il nome dipinto con lettere di colore del bronzo<br />
sul fianco dell’imbarcazione mi diede coraggio. Salii<br />
per una scaletta traballante e fui dentro il ventre della<br />
Esperansa.<br />
21
Era molto giovane quando si trovò orfana di madre<br />
e con un padre lontano a conquistar nuove terre per la<br />
Corona d’Aragona.<br />
La Regina <strong>Si</strong>billa l’aveva voluta a corte, come sua<br />
dama prediletta e confidente.<br />
Le piaceva quella ragazzetta: era bella e gentile e sapeva<br />
nascondere molto bene la sua malinconia. Solo<br />
un’ombra leggera sul suo viso: un’ombra forse d’intima<br />
tristezza.<br />
Un giorno la Regina <strong>Si</strong>billa le dice: – Sei giovanissima<br />
ma saggia, <strong>Violante</strong>, quindi ho trovato un giovane<br />
sposo per te, nobile e cavaliere.<br />
Lei, fiduciosa e mansueta, si affidò alle premure di<br />
quella che, per lei, era la migliore consigliera.<br />
Non conosceva né il nome né il volto di quel nobile<br />
e cavaliere che era stato prescelto.<br />
<strong>Si</strong> lasciò persuadere facilmente.<br />
Dopo breve tempo indossò il più bell’abito che una<br />
giovane donna potesse sognare e si lasciò condurre all’altare.<br />
Lo vide di spalle: la figura maschile era slanciata e<br />
gradevole.<br />
Quando fu al suo fianco sentì un tuffo al cuore.<br />
23
Appena gli fu di fronte, lui le sollevò piano il velo di<br />
pizzo bianco, la mantiglia da sposa.<br />
Con gli occhi fissi su di lei, rimase immobile, con le<br />
mani ancora alte e tese a tenere il velo sollevato. Come<br />
fosse stato incantato.<br />
Lei si dimenticò cos’era il pudore di una giovane<br />
fanciulla che andava in sposa: con gli occhi fissi su di<br />
lui rimase immobile. Come fosse stata incantata.<br />
Li maritarono.<br />
E il Re organizzò, come era consuetudine, giostre e<br />
tornei per la gioia e il divertimento di dame e cavalieri.<br />
Poi lui la prese per mano e la portò con sé.<br />
<strong>Si</strong> <strong>chiama</strong>va Felipe.<br />
Aveva occhi verdi e baffetti castani sulle labbra. E<br />
voce calda e suadente.<br />
<strong>Si</strong> dimostrò qual era: cavaliere nobile e gentile. Amava<br />
parlarle vicino all’orecchio, scostandole i capelli amorevolmente.<br />
Lei si illanguidiva tutta.<br />
E le notti erano affidate ad una passione instancabile<br />
e travolgente.<br />
Non una carezza venne risparmiata, né un abbraccio,<br />
né un grido di gioia e di piacere dei sensi.<br />
La giovialità era la dote principale di Felipe.<br />
La sua aria trasognata gli dava un fascino particolare.<br />
Fra i nobiluomini e le dame di corte era sempre al<br />
centro dell’attenzione. E dove c’era lui, regnava l’allegria.<br />
Ma mai, mai staccava il suo sguardo da quegli occhi<br />
che lo avevano incantato sull’altare e che, ancora, dopo<br />
quasi un anno di matrimonio, lo emozionavano.<br />
– Mi hai stregato, dolce Viola, e questo è l’incantesimo<br />
più dolce del mondo. – Così le sussurrava all’o-<br />
24<br />
recchio, scostandole i capelli, in un soffio che le illanguidiva<br />
l’anima. E lei temeva perfino che fosse peccato<br />
provare tanta gioia e felicità.<br />
Ma Padre Miguel, confessore di corte, vecchio e bonario<br />
come pochi ministri di Dio, la confortava e la rassicurava:<br />
– È amore, cara piccola <strong>Violante</strong> ed è benedetto<br />
da Dio. Che ve lo conservi.<br />
Tante furono le belle notti, tante quanti i bei giorni.<br />
Come un uomo e una donna fossero riusciti a riconoscersi<br />
in un attimo, senza mai essersi visti né conosciuti<br />
prima d’allora, poteva apparire, davvero, pura<br />
magia.<br />
E donna Carmelita, donna Inés e donna Maria, che<br />
intristivano spesso nei loro letti senza il desiderio dei<br />
rispettivi consorti, cominciarono già da allora a fare i<br />
loro commenti…<br />
– Avete visto quella sfacciata di ragazzetta? È sempre<br />
col sorriso stampato sulla faccia. Ogni sorger del<br />
sole, – diceva livida donna Carmelita.<br />
– Ce lo ha sempre attaccato alle gonne, quel marito.<br />
Se la mangia con gli occhi, lui, – rincarava donna Maria.<br />
– E lei? e lei? Anche lei se lo mangia con gli occhi.<br />
È proprio senza pudore quella lì, – aggiungeva donna<br />
Inés.<br />
– Lui preferisce stare con lei a passeggiare nei giardini,<br />
anziché andare a caccia con gli altri suoi pari. Cose<br />
da non credere, – la voce acuta di donna Carmelita.<br />
– Cosa gli avrà fatto?! Cosa gli avrà fatto?! – scuotevano<br />
insieme la testa le tre dame. – Qualche sortilegio,<br />
sicuramente. Povero giovane, – in coro.<br />
25
Un anno appena era trascorso da quando Felipe le<br />
aveva sollevato la mantiglia, sull’altare della Cattedrale<br />
di Barcelona, ed era stato incantato da lei.<br />
Un anno soltanto.<br />
Una brutta febbre lo colse una notte.<br />
E non era febbre di passione.<br />
Se ne andò via così, bello ancora e promettente.<br />
Di <strong>Violante</strong>, a corte, non si vide più il sorriso.<br />
La regina <strong>Si</strong>billa era piena di tristezza per la sua giovane<br />
e sfortunata dama. E angosciata perché quella non<br />
ne voleva sapere di mangiare, né di parlare né di ascoltare.<br />
<strong>Violante</strong> viveva con lo sconforto e la disperazione<br />
nello sguardo.<br />
Il lutto nel cuore.<br />
Dopo un anno di struggimento, la regina <strong>Si</strong>billa impose<br />
la sua presenza e la sua bonaria autorevolezza:<br />
– Cara la mia <strong>Violante</strong>, è certo brutto destino che un<br />
matrimonio felice come il vostro sia stato di così breve<br />
durata dopo un amore reciproco pieno di meraviglie.<br />
Ma persuaditi, ti prego, a prendere ancora una volta<br />
marito. Questa volta è stato il Re in persona a sceglierlo<br />
per te. È cavaliere forte, ma nobile e tenero. Sai quanto<br />
è raro trovare un marito perfettamente gentile.<br />
E <strong>Violante</strong> riuscì, dopo tanto tempo, ad aprirsi e sfogarsi<br />
con quella che, se pur Regina, la amava di affetto<br />
materno.<br />
– Posso impedire alla mia lingua di rivelare il segreto<br />
del mio cuore, ma non ho alcun potere sulle mie lacrime.<br />
Mia cara Regina, mi affido alle vostre decisioni…<br />
Decise e rispose soltanto la saggia Regina <strong>Si</strong>billa:<br />
– Lasciati persuadere, <strong>Violante</strong>, a voler conoscere<br />
ancora gioie e carezze.<br />
26<br />
– Spero che il cielo cessi una buona volta di essere<br />
irato con me, – concluse <strong>Violante</strong>, asciugandosi le lacrime<br />
e rimettendo se stessa nelle mani del Re e della<br />
Regina.<br />
Rimasta sola, <strong>Violante</strong> continuò a parlare a voce alta,<br />
rivolgendosi a qualcuno che non c’era.<br />
Aveva preso questa abitudine dopo una lunga conversazione<br />
con Padre Miguel, il suo padre spirituale.<br />
Notti e notti, dopo la morte di Felipe, <strong>Violante</strong> aveva<br />
trascorso con gli occhi sbarrati, in preda alla disperazione<br />
e al senso di abbandono.<br />
Giorni e giorni, dopo la morte di Felipe, <strong>Violante</strong><br />
aveva trascorso con la bocca serrata, a rifiutare cibo e<br />
parole.<br />
L’assenza di quel marito, bello come il sole, appassionato<br />
e tenero, le aveva tolto il respiro di vita.<br />
Padre Miguel, allora, sollecitato dalla Regina <strong>Si</strong>billa,<br />
che non sapeva più cosa fare, andò a trovarla nelle sue<br />
stanze.<br />
– Cara pecorella, non affliggerti così, Dio si sente offeso<br />
da tanta disperazione. Devi sapere che i morti non<br />
sono mai morti davvero. Il loro spirito è sempre tra noi,<br />
anche se non appartengono più a questo mondo con il<br />
corpo e la carne. Hanno, però, orecchie per sentire, occhi<br />
per vedere, anche se non possono parlare con noi.<br />
Anche se…<br />
– Anche se, cosa? – chiese <strong>Violante</strong>, – anche se, cosa?<br />
Padre Miguel?<br />
– Raramente lo spirito appare e dà segnali della sua<br />
presenza, ma, a volte, cara <strong>Violante</strong>, gli spiriti dei defunti<br />
riescono a comunicare coi vivi attraverso persone<br />
dall’anima pura, cioè attraverso le parole di anime pu-<br />
27
e. Non credere mai, <strong>Violante</strong>, di essere sola. Ti vede<br />
tua madre, ti vede e ti sente il tuo Felipe e, naturalmente…<br />
il tuo angelo custode.<br />
– Ma come è possibile, Padre Miguel, come è possibile?<br />
Dove sono, dove si trovano questi spiriti? Come<br />
faccio io a sapere che Felipe mi sente e mi ascolta?<br />
– Un giorno lo saprai, un giorno te ne accorgerai,<br />
stanne certa… per esempio, vedi… le chiese, sono gremite<br />
di anime dei morti. <strong>Si</strong> sa da sempre che si deve lasciare<br />
libero il passaggio centrale che porta verso l’altare,<br />
perché “quello” è il loro spazio, e non ci si deve sostare<br />
perché non bisogna mai disturbare l’ingresso delle<br />
anime alla chiesa.<br />
– Parlate ancora, Padre Miguel, parlate, spiegatemi<br />
bene, vi ascolto col cuore.<br />
– Vedi, <strong>Violante</strong>, appena una persona muore, la sua<br />
anima parte per rendere conto a Dio delle sue azioni,<br />
ecco perché quando una persona esala l’ultimo respiro<br />
bisogna subito aprire una finestra, per rendere agevole<br />
il volo dell’anima… poi torna vicino al luogo dove è il<br />
suo corpo, e sente tutto ciò che si dice. Dopo la sepoltura<br />
si allontana e va verso il fiume dove scorre l’acqua<br />
dell’oblio, beve e si dimentica del mondo, anche se resta<br />
nel profondo la carica degli affetti più grandi; ma se<br />
non beve di quell’acqua, fa ritorno fra i vivi. Solo in<br />
ispirito, naturalmente.<br />
– E perché non dovrebbe bere di quell’acqua, Padre<br />
Miguel, chi lo decide se beve o non beve? – sollecitava<br />
<strong>Violante</strong>.<br />
– Questo, il non poter bere di quell’acqua, a volte<br />
capita quando le persone che sono rimaste nel mondo<br />
continuano a piangere e a piangere e pensano egoisticamente<br />
soltanto al morto. È una specie di offesa per<br />
28<br />
Dio, è come una sfiducia nella vita eterna, che Dio ci<br />
ha concesso. E i morti, poveretti, o meglio, le loro anime,<br />
sono continuamente ri<strong>chiama</strong>ti indietro da tutte<br />
quelle lacrime salate, dal dolore e dal costante pensiero<br />
di chi li ha amati, e non possono ritornare una volta<br />
per tutte a riconsegnarsi nelle mani di colui che li ha<br />
creati. Ecco perché non è bene piangere troppo. C’è<br />
un tempo per tutto, <strong>Violante</strong>. Un tempo per piangere e<br />
un tempo per consolarsi. Altro non voler sapere, mai.<br />
Chi è di questo mondo non può comprendere. Abbi<br />
fede. Sappi che il tuo Felipe non ti ha abbandonata<br />
davvero. Riprendi a sorridere che lui gioirà del tuo sorriso.<br />
Così, dopo l’incontro con la regina <strong>Si</strong>billa che l’aveva<br />
persuasa a prendere marito ancora una volta, <strong>Violante</strong><br />
si era rivolta a chi sapeva lei:<br />
– Il cielo mi darà la forza sufficiente per sopportare<br />
la tua assenza, Felipe, ma l’arrivo di un nuovo marito<br />
non mi farà scordare affatto la tua partenza.<br />
Non conosceva né il nome né il volto di quel nobile e<br />
cavaliere che era stato prescelto.<br />
Dopo breve tempo indossò un abito bello, ma adatto<br />
alla sua condizione di giovane vedova e si lasciò condurre<br />
all’altare.<br />
Quando gli fu accanto e lui le sollevò il velo di pizzo<br />
per scoprirne il volto, <strong>Violante</strong> non rispose con lo sguardo<br />
a quegli occhi che sentiva fissi su di sé. Lui ne fu incantato.<br />
Li maritarono.<br />
E il Re organizzò, come era consuetudine, giostre e<br />
tornei per la gioia e il divertimento di dame e cavalieri.<br />
29
Poi lo sposo, sorreggendola per il gomito con delicatezza,<br />
la portò con sé.<br />
Bernardo de Lope y Esteban aveva una figura snella<br />
anche se nerboruta. Teneva i capelli un po’ lunghi e ondulati,<br />
a sfiorare l’attaccatura delle spalle.<br />
<strong>Si</strong> dimostrò qual era: cavaliere nobile e gentile.<br />
Era amabile Bernardo.<br />
Amava conversare, parlare e raccontare. Dava segni<br />
di timore, di tenerezza e di compassione per quella bella<br />
sposa che lo ascoltava un po’ svagata.<br />
Ma le parole di Bernardo erano sagge, i discorsi confortanti<br />
e gradevoli.<br />
In breve tempo l’aria di <strong>Violante</strong> fu sempre meno<br />
svagata.<br />
Le parole del giovane infiammarono pian piano il<br />
suo cuore di un fuoco e di un calore che la restituì alla<br />
vita.<br />
Immersa, fino a poco tempo prima, in una profonda<br />
malinconia, ora provava una dolce gioia.<br />
<strong>Violante</strong> si fece avvolgere in una nuova tenerezza.<br />
La consolazione bilanciò la disperazione e si attaccò<br />
ancora alla vita.<br />
Le notti poco erano riservate alla passione antica,<br />
ma le calde e sempre sagge parole del nuovo sposo e la<br />
sua tenerezza rendevano ancora una volta belle le notti<br />
e belli i giorni. Ma, a volte, Bernardo appariva strano e<br />
assorto e pareva nascondere chissà quale segreto.<br />
Piano piano anche qualche carezza cominciò ad essere<br />
repressa, gli abbracci si fecero sempre più fraterni,<br />
e il desiderio del piacere dei sensi si affievolì di giorno<br />
in giorno.<br />
Ogni notte di più Bernardo protraeva le sue pre-<br />
30<br />
ghiere sull’inginocchiatoio fino a tardi, e le mattine, all’alba,<br />
era il primo a correre nella cappella per inginocchiarsi<br />
davanti al crocifisso, con un fervore fuori dal comune.<br />
Però continuava a parlare, a conversare, a raccontare…<br />
Come quella notte in cui disse d’improvviso:<br />
– Ho messo da parte armatura, elmo e spada. Non è<br />
così che si combatte il nemico… E poi, chi è il nemico?<br />
In fondo un cavaliere che sta in sella al suo cavallo, come<br />
me, con armatura e spada, ma con un vessillo diverso,<br />
è davvero un mio nemico? Perché non dovrebbe essere<br />
anche lui mio fratello?<br />
Davanti a lui <strong>Violante</strong> che, come sempre, ascoltava.<br />
Ma lo sguardo e le parole di Bernardo non sembravano<br />
più rivolte a lei.<br />
Il giorno dopo, Bernardo, alle prime luci dell’alba,<br />
montò sul suo cavallo e non si vide mai più.<br />
Pareva che tutti sapessero. A corte nessuno si stupì,<br />
nessuno lo cercò.<br />
Solo <strong>Violante</strong> si disperò.<br />
E ancora una volta fu la Regina <strong>Si</strong>billa a consolare la<br />
sua prediletta:<br />
– Il tuo Bernardo lo ha <strong>chiama</strong>to il nostro <strong>Si</strong>gnore<br />
Dio. L’ha <strong>chiama</strong>to per un’alta missione. Bernardo… si<br />
è rinchiuso in un monastero, in montagna. Mettiti l’anima<br />
in pace.<br />
Fu da quel giorno che <strong>Violante</strong> si vestì di nero, si coprì<br />
il volto con veli di pizzo nero e non ne volle sapere<br />
di nulla e di nessuno.<br />
Fino a quando il Re decise ancora una volta per lei.<br />
31
Rivedo la mia vita passata. È tutta sotto i miei occhi.<br />
È divertente. È come essere dentro ad un sogno.<br />
Nella dimensione in cui sono ora, tutta nuvole e colori,<br />
tutto mi è lecito, tranne le passioni.
Il mio arrivo alla città di Cagliari era stato preceduto<br />
da voci che avevano stuzzicato mille curiosità.<br />
E si erano interrogati, nobiluomini e dame, per niente<br />
bendisposti ad accettare come buona la stravagante<br />
decisione della Corona.<br />
Soprattutto don Paolo e don Federico, preposti ad<br />
alte cariche di controllo su parte dell’Isola, lì, al Castello<br />
di Cagliari, avevano discusso e discusso…<br />
Don Paolo occhio strabico, non ancora al corrente<br />
del mio incarico, voleva sapere e sapere da don Federico<br />
cosa pensavano di fare in Spagna, per coprire il vuoto<br />
lasciato dalla morte di Berengario mio padre.<br />
Quando aveva sentito che una donna avrebbe dovuto<br />
reggere tutto, lì al Castello di Cagliari, al Castello di<br />
San Michele e laggiù sui monti al Castello di Quirra, diventò<br />
di tutti i colori e l’occhio roteò come impazzito:<br />
– U… una donna? E che follia è mai questa? – aveva<br />
commentato scandalizzato.<br />
Sfoggiava, l’altro, don Federico, il suo presunto intuito<br />
politico: – Calma, don Paolo, non è follia, no…<br />
no… non è una cattiva pensata. È bene che il feudo di<br />
Quirra non passi ad un’altra famiglia aragonese, che resterebbe,<br />
magari, in Spagna e affiderebbe a chissàchi la<br />
35
gestione del feudo… e i sardi, – continuava persuasivo<br />
don Federico, – preferiscono un padrone vero, con<br />
cappa e cappello con piume. E che sia “noble de Aragona”.<br />
Solo così. Più alto il padrone, più umili i servi.<br />
Alla faccia ancora poco convinta di don Paolo, che<br />
si preoccupava di Eleonora d’Arborea e di quanto le<br />
facesse gola quel feudo a lei confinante, don Federico<br />
rispondeva rassicurante e come se fosse veramente al<br />
corrente delle più segrete cose: – Ambasciatori e messaggeri<br />
ha mandato quella donna dall’Arborea, a parlamentare<br />
col Re. Pare… pare che siano arrivati a miti<br />
consigli.<br />
– Cioè? – insisteva lo strabico.<br />
– Vedete, don Paolo, un’avversaria donna non le farebbe<br />
paura, e la stessa Eleonora ha promesso di starsene<br />
tranquilla.<br />
– Ma… e chi… chi sarebbe questa figlia femmina di<br />
Berengario, don Federico? Qual è il suo nome?<br />
– <strong>Si</strong> <strong>chiama</strong> <strong>Violante</strong>… donna <strong>Violante</strong> Carròz, – rispondeva<br />
quello abbassando il tono di voce per chissà<br />
quale paura.<br />
– E com’è? Chi è? Cioè… dov’è ora? – si informava<br />
la morbosità.<br />
– Sta alla corte della regina <strong>Si</strong>billa de Fortià. E finora<br />
ha sotterrato ben due mariti. Per la precisione: uno<br />
morto, l’altro… chi lo sa! E dicono che sia bellissima.<br />
Ma abbiate fede, non aspetteremo molto per fare la sua<br />
conoscenza. Pare che sia già in viaggio. Da qui, don<br />
Paolo, dovrà pur passare.<br />
– Le faremo tutti gli onori, dunque.<br />
– Ama stare da sola, don Paolo, non fate lavorare la<br />
fantasia, e poi, alla vostra età…<br />
– Ih… ih… da sola… non per molto. Lì al castello<br />
36<br />
sul monte di Quirra, si annoierà… verrà qui, a Callèr…<br />
e allora…<br />
– Piano, piano don Paolo, un velo le ricopre il capo,<br />
un velo nero.<br />
– I veli… si possono sollevare, don Federico – insisteva<br />
la malizia.<br />
– Non si lascia avvicinare facilmente. Dicono, inoltre,<br />
che sia… – ma il bisbigliar si prese il resto.<br />
– Ma noooh! Davvero? Un po’ d’emozione finalmente<br />
in questa terra di palude. La aspetteremo con ansia.<br />
* * *<br />
Neanche una volta il mio velo fu sollevato e non<br />
scambiai una parola di più del dovuto con quelle persone,<br />
tanto ero presa dall’inquietudine della mia disavventura.<br />
La mia testa era altrove e non mi accorgevo che, ancora<br />
un po’, a quel don Paolo veniva un colpo per la curiosità<br />
che non poteva saziare. Ma tant’è! Che ne potevo<br />
sapere io, allora?<br />
Comunque sia, la giovane <strong>Violante</strong> non aveva la capacità<br />
di leggere gli animi altrui, altrimenti, altrimenti,<br />
le cose sarebbero andate diversamente. Forse.<br />
Quella corte, la corte del Castello di Cagliari, la abbandonai<br />
quasi subito, sempre trincerata dietro la barriera<br />
di pizzo nero e di silenzio che non finiva di sbalordire.<br />
La mia successiva destinazione - così era ordinato -<br />
era il Castello di San Michele.<br />
Don Paolo e don Federico me lo additarono da una<br />
delle finestre del salone. Proprio di fronte.<br />
37
– Lo vedete? Lo vedete? – domandava don Paolo avvicinando<br />
il suo volto al mio, come a sostituirsi ai miei<br />
occhi.<br />
– Sembra di poterlo toccare con una mano e, a porgere<br />
bene l’orecchio, – mi spiegava don Federico, fregandosi<br />
le mani lentamente e con fare ammiccante, –<br />
pare che il chiacchiericcio della servitù arrivi fin qui.<br />
– A don Federico, – rivelava don Paolo, sempre più<br />
chino verso i miei pizzi, – piace farlo. Certe sere, col<br />
vento favorevole, dice che sente le maldicenze delle<br />
serve e dice di immaginarne anche le forme, dietro<br />
quelle voci.<br />
– Ih!… ih!… donna <strong>Violante</strong>, – replicava l’altro con<br />
un alito puzzolente che, penetrando il mio velo, mi arrivava<br />
dritto dentro il naso, – don Paolo ama scherzare,<br />
vedrete quante belle serate riuscirà a farvi trascorrere.<br />
– Se verrete a trovarci… naturalmente!<br />
Il giorno dopo ero già in marcia, carrozza e cavalli<br />
in pompa magna.<br />
L’agitazione non mi permetteva di dare via libera alla<br />
mia curiosità: tutto quello che riuscivo a vedere dalla<br />
fessura tra le pesanti tende della carrozza, erano<br />
campi incolti, sterpaglie e gente che si aggirava per le<br />
strade, stracciata e svagata.<br />
Quel castello non era poi così a portata di mano, né<br />
d’orecchio.<br />
Sentire le voci delle serve! Brutti e sciocchi vecchiacci!<br />
Presa in giro come fossi stata una bambina con<br />
cui potevano giocare e da deridere. E mentre il mio<br />
pensiero era ancora dietro a quei due, Maria mi tirò per<br />
la manica.<br />
38<br />
Eravamo quasi arrivate. Fu naturale sollevare gli occhi.<br />
Perché grandi torrioni aveva quel Castello dall’aria<br />
minacciosa: sagoma pesante su un’altura circondata da<br />
vigne e alberi da frutto. Imponenti ma tozzi torrioni di<br />
un grigio color guerra, su un cielo azzurro sereno. Era<br />
così, quel castello, così poco slanciato, così poco “castello”.<br />
Entrammo.<br />
Entrai.<br />
Come un pesante e scuro abito di monaca nasconde<br />
spesso delicate forme di donna, così quel castello, cupo<br />
di fuori, dentro era solare. Arazzi colorati coprivano<br />
grandi pareti, poi fregi preziosi dalle forme di foglie<br />
che sembravano cornici di altare, e decorazioni di marmo<br />
intorno ai camini che mandavano fiamme alte e crepitanti.<br />
In un lungo corridoio, in fila come soldati, statue<br />
di santi ricoperte di lamina d’oro. Erano tanti quei<br />
santi. Il mio sguardo non riusciva a contenerli tutti perché<br />
continuavano oltre una curva del corridoio, a finire<br />
chissà dove.<br />
Mi meravigliava quel Castello, per la luce dei candelabri<br />
d’argento che lo rischiarava la sera. E per il sole<br />
che di giorno penetrava ovunque, fin nelle sale dei sotterranei.<br />
Maria, che già domandava solerte della nostra sistemazione<br />
per la notte, me l’ero portata appresso dalla<br />
corte della regina.<br />
L’aveva scelta lei, la regina, tra tante donne. – È fidata,<br />
<strong>Violante</strong>, portala con te. E poi, è sempre allegra e di<br />
buon umore. Ti sarà di grande giovamento una fanciulla<br />
di animo sereno al tuo fianco.<br />
In un attimo tutte quelle persone che si aggiravano<br />
39
indaffarate per non so dove, si schierarono in ordine<br />
sparso davanti a me: per omaggiarmi? O forse… solo<br />
per scrutarmi, per rendersi conto a chi, da quel momento,<br />
dovevano rendere obbedienza.<br />
Alcuni funzionari mi si pararono davanti, uno capofila.<br />
Quell’uno era “il castellano”. <strong>Si</strong> accostava riverente<br />
a me, donna <strong>Violante</strong> Carròz, figlia di Berengario II<br />
Carròz, nipote di Berengario I Carròz, pronipote del<br />
grande ammiraglio Francesco Carròz, erede discussa e<br />
contrastata del più grande feudo catalano in quell’ isola.<br />
Era bruno di capelli il castellano. Aveva tratti marcati<br />
e difficilmente si poteva intuire se era di origine sarda<br />
o catalana.<br />
Il suo accento però lo manifestò subito: catalano, di<br />
Valenza.<br />
Così trascorsero i miei primi giorni in quel castellofortezza:<br />
pranzi, visite in ogni ala e stanchezza infinita al<br />
tramontar del sole.<br />
Io non sapevo assolutamente cosa poter o dover fare.<br />
Esserci o non esserci non avrebbe, probabilmente,<br />
cambiato nulla.<br />
Dalle prime luci dell’alba incominciava un gran via<br />
vai per me incomprensibile: sembrava che tutti, a differenza<br />
di me, sapessero benissimo cosa fare.<br />
Io, su quel colle, che aveva nome San Michele, dentro<br />
quel castello, mi sentivo come uno di quei santi di legno<br />
schierati nel corridoio lungo: inutile.<br />
Come durante la cena che il giorno dopo il mio arrivo<br />
era stata approntata con cura per festeggiare la mia<br />
presenza lì.<br />
Al centro del salone una tavola apparecchiata con<br />
quanto di più prezioso doveva esserci nel castello:<br />
40<br />
enormi piatti ovali facevano come da culla a maialetti<br />
interi dalla crosta appena abbrustolita circondati da<br />
verdure di tutti i colori, e pane a forma di corone e cuori<br />
ricoprivano una candida tovaglia, e calici d’oro e<br />
d’argento pronti a ricevere vino rosso rubino e candelabri<br />
d’argento che pareva spennellassero con le lingue<br />
delle candele quei maialetti, ancora un po’, quasi a dargli<br />
altro calore e lucentezza.<br />
Una tavola di Pasqua. Da festa di Resurrezione.<br />
Un’altra Carròz era di nuovo lì. Dopo un periodo di incerto<br />
comando.<br />
Don Luìs, in piedi davanti a quella pasqua, aveva<br />
sollevato un calice d’oro, colmo di vino. Aveva il volto<br />
acceso. Accanto a lui una donna dai capelli rossi appena<br />
contenuti in una sorta di turbante scuro sorrideva e taceva.<br />
Compiaciuti.<br />
Indirizzava a me quel calice.<br />
– Grande è la nostra gioia, donna <strong>Violante</strong>. Ogni cosa<br />
qui parla della vostra potenza. E voi siete la nostra signora.<br />
Ad ogni parola di Don Luìs gli altri commensali, funzionari<br />
e amministratori, annuivano con la testa.<br />
Era gioviale e chiacchierone e per tutta la cena non<br />
smise di parlare. Gli altri a masticare e gustare quel ben<br />
di Dio e continuare ad annuire con la testa.<br />
La mia scarsa conversazione non parve turbare nessuno.<br />
Don Luìs, con lo sguardo, abbracciava, insieme,<br />
le pietanze, che man mano lasciavano solo le loro impronte<br />
sui grandi piatti ovali, e la mia persona, come ad<br />
includermi in un unico dipinto.<br />
Era il Castellano. Ma solo di nome. Di fatto a lui,<br />
sempre, e soltanto a lui tutti si rivolgevano per ogni cosa.<br />
Come vero padrone.<br />
41
La notte, spesso, poco prima di prendere sonno, avevo<br />
un’immagine davanti a me: l’arcangelo Michele, colle<br />
sue grandi ali dorate, la sua spada di fuoco sguainata<br />
verso il basso, illuminava di luce rossastra i torrioni.<br />
L’arcangelo vestito da guerriero, proprio lui, avvolto<br />
da un manto rosso, coi calzari ai polpacci e col volto<br />
da giovinetto. Con uno sguardo severo mi fissava<br />
dall’alto e sembrava che dalla sua bocca uscissero parole<br />
che alle mie orecchie, tutte tese verso di lui, non<br />
arrivavano.<br />
La paura in me si alternava a un senso di dolce<br />
conforto.<br />
Solo tardi mi vinceva un sonno agitato.<br />
Ogni sera di più.<br />
E al mattino l’immagine dell’Arcangelo non svaniva<br />
dalla mia mente.<br />
Di giorno sfumava su quei torrioni che non smettevano<br />
di stagliarsi contro un cielo azzurro intenso senza<br />
che nulla li minacciasse, né nuvole né spade infuocate.<br />
Ma già all’imbrunire, quel cielo che si striava di rosso<br />
carico annunciava le mie angosce notturne.<br />
Maria, intanto, col suo fare amabile, era riuscita a<br />
entrare in confidenza con tutta quella gente che animava<br />
il castello.<br />
Una volta, con tono complice mi <strong>chiama</strong>: – Donna<br />
<strong>Violante</strong>, sapesse, mi hanno raccontato un sacco di cose.<br />
Anzi, mi ha raccontato.<br />
– E chi? – chiedo io. – E che cosa?<br />
– Una donna che vive qui al castello, un’intima, pare,<br />
del castellano, è una di quelle persone come se ne<br />
trovano poche, ormai. È una di quelle che sa ascoltare,<br />
e ricorda tutto. E ama raccontare. Non ha l’ardire di<br />
42<br />
avvicinarvi. Anche se le fate tenerezza. Dice che voi<br />
siete diversa. Dice che questo la fa contenta, ma le fa<br />
anche un po’ di paura. Dice, anche, che, non sa perché,<br />
ma è molto in ansia per voi.<br />
– Cosa la fa contenta? Come “diversa”? – dico io,<br />
– perché preoccuparsi per me?<br />
– Dice che avete un’indole differente da quella di<br />
vostro padre, che voi siete “morbida” e questo la fa<br />
contenta. Ma ciò che le fa paura è che questa è terra di<br />
battaglie e di lotte, non terra per il comando di una<br />
donna.<br />
Una curiosità improvvisa mi prende, metto a tacere<br />
Maria:<br />
– Chiamala, – le dico, – voglio ascoltarla con le mie<br />
orecchie. Che non abbia alcun timore.<br />
La paura ce l’avevo io, e tanta, non sapevo niente di<br />
quella terra e poi… quei torrioni, la spada infuocata…<br />
contro chi la sguainava quell’angelo? Pensavo. Non sarebbe<br />
dovuto essere a protezione del Castello e del colle<br />
che portava il suo nome? Che razza di protezione era<br />
se mi impauriva tanto?<br />
Mi saliva un’angoscia terribile da dentro, e mi veniva<br />
voglia di scappare. Chissàdove.<br />
Ancora quella notte, poco prima di prendere sonno,<br />
lui: il Michele Arcangelo. Terribile. Ancora con la spada<br />
di fuoco, verso il basso… ma, anziché contro il diavolo,<br />
così come sempre lo avevo visto nei dipinti delle<br />
chiese, la spada era rivolta verso i torrioni. La faccia da<br />
eterno adolescente… dalla bocca usciva come un alito,<br />
parole senza suono… ma lo sguardo non era minaccioso,<br />
era amico ed io riuscii ad addormentarmi come cullata<br />
da una dolce musica.<br />
43
Il giorno dopo, abbandonai al più presto la ricca tavola<br />
imbandita di ogni ben di Dio.<br />
Non vedevo l’ora di incontrarmi con quella donna.<br />
Maria la condusse nelle mie stanze.<br />
Per prima mise dentro la testa, a fare capolino.<br />
E poi si presentò lentamente con tutta la sua figura.<br />
Non era molto alta, portava un bell’abito ampio e<br />
con le balze di colore scuro, a smorzare forse quei capelli<br />
rossi che ne facevano una persona vistosa. Mi sorrise<br />
timida, come aspettando il mio, di sorriso, prima<br />
di aprire completamente il suo. La accontentai.<br />
Il suo sguardo bonario mi conquistò.<br />
– Mi inginocchio a voi, contessa, – cominciò, – io mi<br />
chiamo Teresa, e sono nelle grazie del castellano don<br />
Luìs oramai da tanto tempo.<br />
– Cosa avete da raccontare, Teresa, di così importante?<br />
– Oh! Vi vedo così smarrita in questo luogo…<br />
– Non ho da rendere conto a nessuno della mia aria,<br />
– risposi con tono tagliente… ma nello stesso istante in<br />
cui parlavo in quel modo, mi venne una voglia di avere<br />
fiducia. Quelle parole di Maria su Teresa, “sa ascoltare”,<br />
non le avevo scordate e cambiai subito tono:<br />
– Ho certamente la testa piena di pensieri… il mio<br />
viaggio qui e la mia eredità a lungo contrastata… Fosse<br />
stato per me, Teresa, le stanze della Regina <strong>Si</strong>billa de<br />
Fortià erano il posto più confortevole e amorevole. Mio<br />
padre… beh, non so neanche che volto avesse, e quest’isola…<br />
non avevo neppure idea di dove si trovasse.<br />
Ma mi piacciono le storie, mi incanta sentire qualcuno<br />
raccontare, e Maria di voi mi ha detto che avete una<br />
gran dote, dice che sapete raccontare e ascoltare. Anch’io,<br />
sapete, ho buone orecchie per ascoltare. E poi<br />
44<br />
sono curiosa, – ammisi sorridendo, – e non solo… ho<br />
anche tanta voglia di scacciare dalla mia testa la sagoma<br />
grigia e pesante di questo castello. Fuori non oso andare<br />
per paura di vederla, e anche se volessi, il vostro don<br />
Luìs riesce sempre ad evitarlo, non so perché. Raccontate,<br />
dunque… voglio una bella storia.<br />
Spostando con mano veloce la balza della gonna, fu<br />
tutt’uno per Teresa chiedere di potersi sedere e accomodarsi<br />
in una poltrona di cuoio che stava proprio di<br />
fronte a me. Anche se ben accomodata non lo era proprio:<br />
aveva un piede poggiato a terra come pronta a far<br />
balzare il corpo d’un tratto, se ce ne fosse stato bisogno.<br />
Neanche un momento, durante il suo racconto, si<br />
rilassò del tutto. Mi guardava, mentre parlava, a scrutarmi<br />
occhi e anima.<br />
* * *<br />
Oh! Storia è certamente storia, donna <strong>Violante</strong>, bella<br />
non sempre. Ma è la storia di vostro padre, di vostro<br />
nonno e di questo castello.<br />
Questo castello, che ha il nome dell’arcangelo più<br />
bello, San Michele, un tempo era antico baluardo fatto<br />
costruire dai Pisani a guardia della città.<br />
Fu vostro nonno, Berengario I Carròz, figlio del<br />
grande Ammiraglio Francisco, ad essere il primo signore<br />
aragonese. Fu proprio lui che aiutò la corona a<br />
conquistare questa terra, fu lui che mise a disposizione<br />
uomini e armi e danaro, tanto danaro.<br />
Ne ebbe, però, poi, grandi benefici.<br />
<strong>Si</strong> inginocchiò davanti al Re. Il Re gli porse le mani<br />
per farsele baciare. Poi lo baciò sulle guance. E da quel<br />
momento Berengario fu feudatario.<br />
45
Così usavano, allora.<br />
Quindi, a vostro nonno, Dio l’abbia in gloria, venne<br />
concesso il monte ed il castello. E insieme alla moglie,<br />
che si <strong>chiama</strong>va Teresa, proprio come me, venne a viverci.<br />
Questo è successo tanto tempo fa.<br />
Era il 1325, mi sembra, o forse qualche anno dopo,<br />
abbiate pazienza, ma il tempo, gli anni, in quest’isola,<br />
hanno un senso diverso…<br />
Mi chiedete come faccio a conoscere queste cose così<br />
lontane? … Vi sembro troppo giovane per averle conosciute?<br />
… Chi me le ha raccontate?<br />
Don Luìs, mia signora, me le ha raccontate, ma anche<br />
don Ferdinando e anche il vecchio cavalier Pedro…<br />
Sapete, qui al Castello le sere d’inverno sono lunghe e<br />
noiose e vostro nonno, insieme alla sua prima consorte,<br />
Teresa di Gombau, avevano l’abitudine di raccontare<br />
quasi ogni sera, davanti a quel gran camino che c’è giù,<br />
quello più grande, con la cornice di marmo venato di<br />
rosso, tutto ciò che accadeva fuori dal castello a tutti<br />
quelli che vi abitavano.<br />
Il vecchio Berengario diceva sempre che era come<br />
innalzare altre torri. “Le torri siamo noi qui dentro,” diceva,<br />
“e siamo più forti di tutti se abbiamo un solo animo<br />
e una sola memoria.” Pare che dicesse sempre queste<br />
parole quando finiva il suo racconto della giornata e<br />
la sua sposa faceva sì con la testa. Erano un cuore e un’anima<br />
quei due, e dopo una preghiera ai Santi del cielo<br />
perché proteggessero i Carròz e gli abitanti del Castello,<br />
andavano tutti a dormire, contenti e felici della forza e<br />
della potenza del loro signore.<br />
Tutti gli altri di cui parlava, che dovevano temere i<br />
Carròz, erano davvero tutti, donna <strong>Violante</strong>: i Pisani, i<br />
Genovesi, i Feudatari vicini, gli Arborensi… Il vecchio<br />
46<br />
Berengario, dovreste già saperlo, era uomo potente e<br />
prepotente.<br />
Era riuscito, pensate, a sottrarre i villaggi di Uta e di<br />
tutto il territorio circostante, che non era poca roba, a<br />
un certo Açen.<br />
Ma questo ve lo racconto bene, perché lo abbiamo<br />
sempre trovato divertente. Che sciocco, quell’Açen…<br />
Dunque, un giorno vostro nonno, a cavallo con la sua<br />
scorta armata, si presenta a questo incapace: “Questi<br />
campi sono pietraie e i tuoi servi muoiono di fame, e tu<br />
non sei da meno di loro, vecchio Açen, guardati come<br />
sei conciato, trasandato da mattina a sera.” E quello a rispondere:<br />
“Lo so, lo so… ma vedete Carròz, c’è stata la<br />
carestia, e poi… questi servi sono dei fannulloni, sono<br />
sempre malati e quando non lo sono si trascinano senza<br />
fare nulla.” Ma vostro nonno ritto a cavallo, che non<br />
aveva da abbassarsi con uno così, lo avverte: “La carestia<br />
c’è stata anche nei miei terreni confinanti. Cosa credi<br />
che il Padreterno risparmi i Carròz e faccia piovere solo<br />
per loro? Ma i miei servi lavorano e bene, perché sono io<br />
che li guido, sei tu che sei un imbecille e un incapace. Vedrò<br />
io cosa farne di queste terre.” “Ma don Berengario,<br />
cosa dite? Cosa potete fare voi delle mie terre?” “Semplice,<br />
vecchio Açen, molto semplice… prendertele!”<br />
E così fu. Quelle terre e quei villaggi, sotto la sua mano,<br />
diventarono giardini e ricchi granai. Proprio lui, in<br />
prima persona, ne seguiva la produzione e ci sapeva fare<br />
davvero. I servi con lui non si ammalavano e, se lo erano,<br />
ammalati, della loro eterna febbre che se li rosicchiava,<br />
era più forte la paura delle scudisciate, che vostro<br />
nonno non risparmiava.<br />
Non era tenero né con servi né con vassalli. A lui<br />
interessavano soltanto quelli che vivevano al Castello.<br />
47
Ecco perché era amato dentro e odiato fuori.<br />
Un giorno raccontò come era riuscito a farla franca,<br />
pensate, perfino al Re - a voi posso dirlo - e non una volta<br />
soltanto.<br />
No, non spaventatevi, donna <strong>Violante</strong>, per carità.<br />
Non pensate che qualcuno potesse prendersi gioco del<br />
Re. Nessuno poteva farla franca al Re. A parte vostro<br />
nonno.<br />
Dovete sapere che la Corona aveva prescritto, categoricamente,<br />
che per le spedizioni delle merci doveva<br />
essere utilizzato soltanto, e dico soltanto, il porto di Cagliari.<br />
Solo così, infatti, potevano essere controllate e<br />
tassate tutte le operazioni di carico e scarico. Ma lui,<br />
macchè… diceva che dazio ne aveva già pagato abbastanza<br />
alla Corona e al Re.<br />
Ebbene, se salite sul torrione che guarda dove tramonta<br />
il sole, potete vedere quanti approdi naturali ci<br />
sono non molto lontano dalla città. Approdi non controllati,<br />
donna <strong>Violante</strong>, approdi per… contrabbandieri.<br />
Una notte, una notte, qualche spiata traditrice fece<br />
appostare guardie armate dietro i cespugli della spiaggia<br />
della Maddalena. E mentre gli uomini del vostro<br />
nonno caricavano in tutta fretta, al buio, sacchi di grano,<br />
sacchi di legumi, e perfino bestie, le guardie li acchiapparono<br />
di malo modo. I sacchi finirono in mare,<br />
le bestie chissà dove riuscirono a scappare, e tra i tafferugli<br />
uno scaricatore morì, gli altri presi e arrestati e<br />
chissà poi che fine hanno fatto. Pace all’anima loro,<br />
donna <strong>Violante</strong>.<br />
Lo stesso Berengario ebbe diffide e diffide, perfino<br />
dal Re in persona, che pure tante cose gli perdonava.<br />
Ma lui, vostro nonno, permettete, prepotente nonno,<br />
non si lasciava impaurire per così poco. “Mai un Carròz<br />
48<br />
pagherà dogana,” diceva, “la Corona ha già avuto tanto,<br />
può solo sentirsi in debito con me”. E il contrabbando<br />
continuò. Ma per poco, e non perché gli fu impedito<br />
una seconda volta, ma perché riuscì, con la sua autorità<br />
e la sua potenza, a farsi esentare da ogni dazio doganale.<br />
Lui, e solo lui, poteva utilizzare il porto di Cagliari senza<br />
pagare nulla.<br />
* * *<br />
Aveva accompagnato quell’ultima frase con un risolino<br />
complice, strizzando un occhio e rivolgendomi uno<br />
sguardo d’ intesa.<br />
Teresa era proprio compiaciuta mentre ripeteva le<br />
frasi di mio nonno, e ne aveva imitato, ogni volta, al momento<br />
opportuno, il tono brusco e autoritario.<br />
A me, invece, saliva sempre di più una brutta sensazione,<br />
come un nodo al petto. Non le restituii lo sguardo<br />
d’intesa. Non era quella l’immagine che avevo di mio<br />
nonno morente in confessione, a Barcelona.<br />
Ma quella, dopo una scrollata civettuola alla sue<br />
chiome rosse, e per niente turbata dalla mia reazione, riprese<br />
il racconto.<br />
* * *<br />
Vedete che meraviglie ci sono qua dentro? … Fregi<br />
di marmo, ornamenti di gran classe! Vostro nonno sì<br />
che aveva gusto. Amava circondarsi di cose belle. Lo diceva<br />
sempre ai suoi dentro il Castello: “La bellezza che<br />
sta intorno a noi rende più belle le persone. Sono lo<br />
specchio delle nostre ambizioni.”<br />
Chi lo direbbe, a vederlo da fuori questo Castello?<br />
49
Eppure è come lo voleva lui: uno scrigno di tesori. Ma,<br />
pensate, questi arredi, la poltrona di fine cuoio dove voi<br />
stessa siete seduta in questo momento, le belle statue che<br />
ornano tutti i corridoi del castello, quasi a farne i guardiani,<br />
sono preziosi, preziosi e sacri. Sì, donna <strong>Violante</strong>,<br />
sacri… perché erano di una chiesa della città … Il nome<br />
della chiesa? No, adesso non mi viene, ma il resto lo ricordo<br />
bene e ora ve lo racconto per benino. Scusatemi<br />
voi e mi perdoni Iddio se la storia mi fa ancora sorridere.<br />
Pare che ci sia stato un assedio vero e proprio alla<br />
città. Il male era che qualcuno potesse fare bottino sacrilego.<br />
Ma il vostro grande nonno si offrì di proteggere<br />
lui stesso tutti gli arredi sacri. Proteggere e conservare<br />
nell’unico posto sicuro di tutta l’isola: il suo castello appunto.<br />
E così furono portati, pensate, una notte, di nascosto.<br />
Lunghe file di uomini scaricarono qui tutti questi<br />
santi, e ancora ostensori d’oro, arazzi cuciti coi fili d’oro<br />
e d’argento, pale d’altare dipinte, con le vite di santi sconosciuti,<br />
ma sempre santi.<br />
Che nonno avete avuto! Diceva sempre: “Oltre il<br />
ponte un altro mondo, mondo nemico, da conquistare,<br />
da assoggettare.”<br />
Pensate che ad un certo punto - l’ingratitudine non<br />
ha proprio limiti - il Re in persona e il priore di quella<br />
chiesa, passato il pericolo, secondo loro, volevano la restituzione<br />
di tutto quel ben di Dio. San Saturnino! Ecco,<br />
così si <strong>chiama</strong>va quella chiesa: di San Saturnino. Veramente<br />
era un monastero, ma chissà poi i monaci<br />
dov’erano finiti… Comunque, il vecchio Berengario<br />
non ne volle sapere. Allora i suoi nemici, ed erano tanti,<br />
lì al castello della città, dove vi siete fermata giorni fa dopo<br />
il vostro arrivo, lo volevano mandare via da quest’i-<br />
50<br />
sola, da questo castello. Ma lui niente. Stette al suo posto,<br />
protetto dai torrioni esterni e forte delle torri interne:<br />
un solo spirito, una sola memoria! Che uomo!<br />
E infatti se siete qua, ora, col vostro titolo - ma questa<br />
è storia recente che conoscerete bene - è grazie a vostro<br />
nonno. Lui, e solo lui, volle e ottenne direttamente dal<br />
Re la successione femminile per il feudo.<br />
Alla morte della moglie adorata, che non ebbe la<br />
gioia di dargli eredi, né maschi né femmine, si risposò.<br />
La nuova sposa era la potente nobildonna catalana<br />
Gerardona di Ribelles. Vostra nonna, donna <strong>Violante</strong>.<br />
* * *<br />
Tacque la rossa Teresa. E per la prima volta da quando<br />
aveva cominciato a raccontare, si accomodò meglio<br />
sulla seggiola. Un lieve rossore le aveva acceso le guance<br />
per la foga del parlare.<br />
La grandezza di mio nonno!<br />
La guardavo confusa e incredula. Ma quelle erano<br />
gesta eroiche?<br />
E quell’Açen, umiliato e defraudato dei suoi territori,<br />
e quegli uomini morti durante le operazioni di contrabbando,<br />
e quel trasferimento di arredi sacri?<br />
No, non era proprio l’immagine che conservavo di<br />
mio nonno; e ancora meno di quello tutto umiltà che<br />
baciava il crocifisso in punto di morte.<br />
* * *<br />
– E di vostro padre? Non volete sapere di vostro padre?<br />
Teresa aveva assunto nuovamente quella posizione:<br />
51
il corpo spostato in avanti su una gamba. Pronta a scattare.<br />
Ma la mia reazione la fermò.<br />
– Ora no, Teresa, grazie, – le risposi quasi spaventata<br />
all’idea di un altro torrente di parole.<br />
E quella, certa di avermi dato sicurezza e forza, mi<br />
sorrise e con fare complice:<br />
– Una di queste sere, donna <strong>Violante</strong>, promesso, sarò<br />
di nuovo tutta per voi. Ora fate un buon riposo, è tardi.<br />
E mentre si avviava verso la porta, accompagnata<br />
da Maria, si voltò ancora una volta verso di me:<br />
– Ringraziate il Padreterno della grande fortuna che<br />
vi ha dato ad essere una Carròz.<br />
Con mano veloce sollevò il lembo della gonna e<br />
sparì nel corridoio, verso le statue dei santi.<br />
* * *<br />
La notte, dopo tutti quei racconti e tutte quelle storie,<br />
il mio cuscino fu un campo di battaglia.<br />
Non riuscivo a prendere sonno e, proprio quando<br />
sembrava che gli occhi stessero per varcare la soglia del<br />
buio totale, all’improvviso, ancora quell’immagine, il<br />
Michele arcangelo, con gli abiti da guerriero.<br />
Dalla bocca di fanciullo ancora lo stesso alito, le stesse<br />
parole che si fermavano a metà, a formare una nube<br />
sospesa, tra lui e me.<br />
Il mio cuore si arrese alla sua spada fiammeggiante<br />
e piano piano, forse già nel sonno, alle mie orecchie arrivò<br />
come un suono.<br />
Tutto è vanità. Non rimane memoria delle cose d’altri<br />
tempi; e di quel che succederà in seguito non rimarrà me-<br />
52<br />
moria fra quelli che verranno più tardi… E vanità è un<br />
male grande… è un correre dietro al vento.<br />
Per qualche giorno riuscii ad evitare l’incontro faccia<br />
faccia con Teresa. Ma non riuscii a sfuggire a Maria,<br />
che viveva praticamente nelle mie stanze, e che approfittava<br />
di ogni momento per sollecitare in modo perfino<br />
ossessivo l’incontro con quella donna.<br />
Quasi ogni sera, mentre mi aiutava a liberarmi dai<br />
miei ingombranti abiti e mentre mi spazzolava i capelli,<br />
iniziava la sua supplica:<br />
– Avete sentito, donna <strong>Violante</strong>? Eh? Che vi dicevo?<br />
È straordinaria quella Teresa. Sa il fatto suo. E poi, come<br />
racconta bene: mi sembrava di esserci anch’io, in<br />
quelle notti, intorno al grande camino di marmo. Il vostro<br />
grande nonno a raccontare… Ah! Quanto mi sarebbe<br />
piaciuto. A me, chissà perché, mi affascinano le<br />
persone che raccontano storie. Donna <strong>Violante</strong>, raccontar<br />
bene è proprio un gran dono del cielo. Io affiderei<br />
tutta la mia vita ad un uomo che sapesse narrarmi<br />
storie e avventure. E Teresa… va bene, donna <strong>Violante</strong>,<br />
lo so, quella non è un uomo, certo, però… quel tono di<br />
voce… quelle facce… sembrava di vederli quei contrabbandieri,<br />
non è vero? Donna <strong>Violante</strong> che avete?<br />
Non mi state a sentire? Vi sto forse importunando?<br />
Scusate la mia chiacchiera, ma non vedo l’ora che facciate<br />
<strong>chiama</strong>re di nuovo quella donna… non siete curiosa?<br />
Eh? Non siete curiosa neanche un po’ di conoscere<br />
le imprese e le avventure di vostro padre? Se vostro<br />
nonno era forte e bello e audace lo deve essere stato<br />
anche vostro padre, non è vero? Donna <strong>Violante</strong> che<br />
avete? Non mi state a sentire?<br />
53
2<br />
Mi si era presentato così, in una serata calda e afosa<br />
di fine giugno.<br />
In armi, in sella al suo cavallo con la gualdrappa corazzata.<br />
Dietro di lui una schiera di uomini in assetto da<br />
battaglia. Una parte soltanto di quello che era il suo vero<br />
esercito. Sembrava una compagnia di fantasmi: tutta<br />
avvolta dalla polvere e dalla terra sollevata dagli zoccoli<br />
dei cavalli.<br />
Mi si parò dinnanzi, Berengario Carròz feudatario<br />
d’Aragona capitano di guerra:<br />
– Le terre confinanti con le mie, De Açen, sono una<br />
vergogna. Gialle e aride. Piene di sterpaglie e di uomini<br />
straccioni che non sanno spostare due pietre. Sono le<br />
tue. Per ora. Guardati intorno, si vedono solo pietre e<br />
nulla più. E tu, che pensi? Che fai? Offendi il Padreterno<br />
che ti ha messo al mondo per goderne i frutti, di<br />
questa terra, e offendi il Re d’Aragona per averti dato<br />
tutto questo ben di Dio.<br />
Il tono di voce, altero e prepotente, mi avevano subito<br />
messo in allarme, e cercai di spiegare al Conte, con<br />
le buone maniere, che l’annata non era stata proprio<br />
buona, che c’era stata la carestia e che quella era stagione<br />
difficile, nella nostra isola, difficile non vedere terre<br />
55
di quel colore. Non gialle e aride, come diceva lui, ma<br />
color oro, di quel colore che la terra assume dopo la<br />
mietitura.<br />
– Quegli uomini straccioni fanno pena e il loro stesso<br />
aspetto è la tua vergogna. Attento a te, Pietro De Açen,<br />
non te le lascerò per molto tempo. Solo sotto la mia guida<br />
potrebbero davvero fruttare e con la loro rendita potrei<br />
provvedere alla completa riparazione del Castello.<br />
E se ne andò, circondato e nascosto dalla polvere<br />
della terra sollevata dagli zoccoli dei cavalli.<br />
Così avvenne quel primo incontro. Non ce ne furono<br />
molti altri fra me e lui. Ma di notte bande armate, di nascosto,<br />
mettevano sottosopra tutto ciò che trovavano. E<br />
al mattino vedevi i rari germogli morti sul nascere, arnesi<br />
da lavoro distrutti, bestie con le zampe in aria, morte<br />
stecchite, ed enormi e minacciose buche nel terreno, di<br />
quelle che si fanno per seppellirci qualche disgraziato<br />
senza Dio.<br />
Avevo cercato di spiegarglielo, con maniere buone<br />
ma decise, che gli uomini, in questa terra sono indeboliti<br />
dalla malaria, che la terra è avara, che sapevo io come<br />
governare il mio feudo e i miei territori. Ma quello,<br />
quello…<br />
– Capisco che tu difenda questa gente, è la tua stessa<br />
razza in fondo, incapace di pensare e di agire, ed evidentemente<br />
poco rispetto hanno, questi uomini, per un<br />
feudatario sardo. Sei un buono a nulla De Açen… l’ho<br />
sempre pensato.<br />
Maledetto, maledetto. “L’ho sempre pensato” aveva<br />
detto. E prima? quando la mia famiglia aveva sostenuto<br />
gli Aragonesi per la conquista della <strong>Sardegna</strong>? eh? eh?<br />
Cosa aveva pensato allora il Conte? Prepotente Berengario.<br />
Tutto mi aveva tolto, il sonno e le terre. Sì, il son-<br />
56<br />
no e le terre, ma non quello che più gli premeva, al Conte.<br />
Molte, troppe notti i suoi uomini facevano irruzione<br />
nei campi, come sciame di cavallette passavano, calpestavano,<br />
cantando parole incomprensibili e poi tornavano<br />
al galoppo verso il Castello.<br />
Tutte le terre di cui ero feudatario, feudatario sardo,<br />
erano appartenute alla mia famiglia. Mio padre, Pietro<br />
de Açen come me, nobile cittadino di Iglesias, era già<br />
proprietario di vasti latifondi e insieme a mio nonno,<br />
Gomita de Açen de Pixina, erano stati validi alleati del<br />
Re d’Aragona.<br />
Mio nonno soprattutto aveva favorito il passaggio di<br />
Iglesias agli Aragonesi, per contrastare l’avanzata dei<br />
Pisani.<br />
All’inizio grande fu la riconoscenza aragonese, e ai<br />
latifondi di antica proprietà molti altri se ne aggiunsero.<br />
Ebbero anche l’investitura feudale. Il dramma cominciò<br />
alla morte precoce di mio fratello maggiore e di mio<br />
padre. Ero rimasto soltanto io e la figlia di mio fratello,<br />
Preciosa, affidata alla mia tutela. Guai e tormenti a non<br />
finire ho dovuto passare, perfino per dimostrare la legittimità<br />
della mia discendenza. I nemici erano ovunque,<br />
parlavano pisano e catalano. <strong>Si</strong> <strong>chiama</strong>vano Donoratico<br />
e Carròz.<br />
Ciò che faceva gola a tutti gli avversari erano i villaggi<br />
di Uta Josso e Uta Susu: terra grassa, fertile e generosa.<br />
Col tempo e tanta fatica, ero comunque riuscito a<br />
mantenere tutto il patrimonio e quella, che ora faceva<br />
gola a Berengario, era come un’isola felice: le comunità<br />
di villaggio si governavano alla maniera antica, i contadini<br />
si affidavano a su majore, e onoravano e rispettavano<br />
me, il loro feudatario.<br />
Certo, spesso i raccolti non andavano molto bene, la<br />
57
siccità rendeva avara la terra e il risultato erano distese<br />
giallognole come le facce di quei contadini fiaccati dalla<br />
malaria. Ma mi onoravano e rispettavano. In fondo avevamo<br />
lo stesso colorito e sangue, che a volte faceva i capricci,<br />
il loro come il mio: la febbre della malaria non ci<br />
risparmiava e ci faceva spesso delirare e sudare e intirizzire<br />
con le sue febbri.<br />
C’era, però, nella nostra esistenza, qualcosa di dolce<br />
per tutti noi: Preciosa. La figlia che mio fratello, morendo,<br />
mi aveva affidato. Eravamo cresciuti insieme, pochi<br />
anni di differenza. Ero io, maschio adulto, ad avere la<br />
sua tutela, ma era lei che mi dava la forza. Era la sua presenza<br />
a darmi benessere. Era bella e gentile, e il suo sorriso,<br />
aperto e luminoso, era un dono per tutti.<br />
Ah! Preciosa.<br />
All’inizio io non capivo l’accanimento di Carròz e il<br />
perché di quelle devastazioni notturne. All’inizio. Poi la<br />
cosa fu chiara come la luce del sole. Le parole che quegli<br />
uomini cantavano e urlavano al cielo nero non erano incomprensibili.<br />
I contadini che, pieni di terrore, al tramonto del sole<br />
si rintanavano nelle loro case, avevano udito chiaramente<br />
cosa usciva dalle bocche degli scherani del conte.<br />
– Una parola sola era chiara come luna d’estate:<br />
“Preciosa” e l’eco “…osa” risuonava nell’aria anche dopo<br />
il passaggio degli zoccoli dei cavalli.<br />
Me lo aveva raccontato un giovane contadino, tenendo<br />
il suo copricapo tra le mani e abbassando lo<br />
sguardo e serrando la bocca con forza per non dire di<br />
più, anche dietro le mie insistenze. E non ci fu verso di<br />
fargliene uscire altre di parole da quella bocca.<br />
Un’altra volta il Conte, e poi mai più, mi si presentò<br />
davanti, in armi e con tutto il seguito.<br />
58<br />
– Occorre uno scrigno per le cose preziose. Tu non<br />
ce l’hai, de Açen. Io sì. Il mio Castello svetta su tutta la<br />
piana del Campidano. Solo lì possono essere custodite<br />
certe cose che così sono <strong>chiama</strong>te: preziose.<br />
Il sangue mi salì alla testa. I nostri sguardi si incrociarono.<br />
Il mio tagliente più che spada.<br />
Le devastazioni continuarono. Io non disponevo di<br />
un gruppo armato come il suo. Lui era potente feudatario<br />
aragonese e, nei fatti, nell’isola, più potente del Re.<br />
Concedeva asilo ai malfattori. E non poteva farlo.<br />
Non poteva imporre tributi. E lo faceva.<br />
Gli amministratori reali erano impotenti con lui. Lui<br />
era un Carròz e al Re questo bastava.<br />
Me le prese quelle terre, pezzo dopo pezzo, un villaggio<br />
dopo l’altro. Tutto fu dei Carròz. I vassalli sottoposti<br />
a duro governo e i contadini a pesante sfruttamento.<br />
Tutto mi ha tolto, il sonno e le terre. Ma Preciosa no.<br />
Preciosa aveva tolto il sonno a lui.<br />
Prepotente Berengario. Maledetto Berengario.<br />
59
Non riuscii a sottrarmi al nuovo racconto.<br />
Teresa si presentò alcuni giorni dopo, con reverenza<br />
e cautela, nei miei appartamenti.<br />
Per prima mise dentro la testa e poi si fece avanti<br />
con tutta la sua figura. Portava anche quel giorno un<br />
bell’abito ampio e con le balze, sempre di colore scuro.<br />
Mi sorrise timidamente, come aspettando il mio di sorriso,<br />
prima di aprire completamente il suo.<br />
La accontentai.<br />
Il suo sguardo bonario mi ringraziò.<br />
Ancora una volta, esattamente come la precedente,<br />
spostando con mano veloce la balza della gonna, si accomodò<br />
nella poltrona di cuoio che stava proprio di<br />
fronte a me. Ma come la prima volta non era accomodata<br />
del tutto. Neanche per un momento, durante il suo<br />
racconto, si rilassò completamente. Mi guardava, mentre<br />
parlava, a scrutarmi occhi e anima.<br />
Altra storia, altro veleno.<br />
Questa volta più amaro. Argomento del narrare: le<br />
imprese di mio padre, Berengario II.<br />
3<br />
* * *<br />
61
Vostro padre, donna <strong>Violante</strong>, vostro padre imparò<br />
fin da giovanissimo a lottare per tutto e contro tutti.<br />
L’isola in quegli anni sembrava un inferno: guerre<br />
continue fra Genovesi e Aragonesi, carestie, pestilenza,<br />
disperazione ovunque.<br />
Sembrava che il Padreterno si fosse dimenticato del<br />
tutto di questa terra. Che dico, dimenticato? Di più:<br />
che fosse proprio adirato con questo posto e con tutti<br />
quelli che lo abitavano. I servi si ribellavano ai padroni,<br />
i sudditi non riconoscevano nessuna autorità, le campagne<br />
erano popolate da pezzenti e da banditi.<br />
In quella parte di campagna che si <strong>chiama</strong> Decimo,<br />
una sera, sul far del tramonto, una piccola guarnigione<br />
di soldati catalani tornava da una missione. Saranno<br />
stati sette-otto uomini a cavallo, tutti bardati di elmi ed<br />
armature, uomini duri, di quelli abituati a non aver<br />
paura se non del demonio in persona. Di quelli abituati<br />
a combattere fino all’ultimo sangue, e che questa terra<br />
la conoscevano bene perché aveva già messo a dura<br />
prova la loro forza e la loro resistenza.<br />
Ebbene, proprio sul far del tramonto, così ancora<br />
raccontano, da un piccola collinetta con quattro ciuffi<br />
d’erba rinsecchita escono due o tre uomini, brutti, scuri<br />
di pelle, con barbacce ispide, con gambali di orbace e<br />
armati, pare, solo di forconi e bastoni nodosi. Volevate<br />
mettere con la bella armatura dei soldati catalani? Volevate<br />
mettere con le loro spade acuminate? A nulla erano<br />
servite tutte quelle cose. Avevano teso un agguato<br />
bello e buono ai cavalli, soffiando, pare, dentro una<br />
specie di corno che emetteva un suono che i soldati non<br />
udivano in modo particolare, ma i cavalli sì e molto bene,<br />
anzi troppo, perché… cosa succede?… si spaventano,<br />
si imbizzarriscono, scaraventano quei giovani forti<br />
62<br />
dalle loro selle e scappano come punti da chissà cosa.<br />
Impazziti, i cavalli sembravano impazziti.<br />
A quel punto quei sardacci, piccoli ma veloci, saltano<br />
addosso ai soldati, fregandosene delle spade che quelli<br />
avevano già sguainato, gli piombano addosso e… donna<br />
<strong>Violante</strong>, non si sa come, forse aiutati dal demonio, li<br />
spogliano, in men che non si dica, di tutto, della spada,<br />
dell’armatura, dell’elmo. Coi tridenti e coi bastoni gli<br />
lacerano le carni e gli spaccano le teste. Non si spaventi,<br />
donna <strong>Violante</strong>, non so se ve lo devo dire nei particolari,<br />
ma quei soldati sono stati ritrovati: nudi, senza nulla<br />
a coprire le loro vergogne, e senza testa. Mai le teste furono<br />
ritrovate. Dicono, dicono, che le hanno date in<br />
pasto ai maiali.<br />
Soltanto uno di loro riuscì a scamparla.<br />
<strong>Si</strong> era nascosto, solo Dio sa come, dietro quella collinetta<br />
spelacchiata da cui erano sbucati i diavoli sardi<br />
poco prima. È grazie a lui, al suo racconto, che si è scoperta<br />
la faccenda. Ma poi, sapete, si racconta che quell’unico<br />
sopravvissuto, di lì a pochi giorni sia morto,<br />
morto per lo spavento. Pensate, un soldato del Re, abituato<br />
a battaglie e a ben altro…<br />
Ah! Donna <strong>Violante</strong>… è terra pericolosa questa. E<br />
la terra pareva rispondere a tutte queste prepotenze:<br />
non dava più grano, né frutti, niente di niente, come se<br />
temesse quelle orde di senza Dio.<br />
Ma il pericolo più temuto erano i Genovesi. Fu allora<br />
che vostro padre si fece valere. Con l’approvazione<br />
del Re, Pietro IV, affronta in battaglia i Genovesi.<br />
Ne esce vincitore. Viene fatto capitano di guerra e riesce<br />
a fermare perfino le truppe giudicali di Mariano<br />
d’Arborea alle porte di Cagliari. La città è stata salvata<br />
proprio da lui, donna <strong>Violante</strong>. È da questo castello,<br />
63
dall’alto di questa piccola rocca, che organizzava tutto…<br />
… Se ne sono certa? Ancora mi chiedete come faccio<br />
a sapere tutte queste cose?<br />
La consuetudine del raccontare le imprese dei<br />
Carròz ha continuato ad esistere in questo castello, anche<br />
dopo la partenza del vecchio, e così il Castellano, o<br />
il vostro stesso padre, amavano farlo la sera, in genere<br />
al sabato, dopo le preghiere dell’Ave Maria. Ora a voi<br />
toccherà raccontare la forza e la potenza dei Carròz.<br />
* * *<br />
Sembravano proprio soddisfatte. Maria si era accomodata,<br />
esattamente come la volta precedente, quasi ai<br />
piedi di Teresa. Copriva del tutto con la sua lunga gonna<br />
un panchetto senza schienale, scomodo sedile, ma la<br />
sua personcina era ritta e tenuta più ritta dall’attenzione<br />
spasmodica con cui beveva ogni singola parola di<br />
quella donna. La guardava con occhi sognanti, e ad<br />
ogni passaggio crudo commentava l’ascolto con espressioni<br />
contratte del volto.<br />
Teresa ne scrutava la faccia con la coda dell’occhio,<br />
senza mai smettere di osservare contemporaneamente<br />
la mia reazione. Teneva perfettamente alta l’attenzione<br />
del suo piccolo pubblico. Una che sapeva raccontare:<br />
aveva ragione Maria.<br />
* * *<br />
Fu allora, era intorno al 1350, che Berengario, vostro<br />
padre, ebbe il castello e il salto di Quirra.<br />
Pensate, da qui a quelle terre lontane, un postaccio<br />
64<br />
Quirra, un avamposto militare a oriente, tutto suo, tutto<br />
sotto il suo comando.<br />
Dovete sapere che quelli erano anni davvero difficili,<br />
per tutti.<br />
La peste, mandata da Nostro <strong>Si</strong>gnore per punire i<br />
malvagi, aveva praticamente spopolato tutta la Baronia<br />
di San Michele: non c’erano più braccia per lavorare,<br />
per i commerci, per niente.<br />
I vecchi servi ne parlano ancora oggi di quel periodo.<br />
La gente malata diventava gonfia e orrida prima di<br />
morire. Raccontano che le facce di quegli appestati si<br />
facevano nere, gli occhi non si vedevano più da quanto<br />
erano chiusi per il gonfiore. E poi morivano, come mosche<br />
quando viene l’inverno. E ne morirono tanti, tanti<br />
che non si potevano contare. E allora li ammucchiavano<br />
tutti insieme e li buttavano nei pozzi, chiudendoli<br />
per sempre. Per fortuna ad un certo punto il Padreterno<br />
ebbe misericordia degli uomini e tutto cessò. Ma i<br />
campi erano ormai ridotti a sterpaglie, non si trovava<br />
un contadino vivo neanche a cercarlo sotto le pietre.<br />
Tutto intorno al Castello era distruzione e solitudine.<br />
E lui, Berengario II, vostro padre, prese una decisione:<br />
fece circolare la voce che la Baronia di San Michele<br />
era aperta a tutti.<br />
Chiunque poteva avere asilo, alloggio e cibo.<br />
Chiunque, da qualunque parte dell’isola venisse. Voleva<br />
uomini, uomini e donne, che ripopolassero le terre<br />
e i campi.<br />
Dovete sapere, donna <strong>Violante</strong>, che il Castello godeva<br />
del diritto di immunità. Il Conte poteva accordare<br />
protezione a tutti. Chi si metteva alle sue dipendenze<br />
era, come dire?, salvo. Le guardie del Re non potevano<br />
torcergli più neanche un capello, anche se…<br />
65
Non era facile controllare o conoscere la condotta di<br />
tutti quelli che arrivavano qui, non si poteva sapere<br />
neanche da dove arrivassero.<br />
Spesso scoppiavano risse, tra quegli uomini, ma il<br />
Conte Berengario era stato molto chiaro con loro: che<br />
risolvessero tra loro certe cose, purché nessun cadavere<br />
di morto ammazzato gli intralciasse il cammino.<br />
Nei loro affari il Conte non si immischiava né gliene<br />
importava. Solo una cosa era richiesta, che sgobbassero<br />
da mattina a sera per far rifiorire la terra intorno al Castello.<br />
Beh, sapete donna <strong>Violante</strong>?, tutti erano a conoscenza<br />
che quella gentaglia sapeva maneggiare il coltello<br />
come niente, tutti sapevano che il rigoglio dei campi<br />
forse aveva qualcosa a che vedere con chissà quanti cadaveri<br />
fatti sparire nottetempo sottoterra, che facevano<br />
concime, ma una cosa è certa: i campi tornarono rigogliosi<br />
e c’era grano e bestie per tutti.<br />
Certamente gli invidiosi, quelli del Castello di Cagliari,<br />
lo accusarono di proteggere gentaglia e delinquenti.<br />
Dal Castello di Cagliari, quello dove ora, permettete,<br />
ammuffiscono don Paolo e don Federico, mandavano<br />
messaggi al re: “Berengario è protettore di banditi”,<br />
dicevano.<br />
Ma il re tutto gli perdonava e lui continuò nella sua<br />
opera, senza mai fermarsi davanti a nulla e a nessuno.<br />
Vostro padre divenne così ricco e potente che mise a<br />
disposizione beni e uomini per restaurare le mura di<br />
Cagliari. E anche qui le malelingue… “per farsi perdonare…”<br />
dicevano.<br />
E il re lo fece Conte di Quirra, che è anche il titolo<br />
che avete voi, donna <strong>Violante</strong>. <strong>Si</strong>atene fiera.<br />
66<br />
* * *<br />
Faticavo a pensare mio padre così valente come lo<br />
descriveva questa donna, anche perché perfino alla<br />
corte della regina <strong>Si</strong>billa era arrivata qualche voce.<br />
Una volta mi era capitato di sentire mio malgrado<br />
una conversazione.<br />
<strong>Si</strong> aspettava l’ora della preghiera dell’Ave Maria,<br />
quando donna Carmelita de Jerez, già col messale tra le<br />
mani e ignara della mia presenza alle sue spalle, si girò<br />
verso la sua dama preferita, donna Inés e a mezza voce:<br />
– Non ditemi che sono maliziosa quando parlo di<br />
quella donna <strong>Violante</strong>, ma sembra che voglia davvero<br />
essere sempre al centro delle chiacchiere. Oh! lei questa<br />
volta, a dire il vero, non c’entra proprio per niente.<br />
Ma da quando circola voce che deve andarsene in quell’isola<br />
dei Sardi, a fare la grande contessa, ho preso<br />
qualche informazione…<br />
– Informazioni? E di che genere? – Chiedeva a mezza<br />
bocca donna Inés. – Su chi e che cosa, Donna Carmelita?<br />
– Su come si vive in quel posto… hanno detto che<br />
suo padre, Berengario II, facesse vita dissoluta, perché<br />
lì è così, è gente senza Dio, ladri e malfattori… tutti, e<br />
Berengario, sì, proprio, anche lui, si è immischiato con<br />
quella gentaglia… se li è messi dentro il suo castello,<br />
quei banditi… così ho sentito da uomini vicini al Re, e<br />
lui è diventato proprio un protettore di banditi.<br />
– Fatemi fare il segno della croce, donna Carmelita,<br />
per carità… e quella figlia sua… in fondo sarà come<br />
suo padre. Andare tra i lupi, che vanità, che vanità…<br />
Che dame quelle dame, alla corte della Regina!<br />
E ora questa Teresa mi ripeteva quella frase, “pro-<br />
67
tettore di banditi”, che mi ossessionava e mi martellava<br />
nella testa.<br />
– Ancora fino alla sua morte continuò a combattere<br />
e combattere.<br />
– Ma, scusatemi, Teresa se interrompo il vostro discorso,<br />
ma io, vedete, non ho mai saputo come è morto<br />
mio padre e anche mio nonno si è sempre rifiutato di<br />
parlarmene. Ma almeno questo vorrei sapere: se è morto<br />
in grazia di Dio, sul suo letto, oppure in battaglia.<br />
Senz’altro saprete qualcosa a tale riguardo.<br />
Teresa cambiò posizione sulla poltrona, e lievemente<br />
agitata non riusciva più a trovare una postura che le<br />
sembrasse comoda: ora sbilanciata sulla gamba destra,<br />
ora sull’altra. Tentò perfino di appoggiare le spalle per<br />
rilassarsi, ma niente, non riusciva.<br />
Dopo una pausa, disse strascicando le parole come<br />
per prendere tempo:<br />
– Come è morto? Come è morto Berengario II?<br />
– Sì, – dissi io, – mio padre.<br />
– Donna <strong>Violante</strong>, è passato del tempo, le voci non<br />
sono mai sicure. Per certo so soltanto che tante donne<br />
vestite di nero sono accorse dai villaggi che stanno ai<br />
piedi del Castello, di quell’avamposto lì, a Quirra, e<br />
hanno pianto notti e notti per lui. Ne hanno cantato lodi<br />
quelle donne… saranno state senz’altro sincere in<br />
tutto quel loro urlare, non vi pare? Dicono che a vostro<br />
padre le donne piacessero tanto… Ma, insomma… don<br />
Luìs, questo, qui al Castello, di come è morto vostro<br />
padre e che cosa lo abbia riportato al Padreterno, non<br />
lo ha mai raccontato. Ma come dubitare che non sia<br />
morto nella grazia del <strong>Si</strong>gnore? Quando mai! Un nobile<br />
così importante, senz’altro il nostro Dio, che è grande<br />
e misericordioso, l’avrà accolto a braccia aperte, e<br />
68<br />
anche tutti gli angeli del cielo. State tranquilla, che domande<br />
fate…<br />
Alla mia espressione di delusione non diede alcuna<br />
importanza e continuò:<br />
– Il pericolo più grande veniva e viene tuttora dal<br />
Giudicato d’Arborea, che ha i territori confinanti con i<br />
vostri. State accorta donna <strong>Violante</strong>, a quella Eleonora.<br />
Ma anche lì, a Quirra dove dovrete recarvi, la situazione<br />
un tempo era incandescente. Nessuno controllava<br />
niente. Il castello sta su una rocca, pare in posizione<br />
strategica, per controllare gli assalti dei Saraceni. È un<br />
posto molto lontano, si devono attraversare valichi e<br />
montagne, guadare fiumi e affrontare bestie feroci. Ebbene,<br />
quel castello fu assediato ripetutamente e i pastori,<br />
anziché badare alle pecore, che sarebbe il loro primo<br />
dovere, sapevano fare solo bardane e scorrerie banditesche.<br />
Ma quando venne affidato al Conte vostro padre,<br />
allora le cose cambiarono. I Catalani, il comando, ce lo<br />
hanno nel sangue e il Padreterno è dalla loro parte. Solo<br />
il Conte riusciva a tenere buona quella gente, non so<br />
proprio come ci riuscisse, fatto è che non lo combattevano<br />
a viso aperto, quei vili miserabili e selvaggi senza<br />
Dio. Lui si intendeva anche con quelli: gentaglia, sardacci,<br />
cara la mia signora, tenetevene lontana. Ed ora il<br />
feudo di Quirra è tutto vostro. A voi continuare la tradizione.<br />
Tenete alta la potenza dei Carròz.<br />
Tacque Teresa e mi guardò, scrutandomi gli occhi e<br />
l’anima.<br />
* * *<br />
Quella fu l’ultima volta che sentii i racconti di Teresa.<br />
69
Non diedi più retta a Maria, che insisteva petulante<br />
perché ascoltassi ancora quelle storie. Mi martellavano<br />
le tempie: alta la tradizione? Io? Quale tradizione? Di<br />
contrabbando? Di ruberie alle chiese? di protezione ai<br />
banditi? Che cosa aveva in testa quella donna?<br />
– Donna <strong>Violante</strong>, che belle serate passavamo quando<br />
veniva Teresa a fare tutti quei racconti. Vedete? Vi<br />
state intristendo anche voi qui, non volete uscire, non<br />
volete andare al Castello di Cagliari, non volete fare<br />
niente. Teresa mi ha confidato che al Castello della<br />
Città chiedono ogni giorno di voi, tutti, soprattutto<br />
due nobiluomini, credo che si chiamino don Paolo e<br />
don Federico, vogliono invitarvi a colloquio, a raccontarvi<br />
tutto quello che dovete sapere per il vostro alto<br />
compito. Donna <strong>Violante</strong>, cosa pensate di fare?<br />
E io non rispondevo.<br />
E io avevo angoscia.<br />
E io non sapevo proprio cosa c’era da fare.<br />
Il guerriero Michele, l’arcangelo dalle ali d’oro, quella<br />
notte, nel mio agitato dormiveglia, rivolgeva la spada<br />
sguainata verso un sole luminoso, lontano lontano,<br />
e dalle sue labbra parole nitide e chiare arrivavano alle<br />
mie orecchie:<br />
Là, dove sorge il sole… quella è la tua meta, quella è<br />
la salvezza per chi non sa esser protettor di banditi.<br />
Al mattino, al risveglio, tutto mi era chiaro.<br />
Sapevo dove scappare.<br />
Lì, a Quirra.<br />
Su una grande carrozza, Maria fu la prima a partire.<br />
Maria, confusa tra le casse e i bagagli. Don Luìs dava<br />
70<br />
ordini precisi alle guardie. Che tenessero occhi aperti<br />
per i briganti, che curassero le casse. Per la protezione<br />
di Maria non diede alcuna raccomandazione.<br />
Alcuni giorni dopo era pronta anche la mia carrozza.<br />
Don Luìs, seguito sempre da Teresa, camminava<br />
nervosamente avanti e indietro. Un attimo spariva alla<br />
mia vista e un attimo dopo me lo ritrovavo davanti.<br />
Tutto il tempo, anche se breve, che ero rimasta lì,<br />
aveva trovato mille pretesti per evitare che uscissi. Una<br />
volta avevo manifestato il desiderio di curiosare per le<br />
terre e i villaggi intorno. La faccia si era contratta in<br />
una smorfia e “state certa, una bella mattina di queste<br />
organizzeremo una visita per i villaggi. Tutto, però, deve<br />
essere preparato per il meglio, per la vostra sicurezza.<br />
State certa, sarete accontentata.”<br />
Quella “bella mattina” non arrivò mai.<br />
Mi ritornavano alla memoria parole di Teresa a proposito<br />
di mio padre “amato dentro, odiato fuori”.<br />
Don Luìs aveva paura. Lui era il Castellano e quindi<br />
responsabile del castello e in quella situazione, della<br />
mia persona.<br />
Quando gli comunicai la decisione di partire per<br />
Quirra non mi si staccò più di dosso, che c’erano pericoli,<br />
che non era opportuno, che là non avrei trovato<br />
sicurezza…<br />
Fino all’ultimo.<br />
Ma la spada dell’arcangelo Michele era stata, ogni<br />
notte di più, più convincente di qualsiasi don Luìs e<br />
della rossa Teresa che, dopo la partenza di Maria era<br />
diventata perfino invadente ed opprimente… a reggermi<br />
le gonne, a spostarmi il velo dal viso, ad aiutarmi a<br />
togliermi gli abiti.<br />
Anche la mia carrozza, infine, fu approntata.<br />
71
Mentre, attento, mi aiutava a salire, don Luìs mi<br />
sussurrò, indicando lo stemma della mia casata: – Questo<br />
dovrebbe bastare a tenervi lontana dai pericoli del<br />
cammino.<br />
Lo stemma d’Aragona e dei Carròz era ovunque:<br />
sulle gualdrappe dei cavalli, sui tendaggi, sulle divise<br />
dei postiglioni.<br />
E si partì.<br />
Adiòs Callèr: cielo di stelle e profumo di mare.<br />
72<br />
4<br />
Da sempre affascinato dal fulgore delle armi,<br />
Ramòn Muntaner era stato, durante la sua vita, nell’ordine:<br />
paggio di Pietro III d’Aragona, cavaliere, consigliere,<br />
camerlengo di corte, luogotenente, e ancora amministratore,<br />
capitano, inviato speciale, ma non basta,<br />
anche armatore e, quel che più importa, testimone<br />
oculare, anche se proprio oculare non sempre, di tanti<br />
avvenimenti che avevano fatto la gloria della Corona<br />
aragonese.<br />
Ciò che non aveva visto coi propri occhi lo aveva<br />
udito dalle bocche dei marinai, importante anche se<br />
spesso menzognera fonte di informazione. Ma, per un<br />
uomo come Ramòn che era stato lui stesso lupo di mare<br />
e di tempeste, bastava perché quei racconti fossero veritieri.<br />
È la notte del 15 maggio del 1350.<br />
– Alzati Ramòn, – gli ha ordinato in sogno un vecchio<br />
vestito di bianco con una lunga barba bianca e autorevole.<br />
– Alzati, Ramòn e scrivi. Racconta i grandi avvenimenti<br />
meravigliosi dei quali sei stato testimone, che<br />
Dio ha determinato nelle guerre alle quali hai parteci-<br />
73
pato, e che Dio stesso desidera che tu manifesti. – Così<br />
gli ha intimato quel vecchio, quella notte, nella sua<br />
casa di campagna nella fertile Valenza.<br />
E Ramòn, vecchio pure lui, già sul quindicesimo lustro,<br />
si mette seduto al suo scrittoio, chino sulla carta illuminata<br />
dalla luce fioca di una grossa candela, impugna<br />
la penna e comincia a scrivere. Il suo volto è privo<br />
di barba. In testa porta una specie di berretta catalana<br />
che gli copre solo in parte la fronte, ampia per la calvizie<br />
avanzata. E racconta. Comincia a raccontare, a esaltare<br />
il ruolo della dinastia aragonese nella realizzazione<br />
degli alti disegni divini.<br />
Per prima cosa Ramòn Muntaner espone i consigli<br />
che lui stesso, in prima persona, aveva avuto l’ardire di<br />
dare all’Infante Alfonso:<br />
«Dunque <strong>Si</strong>gnore, quando arriverete in <strong>Sardegna</strong>,<br />
nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, andate<br />
a Cagliari via terra, e distruggete ville,castelli e<br />
borghi, se non vi ubbidiranno. E chi? Chi di quelli che<br />
saranno dentro Cagliari, di Pisani e Sardi, nel cuore<br />
non sentirà paura, quando sbarcherà il valoroso ammiraglio<br />
don Carròz, che vi condurrà tanti arditi catalani<br />
percorrendo le strade del mare?»<br />
Questo, per prima cosa, scrive don Ramòn: per il signor<br />
Re d’Aragona e il signor Infante don Alfonso.<br />
E poi le grandi gesta nell’isola di <strong>Sardegna</strong>…<br />
«Lungo assedio al Castello di Cagliari, abitato dai<br />
Pisani, posero il signor Infante insieme all’ammiraglio<br />
Carròz, che è tra i migliori cavalieri del mondo.<br />
L’ammiraglio, in testa ai suoi fanti, disarcionò cava-<br />
74<br />
lieri, colpì con le lance, vibrò colpi, i più terribili del<br />
mondo, con le mazze. Colpì uomini a cavallo e a piedi.<br />
Ne ammazzò ben settecento, di uomini a cavallo e tremila<br />
fanti.<br />
Ma, por la gracia de Diòs, degli uomini dell’ammiraglio,<br />
a cavallo o a piedi, non ne morirono più di venti.<br />
I Pisani furono costretti, quindi a firmare una pace<br />
con i nuovi arrivati, i grandi D’Aragona.<br />
Il re, quindi poté affidare al nobile don Berengario<br />
Carròz, figlio dell’ammiraglio, tutta quella contrada, e<br />
poté fare ritorno in Catalogna sano, allegro e con grande<br />
onore.<br />
Ma la pace non durò a lungo.»<br />
Ramòn, chino sulla carta, illuminata dalla luce fioca<br />
di una grossa candela, fa scorrere l’inchiostro, senza mai<br />
stancarsi, tanto è vivo ancora nelle sue orecchie l’ordine<br />
del vecchio vestito di bianco con la lunga barba bianca e<br />
autorevole.<br />
«Ancora battaglie cruente ci furono, e tante.<br />
Che vi dirò? Che le bandiere del nobile don Carròz<br />
entrarono nei quartieri della città di Cagliari, e allora<br />
avreste potuto vedere una battaglia crudele e sanguinaria.<br />
I Pisani, che ancora stavano nel Castello, e i Sardi,<br />
che stavano nei quartieri intorno, ci misero grande impegno,<br />
per il gran dolore che provavano per le mogli e i<br />
figli che vedevano morire e si impegnarono nella lotta,<br />
ma nostro <strong>Si</strong>gnore vero Dio li volle punire per la loro<br />
malvagità, tanto che nessuno restò in vita, né delle loro<br />
donne né dei loro figli.<br />
Quando i Catalani ebbero ucciso tutti, si dedicarono<br />
75
al saccheggio di un’infinità di beni e di cose. E quelli che<br />
avevano combattuto guadagnarono tanto che diventarono<br />
ricchi per sempre.<br />
Dormirono sonni beati quella notte, i guerrieri, e soprattutto<br />
il nobile don Carròz, Berengario I.<br />
E soltanto il giorno dopo ritornarono nel teatro che<br />
li aveva visti eroi e vittoriosi e distrussero le mura e le case<br />
e rasero tutto al suolo.»<br />
Continua pieno di fervore il vecchio Ramòn la sua<br />
storia di gesta, senza sentire la stanchezza perché sa che<br />
è Dio a volere il giusto racconto.<br />
«Così signori, che leggerete questa storia, elevate il<br />
vostro cuore al potere di Dio, poiché vedete chiaramente<br />
quale vendetta nostro <strong>Si</strong>gnore vero Dio ha messo in<br />
atto contro i Pisani del Castello di Cagliari che con<br />
slealtà riaccesero la guerra contro il <strong>Si</strong>gnor Re d’Aragona,<br />
che, per pietà e generosamente, aveva fatto pace con<br />
loro, e ancora quale vendetta ha messo in atto contro i<br />
Sardi dei quartieri della città che sono la gente più malvagia<br />
del mondo e i peggiori peccatori, per orgoglio, superbia<br />
e lussuria.<br />
Fu così che il Lunedì, nono giorno di giugno, dell’anno<br />
1326, i Pisani consegnarono il Castello di Cagliari<br />
al <strong>Si</strong>gnor Re d’Aragona, e, per lui, al nobile don Berengario<br />
Carròz e agli altri che entrarono nel Castello di<br />
Cagliari con ben 400 cavalieri armati e con ben1200 valletti,<br />
tutti catalani.<br />
Ed entrarono per la porta di San Pancrazio, e i Pisani<br />
uscirono per la Porta del Mare e si imbarcarono su<br />
quattro taride e su una nave che li riportò a Pisa.<br />
E quando questi ufficiali e il nobile don Berengario I<br />
76<br />
Carròz e la compagnia entrarono a Cagliari, alzarono<br />
sulla torre di San Pancrazio un grande stendardo del <strong>Si</strong>gnor<br />
Re e poi, in ciascuna delle altre torri, altri stendardi<br />
e molte bandiere reali minori.<br />
E per grazia di Dio, mentre le bandiere e i pennoni si<br />
alzarono sulle torri, non c’era vento, ma, appena furono<br />
issate, giunse un vento di garbino, il più bello del mondo,<br />
che dispiegò tutte le bandiere e i pennoni.<br />
E sembrava che il cielo si unisse alla terra.<br />
E così gli ufficiali del <strong>Si</strong>gnor Re e il nobile don Berengario<br />
Carròz sistemarono bene il Castello, con molta<br />
buona gente di parata, cioè di lignaggio, per servire Dio<br />
per sempre.<br />
E finalmente i Sardi trovarono e troveranno lì, e soltanto<br />
lì, verità e giustizia, in modo che la casa d’Aragona<br />
e tutta la Catalogna ne riceverà onore e gloria.»<br />
Così Ramòn Muntaner, a cui Dio aveva riservato un<br />
destino invidiabile, facendogli trovare scampo, tra impegni<br />
di terra e di mare, per ben “trenta dues batalles”,<br />
raccontò e raccontò, fino a quando quel buon vero Dio<br />
e <strong>Si</strong>gnore, che tanto invocava, gli fece cadere la penna<br />
dalla mano e gli aprì le porte dell’aldilà.<br />
Non fece quindi in tempo, il vecchio Ramòn a spendere<br />
una parola di onore e gloria su colei cui toccò, alla<br />
fine del secolo, tutta quella favolosa eredità. Colei cui<br />
toccò il titolo di Contessa del più grande feudo della<br />
<strong>Sardegna</strong> e che poco sapeva…<br />
77
Le ultime case dell’abitato erano soltanto una sagoma<br />
lontana, e la campagna con tutta la sua solitudine si<br />
apriva al nostro passaggio quando la carrozza rallentò<br />
all’improvviso cambiando l’andatura fino a quel momento<br />
regolare e monotona.<br />
– Via, via da qui, lontano dai cavalli se non cerchi la<br />
sventura.<br />
Il tono aspro e brusco del conducente mi allarmò un<br />
poco.<br />
– Vattene straccione, se non vuoi assaggiare la frusta.<br />
Scostai appena le tendine… quasi di fronte due occhi<br />
enormi, interrogativi, incrociarono i miei.<br />
Occhi nocciola di cerbiatto spaventato su un volto<br />
smagrito. Aveva in mano un bastone nodoso, per appoggio.<br />
Un vecchio. Solo. Sullo sfondo, fitta vegetazione.<br />
La mia curiosità ordinò alle guardie di fermarsi.<br />
– Straccioni, nient’altro che Sardi straccioni. – Rispose<br />
il postiglione a mia custodia.<br />
Nella mia mente “banditi e gente malvagia” e ancora<br />
“gentaglia, selvaggi” prendevano forma e un brivido<br />
mi percorse la schiena.<br />
5<br />
79
La carrozza, intanto, si era fermata al mio comando.<br />
Pur continuando a restare seminascosta dietro la pesante<br />
tenda dell’abitacolo, inclinai la testa per vedere<br />
meglio.<br />
Quegli occhi non avevano timore. Mi guardarono<br />
fisso.<br />
– Eccovi, dunque. Bene arrivata in questa terra, contessa,<br />
oh! È terra di miseria e di miseri, ma vi accoglierà<br />
festante.<br />
La guardia a cavallo gli stava quasi alle costole, spada<br />
sguainata, ad anticipare pericoli.<br />
– Chi siete? – chiesi incoraggiandolo.<br />
– Chi sono? e chi lo sa? Solo i miei stracci dicono chi<br />
sono adesso.<br />
Continuava a farfugliare…<br />
– Tutto gli fu tolto. Tutto. Ed io, io ho preferito le ortiche<br />
della campagna per il mio stomaco.<br />
– Ma cosa dite? Di chi parlate? Non fatemi perdere<br />
tempo e pazienza.<br />
– L’antica prepotenza vi peserà sulla testa e sull’anima.<br />
E il peso delle colpe, – continuò sollevando il bastone<br />
nodoso a indicare lo stemma delle tende, – sarà<br />
quanto quello del vostro nome. Contessa.<br />
La guardia gli assestò, con la lama di piatto, un colpo<br />
di spada in pieno petto.<br />
La carrozza ripartì, ma quello continuava, la voce<br />
sempre più flebile:<br />
– …al povero de Açen… Contessa.<br />
Ancora quel nome… e poi quel Contessa detto così,<br />
gridato in un modo… arrivò duro alle mie orecchie.<br />
Il tempo di un respiro…<br />
Sporgo la testa indietro, a guardare…<br />
Alle mie spalle, un bastone nodoso a pezzi e un vec-<br />
80<br />
chio gettato su una strada polverosa che chissà quando<br />
finiva.<br />
Attraverso la fessura della tenda non vedevo più<br />
nessuno, né occhi enormi, né volto di vecchio scavato e<br />
smagrito. Solo i cespugli della vegetazione.<br />
La carrozza riprese la sua andatura regolare. Ora penetrava<br />
tra boschi e boschi di leccio, attraverso un percorso<br />
generoso, non certo di comodità, ma di nuovi<br />
profumi, essenze forti di fiori che solo piante e cespugli<br />
abituati ad avere poca acqua sanno dare.<br />
Non conoscevo i nomi di quelle erbe, ma, annusando<br />
l’aria in continuazione, avevo imparato, per distrarmi,<br />
e per scacciare i nodi di quel bastone, a distinguerle<br />
l’una dall’altra: le più dolciastre da quelle più asprigne,<br />
le più delicate da quelle decisamente forti che si imponevano<br />
prepotentemente su tutti gli altri odori.<br />
E poi la polvere, tanta polvere, che penetrava dappertutto,<br />
che imbiancava le criniere dei cavalli, le divise<br />
delle scorte: i postiglioni sembravano bianchi cavalieri<br />
usciti da un mondo irreale, lo stemma delle gualdrappe<br />
sbiadito.<br />
<strong>Si</strong> procedeva lentamente tra scossoni e pietre e gole<br />
paurose e soste per cambiare i cavalli, e soddisfare altre<br />
necessità… chissà per quanto tempo.<br />
Carrozza e cavalli, così, mi portarono alla mia mèta:<br />
al Castello di Quirra, dominante su buona parte delle<br />
terre orientali dell’isola.<br />
Sul cocuzzolo di una collina, sembrava più a contatto<br />
col cielo che con le terre che erano a valle.<br />
Il castello di Quirra: mi bastò un attimo per sentire<br />
che da lì non sarei mai più tornata.<br />
81
È il 1386.<br />
Donna <strong>Violante</strong> Carròz arriva al Castello di Quirra.<br />
La nuova feudataria. Donna. E senza spada.<br />
Ad accoglierla, funzionari e castellano.<br />
La folla è un coro di evviva. Tutti si mostrano compiaciuti<br />
ed entusiasti, colpiti dalla giovane età della<br />
nuova <strong>Si</strong>gnora.<br />
– Benvenuta al castello, donna <strong>Violante</strong>, – risuona<br />
tutto intorno.<br />
E lei, timida ed impaurita, ma soprattutto stanca,<br />
molto stanca, sa dire soltanto:<br />
– La strada è lunga e faticosa per arrivare a questo<br />
nido d’aquile.<br />
– Le aquile hanno lunga vista, mia <strong>Si</strong>gnora, – la<br />
conforta il castellano don Ignacio, – e da qui si può vedere<br />
il mare, e le golette dei Saraceni, e lì i monti, ed oltre<br />
essi il Giudicato d’Arborea, dov’è padrona la giudicessa<br />
Eleonora, la terribile Eleonora.<br />
– Questa terra non è ricca, ma vicino al mare vi sono<br />
stagni, donna <strong>Violante</strong>, e sono pieni di pesci. E nelle<br />
campagne, le nuvole… sono uccelli di passo: la selvaggina<br />
non mancherà di certo alla vostra tavola, – così la<br />
accoglie quel panciuto di don Ignacio.<br />
83
E lei, la giovane <strong>Violante</strong>, risponde che per volontà<br />
del Re è signora di quelle terre, e degli uomini che le<br />
abitano. Ma solo per volere del Re è lì. Non per suo desiderio.<br />
Quanto alla selvaggina, aggiunge, che volino<br />
pure tranquille le pernici, lei guarderà solamente ad<br />
oriente, da dove arriva il profumo del mare.<br />
Nessuno ascolta davvero le sue parole.<br />
Però, tutti, contenti ed ossequiosi, esclamano:<br />
– Il vostro volere è il nostro, donna <strong>Violante</strong>. Bienvenida.<br />
84<br />
Negli appartamenti riservati ritrovai la mia dama di<br />
compagnia, Maria. Lei malvolentieri aveva lasciato il<br />
Castello di San Michele precedendomi di qualche giorno,<br />
insieme ai bagagli.<br />
Come meglio aveva potuto, era riuscita a dare a quelle<br />
stanze tetre e disadorne un’aria accogliente e femminile:<br />
fiori odorosi di campo e qualche specchio in più. Il<br />
tanto, insomma, perché una nobildonna potesse trovarsi<br />
a proprio agio in un posto che mai aveva accolto<br />
donne. Un bell’inginocchiatoio di fattura catalana era<br />
quanto di più lussuoso potesse trovarsi in quelle stanze.<br />
Le statue dei santi, le pale d’altare, i quadri sontuosi<br />
e gli arredi di lusso del Castello di San Michele erano<br />
per me già un ricordo di cui non sentivo assolutamente<br />
la mancanza, anche se Maria li elogiava di continuo e se<br />
li ricordava uno per uno, dal camino grande di marmo<br />
con le striature rosse, a quel santo riccioluto senza nome<br />
che indicava la curva del corridoio principale. E ogni<br />
volta scuoteva la testa, dispiaciuta e piena di nostalgia<br />
per quel luogo e in modo particolare per quella Teresa<br />
che la incantava con i suoi racconti.<br />
Era piccola e dolce Maria, ma molto vivace. Ogni<br />
giorno che passavo con lei mi rendevo conto che la scel-<br />
85
ta della mia Regina era stata proprio la scelta giusta. Il<br />
suo cuore di fanciulla era sempre ridente e tutto per lei<br />
sembrava facile e bello.<br />
La sua intelligenza e curiosità le avevano permesso di<br />
imparare tante cose su quella gente e su quei luoghi in<br />
brevissimo tempo.<br />
La sua gioia nel rivedermi e le premure perché mi riprendessi<br />
dalla stanchezza di quel viaggio interminabile<br />
e sfiancante mi ridiedero un po’ di coraggio, e a lei che,<br />
con parole e gesti mi sollecitava ad entrare subito nella<br />
parte di contessa e padrona di un vasto territorio, ricordavo,<br />
con in bocca il sapore della paura, che il velo nero<br />
che mi ricopriva il volto e la persona aveva un significato<br />
ben preciso, e che io desideravo essere morta alla vita,<br />
nonostante il Re avesse deciso diversamente.<br />
Ma Maria era incalzante e cercava di stimolarmi:<br />
– Mia signora, – affannava, aiutandomi a liberarmi<br />
dagli abiti impolverati, – alto compito è il vostro. Gli<br />
abitanti di queste terre vi aspettano per onorarvi e servirvi.<br />
Dovrete pure mostrare il vostro volto. Avete un<br />
dovere con la Corona d’Aragona. E poi, Eleonora d’Arborea,<br />
la vostra vicina, è una grande avversaria. Ricordate<br />
le parole di Teresa: in nome della gente sarda, combatte<br />
con le armi il Re d’Aragona. Fatele vedere quale<br />
potere ha una nobildonna aragonese.<br />
Mi aizzava come si aizza un cane verso la preda, anzi<br />
come si aizzano quei galli da combattimento che, senza<br />
la voce roca e avvinazzata del padrone, non avrebbero<br />
nessuna voglia di beccarsi l’un l’altro fino a dissanguarsi,<br />
per la gioia dei miei conterranei.<br />
Sfinita dalla stanchezza, le risposi che avevo bisogno<br />
di raccogliermi e pregare Dio per avermi fatta giungere<br />
sana e salva fin lassù, e chiedergli aiuto in quel gravoso<br />
86<br />
compito. Che tacesse, dunque. E non parlasse di Eleonora,<br />
che mi parlasse invece di quel posto.<br />
– Se vi piace, – e a Maria brillarono gli occhi di entusiasmo,<br />
– ai piedi del Castello c’è una chiesetta. È piccola,<br />
fatta di mattoni rossi. Potrà accogliere le vostre preghiere<br />
e le vostre soltanto, se vorrete. È sempre aperta,<br />
e, se non avete paura, potete andarci quando meglio vi<br />
aggrada. Nessuno vi entra, ma pare che sempre si odano<br />
canti…<br />
Quella descrizione odorava di mistero e mi incuriosì.<br />
Con quel pensiero mi addormentai quella prima notte,<br />
nel Castello di Quirra.<br />
L’indomani pomeriggio montai su una cavalla bionda<br />
e docilissima, che da allora sarebbe stata la mia fedele.<br />
Scortata dal palafreniere, ridiscesi la china del colle<br />
che da non molto avevo percorso.<br />
Il palafreniere era un tipo ben strano. Tutto pieno di<br />
premure, tutto impettito nel suo compito. Aveva un’aria<br />
maestosa, sempre: nel guidarmi per i viottoli e nelle<br />
mansioni più umili.<br />
– State attenta, mia signora, prima del calar del sole,<br />
– diceva con voce tremolante, – andate via dalla chiesa.<br />
<strong>Si</strong> raccontano certe cose… Anzi, aspetterò qui che voi<br />
diciate le vostre orazioni.<br />
Insistevo per licenziarlo. Che non doveva preoccuparsi.<br />
Che non mi sarei attardata. Insomma che io non<br />
avevo paura di nulla e di nessuno.<br />
Così aveva parlato tutta la mia insicurezza.<br />
L’andare e lo stupore fu tutt’uno.<br />
Il ruscello che mi era stato indicato portava direttamente<br />
alla chiesa.<br />
Mi sembrava che quella terra non fosse come me l’avevano<br />
dipinta. “Una sorta d’inferno, povera la mia<br />
87
<strong>Violante</strong>,” aveva commentato tra le lacrime la regina <strong>Si</strong>billa.<br />
“Terra arida e gente malvagia,” aveva raccontato<br />
Teresa.<br />
Delle voci in lontananza mi smossero dai miei pensieri…<br />
– Benvenuta padrona…<br />
– Salute e onore alla contessa…<br />
Erano voci di bimbi e di donne che lavoravano poco<br />
distante.<br />
Ancora non mi ero abituata a ricevere tanti omaggi.<br />
Dal Castello di San Michele non avevo mai messo fuori<br />
neanche il naso, se non per salire sulla carrozza che mi<br />
aveva portato fino a quest’altro castello.<br />
Ed ero stupita di non essermi ancora imbattuta in<br />
quelle bande di banditi di cui mi aveva parlato quella<br />
Teresa al Castello di San Michele quando tacque dopo<br />
l’ultimo racconto per scrutarmi occhi e anima: “gentaglia,<br />
sardacci, cara la mia signora, tenetevene lontana”.<br />
Mi sentivo sola, catapultata in una terra sconosciuta<br />
e lontana. Lontana come il Re che aveva detto: “Vai e<br />
comanda”, come fosse la cosa più facile da farsi.<br />
Mentre cercavo di controllare le mie emozioni e perfino<br />
la mia andatura, sbilenca su quelle pietre, un’emozione<br />
grandissima mi prese tutta.<br />
Di fronte a me stava il più bel gioiello che avessi mai<br />
visto: non aveva ori, non aveva gemme: una chiesetta,<br />
tutta di mattoni rossi, piccola piccola, che avrei quasi<br />
potuto contenere in un abbraccio. In cima, terminava<br />
con un campaniletto a vela.<br />
Era come se mio padre avesse voluto regalarmi un<br />
giocattolo, un ninnolo, che mai aveva avuto l’occasione<br />
di donarmi, solo per ricordarmi di lui.<br />
Così io credevo e speravo.<br />
88<br />
Ma rimasi molto male quando il palafreniere mi disse<br />
che era antica di cent’anni e forse più.<br />
Dopo il primo impatto con la gente di <strong>Sardegna</strong> e le<br />
preghiere in solitudine, mi sentii un po’ risollevata. E<br />
così, animata di tanto zelo, decisi di andare a visitare altri<br />
luoghi.<br />
Volevo andare verso est, a valle verso il mare, a visitare<br />
gli stagni.<br />
Nella mia mente era ancora viva l’immagine dell’arcangelo,<br />
che indicava l’oriente con la sua spada fiammeggiante.<br />
Maria, quando le chiesi di approntare tutto per la<br />
spedizione, prese a seguirmi coi suoi brevi passetti, parlandomi<br />
fitto fitto con quella sua vocina, quasi sempre<br />
dolce, ma con alcuni toni striduli quando mi voleva avvisare<br />
di qualche pericolo.<br />
Parlava e parlava, ma solo una frase mi arrivò con<br />
violenza:<br />
– Questa terra è più vasta dell’Arborea, dov’è padrona<br />
Eleonora.<br />
Mi girai di scatto, quasi finendole addosso e la investii<br />
di rimproveri:<br />
– Ma perché, perché, – le dicevo con labbra livide, –<br />
dovete tutti sempre mettermi davanti questo nome?<br />
Cosa vuoi che importi a me della potenza di quella donna?<br />
Tutto quello che oggi sembra gloria, Maria, domani<br />
non c’è più, mettitelo bene in testa.<br />
L’altra, poveretta, presa alla sprovvista dalla mia faccia<br />
cattiva, non fiatò più e si diede da fare per organizzare<br />
la partenza.<br />
Tutti, tutti mi spingevano alla competizione con lei,<br />
l’altra donna che, in tutta l’isola, allora, aveva un posto<br />
di comando.<br />
89
A me veniva un nodo allo stomaco, al solo pensare<br />
di dovere per forza affrontare una gara, qualunque, anche<br />
se, per il momento, solo a distanza.<br />
A me non era mai piaciuto gareggiare con qualcuno,<br />
figuriamoci in quella terra sconosciuta e contro una che<br />
io ormai mi immaginavo come una gigantessa alta tre<br />
metri e con un pugnale stretto tra i denti.<br />
Mi venivano subito i brividi per la paura.<br />
Io volevo solo starmene tranquilla e andare a vedere<br />
gli stagni, così, per curiosità.<br />
* * *<br />
Il luogo era detto Colostrai.<br />
Don Ignazio mi accompagnò da un vecchio pescatore<br />
che era la guida del posto.<br />
– Vedete, contessa, questo è lo stagno di Colostrai.<br />
Io lavoro qui da più di cinquant’anni: ero alto appena<br />
così, e sono stato servitore del conte vostro padre, che<br />
ogni tanto ci onorava della sua visita. In cielo sia. Il mio<br />
nome è Pedru, il vecchio Pedru, come mi <strong>chiama</strong>no tutti,<br />
qua.<br />
Ogni parola, ogni lieve mutamento di tono mi colpiva:<br />
non avevo perso nulla di quanto diceva. Don Ignacio<br />
lo lasciò libero di parlare. Scostandosi di pochi passi,<br />
sembrava fingesse di perdersi con lo sguardo oltre i<br />
giunchi che tagliavano l’orizzonte piatto degli stagni.<br />
Io continuavo a fissare il viso del vecchio pescatore…<br />
tutto grinze… sembrava una tartaruga… e quella<br />
bocca, quasi tutta sdentata… uno sfacelo.<br />
Ma le sue parole suonavano calde, amiche. C’era<br />
qualcosa che mi rapiva, e ancora non sapevo cosa.<br />
Rispondevo con sussiego, e gli facevo domande solo<br />
90<br />
per farlo continuare a parlare: volevo sentire ancora<br />
quel tono caldo di voce.<br />
Chiedevo dei metodi di pesca e perché non vedevo<br />
barche di pescatori in mare. Non mi interessava granchè,<br />
a dire il vero, ma bevevo le sue parole di spiegazione.<br />
– Il Padreterno, – riattaccò lui, – ha pensato bene di<br />
regalarci questi stagni, mia signora, perché il mare è<br />
troppo pericoloso. Sapete bene quanto filo da torcere<br />
diano i Saraceni: arrivano con le loro imbarcazioni, che<br />
scivolano leggere sul mare, approdano come fantasmi<br />
sulla nostra terra, e una volta approdati fanno prigionieri<br />
i nostri uomini e le nostre donne.<br />
La bocca sdentata, mentre parlava, si ricomponeva<br />
in una bella espressione che non mi era nuova, mi lasciavo<br />
cullare da quelle parole e la mia attenzione era<br />
tutta per lui.<br />
– Anche se ci sono le torri di avvistamento, – diceva,<br />
– rade dove approdare, quelli, ne trovano sempre, e i<br />
Sardi, da tante generazioni oramai, non vanno per mare.<br />
Forse perché ci sono gli stagni e il pesce è abbondante,<br />
e si pesca senza bisogno di affrontare tempeste e<br />
Saraceni. Iddio, evidentemente, vuole preservare questa<br />
nostra razza: non permette che si arrischi tra le onde.<br />
Questa terra, basta volerlo, offre tutto. E ben lo sanno<br />
tutti quelli che, per liberarci dai pirati del mare, vi<br />
hanno messo radici. Troppe volte - permettete, dolce<br />
signora, queste parole a un vecchio pescatore che nulla<br />
ha da sperare o da temere - questi, i liberatori dico, sono<br />
stati meno teneri dei predatori.<br />
Erano parole tremende quelle che gli uscivano dalla<br />
bocca sdentata, e il mio orgoglio si sentì un po’ scosso.<br />
Il mio dovere mi imponeva di zittire quel vecchio, e in-<br />
91
vece, rilassata e perfino contenta, lo invitai a continuare,<br />
e gli assicurai che ascoltavo con attenzione.<br />
Lui continuò:<br />
– Ecco, i Sardi restano negli stagni. Qui i Saraceni<br />
non penetrano, non saprebbero come fare. Le nostre<br />
misere abitazioni sono qua, nella parte interna, e lo stagno<br />
le protegge. Noi peschiamo con barchette leggere e<br />
con ami di spina Christi: vedete? Quella pianta selvatica<br />
lì, con i fiorellini rossi e spine lunghe e robuste. Ma<br />
non possiamo difenderci dai nostri salvatori. Questo è<br />
il nostro problema, e forse il nostro destino.<br />
Mi agitai non poco davanti a quelle affermazioni. Il<br />
piacere delle sue parole era disturbato dal dubbio: e se<br />
fosse stato un simpatizzante di quella Eleonora lì?<br />
– Dite che siete stato buon servitore del mio padre, –<br />
gli dissi con una voce dura, ma sperando disperatamente<br />
che la risposta fosse negativa, – ma non avrete, per<br />
caso, simpatie per quella Eleonora?<br />
– Mia cara nuova padrona, ve l’ho detto: dovete perdonare<br />
a questo uomo che oramai ne ha viste tante e<br />
nulla più teme, né spera. Eleonora, la giudicessa di Arborea,<br />
mai riuscirà a spuntarla con gli Aragonesi. Innanzitutto<br />
perché la vostra potenza è superiore alla sua,<br />
e poi perché i Sardi sanno colpire, e bene, solo quando<br />
hanno di fronte un cinghiale, e non un uomo.<br />
– Se siete stato davvero buon servitore di mio padre,<br />
– gli chiesi allora più affabilmente, – vi chiedo, se sapete,<br />
di raccontarmi qualcosa della sua morte. So che è<br />
morto in queste terre e nient’altro.<br />
Il vecchio lanciò uno sguardo interrogativo a don<br />
Ignacio - rimasto poco lontano da noi e di colpo più attento<br />
alla domanda che avevo posto al pescatore - e<br />
disse:<br />
92<br />
– Mi ricordo ancora bene quel momento… – continuando<br />
a interrogare con gli occhi don Ignacio.<br />
– Vi prego, non abbiate paura, il mio cuore saprà<br />
reggere.<br />
E il vecchio, lanciato un ultimo sguardo al Castellano:<br />
– Tre giorni e tre notti è stato vegliato. Tre giorni e<br />
tre notti donne, <strong>chiama</strong>te e arrivate dai villaggi vicini, si<br />
sono battute il petto e hanno cantato le sue lodi. Tre<br />
giorni e tre notti urlavano le donne, come fanno qui da<br />
noi. Cantilenavano “Gloria ne avrà il cielo ad accoglierlo”<br />
e ancora “Era forte e valoroso, il conte Berengario,<br />
bello e gioioso”.<br />
– Sì, ma ditemi: in che modo è morto?<br />
– Sapete, quelle donne, tutte vestite di nero, intorno<br />
alla sua salma, si sono strappate i capelli, lacerate le vesti<br />
e urlato al cielo il dolore di tutti “Grande perdita ha<br />
avuto oggi la nostra terra, ma anche grande onore per<br />
averlo avuto padrone e signore”.<br />
– Sì, ma…<br />
– E poi sapete, – riprende Pedru con fare accattivante<br />
ma non dando possibilità alcuna di interromperlo, –<br />
accanto al suo corpo è stata messa “sa pippiedda po su<br />
consolu de su mortu”, come si fa per chi è morto in stato<br />
di vedovanza.<br />
– Cosa vuol dire questa cosa, cosa è?<br />
– Solo così, dandole compagnia, una bamboletta di<br />
stoffa, illusione di donna, il morto non ritorna più, non<br />
ritorna a cercare e prendersi femmine vive nelle nostre<br />
terre… chè già ne aveva abbastanza di predilette.<br />
– Ma siete scortese, ancora non mi dite come è<br />
morto?<br />
– Certe cose, cara contessa, è meglio che una figlia<br />
93
nobile come siete voi, non le conosca mai. Consolatevi<br />
e state serena. Solo il <strong>Si</strong>gnore nostro Dio lo sa, dolce<br />
contessa, e soltanto lui decide quando è l’ora per ciascuno<br />
di noi.<br />
I suoi denti ora splendevano tutti… la sua faccia…<br />
non era più rugosa… quella voce calda usciva da una<br />
bocca conosciuta e quasi dimenticata…<br />
Il mondo girò tutto e, mentre mi accorgevo a mala<br />
pena che intorno a me c’era grande trambusto, io seguivo<br />
solo la mia realtà.<br />
Non era quel vecchio che parlava.<br />
Era Felipe, il mio primo marito morto tempo addietro.<br />
La sua voce mi arrivava melodiosa e il suo volto sempre<br />
giovane e bello.<br />
Cara la mia bambina. Non devi turbarti. Mai. In questa<br />
terra ti accadranno molte cose che ti sembreranno<br />
strane. Ma io, che ti voglio bene come quando eri mia e<br />
mi facevi godere delle più grandi gioie terrene, ti starò<br />
sempre vicino. Io non ti abbandono… ti farò sempre sentire<br />
la mia presenza. Sempre. E un bel giorno…<br />
* * *<br />
L’acqua appena ondulata dello stagno mi dava la<br />
nausea. La bocca sdentata del vecchio era lì, di fronte a<br />
me. Sorrideva.<br />
Maria mi inumidiva la fronte con un fazzoletto e<br />
l’acqua mi scivolava dentro il vestito, dentro il seno,<br />
confondendosi col sudore che tutta mi aveva bagnata.<br />
La guardai interrogandola con gli occhi.<br />
– Calmatevi ora. <strong>Si</strong> torna al Castello. Non agitatevi<br />
94<br />
donna <strong>Violante</strong>, siete stata poco bene. Forse il caldo. E<br />
l’aria fresca del colle vi gioverà.<br />
Erano convinti che stessi male; pensavano ad un malore<br />
dovuto alla giornata afosa.<br />
Solo qualcuno ne dubitò. Non vedevo esattamente<br />
chi fosse, ma sentivo addosso uno sguardo indagatore,<br />
cattivo, interrogativo.<br />
Durante il tragitto mi uscì inavvertitamente un:<br />
– …e Felipe?<br />
– Felipe? – rispose Maria con la voce stridula, che<br />
mi metteva in allarme, – non c’è nessun Felipe qui. Calmatevi<br />
ora.<br />
E aggiunse, a consolarmi: – Mia signora, la giornata<br />
di oggi è stata molto faticosa, e avete il viso tirato. Ora<br />
pensate a recuperare tutte le vostre forze. Qui la gente,<br />
intanto, non ha mai fretta. Abituatevi, siate certa che<br />
non se la prenderanno, se non vi vedranno in visita per<br />
il territorio. Avete tutto il tempo che volete. E poi, si saprà<br />
già in tutto il feudo che siete stata male. Non preoccupatevi:<br />
loro aspettano, sono fatti così, sembra che<br />
aspettino sempre.<br />
Questi Sardi aspettano… aspettano sempre.<br />
Così aveva detto Maria. E ancora adesso sono sicura<br />
che aveva proprio ragione: è come se fossero “perenni”.<br />
La loro civiltà non ha avuto grande crescita, né decadenza,<br />
né apogeo, né caduta.<br />
La sazietà logora gli imperi; loro, sazietà, non ne<br />
hanno mai conosciuta. È come se facessero una lotta di<br />
resistenza con qualcuno. Loro sono lì, ad aspettare che<br />
l’avversario sbagli; non attaccano mai.<br />
Aspettano… loro. Chissà cosa.<br />
95
I dignitari di corte, invece, aspettavano soltanto me.<br />
O meglio, aspettavano che io prendessi iniziative,<br />
decisioni, insomma, che facessi “la feudataria”.<br />
Ogni tanto arrivavano notizie allarmanti dai confini<br />
col Giudicato d’Arborea.<br />
E i funzionari a spiarmi, a sollecitare con gli sguardi<br />
una qualunque azione di risposta, di forza, da parte<br />
mia.<br />
Io, invece, quella Eleonora, avevo deciso di non<br />
prenderla in considerazione: avevo promesso a me stessa,<br />
in cuor mio, fin da quando me ne aveva parlato per la<br />
prima volta Teresa, lì al Castello di San Michele, che,<br />
per quanto quella provocasse, non avrei accettato sfide,<br />
né cruente, né di altro genere.<br />
Preghiere nella chiesetta, cavalcate giù a valle e brevi<br />
conversazioni con la gente che lavorava nei campi erano<br />
le mie occupazioni.<br />
Avevo davvero voglia e curiosità di quella gente.<br />
In effetti tutti, uomini e donne, erano molto scuri di<br />
pelle, facevano un po’ impressione, ma i loro modi<br />
non erano sgarbati né selvaggi, come mi avevano detto<br />
tutti.<br />
C’erano, invece, i miei incubi diurni: i miei funzionari.<br />
Me li ritrovavo dappertutto, ad ogni lato del Castello,<br />
giù a valle, a volte nei dintorni della chiesa. Fantasmi<br />
reali, incombenti, mi spiavano con quegli occhi accusatori,<br />
con quelle bocche malevole.<br />
Mandarono perfino un resoconto a Cagliari, lamentandosi<br />
di non essere funzionari di niente e di nessuno.<br />
E lì, al Castello di Cagliari, la meraviglia e lo scandalo<br />
crebbero ancora di più.<br />
96<br />
* * *<br />
– Che viso scuro, don Federico, – commentava don<br />
Paolo.<br />
– Certamente, – spiegava l’altro, – arrivano brutte<br />
nuove dall’interno. Eleonora ammassa uomini ai confini<br />
del Giudicato. E il feudo di Quirra a lei confinante<br />
è nelle mani di quella <strong>Violante</strong> lì, quella incapace.<br />
– Ma che fa quella donna? È stata messa in allarme?<br />
– si preoccupava don Paolo.<br />
– La gran dama… non ha ancora capito, a quanto<br />
pare, – diceva don Federico, – che quella non è la corte<br />
della Regina, che questa è terra di battaglia, dove occorre<br />
tirare fuori gli artigli, ché la preda non si impaurisce<br />
per poco. Ma sapete, don Paolo, sapete che fa costei?<br />
– Che fa? – si incuriosiva sempre di più, l’altro.<br />
– Va in giro per il feudo, in genere sola su un cavallo<br />
e… parla coi Sardi.<br />
– Parla coi Sardi?! E cos’ha una nobildonna aragonese<br />
da dir loro?<br />
E don Federico, con un largo gesto delle braccia, a<br />
indicare disappunto:<br />
– Roba da matti, don Paolo, roba da matti.<br />
* * *<br />
Nelle cucine del Castello di Quirra le malelingue<br />
delle serve e delle cuoche non erano da meno.<br />
– L’ho vista che vagava per le sale, vestita di veli trasparenti,<br />
e parlava con qualcuno che non c’era…<br />
– <strong>Si</strong> ferma a parlottare fitto fitto col palafreniere,<br />
giù nelle stalle…<br />
97
– Va sempre sola in quella chiesetta…<br />
– Che razza di nobildonna è mai questa?<br />
– La metteranno a posto, prima o poi, gli uomini del<br />
Castello…<br />
– In un modo o in un altro…<br />
E le cucine risuonavano degli echi delle loro risate<br />
grasse come il cibo che tutti i giorni mi preparavano.<br />
Quei piatti giganteschi: con uccelli che galleggiavano<br />
nell’unto, maialetti che puzzavano di selvatico. Ogni<br />
giorno così, a pranzo, a cena, e salsicce che non finivano<br />
più di arrotolare e srotolare davanti ai miei occhi. E i<br />
funzionari che ci si tuffavano con il mento, le guance, le<br />
mani, mentre con gli occhi mi scrutavano, per controllare<br />
che anch’io mangiassi, e mi sollecitavano, con lo<br />
sguardo, a bere, a più non posso, quel vino rossonero<br />
come sangue, come facevano loro.<br />
E io ero confusa, smarrita quando dentro lo specchio<br />
dalla cornice dorata e floreale non vedevo la mia<br />
faccia. Come si raccontava, dalle mie parti, che capitasse<br />
ai fantasmi. Ed ero solo attratta nell’abisso della dolcezza<br />
della voce di Felipe: il mio delirio che sempre mi<br />
risuonava dentro le tempie.<br />
Non angosciarti, piccina, non serve. Qualunque cosa<br />
tu pensi o faccia, non avrà peso. Per la storia degli uomini,<br />
tu, sarai sempre un mistero, come se non fossi mai vissuta.<br />
Nei loro libri comparirà soltanto il tuo nome, non<br />
altro. Mai riusciranno a sapere, per quanti sforzi faranno,<br />
qualcosa di ciò che sei stata. Non darti pena, dunque, nessuno<br />
degli uomini potrà mai giudicarti. E se qualcuno<br />
mai parlerà di te, sarà perché tu vorrai raccontare: di<br />
fronte a un mare cristallino, oppure ai piedi di questo colle,<br />
o ancora, tra le pietre di un castello rotolate a valle.<br />
98<br />
Rimbombavano quelle parole dentro di me, fino a<br />
stordirmi tutta.<br />
Cercavo e trovavo conforto solo nella preghiera.<br />
Una sera, mentre andavo verso la chiesetta, il palafreniere,<br />
che sempre mi scortava, si prese qualche licenza:<br />
– Mia buona signora, io vorrei, vorrei raccontarvi<br />
una storia, – diceva serio e con la sua aria maestosa e solenne,<br />
– una storia che riguarda questa chiesetta. Fino<br />
ad oggi non ho avuto il coraggio. Non osavo. Ma voi,<br />
che siete tanto buona, so che mi perdonerete.<br />
E così quello, che mi pare di avere ancora al mio fianco,<br />
con quella faccia olivastra e lunga e gli occhi fissi nel<br />
vuoto, cominciò:<br />
– Era una giornata come questa. Tiepida, di primo<br />
autunno. La campagna era silenziosa. Non si sentiva voce<br />
d’uomo né di bestia. Solo il vento mi faceva compagnia.<br />
Il vento, che mai manca in questa terra. Camminavo<br />
lento, con la borraccia del vino a tracolla. Ad un tratto,<br />
tra i cespugli, ho visto una lepre, grassa grassa. Me la<br />
vedevo già penzoloni in spalla. Ho rallentato i movimenti<br />
per non spaventarla e ho iniziato ad avvicinarmi<br />
cercando di aggirarla. Ma quando ero a pochi passi dal<br />
suo cespuglio, quella ha ftto un salto che neanche una<br />
catapulta. E io a cercarla ancora fra rovi e cisto fitto, credendo<br />
di averla ormai persa. Ma dopo un po’ tempo, ecco<br />
che l’ho rivista acquattata come a riprender fiato.<br />
D’un balzo le ero sopra. Presa! Le ho schiacciato la testa<br />
con un sasso, l’ho caricata sulle spalle e ho ripreso il<br />
cammino. Però intanto si era fatto scuro, quasi buio.<br />
Cammina cammina, mi sono ritrovato, finalmente,<br />
vicino a questa chiesetta. Mi era familiare. Ho affrettato<br />
il passo, rincuorato.<br />
99
La chiesa era tutta illuminata. Mi sono avvicinato e<br />
ho sentito canti come di ubriachi e risate di gente in festa.<br />
Mi sono fermato per ascoltare meglio e mi sono detto:<br />
con questa lepre e con tanta gente allegra, si potrebbe<br />
combinare una bella festicciola.<br />
Mi sono accostato alla chiesa, con la mia preda, pronto<br />
a metterla allo spiedo per tutta la compagnia.<br />
C’erano uomini e donne in girotondo, e come mi<br />
hanno visto hanno gridato il benvenuto e hanno cercato<br />
subito di farmi entrare in mezzo al cerchio. Ero incantato.<br />
Quanta gente mai vista! E quanta allegria!<br />
Ad un tratto, dal girotondo è venuto fuori un uomo<br />
e mi si è avvicinato.<br />
Io l’ho riconosciuto subito. Era Andria, compare di<br />
battesimo, vecchio amico. Ho sentito le gambe che mi<br />
tremavano: Andria era morto da almeno due anni prima.<br />
Mi è venuto incontro sorridente e ha detto sottovoce:<br />
“Voi, compare mio, siete in mezzo ai morti. Se non<br />
fate di tutto per uscirne, domani sarete con noi. Se volete,<br />
però, io posso salvarvi dalla morte. Entrate, entrate<br />
pure a ballare con noi, ma quando vorrete andar via,<br />
cantate queste parole”… e mi ha suggerito una filastrocca<br />
magica.<br />
Io ho saltato e danzato coi morti, tutti vestiti di bianco.<br />
Ma col passar del tempo mi venivano attorno sempre<br />
più vicino. Alla fine mi si stringevano tanto da impedirmi<br />
di respirare. Allora non ce l’ho fatta più e ho<br />
cantato a squarciagola la filastrocca di Andria:<br />
Cantate e ballate voi<br />
che ora la festa è vostra<br />
quando verrà la nostra<br />
cantiamo e balliamo noi<br />
100<br />
Come ho finito di recitare queste parole, i morti si<br />
sono buttati a terra ed io sono corso fuori dal cerchio, a<br />
gambe levate.<br />
Dal giorno, io, in questa chiesa, non ci sono più entrato.<br />
Così aveva parlato la faccia olivastra. E poi aveva taciuto.<br />
– Ma che bella leggenda, – riuscii a dire per nascondere<br />
che il cuore mi balzava in gola.<br />
E quello: – No, signora, perché leggenda? È capitata<br />
a me, proprio a me, – diceva sorridente e scuotendo il<br />
capo, meravigliato che potessi non credergli.<br />
Riuscii, comunque, a farlo tacere ed entrai da sola in<br />
chiesa.<br />
Rosario tra le mani, cominciai a pregare.<br />
Ma che avemarie! Quella storia… che storia…<br />
E se avesse voluto prendermi in giro?<br />
piena di grazia…<br />
no, non avrebbe osato tanto…<br />
avemaria…<br />
i morti che fanno il girotondo…<br />
ilsignorecontè…<br />
avemaria…<br />
e se quel giorno era ubriaco? Ecco, deve essere così…<br />
Tutte iniziate quelle Avemaria, neanche una arrivata<br />
all’amen.<br />
101
6<br />
Alla fine si rese necessario.<br />
Necessario convocare quei funzionari che pareva vivessero<br />
soltanto in attesa di dimostrare la loro utilità.<br />
Tutto venne predisposto per l’occasione.<br />
Ed eccomi di fronte a quegli uomini con facce serie e<br />
compiaciute.<br />
Parlai e parlai. Di pericoli da ponente, di eserciti di<br />
Eleonora, di stare allerta… e quelli, quelli avevano un<br />
cipiglio beffardo, e sotto i nasi più rossi che mai, un sorriso<br />
strano.<br />
La riunione, o meglio, quel tentativo di riunione,<br />
naufragò. Come se qualcun altro avesse acchiappato i<br />
fili della storia, ci avesse giocato e li avesse lasciati lì, tutti<br />
ingarbugliati.<br />
Un grande trambusto, voci concitate e incomprensibili<br />
si sovrapposero alle parole di don Ignacio che aveva<br />
iniziato a parlare.<br />
Un messo, inseguito da un servitore che voleva fargli<br />
rispettare le regole di entrata al Castello, irruppe nella<br />
sala:<br />
– I Saraceni… – urlava, – …un rapimento… i Sardi,<br />
nessuna resistenza… – ansimava, – non hanno opposto<br />
resistenza… giù agli stagni… cinque soldati del Re rapiti…<br />
103
Non ci fu verso di tirargli fuori altra spiegazione.<br />
Ripeteva: i Sardi… niente… i soldati… presi.<br />
Non restava altro da fare che essere al più presto a<br />
Colostrai.<br />
Le facce dei funzionari, livide, erano rivolte a me:<br />
non parlavano quegli uomini, ma dicevano “colpa tua!<br />
non sai fare niente, ed ecco cosa ti combinano questi<br />
animali”.<br />
Io, mi sentivo solo terrorizzata.<br />
Pensavo: dov’è il vero pericolo? Nelle barche dei<br />
Saraceni? Nelle truppe armate di Eleonora che stringeva<br />
il pugnale tra i denti? O forse dentro lo stesso Castello?<br />
Io lo vedevo dappertutto, il pericolo.<br />
Corsi comunque là, verso gli stagni, verso il mare.<br />
Senza indugiare.<br />
A Colostrai, il vecchio Pedru aveva la faccia di sempre.<br />
Il suo berretto in testa, levato immediatamente di<br />
fronte alla mia nobile persona, le orecchie a sventola,<br />
la faccia rugosa.<br />
– È arrivato il nemico predatore dal mare e il mio<br />
dovere mi <strong>chiama</strong> qui, – così gli dissi a muso duro perché<br />
temevo che volesse ingannarmi. – Ho saputo che i<br />
Sardi non hanno opposto alcuna resistenza. Le vittime<br />
erano soldati aragonesi.<br />
– Ma mia signora, – rispose quello, – come avrebbero<br />
potuto far qualcosa dei poveracci senz’armi?<br />
– <strong>Si</strong>ete arrogante con la vostra padrona, – lo minacciai,<br />
– la vostra età avanzata non può permettervi tanto.<br />
E lui, con aria fiera e di sfida:<br />
104<br />
– Lo scontro è tra i rinnegatori di Dio e la vostra potenza,<br />
signora. Potete fare di me quello che vorrete, ormai…<br />
però la mia gente, o meglio, i vostri sudditi, quasi<br />
non hanno più neanche la forza fisica di opporsi a<br />
qualcosa. Saraceni? Aragonesi? La nostra lotta è contro<br />
la miseria e le malattie.<br />
Don Ignacio mi guardò, si trattenne a fatica dal fare<br />
o dire qualcosa, ma non contro quell’uomo, no: contro<br />
di me.<br />
I suoi occhi dicevano: Embè? Non fa nulla la signora?<br />
Sperava, forse, chissà, in un mio ordine di sguainare<br />
spade, di ridurre a nulla quel vecchio. O forse sperava<br />
di poter dimostrare la sua maestria con la mazza o altra<br />
arma che facesse sgorgare sangue.<br />
Chissà, in fondo, cosa si aspettava da me quell’uomo.<br />
Io un ordine lo diedi. Fermo e deciso.<br />
– <strong>Si</strong> torna al Castello!<br />
* * *<br />
Alla partenza di donna <strong>Violante</strong> e quelli del Castello,<br />
il vecchio si sente di nuovo padrone del suo spazio,<br />
del suo stagno. Solo allora si fa spiegare particolari che<br />
ancora non ha avuto tempo di conoscere da quegli uomini<br />
che il mare, dopo esserseli ingoiati, ha riportato<br />
alla loro terra. Quegli uomini che ora sono lì proprio<br />
dov’era prima donna <strong>Violante</strong>. Pedru li rimprovera e<br />
considera una sciocchezza quello che hanno fatto. Una<br />
sciocchezza che può mettere in pericolo tante vite. Ma<br />
è curioso e vuole sapere.<br />
E quelli, infervorati ancora per l’impresa ben riuscita,<br />
gli raccontano tutta la storia, fin dal principio.<br />
105
– Vedete Pedru, quando i Saraceni, un anno fa, ci<br />
hanno fatto prigionieri, eravamo pieni di paura. Ci hanno<br />
portato nei loro paesi. E abbiamo capito una cosa:<br />
per noi, non cambiava molto: servi eravamo, lì come<br />
qui.<br />
– A volte era più facile intendersi con quelli che non<br />
con questi padroni di qua, – aggiunge un compare, e<br />
Pedru sollecita la continuazione di quel racconto che<br />
ancora gli riesce poco chiaro.<br />
– Lì, in quei paesi lontani, – riprende quello che aveva<br />
parlato per primo, – abbiamo visto cose meravigliose:<br />
costruzioni tutte d’oro, dove quelli pregano chissàchi.<br />
Non è come nelle nostre chiese, lì non c’è Gesù<br />
Cristo, ma quei templi sono la cosa più straordinaria e<br />
grandiosa che un uomo abbia potuto costruire… La casa<br />
del sultano, poi, è una vera e propria reggia: un’infinità<br />
di sale, anticamere e salotti elegantemente arredati…<br />
È un grande castello con una corte quadrata con<br />
intorno novantanove porte di legno di sandalo e una<br />
d’oro e molte scalinate che conducono agli appartamenti<br />
di sopra. Le cento porte conducono in giardini e<br />
in luoghi dove ci sono cose meravigliose a vedersi. Una<br />
porta immette in un giardino dove c’è abbondanza di<br />
alberi e di frutti di mille specie sconosciute: giardino di<br />
delizie con una rete di rigagnoli che fa arrivare acqua in<br />
abbondanza alle radici, per far spuntare alle piante le<br />
prime foglie e i primi fiori. Un’altra porta immette in<br />
un giardino solo di fiori. Ce ne sono un’infinità, di tutti<br />
i colori. E non c’è cosa più dolce dell’aria che si respira<br />
in quel giardino. La magnificenza di quel palazzo è cosa<br />
che non si può raccontare. Dicevano che dentro ci sono<br />
gabbie di legno profumato, dove sono rinchiusi usignoli,<br />
cardellini, canarini e altri uccelli ancora più strani,<br />
106<br />
dei quali non avevamo sentito parlare in tutta la nostra<br />
vita. E di sera, di sera, bracci d’argento giganteschi reggono<br />
mille torce che illuminano le sale come fosse giorno,<br />
anche quando il cielo si fa molto scuro.<br />
– Venite al dunque, – incita Pedru, che vuole capire<br />
e basta.<br />
– E poi, e poi di nascosto siamo riusciti a parlare con<br />
altri prigionieri. Ce n’era anche qualcuno pisano. E allora<br />
ci hanno raccontato cose… cose che noi ce le sogniamo.<br />
Loro non sanno chi sia un feudatario, loro hanno<br />
città ricche e non sanno cosa siano fame e miseria, e<br />
il loro guadagno non lo dividono con nessuno.<br />
E qui Pedru si fa pensieroso. A capo chino, col tono<br />
di voce di chi spiega a chi non sa, dice:<br />
– Non le voglio neanche sentire queste cose. Voi siete<br />
giovani, molto giovani, e non li avete conosciuti i Pisani,<br />
quando erano loro i padroni, qui. I nostri antichi<br />
ne sapevano qualcosa. La loro ricchezza ha purtroppo<br />
molto a che vedere con la nostra miseria… ma è inutile,<br />
non potete capire per ora. Raccontatemi, piuttosto,<br />
com’è che avete organizzato il piano e come siete riusciti<br />
a scappare.<br />
– Eravamo in cinque noi prigionieri, quattro uomini<br />
e una donna… ricordate la povera Marielène? Eravamo<br />
sempre controllati a vista: ci avevano messo a lavorare<br />
il ferro in una officina dove si stava preparando<br />
una cancellata di ferro battuto per non so quale altra<br />
porta di quella reggia. La cancellata doveva essere lavorata<br />
di fino, a formare disegni e ghirigori che, per<br />
quelli, sono parole e preghiere. Comunque, per noi: lavoro<br />
e silenzio. Se no, frustate. Ma nell’officina stavamo<br />
solo noi uomini. Marielène la tenevano nella casa<br />
107
del sultano con le altre donne. Era bella Marielène, e<br />
giovane.<br />
– Un giorno succede che il nipotino del sultano sta<br />
male: si sentono lamenti in tutta la corte, fin fuori del<br />
palazzo. Il sovrano, dicono, è disperato. Quel nipotino<br />
è l’unico nipote maschio, e ha appena sette anni. Così ci<br />
raccontavano i nostri compari che avevano libero accesso<br />
al palazzo: ogni giorno si vedevano lunghe file di<br />
dotti, maghi e astrologi. Nulla: il piccolo, pallido e sfinito<br />
dal malessere, giaceva sul suo lussuoso letto, senza<br />
voglie né sorrisi. Voi, Pedru, sapevate quanto brava era<br />
Marielène a far riprendere i nostri piccoli, quando erano<br />
mogi mogi, con quella medicina lì, “dell’occhio preso”.<br />
E Marielene si fa avanti anche alla reggia del sultano.<br />
Chiede, invoca a gesti e poco con parole che tanto<br />
nessuno avrebbe capito, di poter vedere il piccolo, e il<br />
sultano, venuto a conoscenza che c’è una donna che conosce<br />
arti antiche, la <strong>chiama</strong> e le dice: “Se guarirai il<br />
mio nipote preferito, e unico, chiedi quello che vuoi.<br />
Ma bada, non ingannarmi, se no, assaggerai la punta<br />
delle nostre spade.” A Marielène viene portato un catino<br />
d’argento e acqua in un vaso d’oro. E altre schiave,<br />
nere, le porgono una coppa d’oro, colma di chicchi di<br />
grano e un’oliera di vetro finissimo piena d’olio color<br />
del sole. E ancora chicchi di sale. Tutto ciò che le serviva<br />
e che aveva richiesto. E fa quelle cose che noi tante<br />
volte le abbiamo visto fare: pronuncia, cantilenando,<br />
parole in un latino incomprensibile, e bagna il piccolo<br />
in fronte.<br />
– Lo fa per tre volte, Pedru, sempre allo stesso modo<br />
che conosciamo. E poi al piccolo fa bere l’acqua dal ca-<br />
108<br />
tino d’argento. E poi aspetta. Guarda il piccino e aspetta.<br />
Un sorriso dolcissimo pare sia affiorato sulle labbra<br />
del bambino e un colore di pesca sul viso. Marielène ricambia<br />
il sorriso, senza poter dire altro, e gli fa una carezza.<br />
Poi, come può, spiega al Sultano che qualcuno<br />
l’ha guardato con invidia, e i bimbi sono come i fiori. Il<br />
sultano, che non sta più in sé dalla gioia, fa tintinnare<br />
borse di monete d’oro sotto gli occhi della nostra Marielène,<br />
ma lei fa no con la testa: non vuole oro, né denari,<br />
vuole tornare alla sua isola. Cerca di fargli capire<br />
disegnando navi e vele a gesti nell’aria, e quello: no e<br />
no, Marielene starà sempre lì, alla reggia, trattata con<br />
riguardi e onori. Che chieda altro.<br />
– E lei, allora, che ci ha sempre voluto bene e ha giocato<br />
con noi fin da bambina, chiede per noi, almeno<br />
per noi, il ritorno a casa, per noi che abbiamo moglie e<br />
figli. Forse aveva la morte nel cuore, Marielène, ma ha<br />
sorriso quando il Sultano ha accettato. La nostra libertà,<br />
però, era una spada col doppio fendente, come le<br />
sanno fare quei Mori. Noi saremmo stati liberi in cambio<br />
di altri cinque uomini. E chi poteva far gola al Sultano<br />
d’Oriente? Chi? Se non soldati al servizio di quella<br />
potenza d’Aragona regina dei mari, che tanto li combatte?<br />
Ecco: noi liberi, in cambio di cinque soldati catalani…<br />
Ha fatto allestire un’imbarcazione, governata<br />
da alcuni Saraceni, e via per il mare… Dopo giorni di<br />
navigazione e di fatica e di paura delle tempeste e di altri<br />
pirati, ecco che già si vedeva la nostra baia, e il nostro<br />
cuore batteva forte, quando quelli ci hanno minacciato:<br />
Se non prenderete con le vostre mani cinque di<br />
quelli con l’armatura, vi tagliamo la testa e la buttiamo<br />
ai pesci.<br />
109
– Un’occhiata, un’occhiata soltanto è bastata tra noi:<br />
non avevamo alcuno scampo. Gli abbiamo messo tra le<br />
mani quei soldati un po’ malconci: il fumo delle nostre<br />
case, lì, di fronte ai nostri occhi, era più forte di qualunque<br />
arma. La nave, poi, nella semioscurità dell’alba, ha<br />
ripreso il mare. Quei Saraceni si sono ripresi il mare<br />
proprio come ne fossero i padroni.<br />
Hanno parlato a turno, senza sovrapporsi, senza tentennamenti,<br />
con partecipazione reciproca e intesa perfetta,<br />
frutto della comune disavventura e della comune<br />
salvezza. Ora tacciono e aspettano. Aspettano di vedere<br />
nel viso di Pedru ammirazione e compiacimento.<br />
Ora aspettano l’approvazione.<br />
Ma Pedru li guarda con uno sguardo diverso dal solito:<br />
– Il gioco è stato molto pericoloso, non c’è dubbio.<br />
Marielène è persa, ormai, e forse anche altri. Sì, anche<br />
altri, perché ho tristi pensieri, non so cosa possa accadere.<br />
Voi vi siete conquistati la libertà. Ma vedete, quelli<br />
sono rinnegatori di Dio e vi facevano servi; questi, ci<br />
fanno servi, ma li conosciamo: credono nel nostro stesso<br />
Dio, anzi sembrano più cristiani di noi; e forse è per<br />
questo che sono così potenti. Forse è il Padreterno che<br />
li aiuta, che vuole che siano padroni. Noi non possiamo<br />
diventare amici dei Saraceni e non possiamo considerarci<br />
cristiani se facciamo patti coi nemici di Dio. <strong>Si</strong>amo<br />
poco convinti, perfino, della santità dei nostri santi,<br />
e forse è per questo che Iddio ci punisce: a non essere<br />
padroni neppure nelle nostre terre. La potenza degli<br />
Aragonesi è protetta dall’alto.<br />
Pare terminare così il vecchio il suo rimprovero, ma<br />
aggiunge che la nuova feudataria è una… una… beh…<br />
che forse è diversa dai soliti padroni. E lo dice lenta-<br />
110<br />
mente, come leggendo dentro di sé. Gli altri lo guardano<br />
stupiti, mentre Pedru continua:<br />
– Sembra che guardi al di sopra delle nostre teste e<br />
delle nostre miserie, questa è l’impressione che mi fa:<br />
che con questo mondo abbia poco a che fare… <strong>Si</strong> <strong>chiama</strong><br />
<strong>Violante</strong>, donna <strong>Violante</strong>, – dice scuotendo la testa.<br />
– È una mia sensazione, mi sbaglierò, sarà perché sono<br />
vecchio e odoro più di incenso che di vita, ma quella<br />
donna non sembra di questa terra.<br />
– È lei, però, ora ad imporre le tasse, – comincia<br />
uno degli scampati.<br />
– Un quarto del pescato va al suo Castello, – aggiunge<br />
un altro.<br />
– Vive in un castello, lei.<br />
– E noi nelle capanne…<br />
– Le nostre donne si rompono la schiena mattina e<br />
sera sui campi.<br />
– I nostri bambini hanno fame e muoiono per le<br />
malattie.<br />
– Hanno la pancia gonfia e il viso scavato.<br />
Pedru li mette a tacere tutti, e basta un gesto, le<br />
braccia protese verso di loro, i palmi aperti. Altrimenti<br />
quelli non si stancherebbero di dire e dire contro di lei,<br />
donna <strong>Violante</strong>, e contro il Padreterno…<br />
Ma è solo una tregua, perché si lamenta subito uno:<br />
– Pedru, a volte non vi capiamo proprio. <strong>Si</strong>ete sempre<br />
stato voi a farci discorsi di libertà, giù alla peschiera.<br />
I vostri discorsi di libertà respirati insieme al profumo<br />
del pesce. Ma ora, ora… boh!…<br />
– Torniamo alle nostre case, fa un altro, – hanno bisogno<br />
di noi.<br />
Lasciano Pedru solo, si incamminano verso casa,<br />
quegli uomini, un tempo rapiti e ora tornati, e com-<br />
111
mentano tra di loro che Pedru sta veramente diventando<br />
vecchio, e non è più lui.<br />
Anche il vecchio, però, rimasto solo, scuote la testa<br />
e cerca risposte dentro di sé.<br />
“Perché solo io sento tutto questo? Non riesco ad<br />
avercela con quella donna. E non è certo perché è bella.<br />
Sono vecchio per certe cose, ormai. E neanche perché<br />
quando parla ha quel modo così… così nonsocome di<br />
muovere le mani… e quella bocca, poi, non deve aver<br />
detto mai parole offensive a nessuno. Basta, Pedru.<br />
Che dici? Lo saprà il diavolo cos’ha quella donna…”<br />
* * *<br />
I giorni successivi portarono cattive notizie dai confini.<br />
Un messaggero annunciò pericoli da ponente, dall’Arborea.<br />
– <strong>Violante</strong> controllate i confini. La giudicessa Eleonora<br />
vuole rompere la tregua. Occhio ai vostri Sardi,<br />
controllate gli spostamenti della gente, attenzione ai<br />
traditori.<br />
Così mi mandava a dire il mio Re.<br />
Io, però, la mia decisione l’avevo presa: tacere tutto<br />
ai funzionari. Far finta di niente. Che accadesse quello<br />
che doveva accadere.<br />
Maria mi confortava, mentre spazzolava i miei capelli<br />
lisci e lunghi:<br />
– Povera signora. Quella, quella Eleonora, non riesce<br />
a starsene un giorno tranquilla. <strong>Si</strong> ribella alla potenza<br />
d’Aragona. <strong>Si</strong> comporta come un uomo. Ma sa, dicono<br />
che sia proprio brutta, magra come uno stecco, e coi<br />
baffi. Voi, oltre che buona, siete bellissima: questi ca-<br />
112<br />
pelli sembrano seta, e il nero degli abiti, poi, sta così bene<br />
col vostro incarnato. Non sciupatevi con le ansie.<br />
Dite tutto ai vostri uomini, loro hanno l’animo da soldati,<br />
loro penseranno il da farsi.<br />
– Quelli? Quelli, per carità! Non mi hanno accettata.<br />
Scattai come se mi avesse punto la tarantola.<br />
– Non vogliono una donna al di sopra di loro, a comandare.<br />
Ed io lo vedo, sai? Dal loro sguardo bovino e<br />
indagatore, dal sorriso beffardo, perfino dal dondolio<br />
provocatorio delle loro pance enormi.<br />
Dentro di me urlavo di rabbia, o forse addirittura<br />
farneticavo che… se avessi avuto il marito, magari avrebbe<br />
potuto fare lui quello che a me non importava di fare,<br />
e invece: uno morto, così, se n’era andato via e l’altro,<br />
non se ne parli neanche, uno che un giorno si era<br />
messo un saio, si era rasato il capo ed era finito in un cenobio<br />
in chissà quale parte della terra… così, per lo meno,<br />
mi aveva raccontato la regina <strong>Si</strong>billa - ed io, invece,<br />
ero lì, a non dir nulla, a restare sola col mio delirio, a<br />
morire dentro, e gli altri a vedermi ancora viva e bella<br />
anche, e quel Re mi credeva perfino capace di comandare…<br />
– Basta Maria! – Ripresi con voce concitata, – io non<br />
comunicherò niente a nessuno, e tu taci. Zitta, devi solo<br />
stare zitta. Nessuno saprà, sono sicura che intanto non<br />
succederà niente di grave. Tacciamo.<br />
I muri avevano orecchie, però, e orecchie infide.<br />
Era bastato un luccichio di moneta per corrompere<br />
la fragile fedeltà delle serve, così come basta un fruscio<br />
di gonnelle, a volte, per corrompere l’integrità di un debole<br />
gentiluomo.<br />
113
Ed io continuavo a cercare conforto nella preghiera.<br />
Andavo sempre più spesso, da sola, quasi di nascosto,<br />
nella mia chiesetta.<br />
Un giorno, però, accadde qualcosa di insolito…<br />
Me ne andavo, sola, tutta raccolta in me stessa, verso<br />
la chiesa, pestando appositamente le foglie secche<br />
perché il rumore mi facesse compagnia.<br />
Ma un altro rumore superò il crocchiare delle foglie,<br />
come se qualcuno fosse appostato dietro i cespugli.<br />
In un primo momento tentai di affrettare i passi.<br />
Presi in mano il mio rosario, per cercare coraggio.<br />
Eccola lì, mi dicevo, è a pochi metri, tra un po’ sarò<br />
al sicuro.<br />
Ma una musica di flauto, intervallata da una filastrocca,<br />
inchiodò i miei piedi al suolo. Le parole erano<br />
chiare e comprensibili:<br />
Dalle onde arrivò una galea<br />
piena, hanno detto, di Saraceni.<br />
Ha portato ventata di morte<br />
per cinque soldati del Re.<br />
Il flauto interrompeva, di tanto in tanto, quelle crude<br />
parole.<br />
Io tesi il più possibile le orecchie, per non perderne<br />
una di quelle parole.<br />
però, mia signora,<br />
la morte<br />
stavolta<br />
non era moresca.<br />
Vi erano Sardi dentro la barca<br />
114<br />
un tempo rapiti<br />
e ora tornati<br />
Ancora il flauto e ancora veleno.<br />
Il pagano d’Oriente<br />
la morte ha preteso<br />
la morte di cinque soldati del Re.<br />
Ma Sardi son stati<br />
a sguainare le spade.<br />
Quei Sardi rapiti<br />
ed ora approdati.<br />
Restai lì, impietrita, senza un filo di voce per gridare,<br />
per chiedere: chi è che suona? Chi è che canta?<br />
Il vile che aveva fatto la spia si guardò bene dal farsi<br />
vedere, o aggiungere altro.<br />
Non mi recai più nella mia chiesa. Veloce sulla cavallina,<br />
al Castello, con la faccia di pietra.<br />
Saraceni, vero?, mi dicevo: me lo sistemo io, adesso,<br />
quel vecchiaccio; lo sapevo che sapeva.<br />
Il giorno dopo il pescatore era al Castello, portato<br />
con la forza dalle guardie.<br />
Ai funzionari non avevo detto nulla, non mi era passato<br />
per la testa: me la dovevo vedere io, da sola, col<br />
vecchio.<br />
Quella faccia rugosa di fronte a me:<br />
– Sono ai vostri piedi, signora, al vostro comando.<br />
Ma perché farmi prendere con le guardie?<br />
– In nome del Re e del potere che mi ha conferito, –<br />
gli dissi a muso duro, stupita della mia stessa reazione,<br />
– io ordino, come e quando voglio, che un suddito ven-<br />
115
ga prelevato con la forza e portato dinanzi a me, signora<br />
e padrona di queste terre. Tacete, pertanto, e abbassate<br />
lo sguardo.<br />
Negli occhi non volevo guardarlo, no.<br />
E continuai:<br />
– E così erano Saraceni, vero? Le navi erano piene di<br />
Saraceni! O piuttosto di questa vostra razza di servi?<br />
Eh? Traditori che non siete altro. E tu, che non hai avuto<br />
rispetto neanche per la tua barba bianca, sei stato al<br />
loro gioco. Tu sapevi chi aveva ucciso i soldati. Tu sapevi<br />
chi c’era dentro quella nave “saracena”! E hai mentito.<br />
Hai mentito alla tua signora. Non dovevi fare questo:<br />
mentire proprio a me, tu. Ma la tua padrona, ora,<br />
ha la tua vita nelle sue mani, e quella dei tuoi compagni.<br />
Tutti sapevate e tutti pagherete. Tu per primo. La razza<br />
di servi e di Caini, però, come sempre avviene tra i malvagi,<br />
ha nel suo seno traditori e serpi. Uno di voi ha scoperto<br />
il vostro piano di menzogne: ha parlato, ha spiato,<br />
ha cantato il tradimento. Da domani riderò io, quando<br />
vedrò il sangue scorrere sulle schiene dei tuoi compari,<br />
per le frustate e le torture. Colostrai risuonerà per<br />
i pianti e le urla di dolore arriveranno sino alle terre<br />
d’Oriente e il pagano ne godrà.<br />
– <strong>Si</strong>gnora, – invocava quello con la bocca senza denti,<br />
che era uno sfacelo, – vi prego, non posso credere<br />
che simili malvagità riescano a soddisfare il vostro nobile<br />
animo.<br />
– Vi siete permesso di prendervi gioco di me, – rincaravo<br />
io, – ed ora, in nome del Re ed in nome di Dio,<br />
giustizia sarà fatta.<br />
Ma ricominciò a parlare, il pescatore, con una voce<br />
la più calda, la più suadente:<br />
– Prendete la mia vita, piuttosto. Solo la mia. Io sono<br />
116<br />
vecchio, ormai, e ho patito abbastanza. Ma gli altri, gli<br />
altri sono tornati alle loro mogli, ai loro figli, in quelle<br />
misere capanne, sfidando Saraceni e mare. Perfino il<br />
Moro si è impietosito, perfino il rinnegatore di Dio. E<br />
voi, che siete una donna, come potete non capire? E il<br />
traditore, se ha davvero “cantato”, so io chi può essere.<br />
Non può essere che lui, quel dannato, lo storpio del villaggio<br />
che, con lusinghe, il flauto e la violenza, si introduceva<br />
nei letti delle mogli e delle figlie dei poveri rapiti<br />
dai Saraceni.<br />
E aggiunse il vecchio Pedru:<br />
– Io, io chiedo la clemenza per i giovani che non<br />
hanno saputo accettare la malasorte e sono stati costretti<br />
a venire a patti coi nemici di Dio. La giovinezza è<br />
una brutta bestia, sapete? Fa attaccare gli animi alle cose<br />
terrene, all’inganno dell’amore e alle donne. Perché<br />
non comprendete?<br />
Tacque quel vecchio. E riabbassò lo sguardo. E tremava.<br />
Ma chi era per parlarmi così?<br />
Lo mandai via di malo modo, fuori dal Castello.<br />
Ma poco passò che la solita voce di Felipe mi inondò<br />
tutta: non sapevo più se il pescatore fosse ancora lì, se<br />
fosse ancora lì a parlare…<br />
Solo quella voce, di Felipe, mi scaldava il cuore:<br />
Viola, mia cara. Calma. Ricorda ciò che ti dissi un tempo:<br />
le parole del pescatore… ascoltale. A chi giova il sangue?<br />
A chi giovano le grida dei torturati? Ce n’è abbastanza<br />
e i lamenti giungono fin qui, dalle prigioni di Espagna.<br />
Vuoi che altre ne salgano? Sarebbero grida di poveri<br />
disgraziati, la cui unica colpa è stata di aver desiderato<br />
mogli e figli. Perché dici di voler far giustizia in nome del<br />
117
Re e in nome di Dio? Iddio, mia cara <strong>Violante</strong>, non pare si<br />
occupi di queste cose e, quanto al Re… in tutta l’isola vorrebbe<br />
sentire solo il ragliare degli asini, far tacere le teste e<br />
le bocche affamate. Ricorda, <strong>Violante</strong>, qualunque cosa tu<br />
dica o faccia, se la porterà via il vento. La Storia, mai dirà<br />
di te. Temi la vergogna? Il disonore? Di fronte a chi? Il<br />
sangue non disseta, mia Viola, ricordalo…<br />
Ogni volta era così Felipe.<br />
Appariva, parlava, sgridava, sentenziava e poi via…<br />
mi lasciava nella disperazione, disorientata più che mai.<br />
Nel frattempo, don Ignazio mi aveva spiata e, accesa<br />
la sua fantasia più che mai, si era precipitato dai suoi pari<br />
a sfoggiare il suo “iosìchesocose”.<br />
– Ho visto cose, signori, ho sentito cose, signori… La<br />
nostra contessa e il vecchio pescatore di stagno… faccia<br />
a faccia… – e gli occhi sempre più bovini.<br />
– Confabulavano i due… – e il naso sempre più rosso,<br />
ansimava, – e poi, dovete sapere che la galea saracena…<br />
non era saracena…<br />
– Come? Come? – insistevano gli altri con occhi lunghi<br />
a carpire notizie.<br />
– Questa mattina, – riprendeva don Ignazio, reggendosi<br />
la pancia con le mani, – è stato portato qui con le<br />
guardie, e… e… ha parlato da solo con lei. Bene… io,<br />
sapete, l’interesse… il dovere… di sapere… insomma,<br />
<strong>Si</strong>gnori… ho spiato.<br />
– E cosa avete visto? E cosa avete sentito? – urlava la<br />
morbosità dei presenti.<br />
– Sentito e visto cose! Parlavano i due: fitto fitto. Pare<br />
che non siano stati i Saraceni a rapire, ma gli stessi<br />
Sardi…<br />
118<br />
– Cosa? Gli stessi Sardi? Como es posible?<br />
Tremava la voce in gola al vecchio don Ignazio:<br />
– E poi, lei, è… è rimasta sola, così, occhi sbarrati,<br />
e… abbandonata! Sembrava parlare con qualcuno che<br />
non c’era… pareva, pareva… parlasse col Maligno! Ecco,<br />
col Maligno.<br />
– Era scomposta? – chiese uno.<br />
– Lo avevo immaginato, io, – disse un altro.<br />
– Cosa diceva? – un altro ancora.<br />
– Era scomposta? – sempre la stessa bava.<br />
– In quali mani, in quali mani… una contessa che<br />
parla a tu per tu con un servo! Che ci nasconde i messaggi<br />
del Re, che ci nasconde la verità sul rapimento delle<br />
nostre guardie… signori, è troppo grave! Il feudo è in<br />
pericolo. <strong>Si</strong>amo nelle mani di una…<br />
– Avvisiamo Callèr, – fu il coro;<br />
– Avvisiamo Callèr, – tutti d’accordo.<br />
– Un messaggio sia subito inviato!<br />
– E aspettiamo le decisioni della Corona.<br />
E lo fecero davvero.<br />
E quel messaggio arrivò a Cagliari. Al Castello di Cagliari.<br />
Due uomini a commentarlo: don Paolo e don Federico.<br />
In una giornata di quelle…<br />
<strong>Si</strong> era in un novembre che non ne voleva sapere di<br />
piovere.<br />
I due, seduti l’uno di fronte all’altro, in alte seggiole,<br />
si scambiavano opinioni sul tempo, così come fanno<br />
tutti quelli che credono di essere vivi.<br />
<strong>Si</strong> guardavano e parlavano a turno… che non ne voleva<br />
sapere di buttare giù acqua, quell’anno… che quel-<br />
119
l’afa era come una cappa opprimente sulla città… che in<br />
quella città di merda, gialla d’argilla, anche i muri delle<br />
case sembrava avessero sete, e crepe e crepe come bocche<br />
a cercare ristoro… e ancora, che non se ne poteva<br />
più di quel vento lì, e che fiaccava, quel levante pieno di<br />
umidità senza pioggia, che ti gonfia le ginocchia…<br />
Il messaggio venne consegnato al più autorevole.<br />
Don Federico lo lesse e rilesse, e sgranò gli occhi:<br />
– Notizie da Quirra, don Paolo, fresche fresche e<br />
succulente.<br />
– Davvero? – chiese l’altro. – Ravvivate un po’ questa<br />
giornata umida e ventosa, don Federico, che mi fa sentire<br />
col cuore scuro. Quali notizie dall’Interno?<br />
– Dunque… dunque… Non è molto chiaro… Cose<br />
sospette a Quirra… rapimento… Sardi, no, Saraceni,<br />
ma la nave con Sardi… E chi ci capisce qualcosa?<br />
Però… però… aspettate. Ecco qui, in questo punto si<br />
dice che… che la contessa è stata vista, tutta rapita, parlare,<br />
nientemeno… che… col Maligno…<br />
– Ma, aspettate, Don Federico: non erano forse queste<br />
le voci che circolavano sul conto di quella donna prima<br />
che mettesse piede in quest’isola? Eh? Che ne dite?<br />
Non sarà che il Re l’ha spedita qua da noi per questo<br />
motivo? Per disperdere dalla Corte di Barcelona anche<br />
il minimo sospetto di fumi eretici?<br />
– È possibile, don Paolo, non ci avevo pensato prima,<br />
ma è possibile. Però… ci mancava pure questo…<br />
– È una donna, don Federico, – perle di sudore sulla<br />
sua fronte, – quindi una bruja. Il diavolo è suo amico.<br />
Proprio oggi, però, con questo vento di levante, questa<br />
notizia… non sono tranquillo, don Federico, non sono<br />
tranquillo.<br />
– Questo è vento che viene dal mare, don Paolo, e ar-<br />
120<br />
riva dritto dritto dai paesi dei Mori e sembra, infatti,<br />
proprio l’alito di Satana e dei suoi compari.<br />
– Mandiamo un messaggio direttamente al Re, – si<br />
dissero quei due, – sì, mandiamolo.<br />
121
7<br />
Don Paolo, imprecando contro il clima della <strong>Sardegna</strong>,<br />
non fece neanche in tempo a chiedere perdono dei<br />
suoi peccati che una brutta febbre malarica, dopo avergli<br />
bruciato la fronte, se lo portò via.<br />
L’altro, quel don Federico, pensando che il diavolo<br />
era nel Castello di Quirra, quindi lontano da lui, si tranquillizzò<br />
e non fece nulla. Trascorse quel lungo inverno,<br />
interminabile come una mal’annata, attaccato al<br />
braciere parlando ai fumi e al rossore dei tizzoni come<br />
se don Paolo fosse ancora lì.<br />
Nessun messaggio arrivò in Spagna.<br />
Nel frattempo, però, i “miei uomini” attendevano<br />
risposte autorevoli, continuando a spiare a più non<br />
posso quanto potevano spiare.<br />
E ricordo quella sera, quella volta delle torce e dell’asino.<br />
Una sera, fin dall’alto del Castello, si vedevano tante<br />
luci giù nella valle battuta dalla tramontana. Fiaccole<br />
e gente che consumava un rito antico: il rito della<br />
vendetta.<br />
Uomini infuriati facevano un gran baccano per<br />
smuovere un asino.<br />
– Arrì, aiò, dagli col bastone a quell’asino.<br />
– Che corra lontano da qui.<br />
123
Avevano legato sulla bestia un uomo mezzo nudo -<br />
uno straccio a coprirgli le vergogne - con la faccia rivolta<br />
al di dietro dell’asino, che, quando è spaventato<br />
fa puzze a non finire. E poi spingevano la bestia, a colpi<br />
di qualunque cosa gli capitasse in mano, per farla<br />
correre lontano, verso il nulla.<br />
Donne che parevano ancora più arrabbiate lanciavano<br />
maledizioni ancestrali:<br />
– Via storpio bastardo.<br />
– Brutto come il peccato e pure traditore.<br />
– Ti spolpino gli spiriti del bosco.<br />
– Ti rincorra la tentazione.<br />
– Li volevi adesso i tuoi calzoni che abbiamo appeso<br />
sulla pianta di fico più alta e più vecchia!<br />
L’asino, sollecitato a più non posso da tutta quella<br />
gente infuriata, finalmente partì scattando.<br />
– Aiò. Aiò a su molenti.<br />
– Vai come il fumo, brutto traditore.<br />
– Come il fumo, quando soffia tramontana.<br />
Sembravano impazziti, tutti, uomini e donne. Delle<br />
furie.<br />
<strong>Si</strong> erano vendicati di quello col flauto, dello spione<br />
col flauto, si erano vendicati come i loro antichi, per<br />
proteggere la comunità dai traditori. Su quello storpio<br />
avevano riversato rabbie antiche.<br />
Maria, eccitata da tutto quello che aveva visto, si rivolse<br />
verso di me. Mi fissò. Sembrava illuminata. Con<br />
occhi di fuoco fece: – <strong>Si</strong> sono vendicati, mia signora,<br />
loro. Ora tocca a voi la giustizia. Ora tocca a voi. Li<br />
avete minacciati già una volta, ora fate giustizia.<br />
Abbassai lo sguardo.<br />
Nel mettermi a letto, quella notte, speravo tanto di<br />
124<br />
rivedere nel sogno l’arcangelo Michele che mi aveva<br />
indicato la strada dove scappare, tempo prima.<br />
Non avrebbe potuto indirizzare la sua spada di fuoco,<br />
anche questa volta, verso chissàdove?<br />
Ma il sonno non mi regalò nessun angelo, né arcangeli.<br />
Alcuni giorni dopo, don Ignazio venne a chiedermi<br />
se concedessi un po’ del mio tempo per ascoltare i funzionari.<br />
Acchiappata. Nella rete. Non potei più sottrarmi. Feci<br />
sì con la testa.<br />
* * *<br />
Il salone viene approntato come per una seduta ufficiale<br />
e solenne.<br />
Il grande tavolo ovale al centro e intorno tante seggiole<br />
con lo schienale di cuoio e i braccioli di legno: tante<br />
quanti sono i dignitari, gente spedita in terra di conquista<br />
dalla Catalogna, con promessa di benefici e prebende<br />
e potere. Gente, quindi, assetata di benefici, prebende<br />
e potere. Al servizio del Re e, sotto di lui, del<br />
grande feudatario.<br />
Ed eccoli lì, ritti sulle seggiole, con le mani incrociate,<br />
a protezione delle loro pance.<br />
Con un occhio guardano verso di me, ma i loro corpi<br />
sono rivolti verso don Ignazio, il castellano che, infatti,<br />
comincia a parlare. È suadente la sua voce e piagnucolosa.<br />
– Sarebbe arrivata una donna, qui al Castello. Una<br />
nobildonna. Per quanto sorpresi e perplessi, eravamo<br />
felici nell’attendervi. <strong>Si</strong>ete arrivata voi, donna <strong>Violante</strong><br />
e avete portato una ventata di grazia femminile, di gio-<br />
125
ventù… Ecco, ci dicevamo, faremo di tutto per ridarle<br />
il sorriso, perché il distacco dalla corte della regina non<br />
le pesi tanto, qui, sul monte… Ci sentivamo lusingati,<br />
emozionati: poter essere i consiglieri di una feudataria!<br />
Pensate: potervi ammirare mentre girate per queste terre,<br />
popolate di gente brutta, sporca, rozza, servi, che<br />
contrasta con questo splendido cielo…<br />
Io comincio ad agitarmi sulla seggiola, non so dove<br />
voglia infilarsi la volpe…<br />
– Ecco, voi, nobildonna d’Aragona, nostra padrona<br />
e signora, a dominare su tutto, bella quanto questo cielo,<br />
fresca come un ruscello. Credevamo… eravamo<br />
convinti che avreste avuto bisogno continuo di noi, dei<br />
nostri suggerimenti, della nostra esperienza… – la voce<br />
sempre più mielosa, – …noi, che siamo uomini e nobiluomini,<br />
avremmo certamente fugato ogni vostra<br />
preoccupazione, vi avremmo permesso di dedicarvi a<br />
tutto ciò che può far piacere ad una donna. E saremmo<br />
stati pronti a scortarvi fino a Callèr, giù in città, ad un<br />
vostro appena accennato desiderio di compagnia degna<br />
di voi, del vostro rango…<br />
Ho paura, sento che il miele sta per finire. Lo interrompo,<br />
e, con voce flebile gli chiedo cosa vuole ancora<br />
dire.<br />
– Ebbene, donna <strong>Violante</strong>, – e la voce si è indurita, –<br />
voi avete preferito chiudervi al mondo, non trattare<br />
con noi, solo con noi. Ci avete nascosto i messaggi del<br />
Re, ci avete nascosto la verità sull’assalto della nave saracena,<br />
– si infiamma sempre di più, – sul rapimento<br />
dei soldati… nostri. Capite?… nostri! Insomma… e<br />
poi… voi sapete bene qual è il vostro segreto, quali sono<br />
le vostre trame…<br />
Comincio a tremare tutta ma riesco a minacciare:<br />
126<br />
– Badate, don Ignazio, badate alle parole, non potete<br />
osare tanto…<br />
– A me… a me non permettete tanto, – riprende lui,<br />
col viso sanguigno, – ma a quella carcassa senz’anima<br />
del vecchio servo pescatore permettete ben altro, a<br />
quanto pare. Ah! Se il Re sapesse!<br />
A quel punto, gli altri, incoraggiati dal tono di sfida<br />
di don Ignazio, si voltano, come all’unisono, tutti verso<br />
di me, con le loro pance, con le loro facce bavose, con<br />
gli occhi bovini:<br />
– …e i falsi saraceni?<br />
– …e il pericolo dall’Arborea?<br />
– …e il Maligno?<br />
– Vogliamo la verità!<br />
Io grido solo: – Basta! – Poi, con un filo di voce, pur<br />
di sottrarmi a tutto quello, prometto che farò giustizia<br />
contro i traditori.<br />
– Carta e penna sigleranno la vostra giustizia e l’accordo<br />
tra voi e noi. – Riprende mellifluo, chinandosi<br />
verso di me, don Ignazio.<br />
E mentre parla ancora, un forte suono di campane a<br />
martello arriva alle orecchie di tutti: il suono arriva fin<br />
lassù, portato dal vento del mare.<br />
Due tocchi ripetuti sconvolgono il mio cuore, rintronano<br />
nel mio cervello.<br />
Tutta la vallata è pervasa da quel cupo rintocco annunciatore<br />
di morte.<br />
In bocca sento il sapore della beffa.<br />
E se quei rintocchi fossero per il vecchio?<br />
Con faccia stralunata e con la penna d’oca in mano,<br />
con la punta rivolta verso il cielo, chiedo cosa può essere<br />
quel martellare.<br />
Don Ignazio mi risponde maligno:<br />
127
– Qualcuno, giù a valle, avrà tirato le cuoia, magari<br />
il vostro pescatore…<br />
* * *<br />
Salutavano Pedru i campanili di ogni villaggio. Pedru<br />
il vecchio pescatore.<br />
Era riuscito a sottrarsi alla mia vendetta e a sottrarre<br />
me a una ridicola giustizia.<br />
Poggiai la penna ancora gocciolante di inchiostro<br />
nero, mi sedetti comoda comoda sulla seggiola abbandonando<br />
la posizione rigida di pochi istanti prima. Incrociai<br />
anche io le mani sul grembo, mi guardai intorno<br />
e con voce pacata:<br />
– Ebbene signori, io, donna <strong>Violante</strong> Carròz, feudataria<br />
di queste terre di <strong>Sardegna</strong>, ho deciso. Non firmerò<br />
nessuna condanna. La vendetta non appaga il<br />
mio cuore, e io mi rifiuto. Non ho altro da aggiungere.<br />
I funzionari, sprizzando rabbia, abbandonarono il<br />
loro posto, con il cuore pieno di minacce, di minacce<br />
di vendetta.<br />
Rimasta sola, mi feci il segno della croce, e recitai<br />
un requiem per quella povera anima.<br />
Quel vecchio, che vecchio! <strong>Si</strong> era preso gioco di me,<br />
ancora una volta.<br />
* * *<br />
Da quel giorno decisi. Fuori dal Castello: a scaldarmi<br />
finalmente di quella primavera ritardataria, a vedere<br />
ogni cosa, a cercare soprattutto rocce strane, di mille<br />
forme, come ce n’erano tante in quei luoghi. E ogni<br />
roccia aveva la sua storia, la sua leggenda. Il palafrenie-<br />
128<br />
re che spesso mi scortava, fin dalla prima volta in cui<br />
mi aveva accompagnato alla piccola chiesa di mattoni<br />
rossi a valle, me ne raccontava in continuazione di quelle<br />
storie.<br />
Oppure andavo sola, sulla mia cavalla bionda e docilissima,<br />
dalla mattina fino al tramonto del sole.<br />
A volte godevo del saluto dei sudditi, quando, chini<br />
sui campi aridi, si levavano il cappello; ma troppe volte<br />
capitava di vederli scappare, quando mi vedevano arrivare.<br />
Aspettavano da un momento all’altro un bando di<br />
morte. La minaccia fatta a Pedru era corsa di bocca in<br />
bocca, e perfino chi viveva lontano da Colostrai temeva<br />
qualcosa.<br />
Cosa era successo al castello, nell’ultima riunione,<br />
nessuno sapeva. I funzionari, quella volta, si erano ben<br />
cuciti la bocca. La loro sconfitta rodeva solo le loro teste<br />
e le loro viscere. Erano stati bravi a tenere un segreto.<br />
Era il loro segreto!<br />
Un giorno mi trovai in aperta campagna.<br />
Era d’estate. Un’estate resa più calda da un vento di<br />
maestrale che portava fin lì tutto il calore di una pianura<br />
afosa e arsa per gli incendi quell’estate divampati più<br />
a nord.<br />
Avevo fatto una cavalcata faticosa, che mi aveva fatto<br />
venire una gran sete. Mi guardai intorno e, un po’ in<br />
lontananza vidi una fontanella, vicina ad un abbeveratoio<br />
per bestie. Rimasi perplessa. La sete decise. Lasciai<br />
la cavallina dietro ad un poggio, ben nascosta e, impacciata<br />
dai miei pesanti e ingombranti vestiti, scesi a terra.<br />
Il contatto dei miei piedi col suolo fu molto doloroso:<br />
non avevo mai visto, né sentito tante spine in vita mia.<br />
129
Cespuglietti spinosi, con fiorellini viola chiaro: una<br />
distesa enorme; mi penetravano e mi pungevano i piedi,<br />
protetti soltanto da calzari leggeri, e le caviglie già<br />
stanche per la posizione a cavallo. Ed io con quell’arsura!<br />
Mi guardai intorno con fare prudente: non volevo<br />
essere certo riconosciuta da qualcuno. Ma le labbra<br />
erano proprio secche: ansiosa ma anche divertita, mi<br />
chinai alla canna della fontanella.<br />
Non ero abituata a simili situazioni. Cercare ristoro<br />
direttamente con la bocca ad una fonte campestre non<br />
era certo da nobildonna, tanto meno da nobildonna<br />
aragonese. Ma sorrisi alla sola idea di quella postura,<br />
china sul bordo basso dell’abbeveratoio. E per la prima<br />
volta in quell’isola riuscii a ridere di tutto e di me stessa,<br />
perché, insomma, il risultato fu che la finii tutta bagnata,<br />
riuscendo a mala pena a dissetarmi. E fu lì che sentii<br />
delle voci… scappai, mi acquattai dietro un cespuglio, il<br />
cuore in gola, senza quasi respirare per non rivelare la<br />
mia presenza. Il mio riparo era un grosso cespuglio di<br />
rosmarino, profumatissimo, e, per fortuna, senza spine.<br />
Le voci, che si avvicinavano sempre di più, erano di<br />
donna: due donne.<br />
Avevano dei cesti sulla testa, forse avevano lavato i<br />
loro panni, o forse li stavano portando da qualche parte:<br />
non sapevo.<br />
Cercavano, comunque, ristoro alla stessa fonte da<br />
cui io mi ero dovuta allontanare bruscamente.<br />
Cercai di intravederne le fattezze: poggiavano per<br />
terra le ceste, si toglievano dalla testa il fazzoletto, avevano<br />
il viso accaldato. Mi chiedevo che età potessero<br />
avere. Non si capiva. I loro abiti scuri, marrone, sembravano<br />
pesanti, nonostante il caldo.<br />
Conversavano le due: le voci non erano allegre, pa-<br />
130<br />
reva si confidassero timori notturni. Ed io, con l’orecchio<br />
teso, a sentire…<br />
– Non si può vivere in quest’attesa. Il mio uomo,<br />
ogni notte, si sveglia di soprassalto, tutto sudato, con la<br />
faccia più bianca di questi panni…<br />
– Anche il mio, Marianna, dice che sogna Saraceni, e<br />
poi soldati aragonesi che lo minacciano con la spada, e<br />
poi la nostra feudataria, e poi la forca, e allora caccia un<br />
urlo, si sveglia. Mi tormenta, è tormentato, ed io non<br />
faccio che pregare.<br />
– Se si potesse sapere cosa ci vuole riservare quella<br />
donna. Li perdonerà? Farà innalzare la forca? Ha minacciato<br />
un bando…<br />
– Da quel castello da mesi non arriva più nessuna<br />
notizia…<br />
<strong>Si</strong> interrogavano quelle donne, e avevano il viso segnato<br />
dalla fatica quotidiana.<br />
In quel momento, io non sentii più le punture delle<br />
spine, non sentii più il profumo di rosmarino. Capii<br />
che, senza volerlo, avevo inflitto la pena più crudele: il<br />
silenzio. E l’attesa.<br />
Se ne andarono così come erano arrivate, nei loro<br />
panni marrone e pesanti, a capo chino, con il loro poco<br />
grave fardello di panni lavati o da lavare.<br />
La mia sete era sparita col sorriso. Rimontai sulla cavallina<br />
e mi avviai verso il colle che già il cielo era scuro.<br />
Non rivolsi la parola a nessuno.<br />
Mi ritirai nelle mie stanze.<br />
131
Rivedo la mia vita passata. È tutta sotto i miei occhi.<br />
Sono passati secoli, o chissà quanto, da allora.<br />
Ora, del castello, non sono rimaste che pietre, grosse<br />
pietre.<br />
È come se la roccia, dov’era stato innalzato, se lo fosse<br />
mangiato lentamente.<br />
Non c’è più nessuno lassù; forse, davvero, vi ha fatto<br />
il nido qualche aquila.<br />
E a valle… a valle, solo campagna brulla, non più case<br />
di contadini.<br />
Hanno vinto le spine: le pietre e le spine.<br />
È rimasto il ruscello che scorre ai piedi del monte,<br />
ma non è che un rivolo semisecco.<br />
La gente si è concentrata vicino allo stagno, lungo il<br />
mare.<br />
È come se si fosse voluta allontanare il più possibile<br />
dalla rocca, temendo sempre un bando di morte.<br />
Vicino al castello e al suo ruscello, però, qualcosa è<br />
rimasto.<br />
A sfida del tempo, si erge ancora, con i suoi mattoni<br />
rossi, con le finestrelle dai vetri colorati, la chiesetta: la<br />
mia chiesetta.<br />
In quel rosso di mattoni, in quei colori dei vetri è<br />
sfumata la mia avventura, col profumo di terra bagnata.<br />
133
Ora che sono morta, rivedo tutto. Come in un sogno.<br />
È come essere dentro ad un sogno.<br />
134<br />
Era un pomeriggio scuro e umido.<br />
Volevo scacciare la mia tristezza fuori da quel castello<br />
e non riuscirono a fermarmi neppure le insistenze di<br />
Maria di cui sempre meno cercavo la compagnia e che<br />
sempre meno mi capiva.<br />
Minacciava pioggia.<br />
Montai sulla mia cavallina bionda e la diressi a valle,<br />
verso la piccola chiesa dai mattoni rossi.<br />
La bestia era nervosa, ma sotto la mia mano ferma e<br />
calma, si avviò, decisa, verso la chiesa.<br />
Vi entrai col mio prezioso rosario tra le dita e mi misi<br />
a pregare. Al crocifisso, quel pomeriggio grigio, indirizzai<br />
le preghiere più fervide.<br />
Pregai e pregai: un’avemaria inanellata ad un paternoster<br />
e via via con gli amen, uno dietro l’altro.<br />
Lasciai la chiesa che si era fatto tutto buio.<br />
Goccioloni pesanti venivano giù da quel cielo pauroso<br />
e nero: mi guardai intorno, non vedevo la cavalla.<br />
Presa dal panico, mi misi a correre, a cercarla: non<br />
sentii più neanche la pioggia, avevo il viso in fiamme. A<br />
tratti mi pareva di sentire il respiro dell’animale. Andavo<br />
in quella direzione, mi sembrava vicino…<br />
135
In quel momento mi arrivarono canti e musiche…<br />
talmente dolci che mi fermai a cercare con lo sguardo<br />
la fonte di quella melodia.<br />
Ero ancora di fronte alla chiesa.<br />
Mi girai.<br />
Era tutta illuminata.<br />
Li vidi.<br />
Erano almeno una decina, tutti vestiti di bianco, di<br />
veli bianchi.<br />
Formavano un cerchio con le mani intrecciate che<br />
oscillavano seguendo la musica.<br />
Cantavano. Dalle loro labbra non uscivano parole<br />
distinte: la voce era una sola.<br />
Mi fermai, impietrita.<br />
Li guardai: mi passavano davanti come giravano in<br />
tondo: mi sembravano tutti uguali, così nel canto, così<br />
nell’allegria.<br />
Ad un tratto, come ad un cenno d’intesa, le loro<br />
mani si liberarono e permisero ad uno di loro di venirmi<br />
incontro.<br />
Un’andatura trasognata… sudavo sempre di più…<br />
dei baffetti chiari sul labbro superiore… un sorriso<br />
aperto: il mio Felipe mi veniva incontro.<br />
– Dolce compagna, – disse, e il suono della sua voce<br />
era lo stesso del mio delirio. – Qui sei in mezzo ai morti.<br />
Se vuoi, io posso salvarti. Entra, entra pure a ballare<br />
con noi, ma… se vuoi andar via, canta queste parole…<br />
– e chino sul mio orecchio, tanto da farmi rabbrividire,<br />
mi recitò una filastrocca.<br />
Cantate e ballate voi<br />
ché ora la festa è vostra…<br />
136<br />
Nella mia testa non c’era più nulla: non il castello,<br />
non una feudataria, niente di niente.<br />
Seguii Felipe, volevo sentire il suo contatto, che riposava<br />
nella memoria di fanciulla.<br />
I miei piedi toccavano appena il suolo e, con la mano<br />
che sfiorava quella di lui, mi fermai, lo guardai, gli<br />
sorrisi.<br />
Mi circondava la vita con un braccio.<br />
Il girotondo si era fermato.<br />
Tutti si erano rivolti verso di noi.<br />
Uno di loro si spostò per farmi largo; mi sforzai di<br />
guardarlo in volto, per vedere chi potesse essere…<br />
Lo riconobbi. Sorrise con indulgenza: era il vecchio<br />
Pedru. Diablo de viejo.<br />
Proprio accanto a me un altro sorriso mi toccò il<br />
cuore. Il volto: sconosciuto.<br />
Mi sussurrò: – Non c’è bene che sempre duri, né<br />
male che perduri. Anch’io mi <strong>chiama</strong>vo Pietro, signora,<br />
Pietro de Açen.<br />
Avevo la vista annebbiata…<br />
Avevo la vista annebbiata per l’emozione.<br />
Non sapevo più quanto avevo danzato con loro, e<br />
quando vidi che mi accerchiavano sempre di più, mi<br />
prese paura e cominciai lentamente a cantare:<br />
Cantate e ballate voi<br />
ché ora la festa è vostra…<br />
Cercando nella memoria le parole finali della filastrocca,<br />
sollevai lo sguardo e incontrai quello di Felipe.<br />
Mi sorrise di un sorriso dolcissimo, invitante… avvicinò<br />
le sue labbra alle mie… io smisi di cantare.<br />
Intrecciai la mia mano con la sua e la melodia fu su<br />
tutto e su tutti.<br />
137
Mille torce quella stessa notte furono accese al Castello.<br />
La ricerca fu lunga e faticosa, sotto la pioggia scrosciante.<br />
Ma di <strong>Violante</strong> nessuna traccia. Donna <strong>Violante</strong> Carròz,<br />
feudataria di una parte delle terre orientali dell’isola<br />
di <strong>Sardegna</strong> non c’era più. Sparita. Nel nulla.<br />
Così raccontò il palafreniere a Maria, che consumava<br />
tutte le sue lacrime:<br />
– Sotto il castello, c’è un corridoio lunghissimo che<br />
porta fino al mare. E dall’altra parte del monte ci sono<br />
delle grotte naturali. “Domus de janas” le <strong>chiama</strong>no:<br />
case di fate.<br />
– Cosa? …fate? …streghe? dove sono? – si disperava<br />
Maria.<br />
– No, no, Maria, non c’è da aver paura. Non sono<br />
streghe cattive. No! Non fanno del male. Sono loro, invece,<br />
ad aver paura degli uomini.<br />
– E allora? Allora? – strillava l’altra tra i singhiozzi,<br />
– perché hanno fatto del male alla mia signora?<br />
– Io so che non le hanno fatto del male…<br />
Maria si calmò tutta a quella rassicurazione e incoraggiò<br />
il palafreniere - bastò uno sguardo - a continua-<br />
139
e a spiegare, se c’erano spiegazioni, e a raccontare, visto<br />
che sapeva. Capì lo sguardo il palafreniere e non si<br />
fece pregare:<br />
– Un tempo le fate erano come donne, come donne<br />
molto belle, ma piccole. La loro pelle, che non tollerava<br />
la forte luce del sole, era candida come la luna e la<br />
loro bellezza era tale che gli uomini le importunavano<br />
e davano loro la caccia in continuazione. Ma quelle detestavano<br />
il contatto umano. Quelle non si nutrivano<br />
come gli uomini, pare mangiassero solo petali di rose.<br />
Erano fate, insomma, mi segui?<br />
Maria annuì, cullata dalle parole e dal racconto. Il<br />
palafreniere proseguì:<br />
– Le fate, una sera d’autunno, decisero che Basta!<br />
Basta con gli uomini. <strong>Si</strong> fecero trasportare dal vento, insieme<br />
alle foglie cadute dagli alberi, e il vento le adagiò,<br />
alcune ai piedi dei monti, dove cercarono rifugio in piccole<br />
grotte naturali - quelle che gradiva tanto Donna<br />
<strong>Violante</strong> e sembrava volerci spiare dentro quando l’accompagnavo…<br />
Altre fate, invece, furono adagiate all’ingresso<br />
dei cunicoli sotterranei che stanno sempre<br />
sotto i castelli. E questo è un castello, Maria.<br />
Maria fece sì con la testa.<br />
– Ebbene, si organizzarono in comunità, quelle delle<br />
grotte e quelle dei cunicoli. Tutte misero insieme le<br />
loro doti e i loro poteri. Filavano, tessevano e ricamavano<br />
gli scialli più belli che mai si erano visti, con fili<br />
d’oro e d’argento, color del sole e color della luna.<br />
Maria era di sale. Non si muoveva, quasi non respirava:<br />
per non perdere una parola del racconto e per<br />
non perdere il braccio di quell’uomo che ora - solo ora<br />
se n’era accorta - le circondava la vita. Gli occhi persi e<br />
il cuore in tumulto.<br />
140<br />
– Solo il loro telaio poteva tessere quei ricami meravigliosi.<br />
E gli uomini lo sapevano. Quindi tendevano<br />
mille trappole per catturarle e impadronirsi di quel magico<br />
strumento. E le fate si stancarono di essere sempre<br />
minacciate e ancora importunate e abbandonarono anche<br />
quelle grotte e quei cunicoli sotterranei. Sono andate<br />
via ormai da molto tempo, chissà dove… Ma hanno<br />
lasciato il loro telaio d’oro, solo che prima di partire<br />
gli hanno fatto un incantesimo. Nessuno, dicono, da allora<br />
lo può vedere il telaio. Solo loro, le fate - nel caso<br />
un giorno decidessero di tornare - e solo anime pure<br />
hanno occhi per vederlo. E quel telaio, cara la mia Maria,<br />
se mano di anima pura lo vede e sfiora, pff… come<br />
per incanto, trasforma la persona in una jana. Ecco,<br />
questo deve essere accaduto a Donna <strong>Violante</strong>.<br />
Rasserenata dal destino felice della sua signora, Maria<br />
diede sfogo ad altre curiosità tutte umane:<br />
– Ma erano proprio belle queste… janas? E come<br />
erano belle?<br />
– Se non fossi qui, accanto a me, e sentissi il tuo<br />
contatto e la tua morbidezza, direi… direi… che tu sei<br />
una di loro, perché sei proprio bella come una jana…<br />
Così raccontava il palafreniere, e Maria, catturata<br />
dal fascino del racconto, e vinta dal potere del suo abbraccio,<br />
affidò a quell’uomo stravagante tutte le notti<br />
che le restavano da vivere.<br />
141
La notizia della sparizione arrivò, un bel po’ di tempo<br />
dopo, anche alla corte della regina <strong>Si</strong>billa de Fortià,<br />
dove fu commentata con particolari piccanti, piccantissimi.<br />
– Avete sentito, donna Carmelita? Cosa sapete? Cosa<br />
sapete di donna <strong>Violante</strong>?<br />
– Donna Inés, donna Inés… che brutta storia. La<br />
regina <strong>Si</strong>billa è trepidante per quella lì. Non fa che pregare.<br />
Le notizie che sono arrivate da quell’isola dicono<br />
che… pfff: si è volatilizzata. Sparita nel nulla. Ma come<br />
è possibile che una persona scompaia così? Lei, la regina,<br />
solo lei ci crede a questa storia.<br />
– Perché, donna Carmelita, sapete qualcos’altro?<br />
– Dei marinai che sono sbarcati pochi giorni fa pare<br />
abbiano portato notizie nuovissime… e inquietanti.<br />
Vero donna Maria?<br />
– Eh! Su, non fatemi dire, non fatemi parlare. Lo<br />
dicevamo già da tempo che quella lì era una specie<br />
di…<br />
– Ma i marinai… cosa hanno detto quei marinai che<br />
sono partiti da quell’isola? Raccontate donna Maria,<br />
non fateci stare sulle spine.<br />
– Lei… lei… se ne andava per i boschi a cavallo.<br />
143
– A cavallo per i boschi? E con chi?<br />
– Da sola… diceva lei. Un pastore di capre… pensate,<br />
un pastore di capre, pare che un giorno l’abbia<br />
trovata a terra, tramortita…<br />
– E allora? E allora?<br />
– Pare l’abbia trascinata fino al suo ovile e lei, vi ricordate<br />
con quali occhi guardava gli uomini? Beh! Immaginate<br />
quello, a vedersi fissato in quel modo, un selvaggio<br />
senza fede in Dio e nella Vergine Maria… insomma<br />
l’ha portata dentro una grotta e ne ha fatto quello<br />
che voleva.<br />
– Oh! Ma allora! Poveretta… mi fa quasi pena.<br />
– Ih! Ih! Che pena e pena. Quei selvaggi che vivono<br />
nelle terre dove sorge il suo castello, dicono che lei, lei<br />
si è data tutta a lui e alle sue voglie. E vive tra le capre,<br />
coperta di stracci per non farsi riconoscere. Ecco perché<br />
non la trovano…<br />
– Perché non vuole farsi trovare…<br />
Conclusero in coro complice donna Carmelita de<br />
Jerez y Ortega, donna Inés de Perez y Esterrìa e donna<br />
Maria de Mariner y Gasset.<br />
144<br />
Anche presso gli stagni se ne parlò per anni e anni,<br />
per generazioni di pescatori.<br />
Intorno al fuoco, nelle serate invernali, e durante<br />
l’estate, al fresco, sotto il pergolato.<br />
Qualcuno la vide, quella sera, su una barca che scivolava<br />
a pelo d’acqua.<br />
Era bellissima, vestita di bianco e coi capelli al vento.<br />
Di fronte a lei, remava, sorridente, un vecchio pescatore<br />
di stagno.<br />
<strong>Si</strong> <strong>chiama</strong>va Pedru. Uomo molto rispettato e amato<br />
da tutti. Uno di loro.<br />
Lì, su quella barca, con lei, non aveva più tutti i suoi<br />
anni: era giovane, bello, coi capelli ricci, col volto senza<br />
rughe, e tutti i suoi denti erano candidi e luccicavano<br />
per lei, in un sorriso felice.<br />
La barca si è dileguata tra le onde, come se le nuvole<br />
se la fossero ingoiata.<br />
Restavano incantati gli ascoltatori di quel racconto,<br />
e lo richiedevano in continuazione, mai stanchi di riascoltarlo.<br />
E quando era finita la storia, sguardi di ammirazio-<br />
145
ne andavano ad un giovane che, nei tratti, ricordava il<br />
vecchio del racconto.<br />
Ed era infatti un pronipote di Pedru che, fiero di un<br />
tal nonno, socchiudeva gli occhi e tirava con soddisfazione<br />
una boccata dalla pipa di radica.<br />
146<br />
Di storie ne son circolate sul conto di Donna <strong>Violante</strong><br />
Carròz.<br />
Compresa la storia dei libri di Storia.<br />
<strong>Violante</strong> Carròz.<br />
Figlia di Berengario e di una sconosciuta.<br />
Nel 1383, il Re Pietro il Cerimonioso le riconobbe<br />
in feudo il contado di Quirra. <strong>Violante</strong> fu dama della<br />
Regina <strong>Si</strong>billa de Fortià.<br />
Sposò Poncho de Senesterra, morto giovanissimo.<br />
In seconde nozze sposò Berengario Bertran, della<br />
famiglia catalana dei signori di Gelida, il quale scomparve<br />
senza dare più sue notizie.<br />
La verità?<br />
Intorno alle pietre e alle spine del castello, quando<br />
soffia il vento dal mare, pare che di notte si oda come<br />
una voce.<br />
Ma sono parole appena percettibili…<br />
Qualunque cosa, cara la mia Viola, tu dica o faccia, se<br />
la porterà via il vento.<br />
147
INDICE
INDICE<br />
SI CHIAMA VIOLANTE<br />
CAPITOLO 1 11<br />
CAPITOLO 2 55<br />
CAPITOLO 3 61<br />
CAPITOLO 4 73<br />
CAPITOLO 5 79<br />
CAPITOLO 6 103<br />
CAPITOLO 7 123
Volumi pubblicati:<br />
Tascabili . Narrativa<br />
Grazia Deledda, Chiaroscuro<br />
Grazia Deledda, Il fanciullo nascosto<br />
Grazia Deledda, Ferro e fuoco<br />
Francesco Masala, Quelli dalle labbra bianche<br />
Emilio Lussu, Il cinghiale del Diavolo<br />
Maria Giacobbe, Il mare (2 a edizione)<br />
Sergio Atzeni, Il quinto passo è l’addio<br />
Sergio Atzeni, Passavamo sulla terra leggeri<br />
Giulio Angioni, L’oro di Fraus<br />
Antonio Cossu, Il riscatto<br />
Bachisio Zizi, Greggi d’ira<br />
Ernst Jünger, Terra sarda<br />
Salvatore Niffoi, Il viaggio degli inganni (2 a edizione)<br />
Luciano Marrocu, Fáulas (2 a edizione)<br />
Gianluca Floris, I maestri cantori<br />
D.H. Lawrence, Mare e <strong>Sardegna</strong><br />
Salvatore Niffoi, Il postino di Piracherfa<br />
Flavio Soriga, Diavoli di Nuraiò (2 a edizione)<br />
Giorgio Todde, Lo stato delle anime<br />
Francesco Masala, Il parroco di Arasolè<br />
Maria Giacobbe, Gli arcipelaghi (2 a edizione)<br />
Salvatore Niffoi, Cristolu<br />
Giulio Angioni, Millant’anni<br />
Luciano Marrocu, Debrà Libanòs<br />
Giorgio Todde, La matta bestialità (2 a edizione)<br />
Sergio Atzeni, Racconti con colonna sonora e altri «in giallo»<br />
Marcello Fois, Materiali<br />
Maria Giacobbe, Diario di una maestrina<br />
Giuseppe Dessì, Paese d’ombre<br />
Francesco Abate, Il cattivo cronista<br />
Gavino Ledda, Padre padrone<br />
Salvatore Niffoi, La sesta ora
Jack Kerouac, L’ultima parola. In viaggio. Nel jazz<br />
Gianni Marilotti, La quattordicesima commensale<br />
Giorgio Todde, Ei<br />
Luigi Pintor, Servabo<br />
Marcello Fois, Tamburini<br />
Francesco Abate, Ultima di campionato<br />
Patrick Chamoiseau, Texaco<br />
Luciano Marrocu, Scarpe rosse e tacchi a spillo<br />
Alberto Capitta, Creaturine<br />
Romano Ruju, Quel giorno a Buggerru<br />
Narrativa<br />
Salvatore Cambosu, Lo sposo pentito<br />
Marcello Fois, Nulla (2 a edizione)<br />
Francesco Cucca, Muni rosa del Suf<br />
Paolo Maccioni, Insonnie newyorkesi<br />
Bachisio Zizi, Lettere da Orune<br />
Maria Giacobbe, Maschere e angeli nudi: ritratto d’un’infanzia<br />
Giulio Angioni, Il gioco del mondo<br />
Aldo Tanchis, Pesi leggeri<br />
Maria Giacobbe, Scenari d’esilio. Quindici parabole<br />
Giulia Clarkson, La città d’acqua<br />
Paola Alcioni, La stirpe dei re perduti<br />
Mariangela Sedda, Oltremare<br />
<strong>Rossana</strong> <strong>Copez</strong>, <strong>Si</strong> <strong>chiama</strong> <strong>Violante</strong><br />
Poesia<br />
Giovanni Dettori, Amarante<br />
Sergio Atzeni, Due colori esistono al mondo. Il verde è il secondo<br />
Gigi Dessì, Il disegno<br />
Roberto Concu Serra, Esercizi di salvezza<br />
Serge Pey, Nierika o le memorie del quinto sole<br />
Saggistica<br />
Bruno Rombi, Salvatore Cambosu, cantore solitario<br />
Giancarlo Porcu, La parola ritrovata. Poetica e linguaggio in<br />
Pascale Dessanai<br />
FuoriCollana<br />
Salvatore Cambosu, I racconti<br />
Antonietta Ciusa Mascolo, Francesco Ciusa, mio padre<br />
Alberto Masala - Massimo Golfieri, Mediterranea<br />
I Menhir<br />
Salvatore Cambosu, Miele amaro<br />
Antonio Pigliaru, Il banditismo in <strong>Sardegna</strong>. La vendetta barbaricina<br />
Giovanni Lilliu, La civiltà dei sardi<br />
Giulio Angioni, Sa laurera. Il lavoro contadino in <strong>Sardegna</strong><br />
In coedizione con Edizioni Frassinelli<br />
Marcello Fois, Sempre caro<br />
Marcello Fois, Sangue dal cielo<br />
Giorgio Todde, Lo stato delle anime<br />
Marcello Fois, L’altro mondo<br />
Giorgio Todde, Paura e carne<br />
Giorgio Todde, L’occhiata letale
Finito di stampare<br />
nel mese di settembre 2004<br />
dalla Tipolitografia ME.CA. - Recco GE