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Rossana Copez, Si chiama Violante - Sardegna Cultura

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ROSSANA COPEZ<br />

SI CHIAMA VIOLANTE<br />

IL MAESTRALE


NARRATIVA


Editing<br />

Giancarlo Porcu<br />

Grafica<br />

Nino Mele<br />

Imago multimedia<br />

Foto di copertina<br />

Archivio Imago multimedia<br />

© 2004, Edizioni Il Maestrale<br />

Redazione: via Massimo D’Azeglio 8 - 08100 Nuoro<br />

Telefono e Fax 0784.31830<br />

E-mail: edizionimaestrale@tiscali.it<br />

Internet: www.edizionimaestrale.it<br />

ISBN 88-86109-83-0<br />

ROSSANA COPEZ<br />

<strong>Si</strong> <strong>chiama</strong> <strong>Violante</strong><br />

IL MAESTRALE


a Jenny


La morte è la curva della strada.<br />

Morire è solo non essere visto.<br />

Fernando Pessoa, da Una sola moltitudine<br />

Sola, non posso stare –<br />

Perché mi vengono a far visita –<br />

Ospiti al di là della memoria –<br />

Ospiti che ignorano la chiave di casa<br />

Emily Dickinson, da <strong>Si</strong>lenzi<br />

Io ho veduto tutto ciò che si fa sotto il<br />

sole: ed ecco tutto è vanità e un correr<br />

dietro al vento.<br />

Ecclesiaste, 1,14


1<br />

Manuel de Figueira, questo era il nome con cui mi si<br />

era presentato con modi ossequiosi, peraltro rari in un<br />

uomo di mare, non aveva più la faccia tirata e tesa di alcuni<br />

giorni prima, al momento della partenza. Aveva<br />

combattuto con le onde lui, aveva governato con sapienza<br />

il suo equipaggio, forse non aveva chiuso occhio<br />

per troppe ore di fila. Ma adesso che l’imbarcazione era<br />

sicura dentro il porto, il volto gli si era rilassato e un accenno<br />

di sorriso rivelava la soddisfazione per l’impresa:<br />

nessuna tempesta, nessuna malattia tra gli uomini a bordo,<br />

nessuna minaccia di pirati, niente. <strong>Si</strong> era accostato a<br />

me con uno sguardo d’intesa, come dire sono stato bravo!,<br />

ma gli era uscito solo: – Per la grazia de Diòs è andato<br />

tutto bene, la canaglia morisca si è tenuta lontana da<br />

noi per tutto il tempo.<br />

Per tutto il tempo…<br />

Sono approdata in quella terra in un settembre.<br />

Per tutto il tempo della traversata avevo assaggiato<br />

gli spruzzi salati delle onde. Da Barcelona fino a lì. Poi<br />

Esperansa era scivolata leggera e la città si era avvicinata<br />

sempre di più, sempre di più. Gli occhi stretti a vederla<br />

meglio, a ripararmi da un sole che filtrava per una<br />

foschia chiara, quasi lattiginosa.<br />

11


Ed eccola Cagliari bianca, su un grande zoccolo di<br />

roccia calcarea affiorante dal mare. Difficile capire dove<br />

terminava la roccia e dove iniziavano le case. Poi le<br />

acque del golfo avevano risucchiato dolcemente la nave,<br />

come ad abbracciarla. E si approdò.<br />

Era in un dolce settembre e il mare profumava come<br />

mai avevo saputo. Penetrante, eccitante, che portava<br />

d’istinto a tirar su col naso, a inspirare senza sosta. Per<br />

non perderlo, per rubarlo agli altri… Ma ancora odori:<br />

di zafferano, di rosmarino, e ancora di zafferano, di cui<br />

erano colme grosse ceste pronte all’imbarco, nuvole di<br />

fiori viola, e profumo di alghe vive che facevano sentire<br />

la loro presenza da sotto gli scogli.<br />

Manuel de Figueira, col suo fare gentile, stava al mio<br />

fianco, appoggiato al parapetto a guardare uomini di<br />

carnagione scura, cotta dal sole e dal salmastro che si<br />

davano da fare con le funi per permettere alla nave di<br />

attraccare senza troppi scossoni.<br />

Lui era il capitano, e il suo compito, quello di portare<br />

la sua nave da un porto all’altro, l’aveva già svolto.<br />

Nave e persone e merci erano ormai arrivate a destinazione,<br />

sane e salve.<br />

Voleva farmi compagnia. Ora si prodigava in spiegazioni<br />

non richieste. Mi indicava la fila di uomini che salivano<br />

lungo l’asse di legno che collegava l’imbarcazione<br />

alla banchina. Li <strong>chiama</strong>no bastàscius, mi diceva, è<br />

sempre uno spettacolo vederli in azione e soprattutto<br />

sentire come si incitano a vicenda; le parole non si capiscono<br />

quasi mai, ma hanno una intonazione che sembra<br />

una musica.<br />

E quelli proprio asini sembravano, asini che portavano<br />

il basto, bastasci. Grandi pesi sulle spalle ricurve,<br />

12<br />

salivano in fila indiana e pareva che il ventre della nave<br />

se li ingoiasse uno per uno, uno dietro l’altro, per risputarli<br />

subito dopo, uno per uno, uno dietro l’altro, con<br />

altri pesi in spalla.<br />

Dall’alto della nave era più facile sentire le voci e le<br />

urla di incitamento che vedere quegli uomini in faccia.<br />

Aveva ragione il capitano, quegli accenti risuonavano<br />

come una musica, incomprensibili. Anche le loro teste,<br />

cappucci di lana, si muovevano secondo un ritmo determinato.<br />

Formiche, formiche intorno ad un boccone<br />

prelibato.<br />

– Carico prezioso! – voce roca e perentoria che ammoniva<br />

le altre formiche.<br />

Dalla nave gli uomini dell’equipaggio dovevano avere<br />

già fatto arrivare in banchina notizie di prima mano e<br />

per prime scaricate.<br />

Quel carico prezioso ero io. Io faccia disfatta per la<br />

stanchezza della traversata e testa che scoppiava per<br />

quello che andavo a fare lì, in quella terra.<br />

Cinque o sei uomini avvicinarono una scaletta rudimentale<br />

allo scafo, e non so quante braccia, più di quante<br />

potessero appartenere in realtà ai corpi che vedevo,<br />

mi aiutarono a scendere. Io davanti, dietro i bauli con<br />

tutto quello che, a corte, la servitù aveva pensato potesse<br />

essere utile in una terra straniera ad una donna e dama<br />

come me. Del mio rango.<br />

Il capitano Manuel de Figueira si congedò con un<br />

bel sorriso di augurio e di incoraggiamento.<br />

– Lassù, – mi disse, – dove si vedono quelle torri: là<br />

vi aspettano.<br />

Sulla nave sapevo che la responsabilità era tutta sua,<br />

ma sulla terra non più. Sulla terra cominciava la mia. E<br />

il capitano, a terra, non ci aveva messo neanche piede.<br />

13


Manuel de Figueira, bruno di carnagione e coi capelli<br />

ricci, il volto profondamente segnato da lunghe rughe<br />

- ma quando sorrideva gli si illuminavano gli occhi -<br />

aveva aperto le braccia, quasi a scusarsi, e poi aveva<br />

guidato il mio sguardo oltre il porto, indicando un<br />

punto:<br />

– Lassù.<br />

* * *<br />

– L’avete sentita la notizia? Donna <strong>Violante</strong> se ne va.<br />

Donna Carmelita de Jerez y Ortega aveva parlato<br />

con tono complice e di scherno alle sue amiche riunite.<br />

– Se ne va? E dove può andare una così? – aveva risposto<br />

donna Maria.<br />

– Dove ha voluto il Re. In persona. Va a fare la feuda-ta-ria.<br />

– La feudataria? – fu la richiesta del coro, – e dove,<br />

dove?<br />

– In un’isola. L’isola di <strong>Sardegna</strong>. Io non capisco<br />

proprio. Ma cosa pensa quella? Che comandare a dei<br />

selvaggi sia roba per lei? Mah! È sempre stata strana,<br />

con quella sua aria da… da… è meglio non dirlo, il <strong>Si</strong>gnore<br />

mi perdoni.<br />

Perfino la vecchia donna Inés, che faticava a parlare<br />

per via di quel labbro tutto cicatrici, aveva trovato,<br />

all’improvviso, una parlantina chiara e limpida:<br />

– Secondo me il Re, che sa sempre quello che fa, se<br />

ne vuole disfare. Avete visto come fa gli occhi quando<br />

si trova al suo cospetto? Solo quando è con noi quella<br />

lì li tiene abbassati o rivolti verso il cielo. E poi, non<br />

crediate, selvaggi sì, ce ne saranno in quella terra, ma ci<br />

sono anche molti catalani e valenzani, uomini dabbe-<br />

14<br />

ne. Ecco perché il Re la manda lì, chissà che non riesca<br />

a soddisfare vergognose voglie, lontano dalla nostra<br />

corte.<br />

– Ma… e la regina <strong>Si</strong>billa? Eh? Secondo me è proprio<br />

lei che ha convinto il suo regale consorte a spedire<br />

Donna <strong>Violante</strong> lontano. Sembra che sia la sua pupilla,<br />

ma in fondo in fondo… mi sbaglierò, non la vuole proprio<br />

vicino.<br />

– Ma che dite donna Carmelita? Ma se è proprio la<br />

regina che la vuole sempre attaccata alle sue gonne?<br />

– Certo, donna Inés, non capite? Basta poco ad arrivarci…<br />

solo se sta attaccata alle sue gonne può stare sicura<br />

che non si attacca ai pantaloni di qualcun altro… il<br />

<strong>Si</strong>gnore e lo Spirito Santo mi perdonino…<br />

– Ma e poi… poi… vi ricordate cosa si diceva quando<br />

è arrivata qui a Barcelona? Strane voci girano sul<br />

suo conto… voci strane che puzzano di eresia e stregoneria…<br />

– Tacete donna Maria, tacete… non si nomina neanche<br />

il… perché ne spunta subito la coda…<br />

– Comunque, che vada, e che non si faccia più vedere<br />

qui a corte. I nostri uomini saranno più tranquilli<br />

così. Finalmente.<br />

* * *<br />

Una solerte scorta mi accompagnò ai quartieri alti.<br />

Dal porto fin lassù una interminabile salita. Una serpentina<br />

di stradine, e sempre quei penetranti profumi,<br />

quello di mare su tutti. Me lo sentivo addosso e scacciava<br />

perfino l’angoscia che mi prendeva a tratti, quando<br />

mi ricordavo la ragione di quel viaggio e di ciò che mi<br />

aspettava.<br />

15


Portoni di legno e ferro introducevano nel quartier<br />

della corte aragonese.<br />

Era <strong>chiama</strong>to Castello di Cagliari, ma del castello<br />

vantava solo delle imponenti torri bianche e quadrate,<br />

a delimitarne il perimetro.<br />

All’interno una piccola città, solo di aristocratici, solo<br />

di Aragonesi.<br />

Lì ero attesa da nobiluomini della mia stessa terra.<br />

Una corte meno sfarzosa di quella che avevo lasciato<br />

mi accolse con effusioni prive di cordialità.<br />

Alla corte che avevo lasciato, a Barcelona dalla regina<br />

<strong>Si</strong>billa de Fortià, erano stati ben felici di dirmi addio.<br />

Le dame - le dame soprattutto - non stavano più nei<br />

panni dalla contentezza, una volta appresa la notizia<br />

della mia partenza. Non avevano risparmiato ad alta<br />

voce commenti salaci sul mio conto, e insinuazioni tra<br />

le più malevole erano uscite da quelle bocche: che avevo<br />

la faccia da santarellina ma… che quegli abiti neri<br />

erano più provocanti delle gonne rosse tutte svolazzi di<br />

una ballerina andalusa, e altre cattiverie che solo donne<br />

brutte e vaiolose come quelle potevano partorire.<br />

Quelle dame: che dame! Lì, alla corte di Barcelona.<br />

A Cagliari fu diverso.<br />

I miei veli neri facevano paura e imbarazzavo tutti.<br />

Mi guardavano di sottecchi e con aria perplessa perché,<br />

per loro, una così non s’era mai vista: una così alla successione<br />

del feudo. Perché mio padre Berengario Carròz,<br />

morto senza figli maschi, lasciava un feudo senza<br />

successore. Unica figlia, io. Una donna.<br />

Mio padre, morto nell’anno del <strong>Si</strong>gnore 1373.<br />

Mio padre conosciuto appena.<br />

16<br />

Mio padre sbarcato ancor molto giovane nella terra<br />

dei Sardi, nuova conquista del regno d’Aragona. Primo<br />

conte del feudo di Quirra.<br />

Lì le prefiche piansero la sua morte. Lì, poi, hanno<br />

mandato me a reggere il suo feudo.<br />

In quanto alla inattesa successione, a nulla erano<br />

valse le rimostranze accese della Corte e di tutti i consanguinei<br />

sulle pretese avanzate da mio nonno l’ammiraglio<br />

Carròz alla morte di mio padre. E il Re aveva sostenuto<br />

che: – A un Carròz, al vecchio Berengario Carròz<br />

bisogna dare quel che chiede, quando chiede. Anche<br />

se quel che reclama non è stato in uso finora. Ma da<br />

ora in poi lo sarà. Così è deciso. Avrà la successione femminile.<br />

L’ultima e definitiva conquista di Berengario I Carròz.<br />

Ultima, perché mio nonno morì subito dopo e prima<br />

di vedermi salire sulla galea per la <strong>Sardegna</strong>. Definitiva,<br />

perché sancita dalla parola del Re.<br />

* * *<br />

Era un giorno di festa. La messa solenne era appena<br />

terminata. Nobiluomini e nobildonne della corte abbandonavano<br />

lentamente la Chiesa, alcuni indugiavano<br />

scambiandosi sorrisi e parole gentili.<br />

La Regina <strong>Si</strong>billa, cui dovevo stare sempre accanto,<br />

mi sussurrò, indicandomi il Re: – Ti aspetta. Ha da parlarti.<br />

La stanza del Gran Consiglio oggi sarà per te. Vai,<br />

<strong>Violante</strong>, ascoltalo e obbedisci.<br />

Lui seduto sul grande scranno regale, io inginocchiata<br />

ai suoi piedi. Mi sollecitò paternamente a tirarmi<br />

su. Io e il Re da soli nella grande sala. Non s’era mai<br />

sentito.<br />

17


Teso verso di me, aveva un tono di voce solenne ma<br />

parlava piano, come a non farsi udire da altri:<br />

– È giunto il momento che si realizzi quanto desiderato<br />

da tuo nonno quando chiese e ottenne la successione<br />

del feudo in linea femminile. Sei una donna, <strong>Violante</strong>,<br />

e le donne, in genere, non si occupano né di faccende<br />

di guerra né di conquiste. Anche tu, poco o nulla<br />

puoi capire del mondo o di controllo dei mari. Ma sei<br />

una Carròz e questo ai miei occhi fa di te una donna<br />

speciale. Purtroppo la vita non è stata tenera privandoti<br />

di due mariti che con cura il Re e la Regina avevano<br />

cercato per te. Sei schiva, come nessun’altra, di frivolezze<br />

e mondanità. Dopo aver a lungo pensato e riflettuto<br />

e con l’aiuto del Padreterno Nostro <strong>Si</strong>gnore, ora il<br />

Re ha deciso. Tu andrai in terra di <strong>Sardegna</strong>. Userai il tuo<br />

titolo di feudataria e Contessa di Quirra che fu di tuo<br />

padre.<br />

Tentai di dire qualcosa, ma il Re:<br />

– Taci <strong>Violante</strong>, – e allungò la mano inguantata a impedire<br />

il mio accenno di obiettare, – ascolta bene il tuo<br />

Re che ti spiegherà tutto. A te, poi, il dovere di obbedienza.<br />

In piedi davanti a lui continuai ad ascoltarlo senza<br />

battere ciglio.<br />

– Tu andrai lì. In <strong>Sardegna</strong> ci sono tanti pericoli e<br />

tanti nemici. Ma uno, uno solo è davvero temibile.<br />

La tua forza sarà il tuo nome. Carròz è nome che<br />

impaurisce i nostri funzionari del Castello di Cagliari.<br />

Quando li incontrerai non degnare il loro disappunto<br />

e non far caso alla loro ostilità, che celeranno, verso il<br />

tuo casato.<br />

Carròz è nome che farà inginocchiare il Castellano e<br />

gli abitanti del castello di San Michele, che visiterai do-<br />

18<br />

po quello di Cagliari. Ma non serve che tu vi indugi a<br />

lungo.<br />

Punterai verso il castello di Quirra. E anche lì Carròz<br />

è il nome, l’unico, che mette in allerta i confinanti<br />

sardi del Castello di Quirra. E tu, proprio lì dovrai andare.<br />

Perché se Carròz è il nome portato da una donna,<br />

allora, così per lo meno spera il tuo Re, il nemico più temibile<br />

ritrarrà le proprie unghie.<br />

Quel nemico, <strong>Violante</strong>, è una donna. Come te. È<br />

Eleonora d’Arborea. Il territorio in mano alla Corona<br />

d’Aragona le fa gola, preme con le sue truppe ai confini.<br />

Lo vuole conquistare e prendere come una femmina fa<br />

con un maschio, giocando come gatto con topo.<br />

Mi sembrava di non sentire più il corpo: gambe intorpidite<br />

per lo stare in piedi, testa in fiamme per quello<br />

che le mie orecchie stavano sentendo. Ma lui continuava…<br />

– È donna caparbia e testarda questa Eleonora. Farebbe<br />

di tutto pur di conquistare l’intera isola per i suoi<br />

sardi, oserebbe sacrificare anche marito e figli. È donna<br />

che si misura con un altro uomo come un guerriero. La<br />

tua presenza, la presenza di una donna la disorienterà.<br />

Un Carròz la eccita alla battaglia, ma una Carròz con le<br />

gonne la terrà per un po’ di tempo occupata a pensare…<br />

a chiedersi il significato del tuo essere lì. Resterà<br />

perplessa sul da farsi… Le acque si placheranno fino a<br />

quando… il tuo Re appronterà una grande forza d’armati<br />

che la sbaraglierà per sempre.<br />

Quel finale felice della storia mi rincuorò e gli sorrisi<br />

sollevata.<br />

19


– A te, quindi, il compito di governare il feudo di<br />

Quirra, e tenere la calma in quei territori.<br />

E senza altre parole mi congedò.<br />

Mi inginocchiai a lui, com’era mio dovere, esprimendo<br />

gratitudine e rinnovando obbedienza.<br />

Uscii lentamente e arrivai alle mie stanze, ma non so<br />

come.<br />

Una lama gelata mi attraversava tutta la schiena a<br />

dispetto del fuoco che bruciava nella mia testa.<br />

Amministrare la giustizia? Controllare il territorio?<br />

E come? Io? Da sola? Senza un uomo al mio fianco?<br />

Sentii tutta la solitudine del mondo e l’angoscia che<br />

mi afferrava i visceri.<br />

Quella notte, volti colori suoni si intrecciarono nella<br />

mia mente. Luoghi paurosi mi si paravano davanti agli<br />

occhi senza che io potessi distinguerne forme conosciute.<br />

Due occhi verde scuro si affacciavano tra i merli<br />

di un castello e mi arrivava una voce calda “Vai Viola.<br />

Castelli turriti saranno le tue tappe. Segui il cammino<br />

che ti verrà indicato. Senza fermarti. Io sarò lì con te”.<br />

Conoscevo quegli occhi: erano di Felipe, il mio primo<br />

marito.<br />

Poi, immagini di sterpaglie, rovi, anche fiori senza<br />

odore. E mi sentivo i piedi inchiodati al terreno, immobilizzata<br />

tra gli arbusti. E tra le spine di un rovo intravedevo<br />

una testa incappucciata. Non vedevo occhi né volto.<br />

Ma udivo “Le mie preghiere ti accompagneranno.<br />

Bisogna però che tu ti metta in cammino”. Conoscevo<br />

quella voce cantilenante: era di Bernardo, il mio secondo<br />

marito.<br />

Mi svegliai di soprassalto, tutta sudata. Cosa era stato?<br />

Ricordi? Sogni? Erano sogni. Senza dubbio. Perché<br />

ai sogni mancano gli odori.<br />

20<br />

* * *<br />

Tutto fu pronto per salpare. La galea per il porto di<br />

Cagliari era davanti a me. Tremavo fino alla punta dei<br />

piedi all’idea di salirvi. Già mi arrivava una forte nausea.<br />

Ma il nome dipinto con lettere di colore del bronzo<br />

sul fianco dell’imbarcazione mi diede coraggio. Salii<br />

per una scaletta traballante e fui dentro il ventre della<br />

Esperansa.<br />

21


Era molto giovane quando si trovò orfana di madre<br />

e con un padre lontano a conquistar nuove terre per la<br />

Corona d’Aragona.<br />

La Regina <strong>Si</strong>billa l’aveva voluta a corte, come sua<br />

dama prediletta e confidente.<br />

Le piaceva quella ragazzetta: era bella e gentile e sapeva<br />

nascondere molto bene la sua malinconia. Solo<br />

un’ombra leggera sul suo viso: un’ombra forse d’intima<br />

tristezza.<br />

Un giorno la Regina <strong>Si</strong>billa le dice: – Sei giovanissima<br />

ma saggia, <strong>Violante</strong>, quindi ho trovato un giovane<br />

sposo per te, nobile e cavaliere.<br />

Lei, fiduciosa e mansueta, si affidò alle premure di<br />

quella che, per lei, era la migliore consigliera.<br />

Non conosceva né il nome né il volto di quel nobile<br />

e cavaliere che era stato prescelto.<br />

<strong>Si</strong> lasciò persuadere facilmente.<br />

Dopo breve tempo indossò il più bell’abito che una<br />

giovane donna potesse sognare e si lasciò condurre all’altare.<br />

Lo vide di spalle: la figura maschile era slanciata e<br />

gradevole.<br />

Quando fu al suo fianco sentì un tuffo al cuore.<br />

23


Appena gli fu di fronte, lui le sollevò piano il velo di<br />

pizzo bianco, la mantiglia da sposa.<br />

Con gli occhi fissi su di lei, rimase immobile, con le<br />

mani ancora alte e tese a tenere il velo sollevato. Come<br />

fosse stato incantato.<br />

Lei si dimenticò cos’era il pudore di una giovane<br />

fanciulla che andava in sposa: con gli occhi fissi su di<br />

lui rimase immobile. Come fosse stata incantata.<br />

Li maritarono.<br />

E il Re organizzò, come era consuetudine, giostre e<br />

tornei per la gioia e il divertimento di dame e cavalieri.<br />

Poi lui la prese per mano e la portò con sé.<br />

<strong>Si</strong> <strong>chiama</strong>va Felipe.<br />

Aveva occhi verdi e baffetti castani sulle labbra. E<br />

voce calda e suadente.<br />

<strong>Si</strong> dimostrò qual era: cavaliere nobile e gentile. Amava<br />

parlarle vicino all’orecchio, scostandole i capelli amorevolmente.<br />

Lei si illanguidiva tutta.<br />

E le notti erano affidate ad una passione instancabile<br />

e travolgente.<br />

Non una carezza venne risparmiata, né un abbraccio,<br />

né un grido di gioia e di piacere dei sensi.<br />

La giovialità era la dote principale di Felipe.<br />

La sua aria trasognata gli dava un fascino particolare.<br />

Fra i nobiluomini e le dame di corte era sempre al<br />

centro dell’attenzione. E dove c’era lui, regnava l’allegria.<br />

Ma mai, mai staccava il suo sguardo da quegli occhi<br />

che lo avevano incantato sull’altare e che, ancora, dopo<br />

quasi un anno di matrimonio, lo emozionavano.<br />

– Mi hai stregato, dolce Viola, e questo è l’incantesimo<br />

più dolce del mondo. – Così le sussurrava all’o-<br />

24<br />

recchio, scostandole i capelli, in un soffio che le illanguidiva<br />

l’anima. E lei temeva perfino che fosse peccato<br />

provare tanta gioia e felicità.<br />

Ma Padre Miguel, confessore di corte, vecchio e bonario<br />

come pochi ministri di Dio, la confortava e la rassicurava:<br />

– È amore, cara piccola <strong>Violante</strong> ed è benedetto<br />

da Dio. Che ve lo conservi.<br />

Tante furono le belle notti, tante quanti i bei giorni.<br />

Come un uomo e una donna fossero riusciti a riconoscersi<br />

in un attimo, senza mai essersi visti né conosciuti<br />

prima d’allora, poteva apparire, davvero, pura<br />

magia.<br />

E donna Carmelita, donna Inés e donna Maria, che<br />

intristivano spesso nei loro letti senza il desiderio dei<br />

rispettivi consorti, cominciarono già da allora a fare i<br />

loro commenti…<br />

– Avete visto quella sfacciata di ragazzetta? È sempre<br />

col sorriso stampato sulla faccia. Ogni sorger del<br />

sole, – diceva livida donna Carmelita.<br />

– Ce lo ha sempre attaccato alle gonne, quel marito.<br />

Se la mangia con gli occhi, lui, – rincarava donna Maria.<br />

– E lei? e lei? Anche lei se lo mangia con gli occhi.<br />

È proprio senza pudore quella lì, – aggiungeva donna<br />

Inés.<br />

– Lui preferisce stare con lei a passeggiare nei giardini,<br />

anziché andare a caccia con gli altri suoi pari. Cose<br />

da non credere, – la voce acuta di donna Carmelita.<br />

– Cosa gli avrà fatto?! Cosa gli avrà fatto?! – scuotevano<br />

insieme la testa le tre dame. – Qualche sortilegio,<br />

sicuramente. Povero giovane, – in coro.<br />

25


Un anno appena era trascorso da quando Felipe le<br />

aveva sollevato la mantiglia, sull’altare della Cattedrale<br />

di Barcelona, ed era stato incantato da lei.<br />

Un anno soltanto.<br />

Una brutta febbre lo colse una notte.<br />

E non era febbre di passione.<br />

Se ne andò via così, bello ancora e promettente.<br />

Di <strong>Violante</strong>, a corte, non si vide più il sorriso.<br />

La regina <strong>Si</strong>billa era piena di tristezza per la sua giovane<br />

e sfortunata dama. E angosciata perché quella non<br />

ne voleva sapere di mangiare, né di parlare né di ascoltare.<br />

<strong>Violante</strong> viveva con lo sconforto e la disperazione<br />

nello sguardo.<br />

Il lutto nel cuore.<br />

Dopo un anno di struggimento, la regina <strong>Si</strong>billa impose<br />

la sua presenza e la sua bonaria autorevolezza:<br />

– Cara la mia <strong>Violante</strong>, è certo brutto destino che un<br />

matrimonio felice come il vostro sia stato di così breve<br />

durata dopo un amore reciproco pieno di meraviglie.<br />

Ma persuaditi, ti prego, a prendere ancora una volta<br />

marito. Questa volta è stato il Re in persona a sceglierlo<br />

per te. È cavaliere forte, ma nobile e tenero. Sai quanto<br />

è raro trovare un marito perfettamente gentile.<br />

E <strong>Violante</strong> riuscì, dopo tanto tempo, ad aprirsi e sfogarsi<br />

con quella che, se pur Regina, la amava di affetto<br />

materno.<br />

– Posso impedire alla mia lingua di rivelare il segreto<br />

del mio cuore, ma non ho alcun potere sulle mie lacrime.<br />

Mia cara Regina, mi affido alle vostre decisioni…<br />

Decise e rispose soltanto la saggia Regina <strong>Si</strong>billa:<br />

– Lasciati persuadere, <strong>Violante</strong>, a voler conoscere<br />

ancora gioie e carezze.<br />

26<br />

– Spero che il cielo cessi una buona volta di essere<br />

irato con me, – concluse <strong>Violante</strong>, asciugandosi le lacrime<br />

e rimettendo se stessa nelle mani del Re e della<br />

Regina.<br />

Rimasta sola, <strong>Violante</strong> continuò a parlare a voce alta,<br />

rivolgendosi a qualcuno che non c’era.<br />

Aveva preso questa abitudine dopo una lunga conversazione<br />

con Padre Miguel, il suo padre spirituale.<br />

Notti e notti, dopo la morte di Felipe, <strong>Violante</strong> aveva<br />

trascorso con gli occhi sbarrati, in preda alla disperazione<br />

e al senso di abbandono.<br />

Giorni e giorni, dopo la morte di Felipe, <strong>Violante</strong><br />

aveva trascorso con la bocca serrata, a rifiutare cibo e<br />

parole.<br />

L’assenza di quel marito, bello come il sole, appassionato<br />

e tenero, le aveva tolto il respiro di vita.<br />

Padre Miguel, allora, sollecitato dalla Regina <strong>Si</strong>billa,<br />

che non sapeva più cosa fare, andò a trovarla nelle sue<br />

stanze.<br />

– Cara pecorella, non affliggerti così, Dio si sente offeso<br />

da tanta disperazione. Devi sapere che i morti non<br />

sono mai morti davvero. Il loro spirito è sempre tra noi,<br />

anche se non appartengono più a questo mondo con il<br />

corpo e la carne. Hanno, però, orecchie per sentire, occhi<br />

per vedere, anche se non possono parlare con noi.<br />

Anche se…<br />

– Anche se, cosa? – chiese <strong>Violante</strong>, – anche se, cosa?<br />

Padre Miguel?<br />

– Raramente lo spirito appare e dà segnali della sua<br />

presenza, ma, a volte, cara <strong>Violante</strong>, gli spiriti dei defunti<br />

riescono a comunicare coi vivi attraverso persone<br />

dall’anima pura, cioè attraverso le parole di anime pu-<br />

27


e. Non credere mai, <strong>Violante</strong>, di essere sola. Ti vede<br />

tua madre, ti vede e ti sente il tuo Felipe e, naturalmente…<br />

il tuo angelo custode.<br />

– Ma come è possibile, Padre Miguel, come è possibile?<br />

Dove sono, dove si trovano questi spiriti? Come<br />

faccio io a sapere che Felipe mi sente e mi ascolta?<br />

– Un giorno lo saprai, un giorno te ne accorgerai,<br />

stanne certa… per esempio, vedi… le chiese, sono gremite<br />

di anime dei morti. <strong>Si</strong> sa da sempre che si deve lasciare<br />

libero il passaggio centrale che porta verso l’altare,<br />

perché “quello” è il loro spazio, e non ci si deve sostare<br />

perché non bisogna mai disturbare l’ingresso delle<br />

anime alla chiesa.<br />

– Parlate ancora, Padre Miguel, parlate, spiegatemi<br />

bene, vi ascolto col cuore.<br />

– Vedi, <strong>Violante</strong>, appena una persona muore, la sua<br />

anima parte per rendere conto a Dio delle sue azioni,<br />

ecco perché quando una persona esala l’ultimo respiro<br />

bisogna subito aprire una finestra, per rendere agevole<br />

il volo dell’anima… poi torna vicino al luogo dove è il<br />

suo corpo, e sente tutto ciò che si dice. Dopo la sepoltura<br />

si allontana e va verso il fiume dove scorre l’acqua<br />

dell’oblio, beve e si dimentica del mondo, anche se resta<br />

nel profondo la carica degli affetti più grandi; ma se<br />

non beve di quell’acqua, fa ritorno fra i vivi. Solo in<br />

ispirito, naturalmente.<br />

– E perché non dovrebbe bere di quell’acqua, Padre<br />

Miguel, chi lo decide se beve o non beve? – sollecitava<br />

<strong>Violante</strong>.<br />

– Questo, il non poter bere di quell’acqua, a volte<br />

capita quando le persone che sono rimaste nel mondo<br />

continuano a piangere e a piangere e pensano egoisticamente<br />

soltanto al morto. È una specie di offesa per<br />

28<br />

Dio, è come una sfiducia nella vita eterna, che Dio ci<br />

ha concesso. E i morti, poveretti, o meglio, le loro anime,<br />

sono continuamente ri<strong>chiama</strong>ti indietro da tutte<br />

quelle lacrime salate, dal dolore e dal costante pensiero<br />

di chi li ha amati, e non possono ritornare una volta<br />

per tutte a riconsegnarsi nelle mani di colui che li ha<br />

creati. Ecco perché non è bene piangere troppo. C’è<br />

un tempo per tutto, <strong>Violante</strong>. Un tempo per piangere e<br />

un tempo per consolarsi. Altro non voler sapere, mai.<br />

Chi è di questo mondo non può comprendere. Abbi<br />

fede. Sappi che il tuo Felipe non ti ha abbandonata<br />

davvero. Riprendi a sorridere che lui gioirà del tuo sorriso.<br />

Così, dopo l’incontro con la regina <strong>Si</strong>billa che l’aveva<br />

persuasa a prendere marito ancora una volta, <strong>Violante</strong><br />

si era rivolta a chi sapeva lei:<br />

– Il cielo mi darà la forza sufficiente per sopportare<br />

la tua assenza, Felipe, ma l’arrivo di un nuovo marito<br />

non mi farà scordare affatto la tua partenza.<br />

Non conosceva né il nome né il volto di quel nobile e<br />

cavaliere che era stato prescelto.<br />

Dopo breve tempo indossò un abito bello, ma adatto<br />

alla sua condizione di giovane vedova e si lasciò condurre<br />

all’altare.<br />

Quando gli fu accanto e lui le sollevò il velo di pizzo<br />

per scoprirne il volto, <strong>Violante</strong> non rispose con lo sguardo<br />

a quegli occhi che sentiva fissi su di sé. Lui ne fu incantato.<br />

Li maritarono.<br />

E il Re organizzò, come era consuetudine, giostre e<br />

tornei per la gioia e il divertimento di dame e cavalieri.<br />

29


Poi lo sposo, sorreggendola per il gomito con delicatezza,<br />

la portò con sé.<br />

Bernardo de Lope y Esteban aveva una figura snella<br />

anche se nerboruta. Teneva i capelli un po’ lunghi e ondulati,<br />

a sfiorare l’attaccatura delle spalle.<br />

<strong>Si</strong> dimostrò qual era: cavaliere nobile e gentile.<br />

Era amabile Bernardo.<br />

Amava conversare, parlare e raccontare. Dava segni<br />

di timore, di tenerezza e di compassione per quella bella<br />

sposa che lo ascoltava un po’ svagata.<br />

Ma le parole di Bernardo erano sagge, i discorsi confortanti<br />

e gradevoli.<br />

In breve tempo l’aria di <strong>Violante</strong> fu sempre meno<br />

svagata.<br />

Le parole del giovane infiammarono pian piano il<br />

suo cuore di un fuoco e di un calore che la restituì alla<br />

vita.<br />

Immersa, fino a poco tempo prima, in una profonda<br />

malinconia, ora provava una dolce gioia.<br />

<strong>Violante</strong> si fece avvolgere in una nuova tenerezza.<br />

La consolazione bilanciò la disperazione e si attaccò<br />

ancora alla vita.<br />

Le notti poco erano riservate alla passione antica,<br />

ma le calde e sempre sagge parole del nuovo sposo e la<br />

sua tenerezza rendevano ancora una volta belle le notti<br />

e belli i giorni. Ma, a volte, Bernardo appariva strano e<br />

assorto e pareva nascondere chissà quale segreto.<br />

Piano piano anche qualche carezza cominciò ad essere<br />

repressa, gli abbracci si fecero sempre più fraterni,<br />

e il desiderio del piacere dei sensi si affievolì di giorno<br />

in giorno.<br />

Ogni notte di più Bernardo protraeva le sue pre-<br />

30<br />

ghiere sull’inginocchiatoio fino a tardi, e le mattine, all’alba,<br />

era il primo a correre nella cappella per inginocchiarsi<br />

davanti al crocifisso, con un fervore fuori dal comune.<br />

Però continuava a parlare, a conversare, a raccontare…<br />

Come quella notte in cui disse d’improvviso:<br />

– Ho messo da parte armatura, elmo e spada. Non è<br />

così che si combatte il nemico… E poi, chi è il nemico?<br />

In fondo un cavaliere che sta in sella al suo cavallo, come<br />

me, con armatura e spada, ma con un vessillo diverso,<br />

è davvero un mio nemico? Perché non dovrebbe essere<br />

anche lui mio fratello?<br />

Davanti a lui <strong>Violante</strong> che, come sempre, ascoltava.<br />

Ma lo sguardo e le parole di Bernardo non sembravano<br />

più rivolte a lei.<br />

Il giorno dopo, Bernardo, alle prime luci dell’alba,<br />

montò sul suo cavallo e non si vide mai più.<br />

Pareva che tutti sapessero. A corte nessuno si stupì,<br />

nessuno lo cercò.<br />

Solo <strong>Violante</strong> si disperò.<br />

E ancora una volta fu la Regina <strong>Si</strong>billa a consolare la<br />

sua prediletta:<br />

– Il tuo Bernardo lo ha <strong>chiama</strong>to il nostro <strong>Si</strong>gnore<br />

Dio. L’ha <strong>chiama</strong>to per un’alta missione. Bernardo… si<br />

è rinchiuso in un monastero, in montagna. Mettiti l’anima<br />

in pace.<br />

Fu da quel giorno che <strong>Violante</strong> si vestì di nero, si coprì<br />

il volto con veli di pizzo nero e non ne volle sapere<br />

di nulla e di nessuno.<br />

Fino a quando il Re decise ancora una volta per lei.<br />

31


Rivedo la mia vita passata. È tutta sotto i miei occhi.<br />

È divertente. È come essere dentro ad un sogno.<br />

Nella dimensione in cui sono ora, tutta nuvole e colori,<br />

tutto mi è lecito, tranne le passioni.


Il mio arrivo alla città di Cagliari era stato preceduto<br />

da voci che avevano stuzzicato mille curiosità.<br />

E si erano interrogati, nobiluomini e dame, per niente<br />

bendisposti ad accettare come buona la stravagante<br />

decisione della Corona.<br />

Soprattutto don Paolo e don Federico, preposti ad<br />

alte cariche di controllo su parte dell’Isola, lì, al Castello<br />

di Cagliari, avevano discusso e discusso…<br />

Don Paolo occhio strabico, non ancora al corrente<br />

del mio incarico, voleva sapere e sapere da don Federico<br />

cosa pensavano di fare in Spagna, per coprire il vuoto<br />

lasciato dalla morte di Berengario mio padre.<br />

Quando aveva sentito che una donna avrebbe dovuto<br />

reggere tutto, lì al Castello di Cagliari, al Castello di<br />

San Michele e laggiù sui monti al Castello di Quirra, diventò<br />

di tutti i colori e l’occhio roteò come impazzito:<br />

– U… una donna? E che follia è mai questa? – aveva<br />

commentato scandalizzato.<br />

Sfoggiava, l’altro, don Federico, il suo presunto intuito<br />

politico: – Calma, don Paolo, non è follia, no…<br />

no… non è una cattiva pensata. È bene che il feudo di<br />

Quirra non passi ad un’altra famiglia aragonese, che resterebbe,<br />

magari, in Spagna e affiderebbe a chissàchi la<br />

35


gestione del feudo… e i sardi, – continuava persuasivo<br />

don Federico, – preferiscono un padrone vero, con<br />

cappa e cappello con piume. E che sia “noble de Aragona”.<br />

Solo così. Più alto il padrone, più umili i servi.<br />

Alla faccia ancora poco convinta di don Paolo, che<br />

si preoccupava di Eleonora d’Arborea e di quanto le<br />

facesse gola quel feudo a lei confinante, don Federico<br />

rispondeva rassicurante e come se fosse veramente al<br />

corrente delle più segrete cose: – Ambasciatori e messaggeri<br />

ha mandato quella donna dall’Arborea, a parlamentare<br />

col Re. Pare… pare che siano arrivati a miti<br />

consigli.<br />

– Cioè? – insisteva lo strabico.<br />

– Vedete, don Paolo, un’avversaria donna non le farebbe<br />

paura, e la stessa Eleonora ha promesso di starsene<br />

tranquilla.<br />

– Ma… e chi… chi sarebbe questa figlia femmina di<br />

Berengario, don Federico? Qual è il suo nome?<br />

– <strong>Si</strong> <strong>chiama</strong> <strong>Violante</strong>… donna <strong>Violante</strong> Carròz, – rispondeva<br />

quello abbassando il tono di voce per chissà<br />

quale paura.<br />

– E com’è? Chi è? Cioè… dov’è ora? – si informava<br />

la morbosità.<br />

– Sta alla corte della regina <strong>Si</strong>billa de Fortià. E finora<br />

ha sotterrato ben due mariti. Per la precisione: uno<br />

morto, l’altro… chi lo sa! E dicono che sia bellissima.<br />

Ma abbiate fede, non aspetteremo molto per fare la sua<br />

conoscenza. Pare che sia già in viaggio. Da qui, don<br />

Paolo, dovrà pur passare.<br />

– Le faremo tutti gli onori, dunque.<br />

– Ama stare da sola, don Paolo, non fate lavorare la<br />

fantasia, e poi, alla vostra età…<br />

– Ih… ih… da sola… non per molto. Lì al castello<br />

36<br />

sul monte di Quirra, si annoierà… verrà qui, a Callèr…<br />

e allora…<br />

– Piano, piano don Paolo, un velo le ricopre il capo,<br />

un velo nero.<br />

– I veli… si possono sollevare, don Federico – insisteva<br />

la malizia.<br />

– Non si lascia avvicinare facilmente. Dicono, inoltre,<br />

che sia… – ma il bisbigliar si prese il resto.<br />

– Ma noooh! Davvero? Un po’ d’emozione finalmente<br />

in questa terra di palude. La aspetteremo con ansia.<br />

* * *<br />

Neanche una volta il mio velo fu sollevato e non<br />

scambiai una parola di più del dovuto con quelle persone,<br />

tanto ero presa dall’inquietudine della mia disavventura.<br />

La mia testa era altrove e non mi accorgevo che, ancora<br />

un po’, a quel don Paolo veniva un colpo per la curiosità<br />

che non poteva saziare. Ma tant’è! Che ne potevo<br />

sapere io, allora?<br />

Comunque sia, la giovane <strong>Violante</strong> non aveva la capacità<br />

di leggere gli animi altrui, altrimenti, altrimenti,<br />

le cose sarebbero andate diversamente. Forse.<br />

Quella corte, la corte del Castello di Cagliari, la abbandonai<br />

quasi subito, sempre trincerata dietro la barriera<br />

di pizzo nero e di silenzio che non finiva di sbalordire.<br />

La mia successiva destinazione - così era ordinato -<br />

era il Castello di San Michele.<br />

Don Paolo e don Federico me lo additarono da una<br />

delle finestre del salone. Proprio di fronte.<br />

37


– Lo vedete? Lo vedete? – domandava don Paolo avvicinando<br />

il suo volto al mio, come a sostituirsi ai miei<br />

occhi.<br />

– Sembra di poterlo toccare con una mano e, a porgere<br />

bene l’orecchio, – mi spiegava don Federico, fregandosi<br />

le mani lentamente e con fare ammiccante, –<br />

pare che il chiacchiericcio della servitù arrivi fin qui.<br />

– A don Federico, – rivelava don Paolo, sempre più<br />

chino verso i miei pizzi, – piace farlo. Certe sere, col<br />

vento favorevole, dice che sente le maldicenze delle<br />

serve e dice di immaginarne anche le forme, dietro<br />

quelle voci.<br />

– Ih!… ih!… donna <strong>Violante</strong>, – replicava l’altro con<br />

un alito puzzolente che, penetrando il mio velo, mi arrivava<br />

dritto dentro il naso, – don Paolo ama scherzare,<br />

vedrete quante belle serate riuscirà a farvi trascorrere.<br />

– Se verrete a trovarci… naturalmente!<br />

Il giorno dopo ero già in marcia, carrozza e cavalli<br />

in pompa magna.<br />

L’agitazione non mi permetteva di dare via libera alla<br />

mia curiosità: tutto quello che riuscivo a vedere dalla<br />

fessura tra le pesanti tende della carrozza, erano<br />

campi incolti, sterpaglie e gente che si aggirava per le<br />

strade, stracciata e svagata.<br />

Quel castello non era poi così a portata di mano, né<br />

d’orecchio.<br />

Sentire le voci delle serve! Brutti e sciocchi vecchiacci!<br />

Presa in giro come fossi stata una bambina con<br />

cui potevano giocare e da deridere. E mentre il mio<br />

pensiero era ancora dietro a quei due, Maria mi tirò per<br />

la manica.<br />

38<br />

Eravamo quasi arrivate. Fu naturale sollevare gli occhi.<br />

Perché grandi torrioni aveva quel Castello dall’aria<br />

minacciosa: sagoma pesante su un’altura circondata da<br />

vigne e alberi da frutto. Imponenti ma tozzi torrioni di<br />

un grigio color guerra, su un cielo azzurro sereno. Era<br />

così, quel castello, così poco slanciato, così poco “castello”.<br />

Entrammo.<br />

Entrai.<br />

Come un pesante e scuro abito di monaca nasconde<br />

spesso delicate forme di donna, così quel castello, cupo<br />

di fuori, dentro era solare. Arazzi colorati coprivano<br />

grandi pareti, poi fregi preziosi dalle forme di foglie<br />

che sembravano cornici di altare, e decorazioni di marmo<br />

intorno ai camini che mandavano fiamme alte e crepitanti.<br />

In un lungo corridoio, in fila come soldati, statue<br />

di santi ricoperte di lamina d’oro. Erano tanti quei<br />

santi. Il mio sguardo non riusciva a contenerli tutti perché<br />

continuavano oltre una curva del corridoio, a finire<br />

chissà dove.<br />

Mi meravigliava quel Castello, per la luce dei candelabri<br />

d’argento che lo rischiarava la sera. E per il sole<br />

che di giorno penetrava ovunque, fin nelle sale dei sotterranei.<br />

Maria, che già domandava solerte della nostra sistemazione<br />

per la notte, me l’ero portata appresso dalla<br />

corte della regina.<br />

L’aveva scelta lei, la regina, tra tante donne. – È fidata,<br />

<strong>Violante</strong>, portala con te. E poi, è sempre allegra e di<br />

buon umore. Ti sarà di grande giovamento una fanciulla<br />

di animo sereno al tuo fianco.<br />

In un attimo tutte quelle persone che si aggiravano<br />

39


indaffarate per non so dove, si schierarono in ordine<br />

sparso davanti a me: per omaggiarmi? O forse… solo<br />

per scrutarmi, per rendersi conto a chi, da quel momento,<br />

dovevano rendere obbedienza.<br />

Alcuni funzionari mi si pararono davanti, uno capofila.<br />

Quell’uno era “il castellano”. <strong>Si</strong> accostava riverente<br />

a me, donna <strong>Violante</strong> Carròz, figlia di Berengario II<br />

Carròz, nipote di Berengario I Carròz, pronipote del<br />

grande ammiraglio Francesco Carròz, erede discussa e<br />

contrastata del più grande feudo catalano in quell’ isola.<br />

Era bruno di capelli il castellano. Aveva tratti marcati<br />

e difficilmente si poteva intuire se era di origine sarda<br />

o catalana.<br />

Il suo accento però lo manifestò subito: catalano, di<br />

Valenza.<br />

Così trascorsero i miei primi giorni in quel castellofortezza:<br />

pranzi, visite in ogni ala e stanchezza infinita al<br />

tramontar del sole.<br />

Io non sapevo assolutamente cosa poter o dover fare.<br />

Esserci o non esserci non avrebbe, probabilmente,<br />

cambiato nulla.<br />

Dalle prime luci dell’alba incominciava un gran via<br />

vai per me incomprensibile: sembrava che tutti, a differenza<br />

di me, sapessero benissimo cosa fare.<br />

Io, su quel colle, che aveva nome San Michele, dentro<br />

quel castello, mi sentivo come uno di quei santi di legno<br />

schierati nel corridoio lungo: inutile.<br />

Come durante la cena che il giorno dopo il mio arrivo<br />

era stata approntata con cura per festeggiare la mia<br />

presenza lì.<br />

Al centro del salone una tavola apparecchiata con<br />

quanto di più prezioso doveva esserci nel castello:<br />

40<br />

enormi piatti ovali facevano come da culla a maialetti<br />

interi dalla crosta appena abbrustolita circondati da<br />

verdure di tutti i colori, e pane a forma di corone e cuori<br />

ricoprivano una candida tovaglia, e calici d’oro e<br />

d’argento pronti a ricevere vino rosso rubino e candelabri<br />

d’argento che pareva spennellassero con le lingue<br />

delle candele quei maialetti, ancora un po’, quasi a dargli<br />

altro calore e lucentezza.<br />

Una tavola di Pasqua. Da festa di Resurrezione.<br />

Un’altra Carròz era di nuovo lì. Dopo un periodo di incerto<br />

comando.<br />

Don Luìs, in piedi davanti a quella pasqua, aveva<br />

sollevato un calice d’oro, colmo di vino. Aveva il volto<br />

acceso. Accanto a lui una donna dai capelli rossi appena<br />

contenuti in una sorta di turbante scuro sorrideva e taceva.<br />

Compiaciuti.<br />

Indirizzava a me quel calice.<br />

– Grande è la nostra gioia, donna <strong>Violante</strong>. Ogni cosa<br />

qui parla della vostra potenza. E voi siete la nostra signora.<br />

Ad ogni parola di Don Luìs gli altri commensali, funzionari<br />

e amministratori, annuivano con la testa.<br />

Era gioviale e chiacchierone e per tutta la cena non<br />

smise di parlare. Gli altri a masticare e gustare quel ben<br />

di Dio e continuare ad annuire con la testa.<br />

La mia scarsa conversazione non parve turbare nessuno.<br />

Don Luìs, con lo sguardo, abbracciava, insieme,<br />

le pietanze, che man mano lasciavano solo le loro impronte<br />

sui grandi piatti ovali, e la mia persona, come ad<br />

includermi in un unico dipinto.<br />

Era il Castellano. Ma solo di nome. Di fatto a lui,<br />

sempre, e soltanto a lui tutti si rivolgevano per ogni cosa.<br />

Come vero padrone.<br />

41


La notte, spesso, poco prima di prendere sonno, avevo<br />

un’immagine davanti a me: l’arcangelo Michele, colle<br />

sue grandi ali dorate, la sua spada di fuoco sguainata<br />

verso il basso, illuminava di luce rossastra i torrioni.<br />

L’arcangelo vestito da guerriero, proprio lui, avvolto<br />

da un manto rosso, coi calzari ai polpacci e col volto<br />

da giovinetto. Con uno sguardo severo mi fissava<br />

dall’alto e sembrava che dalla sua bocca uscissero parole<br />

che alle mie orecchie, tutte tese verso di lui, non<br />

arrivavano.<br />

La paura in me si alternava a un senso di dolce<br />

conforto.<br />

Solo tardi mi vinceva un sonno agitato.<br />

Ogni sera di più.<br />

E al mattino l’immagine dell’Arcangelo non svaniva<br />

dalla mia mente.<br />

Di giorno sfumava su quei torrioni che non smettevano<br />

di stagliarsi contro un cielo azzurro intenso senza<br />

che nulla li minacciasse, né nuvole né spade infuocate.<br />

Ma già all’imbrunire, quel cielo che si striava di rosso<br />

carico annunciava le mie angosce notturne.<br />

Maria, intanto, col suo fare amabile, era riuscita a<br />

entrare in confidenza con tutta quella gente che animava<br />

il castello.<br />

Una volta, con tono complice mi <strong>chiama</strong>: – Donna<br />

<strong>Violante</strong>, sapesse, mi hanno raccontato un sacco di cose.<br />

Anzi, mi ha raccontato.<br />

– E chi? – chiedo io. – E che cosa?<br />

– Una donna che vive qui al castello, un’intima, pare,<br />

del castellano, è una di quelle persone come se ne<br />

trovano poche, ormai. È una di quelle che sa ascoltare,<br />

e ricorda tutto. E ama raccontare. Non ha l’ardire di<br />

42<br />

avvicinarvi. Anche se le fate tenerezza. Dice che voi<br />

siete diversa. Dice che questo la fa contenta, ma le fa<br />

anche un po’ di paura. Dice, anche, che, non sa perché,<br />

ma è molto in ansia per voi.<br />

– Cosa la fa contenta? Come “diversa”? – dico io,<br />

– perché preoccuparsi per me?<br />

– Dice che avete un’indole differente da quella di<br />

vostro padre, che voi siete “morbida” e questo la fa<br />

contenta. Ma ciò che le fa paura è che questa è terra di<br />

battaglie e di lotte, non terra per il comando di una<br />

donna.<br />

Una curiosità improvvisa mi prende, metto a tacere<br />

Maria:<br />

– Chiamala, – le dico, – voglio ascoltarla con le mie<br />

orecchie. Che non abbia alcun timore.<br />

La paura ce l’avevo io, e tanta, non sapevo niente di<br />

quella terra e poi… quei torrioni, la spada infuocata…<br />

contro chi la sguainava quell’angelo? Pensavo. Non sarebbe<br />

dovuto essere a protezione del Castello e del colle<br />

che portava il suo nome? Che razza di protezione era<br />

se mi impauriva tanto?<br />

Mi saliva un’angoscia terribile da dentro, e mi veniva<br />

voglia di scappare. Chissàdove.<br />

Ancora quella notte, poco prima di prendere sonno,<br />

lui: il Michele Arcangelo. Terribile. Ancora con la spada<br />

di fuoco, verso il basso… ma, anziché contro il diavolo,<br />

così come sempre lo avevo visto nei dipinti delle<br />

chiese, la spada era rivolta verso i torrioni. La faccia da<br />

eterno adolescente… dalla bocca usciva come un alito,<br />

parole senza suono… ma lo sguardo non era minaccioso,<br />

era amico ed io riuscii ad addormentarmi come cullata<br />

da una dolce musica.<br />

43


Il giorno dopo, abbandonai al più presto la ricca tavola<br />

imbandita di ogni ben di Dio.<br />

Non vedevo l’ora di incontrarmi con quella donna.<br />

Maria la condusse nelle mie stanze.<br />

Per prima mise dentro la testa, a fare capolino.<br />

E poi si presentò lentamente con tutta la sua figura.<br />

Non era molto alta, portava un bell’abito ampio e<br />

con le balze di colore scuro, a smorzare forse quei capelli<br />

rossi che ne facevano una persona vistosa. Mi sorrise<br />

timida, come aspettando il mio, di sorriso, prima<br />

di aprire completamente il suo. La accontentai.<br />

Il suo sguardo bonario mi conquistò.<br />

– Mi inginocchio a voi, contessa, – cominciò, – io mi<br />

chiamo Teresa, e sono nelle grazie del castellano don<br />

Luìs oramai da tanto tempo.<br />

– Cosa avete da raccontare, Teresa, di così importante?<br />

– Oh! Vi vedo così smarrita in questo luogo…<br />

– Non ho da rendere conto a nessuno della mia aria,<br />

– risposi con tono tagliente… ma nello stesso istante in<br />

cui parlavo in quel modo, mi venne una voglia di avere<br />

fiducia. Quelle parole di Maria su Teresa, “sa ascoltare”,<br />

non le avevo scordate e cambiai subito tono:<br />

– Ho certamente la testa piena di pensieri… il mio<br />

viaggio qui e la mia eredità a lungo contrastata… Fosse<br />

stato per me, Teresa, le stanze della Regina <strong>Si</strong>billa de<br />

Fortià erano il posto più confortevole e amorevole. Mio<br />

padre… beh, non so neanche che volto avesse, e quest’isola…<br />

non avevo neppure idea di dove si trovasse.<br />

Ma mi piacciono le storie, mi incanta sentire qualcuno<br />

raccontare, e Maria di voi mi ha detto che avete una<br />

gran dote, dice che sapete raccontare e ascoltare. Anch’io,<br />

sapete, ho buone orecchie per ascoltare. E poi<br />

44<br />

sono curiosa, – ammisi sorridendo, – e non solo… ho<br />

anche tanta voglia di scacciare dalla mia testa la sagoma<br />

grigia e pesante di questo castello. Fuori non oso andare<br />

per paura di vederla, e anche se volessi, il vostro don<br />

Luìs riesce sempre ad evitarlo, non so perché. Raccontate,<br />

dunque… voglio una bella storia.<br />

Spostando con mano veloce la balza della gonna, fu<br />

tutt’uno per Teresa chiedere di potersi sedere e accomodarsi<br />

in una poltrona di cuoio che stava proprio di<br />

fronte a me. Anche se ben accomodata non lo era proprio:<br />

aveva un piede poggiato a terra come pronta a far<br />

balzare il corpo d’un tratto, se ce ne fosse stato bisogno.<br />

Neanche un momento, durante il suo racconto, si<br />

rilassò del tutto. Mi guardava, mentre parlava, a scrutarmi<br />

occhi e anima.<br />

* * *<br />

Oh! Storia è certamente storia, donna <strong>Violante</strong>, bella<br />

non sempre. Ma è la storia di vostro padre, di vostro<br />

nonno e di questo castello.<br />

Questo castello, che ha il nome dell’arcangelo più<br />

bello, San Michele, un tempo era antico baluardo fatto<br />

costruire dai Pisani a guardia della città.<br />

Fu vostro nonno, Berengario I Carròz, figlio del<br />

grande Ammiraglio Francisco, ad essere il primo signore<br />

aragonese. Fu proprio lui che aiutò la corona a<br />

conquistare questa terra, fu lui che mise a disposizione<br />

uomini e armi e danaro, tanto danaro.<br />

Ne ebbe, però, poi, grandi benefici.<br />

<strong>Si</strong> inginocchiò davanti al Re. Il Re gli porse le mani<br />

per farsele baciare. Poi lo baciò sulle guance. E da quel<br />

momento Berengario fu feudatario.<br />

45


Così usavano, allora.<br />

Quindi, a vostro nonno, Dio l’abbia in gloria, venne<br />

concesso il monte ed il castello. E insieme alla moglie,<br />

che si <strong>chiama</strong>va Teresa, proprio come me, venne a viverci.<br />

Questo è successo tanto tempo fa.<br />

Era il 1325, mi sembra, o forse qualche anno dopo,<br />

abbiate pazienza, ma il tempo, gli anni, in quest’isola,<br />

hanno un senso diverso…<br />

Mi chiedete come faccio a conoscere queste cose così<br />

lontane? … Vi sembro troppo giovane per averle conosciute?<br />

… Chi me le ha raccontate?<br />

Don Luìs, mia signora, me le ha raccontate, ma anche<br />

don Ferdinando e anche il vecchio cavalier Pedro…<br />

Sapete, qui al Castello le sere d’inverno sono lunghe e<br />

noiose e vostro nonno, insieme alla sua prima consorte,<br />

Teresa di Gombau, avevano l’abitudine di raccontare<br />

quasi ogni sera, davanti a quel gran camino che c’è giù,<br />

quello più grande, con la cornice di marmo venato di<br />

rosso, tutto ciò che accadeva fuori dal castello a tutti<br />

quelli che vi abitavano.<br />

Il vecchio Berengario diceva sempre che era come<br />

innalzare altre torri. “Le torri siamo noi qui dentro,” diceva,<br />

“e siamo più forti di tutti se abbiamo un solo animo<br />

e una sola memoria.” Pare che dicesse sempre queste<br />

parole quando finiva il suo racconto della giornata e<br />

la sua sposa faceva sì con la testa. Erano un cuore e un’anima<br />

quei due, e dopo una preghiera ai Santi del cielo<br />

perché proteggessero i Carròz e gli abitanti del Castello,<br />

andavano tutti a dormire, contenti e felici della forza e<br />

della potenza del loro signore.<br />

Tutti gli altri di cui parlava, che dovevano temere i<br />

Carròz, erano davvero tutti, donna <strong>Violante</strong>: i Pisani, i<br />

Genovesi, i Feudatari vicini, gli Arborensi… Il vecchio<br />

46<br />

Berengario, dovreste già saperlo, era uomo potente e<br />

prepotente.<br />

Era riuscito, pensate, a sottrarre i villaggi di Uta e di<br />

tutto il territorio circostante, che non era poca roba, a<br />

un certo Açen.<br />

Ma questo ve lo racconto bene, perché lo abbiamo<br />

sempre trovato divertente. Che sciocco, quell’Açen…<br />

Dunque, un giorno vostro nonno, a cavallo con la sua<br />

scorta armata, si presenta a questo incapace: “Questi<br />

campi sono pietraie e i tuoi servi muoiono di fame, e tu<br />

non sei da meno di loro, vecchio Açen, guardati come<br />

sei conciato, trasandato da mattina a sera.” E quello a rispondere:<br />

“Lo so, lo so… ma vedete Carròz, c’è stata la<br />

carestia, e poi… questi servi sono dei fannulloni, sono<br />

sempre malati e quando non lo sono si trascinano senza<br />

fare nulla.” Ma vostro nonno ritto a cavallo, che non<br />

aveva da abbassarsi con uno così, lo avverte: “La carestia<br />

c’è stata anche nei miei terreni confinanti. Cosa credi<br />

che il Padreterno risparmi i Carròz e faccia piovere solo<br />

per loro? Ma i miei servi lavorano e bene, perché sono io<br />

che li guido, sei tu che sei un imbecille e un incapace. Vedrò<br />

io cosa farne di queste terre.” “Ma don Berengario,<br />

cosa dite? Cosa potete fare voi delle mie terre?” “Semplice,<br />

vecchio Açen, molto semplice… prendertele!”<br />

E così fu. Quelle terre e quei villaggi, sotto la sua mano,<br />

diventarono giardini e ricchi granai. Proprio lui, in<br />

prima persona, ne seguiva la produzione e ci sapeva fare<br />

davvero. I servi con lui non si ammalavano e, se lo erano,<br />

ammalati, della loro eterna febbre che se li rosicchiava,<br />

era più forte la paura delle scudisciate, che vostro<br />

nonno non risparmiava.<br />

Non era tenero né con servi né con vassalli. A lui<br />

interessavano soltanto quelli che vivevano al Castello.<br />

47


Ecco perché era amato dentro e odiato fuori.<br />

Un giorno raccontò come era riuscito a farla franca,<br />

pensate, perfino al Re - a voi posso dirlo - e non una volta<br />

soltanto.<br />

No, non spaventatevi, donna <strong>Violante</strong>, per carità.<br />

Non pensate che qualcuno potesse prendersi gioco del<br />

Re. Nessuno poteva farla franca al Re. A parte vostro<br />

nonno.<br />

Dovete sapere che la Corona aveva prescritto, categoricamente,<br />

che per le spedizioni delle merci doveva<br />

essere utilizzato soltanto, e dico soltanto, il porto di Cagliari.<br />

Solo così, infatti, potevano essere controllate e<br />

tassate tutte le operazioni di carico e scarico. Ma lui,<br />

macchè… diceva che dazio ne aveva già pagato abbastanza<br />

alla Corona e al Re.<br />

Ebbene, se salite sul torrione che guarda dove tramonta<br />

il sole, potete vedere quanti approdi naturali ci<br />

sono non molto lontano dalla città. Approdi non controllati,<br />

donna <strong>Violante</strong>, approdi per… contrabbandieri.<br />

Una notte, una notte, qualche spiata traditrice fece<br />

appostare guardie armate dietro i cespugli della spiaggia<br />

della Maddalena. E mentre gli uomini del vostro<br />

nonno caricavano in tutta fretta, al buio, sacchi di grano,<br />

sacchi di legumi, e perfino bestie, le guardie li acchiapparono<br />

di malo modo. I sacchi finirono in mare,<br />

le bestie chissà dove riuscirono a scappare, e tra i tafferugli<br />

uno scaricatore morì, gli altri presi e arrestati e<br />

chissà poi che fine hanno fatto. Pace all’anima loro,<br />

donna <strong>Violante</strong>.<br />

Lo stesso Berengario ebbe diffide e diffide, perfino<br />

dal Re in persona, che pure tante cose gli perdonava.<br />

Ma lui, vostro nonno, permettete, prepotente nonno,<br />

non si lasciava impaurire per così poco. “Mai un Carròz<br />

48<br />

pagherà dogana,” diceva, “la Corona ha già avuto tanto,<br />

può solo sentirsi in debito con me”. E il contrabbando<br />

continuò. Ma per poco, e non perché gli fu impedito<br />

una seconda volta, ma perché riuscì, con la sua autorità<br />

e la sua potenza, a farsi esentare da ogni dazio doganale.<br />

Lui, e solo lui, poteva utilizzare il porto di Cagliari senza<br />

pagare nulla.<br />

* * *<br />

Aveva accompagnato quell’ultima frase con un risolino<br />

complice, strizzando un occhio e rivolgendomi uno<br />

sguardo d’ intesa.<br />

Teresa era proprio compiaciuta mentre ripeteva le<br />

frasi di mio nonno, e ne aveva imitato, ogni volta, al momento<br />

opportuno, il tono brusco e autoritario.<br />

A me, invece, saliva sempre di più una brutta sensazione,<br />

come un nodo al petto. Non le restituii lo sguardo<br />

d’intesa. Non era quella l’immagine che avevo di mio<br />

nonno morente in confessione, a Barcelona.<br />

Ma quella, dopo una scrollata civettuola alla sue<br />

chiome rosse, e per niente turbata dalla mia reazione, riprese<br />

il racconto.<br />

* * *<br />

Vedete che meraviglie ci sono qua dentro? … Fregi<br />

di marmo, ornamenti di gran classe! Vostro nonno sì<br />

che aveva gusto. Amava circondarsi di cose belle. Lo diceva<br />

sempre ai suoi dentro il Castello: “La bellezza che<br />

sta intorno a noi rende più belle le persone. Sono lo<br />

specchio delle nostre ambizioni.”<br />

Chi lo direbbe, a vederlo da fuori questo Castello?<br />

49


Eppure è come lo voleva lui: uno scrigno di tesori. Ma,<br />

pensate, questi arredi, la poltrona di fine cuoio dove voi<br />

stessa siete seduta in questo momento, le belle statue che<br />

ornano tutti i corridoi del castello, quasi a farne i guardiani,<br />

sono preziosi, preziosi e sacri. Sì, donna <strong>Violante</strong>,<br />

sacri… perché erano di una chiesa della città … Il nome<br />

della chiesa? No, adesso non mi viene, ma il resto lo ricordo<br />

bene e ora ve lo racconto per benino. Scusatemi<br />

voi e mi perdoni Iddio se la storia mi fa ancora sorridere.<br />

Pare che ci sia stato un assedio vero e proprio alla<br />

città. Il male era che qualcuno potesse fare bottino sacrilego.<br />

Ma il vostro grande nonno si offrì di proteggere<br />

lui stesso tutti gli arredi sacri. Proteggere e conservare<br />

nell’unico posto sicuro di tutta l’isola: il suo castello appunto.<br />

E così furono portati, pensate, una notte, di nascosto.<br />

Lunghe file di uomini scaricarono qui tutti questi<br />

santi, e ancora ostensori d’oro, arazzi cuciti coi fili d’oro<br />

e d’argento, pale d’altare dipinte, con le vite di santi sconosciuti,<br />

ma sempre santi.<br />

Che nonno avete avuto! Diceva sempre: “Oltre il<br />

ponte un altro mondo, mondo nemico, da conquistare,<br />

da assoggettare.”<br />

Pensate che ad un certo punto - l’ingratitudine non<br />

ha proprio limiti - il Re in persona e il priore di quella<br />

chiesa, passato il pericolo, secondo loro, volevano la restituzione<br />

di tutto quel ben di Dio. San Saturnino! Ecco,<br />

così si <strong>chiama</strong>va quella chiesa: di San Saturnino. Veramente<br />

era un monastero, ma chissà poi i monaci<br />

dov’erano finiti… Comunque, il vecchio Berengario<br />

non ne volle sapere. Allora i suoi nemici, ed erano tanti,<br />

lì al castello della città, dove vi siete fermata giorni fa dopo<br />

il vostro arrivo, lo volevano mandare via da quest’i-<br />

50<br />

sola, da questo castello. Ma lui niente. Stette al suo posto,<br />

protetto dai torrioni esterni e forte delle torri interne:<br />

un solo spirito, una sola memoria! Che uomo!<br />

E infatti se siete qua, ora, col vostro titolo - ma questa<br />

è storia recente che conoscerete bene - è grazie a vostro<br />

nonno. Lui, e solo lui, volle e ottenne direttamente dal<br />

Re la successione femminile per il feudo.<br />

Alla morte della moglie adorata, che non ebbe la<br />

gioia di dargli eredi, né maschi né femmine, si risposò.<br />

La nuova sposa era la potente nobildonna catalana<br />

Gerardona di Ribelles. Vostra nonna, donna <strong>Violante</strong>.<br />

* * *<br />

Tacque la rossa Teresa. E per la prima volta da quando<br />

aveva cominciato a raccontare, si accomodò meglio<br />

sulla seggiola. Un lieve rossore le aveva acceso le guance<br />

per la foga del parlare.<br />

La grandezza di mio nonno!<br />

La guardavo confusa e incredula. Ma quelle erano<br />

gesta eroiche?<br />

E quell’Açen, umiliato e defraudato dei suoi territori,<br />

e quegli uomini morti durante le operazioni di contrabbando,<br />

e quel trasferimento di arredi sacri?<br />

No, non era proprio l’immagine che conservavo di<br />

mio nonno; e ancora meno di quello tutto umiltà che<br />

baciava il crocifisso in punto di morte.<br />

* * *<br />

– E di vostro padre? Non volete sapere di vostro padre?<br />

Teresa aveva assunto nuovamente quella posizione:<br />

51


il corpo spostato in avanti su una gamba. Pronta a scattare.<br />

Ma la mia reazione la fermò.<br />

– Ora no, Teresa, grazie, – le risposi quasi spaventata<br />

all’idea di un altro torrente di parole.<br />

E quella, certa di avermi dato sicurezza e forza, mi<br />

sorrise e con fare complice:<br />

– Una di queste sere, donna <strong>Violante</strong>, promesso, sarò<br />

di nuovo tutta per voi. Ora fate un buon riposo, è tardi.<br />

E mentre si avviava verso la porta, accompagnata<br />

da Maria, si voltò ancora una volta verso di me:<br />

– Ringraziate il Padreterno della grande fortuna che<br />

vi ha dato ad essere una Carròz.<br />

Con mano veloce sollevò il lembo della gonna e<br />

sparì nel corridoio, verso le statue dei santi.<br />

* * *<br />

La notte, dopo tutti quei racconti e tutte quelle storie,<br />

il mio cuscino fu un campo di battaglia.<br />

Non riuscivo a prendere sonno e, proprio quando<br />

sembrava che gli occhi stessero per varcare la soglia del<br />

buio totale, all’improvviso, ancora quell’immagine, il<br />

Michele arcangelo, con gli abiti da guerriero.<br />

Dalla bocca di fanciullo ancora lo stesso alito, le stesse<br />

parole che si fermavano a metà, a formare una nube<br />

sospesa, tra lui e me.<br />

Il mio cuore si arrese alla sua spada fiammeggiante<br />

e piano piano, forse già nel sonno, alle mie orecchie arrivò<br />

come un suono.<br />

Tutto è vanità. Non rimane memoria delle cose d’altri<br />

tempi; e di quel che succederà in seguito non rimarrà me-<br />

52<br />

moria fra quelli che verranno più tardi… E vanità è un<br />

male grande… è un correre dietro al vento.<br />

Per qualche giorno riuscii ad evitare l’incontro faccia<br />

faccia con Teresa. Ma non riuscii a sfuggire a Maria,<br />

che viveva praticamente nelle mie stanze, e che approfittava<br />

di ogni momento per sollecitare in modo perfino<br />

ossessivo l’incontro con quella donna.<br />

Quasi ogni sera, mentre mi aiutava a liberarmi dai<br />

miei ingombranti abiti e mentre mi spazzolava i capelli,<br />

iniziava la sua supplica:<br />

– Avete sentito, donna <strong>Violante</strong>? Eh? Che vi dicevo?<br />

È straordinaria quella Teresa. Sa il fatto suo. E poi, come<br />

racconta bene: mi sembrava di esserci anch’io, in<br />

quelle notti, intorno al grande camino di marmo. Il vostro<br />

grande nonno a raccontare… Ah! Quanto mi sarebbe<br />

piaciuto. A me, chissà perché, mi affascinano le<br />

persone che raccontano storie. Donna <strong>Violante</strong>, raccontar<br />

bene è proprio un gran dono del cielo. Io affiderei<br />

tutta la mia vita ad un uomo che sapesse narrarmi<br />

storie e avventure. E Teresa… va bene, donna <strong>Violante</strong>,<br />

lo so, quella non è un uomo, certo, però… quel tono di<br />

voce… quelle facce… sembrava di vederli quei contrabbandieri,<br />

non è vero? Donna <strong>Violante</strong> che avete?<br />

Non mi state a sentire? Vi sto forse importunando?<br />

Scusate la mia chiacchiera, ma non vedo l’ora che facciate<br />

<strong>chiama</strong>re di nuovo quella donna… non siete curiosa?<br />

Eh? Non siete curiosa neanche un po’ di conoscere<br />

le imprese e le avventure di vostro padre? Se vostro<br />

nonno era forte e bello e audace lo deve essere stato<br />

anche vostro padre, non è vero? Donna <strong>Violante</strong> che<br />

avete? Non mi state a sentire?<br />

53


2<br />

Mi si era presentato così, in una serata calda e afosa<br />

di fine giugno.<br />

In armi, in sella al suo cavallo con la gualdrappa corazzata.<br />

Dietro di lui una schiera di uomini in assetto da<br />

battaglia. Una parte soltanto di quello che era il suo vero<br />

esercito. Sembrava una compagnia di fantasmi: tutta<br />

avvolta dalla polvere e dalla terra sollevata dagli zoccoli<br />

dei cavalli.<br />

Mi si parò dinnanzi, Berengario Carròz feudatario<br />

d’Aragona capitano di guerra:<br />

– Le terre confinanti con le mie, De Açen, sono una<br />

vergogna. Gialle e aride. Piene di sterpaglie e di uomini<br />

straccioni che non sanno spostare due pietre. Sono le<br />

tue. Per ora. Guardati intorno, si vedono solo pietre e<br />

nulla più. E tu, che pensi? Che fai? Offendi il Padreterno<br />

che ti ha messo al mondo per goderne i frutti, di<br />

questa terra, e offendi il Re d’Aragona per averti dato<br />

tutto questo ben di Dio.<br />

Il tono di voce, altero e prepotente, mi avevano subito<br />

messo in allarme, e cercai di spiegare al Conte, con<br />

le buone maniere, che l’annata non era stata proprio<br />

buona, che c’era stata la carestia e che quella era stagione<br />

difficile, nella nostra isola, difficile non vedere terre<br />

55


di quel colore. Non gialle e aride, come diceva lui, ma<br />

color oro, di quel colore che la terra assume dopo la<br />

mietitura.<br />

– Quegli uomini straccioni fanno pena e il loro stesso<br />

aspetto è la tua vergogna. Attento a te, Pietro De Açen,<br />

non te le lascerò per molto tempo. Solo sotto la mia guida<br />

potrebbero davvero fruttare e con la loro rendita potrei<br />

provvedere alla completa riparazione del Castello.<br />

E se ne andò, circondato e nascosto dalla polvere<br />

della terra sollevata dagli zoccoli dei cavalli.<br />

Così avvenne quel primo incontro. Non ce ne furono<br />

molti altri fra me e lui. Ma di notte bande armate, di nascosto,<br />

mettevano sottosopra tutto ciò che trovavano. E<br />

al mattino vedevi i rari germogli morti sul nascere, arnesi<br />

da lavoro distrutti, bestie con le zampe in aria, morte<br />

stecchite, ed enormi e minacciose buche nel terreno, di<br />

quelle che si fanno per seppellirci qualche disgraziato<br />

senza Dio.<br />

Avevo cercato di spiegarglielo, con maniere buone<br />

ma decise, che gli uomini, in questa terra sono indeboliti<br />

dalla malaria, che la terra è avara, che sapevo io come<br />

governare il mio feudo e i miei territori. Ma quello,<br />

quello…<br />

– Capisco che tu difenda questa gente, è la tua stessa<br />

razza in fondo, incapace di pensare e di agire, ed evidentemente<br />

poco rispetto hanno, questi uomini, per un<br />

feudatario sardo. Sei un buono a nulla De Açen… l’ho<br />

sempre pensato.<br />

Maledetto, maledetto. “L’ho sempre pensato” aveva<br />

detto. E prima? quando la mia famiglia aveva sostenuto<br />

gli Aragonesi per la conquista della <strong>Sardegna</strong>? eh? eh?<br />

Cosa aveva pensato allora il Conte? Prepotente Berengario.<br />

Tutto mi aveva tolto, il sonno e le terre. Sì, il son-<br />

56<br />

no e le terre, ma non quello che più gli premeva, al Conte.<br />

Molte, troppe notti i suoi uomini facevano irruzione<br />

nei campi, come sciame di cavallette passavano, calpestavano,<br />

cantando parole incomprensibili e poi tornavano<br />

al galoppo verso il Castello.<br />

Tutte le terre di cui ero feudatario, feudatario sardo,<br />

erano appartenute alla mia famiglia. Mio padre, Pietro<br />

de Açen come me, nobile cittadino di Iglesias, era già<br />

proprietario di vasti latifondi e insieme a mio nonno,<br />

Gomita de Açen de Pixina, erano stati validi alleati del<br />

Re d’Aragona.<br />

Mio nonno soprattutto aveva favorito il passaggio di<br />

Iglesias agli Aragonesi, per contrastare l’avanzata dei<br />

Pisani.<br />

All’inizio grande fu la riconoscenza aragonese, e ai<br />

latifondi di antica proprietà molti altri se ne aggiunsero.<br />

Ebbero anche l’investitura feudale. Il dramma cominciò<br />

alla morte precoce di mio fratello maggiore e di mio<br />

padre. Ero rimasto soltanto io e la figlia di mio fratello,<br />

Preciosa, affidata alla mia tutela. Guai e tormenti a non<br />

finire ho dovuto passare, perfino per dimostrare la legittimità<br />

della mia discendenza. I nemici erano ovunque,<br />

parlavano pisano e catalano. <strong>Si</strong> <strong>chiama</strong>vano Donoratico<br />

e Carròz.<br />

Ciò che faceva gola a tutti gli avversari erano i villaggi<br />

di Uta Josso e Uta Susu: terra grassa, fertile e generosa.<br />

Col tempo e tanta fatica, ero comunque riuscito a<br />

mantenere tutto il patrimonio e quella, che ora faceva<br />

gola a Berengario, era come un’isola felice: le comunità<br />

di villaggio si governavano alla maniera antica, i contadini<br />

si affidavano a su majore, e onoravano e rispettavano<br />

me, il loro feudatario.<br />

Certo, spesso i raccolti non andavano molto bene, la<br />

57


siccità rendeva avara la terra e il risultato erano distese<br />

giallognole come le facce di quei contadini fiaccati dalla<br />

malaria. Ma mi onoravano e rispettavano. In fondo avevamo<br />

lo stesso colorito e sangue, che a volte faceva i capricci,<br />

il loro come il mio: la febbre della malaria non ci<br />

risparmiava e ci faceva spesso delirare e sudare e intirizzire<br />

con le sue febbri.<br />

C’era, però, nella nostra esistenza, qualcosa di dolce<br />

per tutti noi: Preciosa. La figlia che mio fratello, morendo,<br />

mi aveva affidato. Eravamo cresciuti insieme, pochi<br />

anni di differenza. Ero io, maschio adulto, ad avere la<br />

sua tutela, ma era lei che mi dava la forza. Era la sua presenza<br />

a darmi benessere. Era bella e gentile, e il suo sorriso,<br />

aperto e luminoso, era un dono per tutti.<br />

Ah! Preciosa.<br />

All’inizio io non capivo l’accanimento di Carròz e il<br />

perché di quelle devastazioni notturne. All’inizio. Poi la<br />

cosa fu chiara come la luce del sole. Le parole che quegli<br />

uomini cantavano e urlavano al cielo nero non erano incomprensibili.<br />

I contadini che, pieni di terrore, al tramonto del sole<br />

si rintanavano nelle loro case, avevano udito chiaramente<br />

cosa usciva dalle bocche degli scherani del conte.<br />

– Una parola sola era chiara come luna d’estate:<br />

“Preciosa” e l’eco “…osa” risuonava nell’aria anche dopo<br />

il passaggio degli zoccoli dei cavalli.<br />

Me lo aveva raccontato un giovane contadino, tenendo<br />

il suo copricapo tra le mani e abbassando lo<br />

sguardo e serrando la bocca con forza per non dire di<br />

più, anche dietro le mie insistenze. E non ci fu verso di<br />

fargliene uscire altre di parole da quella bocca.<br />

Un’altra volta il Conte, e poi mai più, mi si presentò<br />

davanti, in armi e con tutto il seguito.<br />

58<br />

– Occorre uno scrigno per le cose preziose. Tu non<br />

ce l’hai, de Açen. Io sì. Il mio Castello svetta su tutta la<br />

piana del Campidano. Solo lì possono essere custodite<br />

certe cose che così sono <strong>chiama</strong>te: preziose.<br />

Il sangue mi salì alla testa. I nostri sguardi si incrociarono.<br />

Il mio tagliente più che spada.<br />

Le devastazioni continuarono. Io non disponevo di<br />

un gruppo armato come il suo. Lui era potente feudatario<br />

aragonese e, nei fatti, nell’isola, più potente del Re.<br />

Concedeva asilo ai malfattori. E non poteva farlo.<br />

Non poteva imporre tributi. E lo faceva.<br />

Gli amministratori reali erano impotenti con lui. Lui<br />

era un Carròz e al Re questo bastava.<br />

Me le prese quelle terre, pezzo dopo pezzo, un villaggio<br />

dopo l’altro. Tutto fu dei Carròz. I vassalli sottoposti<br />

a duro governo e i contadini a pesante sfruttamento.<br />

Tutto mi ha tolto, il sonno e le terre. Ma Preciosa no.<br />

Preciosa aveva tolto il sonno a lui.<br />

Prepotente Berengario. Maledetto Berengario.<br />

59


Non riuscii a sottrarmi al nuovo racconto.<br />

Teresa si presentò alcuni giorni dopo, con reverenza<br />

e cautela, nei miei appartamenti.<br />

Per prima mise dentro la testa e poi si fece avanti<br />

con tutta la sua figura. Portava anche quel giorno un<br />

bell’abito ampio e con le balze, sempre di colore scuro.<br />

Mi sorrise timidamente, come aspettando il mio di sorriso,<br />

prima di aprire completamente il suo.<br />

La accontentai.<br />

Il suo sguardo bonario mi ringraziò.<br />

Ancora una volta, esattamente come la precedente,<br />

spostando con mano veloce la balza della gonna, si accomodò<br />

nella poltrona di cuoio che stava proprio di<br />

fronte a me. Ma come la prima volta non era accomodata<br />

del tutto. Neanche per un momento, durante il suo<br />

racconto, si rilassò completamente. Mi guardava, mentre<br />

parlava, a scrutarmi occhi e anima.<br />

Altra storia, altro veleno.<br />

Questa volta più amaro. Argomento del narrare: le<br />

imprese di mio padre, Berengario II.<br />

3<br />

* * *<br />

61


Vostro padre, donna <strong>Violante</strong>, vostro padre imparò<br />

fin da giovanissimo a lottare per tutto e contro tutti.<br />

L’isola in quegli anni sembrava un inferno: guerre<br />

continue fra Genovesi e Aragonesi, carestie, pestilenza,<br />

disperazione ovunque.<br />

Sembrava che il Padreterno si fosse dimenticato del<br />

tutto di questa terra. Che dico, dimenticato? Di più:<br />

che fosse proprio adirato con questo posto e con tutti<br />

quelli che lo abitavano. I servi si ribellavano ai padroni,<br />

i sudditi non riconoscevano nessuna autorità, le campagne<br />

erano popolate da pezzenti e da banditi.<br />

In quella parte di campagna che si <strong>chiama</strong> Decimo,<br />

una sera, sul far del tramonto, una piccola guarnigione<br />

di soldati catalani tornava da una missione. Saranno<br />

stati sette-otto uomini a cavallo, tutti bardati di elmi ed<br />

armature, uomini duri, di quelli abituati a non aver<br />

paura se non del demonio in persona. Di quelli abituati<br />

a combattere fino all’ultimo sangue, e che questa terra<br />

la conoscevano bene perché aveva già messo a dura<br />

prova la loro forza e la loro resistenza.<br />

Ebbene, proprio sul far del tramonto, così ancora<br />

raccontano, da un piccola collinetta con quattro ciuffi<br />

d’erba rinsecchita escono due o tre uomini, brutti, scuri<br />

di pelle, con barbacce ispide, con gambali di orbace e<br />

armati, pare, solo di forconi e bastoni nodosi. Volevate<br />

mettere con la bella armatura dei soldati catalani? Volevate<br />

mettere con le loro spade acuminate? A nulla erano<br />

servite tutte quelle cose. Avevano teso un agguato<br />

bello e buono ai cavalli, soffiando, pare, dentro una<br />

specie di corno che emetteva un suono che i soldati non<br />

udivano in modo particolare, ma i cavalli sì e molto bene,<br />

anzi troppo, perché… cosa succede?… si spaventano,<br />

si imbizzarriscono, scaraventano quei giovani forti<br />

62<br />

dalle loro selle e scappano come punti da chissà cosa.<br />

Impazziti, i cavalli sembravano impazziti.<br />

A quel punto quei sardacci, piccoli ma veloci, saltano<br />

addosso ai soldati, fregandosene delle spade che quelli<br />

avevano già sguainato, gli piombano addosso e… donna<br />

<strong>Violante</strong>, non si sa come, forse aiutati dal demonio, li<br />

spogliano, in men che non si dica, di tutto, della spada,<br />

dell’armatura, dell’elmo. Coi tridenti e coi bastoni gli<br />

lacerano le carni e gli spaccano le teste. Non si spaventi,<br />

donna <strong>Violante</strong>, non so se ve lo devo dire nei particolari,<br />

ma quei soldati sono stati ritrovati: nudi, senza nulla<br />

a coprire le loro vergogne, e senza testa. Mai le teste furono<br />

ritrovate. Dicono, dicono, che le hanno date in<br />

pasto ai maiali.<br />

Soltanto uno di loro riuscì a scamparla.<br />

<strong>Si</strong> era nascosto, solo Dio sa come, dietro quella collinetta<br />

spelacchiata da cui erano sbucati i diavoli sardi<br />

poco prima. È grazie a lui, al suo racconto, che si è scoperta<br />

la faccenda. Ma poi, sapete, si racconta che quell’unico<br />

sopravvissuto, di lì a pochi giorni sia morto,<br />

morto per lo spavento. Pensate, un soldato del Re, abituato<br />

a battaglie e a ben altro…<br />

Ah! Donna <strong>Violante</strong>… è terra pericolosa questa. E<br />

la terra pareva rispondere a tutte queste prepotenze:<br />

non dava più grano, né frutti, niente di niente, come se<br />

temesse quelle orde di senza Dio.<br />

Ma il pericolo più temuto erano i Genovesi. Fu allora<br />

che vostro padre si fece valere. Con l’approvazione<br />

del Re, Pietro IV, affronta in battaglia i Genovesi.<br />

Ne esce vincitore. Viene fatto capitano di guerra e riesce<br />

a fermare perfino le truppe giudicali di Mariano<br />

d’Arborea alle porte di Cagliari. La città è stata salvata<br />

proprio da lui, donna <strong>Violante</strong>. È da questo castello,<br />

63


dall’alto di questa piccola rocca, che organizzava tutto…<br />

… Se ne sono certa? Ancora mi chiedete come faccio<br />

a sapere tutte queste cose?<br />

La consuetudine del raccontare le imprese dei<br />

Carròz ha continuato ad esistere in questo castello, anche<br />

dopo la partenza del vecchio, e così il Castellano, o<br />

il vostro stesso padre, amavano farlo la sera, in genere<br />

al sabato, dopo le preghiere dell’Ave Maria. Ora a voi<br />

toccherà raccontare la forza e la potenza dei Carròz.<br />

* * *<br />

Sembravano proprio soddisfatte. Maria si era accomodata,<br />

esattamente come la volta precedente, quasi ai<br />

piedi di Teresa. Copriva del tutto con la sua lunga gonna<br />

un panchetto senza schienale, scomodo sedile, ma la<br />

sua personcina era ritta e tenuta più ritta dall’attenzione<br />

spasmodica con cui beveva ogni singola parola di<br />

quella donna. La guardava con occhi sognanti, e ad<br />

ogni passaggio crudo commentava l’ascolto con espressioni<br />

contratte del volto.<br />

Teresa ne scrutava la faccia con la coda dell’occhio,<br />

senza mai smettere di osservare contemporaneamente<br />

la mia reazione. Teneva perfettamente alta l’attenzione<br />

del suo piccolo pubblico. Una che sapeva raccontare:<br />

aveva ragione Maria.<br />

* * *<br />

Fu allora, era intorno al 1350, che Berengario, vostro<br />

padre, ebbe il castello e il salto di Quirra.<br />

Pensate, da qui a quelle terre lontane, un postaccio<br />

64<br />

Quirra, un avamposto militare a oriente, tutto suo, tutto<br />

sotto il suo comando.<br />

Dovete sapere che quelli erano anni davvero difficili,<br />

per tutti.<br />

La peste, mandata da Nostro <strong>Si</strong>gnore per punire i<br />

malvagi, aveva praticamente spopolato tutta la Baronia<br />

di San Michele: non c’erano più braccia per lavorare,<br />

per i commerci, per niente.<br />

I vecchi servi ne parlano ancora oggi di quel periodo.<br />

La gente malata diventava gonfia e orrida prima di<br />

morire. Raccontano che le facce di quegli appestati si<br />

facevano nere, gli occhi non si vedevano più da quanto<br />

erano chiusi per il gonfiore. E poi morivano, come mosche<br />

quando viene l’inverno. E ne morirono tanti, tanti<br />

che non si potevano contare. E allora li ammucchiavano<br />

tutti insieme e li buttavano nei pozzi, chiudendoli<br />

per sempre. Per fortuna ad un certo punto il Padreterno<br />

ebbe misericordia degli uomini e tutto cessò. Ma i<br />

campi erano ormai ridotti a sterpaglie, non si trovava<br />

un contadino vivo neanche a cercarlo sotto le pietre.<br />

Tutto intorno al Castello era distruzione e solitudine.<br />

E lui, Berengario II, vostro padre, prese una decisione:<br />

fece circolare la voce che la Baronia di San Michele<br />

era aperta a tutti.<br />

Chiunque poteva avere asilo, alloggio e cibo.<br />

Chiunque, da qualunque parte dell’isola venisse. Voleva<br />

uomini, uomini e donne, che ripopolassero le terre<br />

e i campi.<br />

Dovete sapere, donna <strong>Violante</strong>, che il Castello godeva<br />

del diritto di immunità. Il Conte poteva accordare<br />

protezione a tutti. Chi si metteva alle sue dipendenze<br />

era, come dire?, salvo. Le guardie del Re non potevano<br />

torcergli più neanche un capello, anche se…<br />

65


Non era facile controllare o conoscere la condotta di<br />

tutti quelli che arrivavano qui, non si poteva sapere<br />

neanche da dove arrivassero.<br />

Spesso scoppiavano risse, tra quegli uomini, ma il<br />

Conte Berengario era stato molto chiaro con loro: che<br />

risolvessero tra loro certe cose, purché nessun cadavere<br />

di morto ammazzato gli intralciasse il cammino.<br />

Nei loro affari il Conte non si immischiava né gliene<br />

importava. Solo una cosa era richiesta, che sgobbassero<br />

da mattina a sera per far rifiorire la terra intorno al Castello.<br />

Beh, sapete donna <strong>Violante</strong>?, tutti erano a conoscenza<br />

che quella gentaglia sapeva maneggiare il coltello<br />

come niente, tutti sapevano che il rigoglio dei campi<br />

forse aveva qualcosa a che vedere con chissà quanti cadaveri<br />

fatti sparire nottetempo sottoterra, che facevano<br />

concime, ma una cosa è certa: i campi tornarono rigogliosi<br />

e c’era grano e bestie per tutti.<br />

Certamente gli invidiosi, quelli del Castello di Cagliari,<br />

lo accusarono di proteggere gentaglia e delinquenti.<br />

Dal Castello di Cagliari, quello dove ora, permettete,<br />

ammuffiscono don Paolo e don Federico, mandavano<br />

messaggi al re: “Berengario è protettore di banditi”,<br />

dicevano.<br />

Ma il re tutto gli perdonava e lui continuò nella sua<br />

opera, senza mai fermarsi davanti a nulla e a nessuno.<br />

Vostro padre divenne così ricco e potente che mise a<br />

disposizione beni e uomini per restaurare le mura di<br />

Cagliari. E anche qui le malelingue… “per farsi perdonare…”<br />

dicevano.<br />

E il re lo fece Conte di Quirra, che è anche il titolo<br />

che avete voi, donna <strong>Violante</strong>. <strong>Si</strong>atene fiera.<br />

66<br />

* * *<br />

Faticavo a pensare mio padre così valente come lo<br />

descriveva questa donna, anche perché perfino alla<br />

corte della regina <strong>Si</strong>billa era arrivata qualche voce.<br />

Una volta mi era capitato di sentire mio malgrado<br />

una conversazione.<br />

<strong>Si</strong> aspettava l’ora della preghiera dell’Ave Maria,<br />

quando donna Carmelita de Jerez, già col messale tra le<br />

mani e ignara della mia presenza alle sue spalle, si girò<br />

verso la sua dama preferita, donna Inés e a mezza voce:<br />

– Non ditemi che sono maliziosa quando parlo di<br />

quella donna <strong>Violante</strong>, ma sembra che voglia davvero<br />

essere sempre al centro delle chiacchiere. Oh! lei questa<br />

volta, a dire il vero, non c’entra proprio per niente.<br />

Ma da quando circola voce che deve andarsene in quell’isola<br />

dei Sardi, a fare la grande contessa, ho preso<br />

qualche informazione…<br />

– Informazioni? E di che genere? – Chiedeva a mezza<br />

bocca donna Inés. – Su chi e che cosa, Donna Carmelita?<br />

– Su come si vive in quel posto… hanno detto che<br />

suo padre, Berengario II, facesse vita dissoluta, perché<br />

lì è così, è gente senza Dio, ladri e malfattori… tutti, e<br />

Berengario, sì, proprio, anche lui, si è immischiato con<br />

quella gentaglia… se li è messi dentro il suo castello,<br />

quei banditi… così ho sentito da uomini vicini al Re, e<br />

lui è diventato proprio un protettore di banditi.<br />

– Fatemi fare il segno della croce, donna Carmelita,<br />

per carità… e quella figlia sua… in fondo sarà come<br />

suo padre. Andare tra i lupi, che vanità, che vanità…<br />

Che dame quelle dame, alla corte della Regina!<br />

E ora questa Teresa mi ripeteva quella frase, “pro-<br />

67


tettore di banditi”, che mi ossessionava e mi martellava<br />

nella testa.<br />

– Ancora fino alla sua morte continuò a combattere<br />

e combattere.<br />

– Ma, scusatemi, Teresa se interrompo il vostro discorso,<br />

ma io, vedete, non ho mai saputo come è morto<br />

mio padre e anche mio nonno si è sempre rifiutato di<br />

parlarmene. Ma almeno questo vorrei sapere: se è morto<br />

in grazia di Dio, sul suo letto, oppure in battaglia.<br />

Senz’altro saprete qualcosa a tale riguardo.<br />

Teresa cambiò posizione sulla poltrona, e lievemente<br />

agitata non riusciva più a trovare una postura che le<br />

sembrasse comoda: ora sbilanciata sulla gamba destra,<br />

ora sull’altra. Tentò perfino di appoggiare le spalle per<br />

rilassarsi, ma niente, non riusciva.<br />

Dopo una pausa, disse strascicando le parole come<br />

per prendere tempo:<br />

– Come è morto? Come è morto Berengario II?<br />

– Sì, – dissi io, – mio padre.<br />

– Donna <strong>Violante</strong>, è passato del tempo, le voci non<br />

sono mai sicure. Per certo so soltanto che tante donne<br />

vestite di nero sono accorse dai villaggi che stanno ai<br />

piedi del Castello, di quell’avamposto lì, a Quirra, e<br />

hanno pianto notti e notti per lui. Ne hanno cantato lodi<br />

quelle donne… saranno state senz’altro sincere in<br />

tutto quel loro urlare, non vi pare? Dicono che a vostro<br />

padre le donne piacessero tanto… Ma, insomma… don<br />

Luìs, questo, qui al Castello, di come è morto vostro<br />

padre e che cosa lo abbia riportato al Padreterno, non<br />

lo ha mai raccontato. Ma come dubitare che non sia<br />

morto nella grazia del <strong>Si</strong>gnore? Quando mai! Un nobile<br />

così importante, senz’altro il nostro Dio, che è grande<br />

e misericordioso, l’avrà accolto a braccia aperte, e<br />

68<br />

anche tutti gli angeli del cielo. State tranquilla, che domande<br />

fate…<br />

Alla mia espressione di delusione non diede alcuna<br />

importanza e continuò:<br />

– Il pericolo più grande veniva e viene tuttora dal<br />

Giudicato d’Arborea, che ha i territori confinanti con i<br />

vostri. State accorta donna <strong>Violante</strong>, a quella Eleonora.<br />

Ma anche lì, a Quirra dove dovrete recarvi, la situazione<br />

un tempo era incandescente. Nessuno controllava<br />

niente. Il castello sta su una rocca, pare in posizione<br />

strategica, per controllare gli assalti dei Saraceni. È un<br />

posto molto lontano, si devono attraversare valichi e<br />

montagne, guadare fiumi e affrontare bestie feroci. Ebbene,<br />

quel castello fu assediato ripetutamente e i pastori,<br />

anziché badare alle pecore, che sarebbe il loro primo<br />

dovere, sapevano fare solo bardane e scorrerie banditesche.<br />

Ma quando venne affidato al Conte vostro padre,<br />

allora le cose cambiarono. I Catalani, il comando, ce lo<br />

hanno nel sangue e il Padreterno è dalla loro parte. Solo<br />

il Conte riusciva a tenere buona quella gente, non so<br />

proprio come ci riuscisse, fatto è che non lo combattevano<br />

a viso aperto, quei vili miserabili e selvaggi senza<br />

Dio. Lui si intendeva anche con quelli: gentaglia, sardacci,<br />

cara la mia signora, tenetevene lontana. Ed ora il<br />

feudo di Quirra è tutto vostro. A voi continuare la tradizione.<br />

Tenete alta la potenza dei Carròz.<br />

Tacque Teresa e mi guardò, scrutandomi gli occhi e<br />

l’anima.<br />

* * *<br />

Quella fu l’ultima volta che sentii i racconti di Teresa.<br />

69


Non diedi più retta a Maria, che insisteva petulante<br />

perché ascoltassi ancora quelle storie. Mi martellavano<br />

le tempie: alta la tradizione? Io? Quale tradizione? Di<br />

contrabbando? Di ruberie alle chiese? di protezione ai<br />

banditi? Che cosa aveva in testa quella donna?<br />

– Donna <strong>Violante</strong>, che belle serate passavamo quando<br />

veniva Teresa a fare tutti quei racconti. Vedete? Vi<br />

state intristendo anche voi qui, non volete uscire, non<br />

volete andare al Castello di Cagliari, non volete fare<br />

niente. Teresa mi ha confidato che al Castello della<br />

Città chiedono ogni giorno di voi, tutti, soprattutto<br />

due nobiluomini, credo che si chiamino don Paolo e<br />

don Federico, vogliono invitarvi a colloquio, a raccontarvi<br />

tutto quello che dovete sapere per il vostro alto<br />

compito. Donna <strong>Violante</strong>, cosa pensate di fare?<br />

E io non rispondevo.<br />

E io avevo angoscia.<br />

E io non sapevo proprio cosa c’era da fare.<br />

Il guerriero Michele, l’arcangelo dalle ali d’oro, quella<br />

notte, nel mio agitato dormiveglia, rivolgeva la spada<br />

sguainata verso un sole luminoso, lontano lontano,<br />

e dalle sue labbra parole nitide e chiare arrivavano alle<br />

mie orecchie:<br />

Là, dove sorge il sole… quella è la tua meta, quella è<br />

la salvezza per chi non sa esser protettor di banditi.<br />

Al mattino, al risveglio, tutto mi era chiaro.<br />

Sapevo dove scappare.<br />

Lì, a Quirra.<br />

Su una grande carrozza, Maria fu la prima a partire.<br />

Maria, confusa tra le casse e i bagagli. Don Luìs dava<br />

70<br />

ordini precisi alle guardie. Che tenessero occhi aperti<br />

per i briganti, che curassero le casse. Per la protezione<br />

di Maria non diede alcuna raccomandazione.<br />

Alcuni giorni dopo era pronta anche la mia carrozza.<br />

Don Luìs, seguito sempre da Teresa, camminava<br />

nervosamente avanti e indietro. Un attimo spariva alla<br />

mia vista e un attimo dopo me lo ritrovavo davanti.<br />

Tutto il tempo, anche se breve, che ero rimasta lì,<br />

aveva trovato mille pretesti per evitare che uscissi. Una<br />

volta avevo manifestato il desiderio di curiosare per le<br />

terre e i villaggi intorno. La faccia si era contratta in<br />

una smorfia e “state certa, una bella mattina di queste<br />

organizzeremo una visita per i villaggi. Tutto, però, deve<br />

essere preparato per il meglio, per la vostra sicurezza.<br />

State certa, sarete accontentata.”<br />

Quella “bella mattina” non arrivò mai.<br />

Mi ritornavano alla memoria parole di Teresa a proposito<br />

di mio padre “amato dentro, odiato fuori”.<br />

Don Luìs aveva paura. Lui era il Castellano e quindi<br />

responsabile del castello e in quella situazione, della<br />

mia persona.<br />

Quando gli comunicai la decisione di partire per<br />

Quirra non mi si staccò più di dosso, che c’erano pericoli,<br />

che non era opportuno, che là non avrei trovato<br />

sicurezza…<br />

Fino all’ultimo.<br />

Ma la spada dell’arcangelo Michele era stata, ogni<br />

notte di più, più convincente di qualsiasi don Luìs e<br />

della rossa Teresa che, dopo la partenza di Maria era<br />

diventata perfino invadente ed opprimente… a reggermi<br />

le gonne, a spostarmi il velo dal viso, ad aiutarmi a<br />

togliermi gli abiti.<br />

Anche la mia carrozza, infine, fu approntata.<br />

71


Mentre, attento, mi aiutava a salire, don Luìs mi<br />

sussurrò, indicando lo stemma della mia casata: – Questo<br />

dovrebbe bastare a tenervi lontana dai pericoli del<br />

cammino.<br />

Lo stemma d’Aragona e dei Carròz era ovunque:<br />

sulle gualdrappe dei cavalli, sui tendaggi, sulle divise<br />

dei postiglioni.<br />

E si partì.<br />

Adiòs Callèr: cielo di stelle e profumo di mare.<br />

72<br />

4<br />

Da sempre affascinato dal fulgore delle armi,<br />

Ramòn Muntaner era stato, durante la sua vita, nell’ordine:<br />

paggio di Pietro III d’Aragona, cavaliere, consigliere,<br />

camerlengo di corte, luogotenente, e ancora amministratore,<br />

capitano, inviato speciale, ma non basta,<br />

anche armatore e, quel che più importa, testimone<br />

oculare, anche se proprio oculare non sempre, di tanti<br />

avvenimenti che avevano fatto la gloria della Corona<br />

aragonese.<br />

Ciò che non aveva visto coi propri occhi lo aveva<br />

udito dalle bocche dei marinai, importante anche se<br />

spesso menzognera fonte di informazione. Ma, per un<br />

uomo come Ramòn che era stato lui stesso lupo di mare<br />

e di tempeste, bastava perché quei racconti fossero veritieri.<br />

È la notte del 15 maggio del 1350.<br />

– Alzati Ramòn, – gli ha ordinato in sogno un vecchio<br />

vestito di bianco con una lunga barba bianca e autorevole.<br />

– Alzati, Ramòn e scrivi. Racconta i grandi avvenimenti<br />

meravigliosi dei quali sei stato testimone, che<br />

Dio ha determinato nelle guerre alle quali hai parteci-<br />

73


pato, e che Dio stesso desidera che tu manifesti. – Così<br />

gli ha intimato quel vecchio, quella notte, nella sua<br />

casa di campagna nella fertile Valenza.<br />

E Ramòn, vecchio pure lui, già sul quindicesimo lustro,<br />

si mette seduto al suo scrittoio, chino sulla carta illuminata<br />

dalla luce fioca di una grossa candela, impugna<br />

la penna e comincia a scrivere. Il suo volto è privo<br />

di barba. In testa porta una specie di berretta catalana<br />

che gli copre solo in parte la fronte, ampia per la calvizie<br />

avanzata. E racconta. Comincia a raccontare, a esaltare<br />

il ruolo della dinastia aragonese nella realizzazione<br />

degli alti disegni divini.<br />

Per prima cosa Ramòn Muntaner espone i consigli<br />

che lui stesso, in prima persona, aveva avuto l’ardire di<br />

dare all’Infante Alfonso:<br />

«Dunque <strong>Si</strong>gnore, quando arriverete in <strong>Sardegna</strong>,<br />

nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, andate<br />

a Cagliari via terra, e distruggete ville,castelli e<br />

borghi, se non vi ubbidiranno. E chi? Chi di quelli che<br />

saranno dentro Cagliari, di Pisani e Sardi, nel cuore<br />

non sentirà paura, quando sbarcherà il valoroso ammiraglio<br />

don Carròz, che vi condurrà tanti arditi catalani<br />

percorrendo le strade del mare?»<br />

Questo, per prima cosa, scrive don Ramòn: per il signor<br />

Re d’Aragona e il signor Infante don Alfonso.<br />

E poi le grandi gesta nell’isola di <strong>Sardegna</strong>…<br />

«Lungo assedio al Castello di Cagliari, abitato dai<br />

Pisani, posero il signor Infante insieme all’ammiraglio<br />

Carròz, che è tra i migliori cavalieri del mondo.<br />

L’ammiraglio, in testa ai suoi fanti, disarcionò cava-<br />

74<br />

lieri, colpì con le lance, vibrò colpi, i più terribili del<br />

mondo, con le mazze. Colpì uomini a cavallo e a piedi.<br />

Ne ammazzò ben settecento, di uomini a cavallo e tremila<br />

fanti.<br />

Ma, por la gracia de Diòs, degli uomini dell’ammiraglio,<br />

a cavallo o a piedi, non ne morirono più di venti.<br />

I Pisani furono costretti, quindi a firmare una pace<br />

con i nuovi arrivati, i grandi D’Aragona.<br />

Il re, quindi poté affidare al nobile don Berengario<br />

Carròz, figlio dell’ammiraglio, tutta quella contrada, e<br />

poté fare ritorno in Catalogna sano, allegro e con grande<br />

onore.<br />

Ma la pace non durò a lungo.»<br />

Ramòn, chino sulla carta, illuminata dalla luce fioca<br />

di una grossa candela, fa scorrere l’inchiostro, senza mai<br />

stancarsi, tanto è vivo ancora nelle sue orecchie l’ordine<br />

del vecchio vestito di bianco con la lunga barba bianca e<br />

autorevole.<br />

«Ancora battaglie cruente ci furono, e tante.<br />

Che vi dirò? Che le bandiere del nobile don Carròz<br />

entrarono nei quartieri della città di Cagliari, e allora<br />

avreste potuto vedere una battaglia crudele e sanguinaria.<br />

I Pisani, che ancora stavano nel Castello, e i Sardi,<br />

che stavano nei quartieri intorno, ci misero grande impegno,<br />

per il gran dolore che provavano per le mogli e i<br />

figli che vedevano morire e si impegnarono nella lotta,<br />

ma nostro <strong>Si</strong>gnore vero Dio li volle punire per la loro<br />

malvagità, tanto che nessuno restò in vita, né delle loro<br />

donne né dei loro figli.<br />

Quando i Catalani ebbero ucciso tutti, si dedicarono<br />

75


al saccheggio di un’infinità di beni e di cose. E quelli che<br />

avevano combattuto guadagnarono tanto che diventarono<br />

ricchi per sempre.<br />

Dormirono sonni beati quella notte, i guerrieri, e soprattutto<br />

il nobile don Carròz, Berengario I.<br />

E soltanto il giorno dopo ritornarono nel teatro che<br />

li aveva visti eroi e vittoriosi e distrussero le mura e le case<br />

e rasero tutto al suolo.»<br />

Continua pieno di fervore il vecchio Ramòn la sua<br />

storia di gesta, senza sentire la stanchezza perché sa che<br />

è Dio a volere il giusto racconto.<br />

«Così signori, che leggerete questa storia, elevate il<br />

vostro cuore al potere di Dio, poiché vedete chiaramente<br />

quale vendetta nostro <strong>Si</strong>gnore vero Dio ha messo in<br />

atto contro i Pisani del Castello di Cagliari che con<br />

slealtà riaccesero la guerra contro il <strong>Si</strong>gnor Re d’Aragona,<br />

che, per pietà e generosamente, aveva fatto pace con<br />

loro, e ancora quale vendetta ha messo in atto contro i<br />

Sardi dei quartieri della città che sono la gente più malvagia<br />

del mondo e i peggiori peccatori, per orgoglio, superbia<br />

e lussuria.<br />

Fu così che il Lunedì, nono giorno di giugno, dell’anno<br />

1326, i Pisani consegnarono il Castello di Cagliari<br />

al <strong>Si</strong>gnor Re d’Aragona, e, per lui, al nobile don Berengario<br />

Carròz e agli altri che entrarono nel Castello di<br />

Cagliari con ben 400 cavalieri armati e con ben1200 valletti,<br />

tutti catalani.<br />

Ed entrarono per la porta di San Pancrazio, e i Pisani<br />

uscirono per la Porta del Mare e si imbarcarono su<br />

quattro taride e su una nave che li riportò a Pisa.<br />

E quando questi ufficiali e il nobile don Berengario I<br />

76<br />

Carròz e la compagnia entrarono a Cagliari, alzarono<br />

sulla torre di San Pancrazio un grande stendardo del <strong>Si</strong>gnor<br />

Re e poi, in ciascuna delle altre torri, altri stendardi<br />

e molte bandiere reali minori.<br />

E per grazia di Dio, mentre le bandiere e i pennoni si<br />

alzarono sulle torri, non c’era vento, ma, appena furono<br />

issate, giunse un vento di garbino, il più bello del mondo,<br />

che dispiegò tutte le bandiere e i pennoni.<br />

E sembrava che il cielo si unisse alla terra.<br />

E così gli ufficiali del <strong>Si</strong>gnor Re e il nobile don Berengario<br />

Carròz sistemarono bene il Castello, con molta<br />

buona gente di parata, cioè di lignaggio, per servire Dio<br />

per sempre.<br />

E finalmente i Sardi trovarono e troveranno lì, e soltanto<br />

lì, verità e giustizia, in modo che la casa d’Aragona<br />

e tutta la Catalogna ne riceverà onore e gloria.»<br />

Così Ramòn Muntaner, a cui Dio aveva riservato un<br />

destino invidiabile, facendogli trovare scampo, tra impegni<br />

di terra e di mare, per ben “trenta dues batalles”,<br />

raccontò e raccontò, fino a quando quel buon vero Dio<br />

e <strong>Si</strong>gnore, che tanto invocava, gli fece cadere la penna<br />

dalla mano e gli aprì le porte dell’aldilà.<br />

Non fece quindi in tempo, il vecchio Ramòn a spendere<br />

una parola di onore e gloria su colei cui toccò, alla<br />

fine del secolo, tutta quella favolosa eredità. Colei cui<br />

toccò il titolo di Contessa del più grande feudo della<br />

<strong>Sardegna</strong> e che poco sapeva…<br />

77


Le ultime case dell’abitato erano soltanto una sagoma<br />

lontana, e la campagna con tutta la sua solitudine si<br />

apriva al nostro passaggio quando la carrozza rallentò<br />

all’improvviso cambiando l’andatura fino a quel momento<br />

regolare e monotona.<br />

– Via, via da qui, lontano dai cavalli se non cerchi la<br />

sventura.<br />

Il tono aspro e brusco del conducente mi allarmò un<br />

poco.<br />

– Vattene straccione, se non vuoi assaggiare la frusta.<br />

Scostai appena le tendine… quasi di fronte due occhi<br />

enormi, interrogativi, incrociarono i miei.<br />

Occhi nocciola di cerbiatto spaventato su un volto<br />

smagrito. Aveva in mano un bastone nodoso, per appoggio.<br />

Un vecchio. Solo. Sullo sfondo, fitta vegetazione.<br />

La mia curiosità ordinò alle guardie di fermarsi.<br />

– Straccioni, nient’altro che Sardi straccioni. – Rispose<br />

il postiglione a mia custodia.<br />

Nella mia mente “banditi e gente malvagia” e ancora<br />

“gentaglia, selvaggi” prendevano forma e un brivido<br />

mi percorse la schiena.<br />

5<br />

79


La carrozza, intanto, si era fermata al mio comando.<br />

Pur continuando a restare seminascosta dietro la pesante<br />

tenda dell’abitacolo, inclinai la testa per vedere<br />

meglio.<br />

Quegli occhi non avevano timore. Mi guardarono<br />

fisso.<br />

– Eccovi, dunque. Bene arrivata in questa terra, contessa,<br />

oh! È terra di miseria e di miseri, ma vi accoglierà<br />

festante.<br />

La guardia a cavallo gli stava quasi alle costole, spada<br />

sguainata, ad anticipare pericoli.<br />

– Chi siete? – chiesi incoraggiandolo.<br />

– Chi sono? e chi lo sa? Solo i miei stracci dicono chi<br />

sono adesso.<br />

Continuava a farfugliare…<br />

– Tutto gli fu tolto. Tutto. Ed io, io ho preferito le ortiche<br />

della campagna per il mio stomaco.<br />

– Ma cosa dite? Di chi parlate? Non fatemi perdere<br />

tempo e pazienza.<br />

– L’antica prepotenza vi peserà sulla testa e sull’anima.<br />

E il peso delle colpe, – continuò sollevando il bastone<br />

nodoso a indicare lo stemma delle tende, – sarà<br />

quanto quello del vostro nome. Contessa.<br />

La guardia gli assestò, con la lama di piatto, un colpo<br />

di spada in pieno petto.<br />

La carrozza ripartì, ma quello continuava, la voce<br />

sempre più flebile:<br />

– …al povero de Açen… Contessa.<br />

Ancora quel nome… e poi quel Contessa detto così,<br />

gridato in un modo… arrivò duro alle mie orecchie.<br />

Il tempo di un respiro…<br />

Sporgo la testa indietro, a guardare…<br />

Alle mie spalle, un bastone nodoso a pezzi e un vec-<br />

80<br />

chio gettato su una strada polverosa che chissà quando<br />

finiva.<br />

Attraverso la fessura della tenda non vedevo più<br />

nessuno, né occhi enormi, né volto di vecchio scavato e<br />

smagrito. Solo i cespugli della vegetazione.<br />

La carrozza riprese la sua andatura regolare. Ora penetrava<br />

tra boschi e boschi di leccio, attraverso un percorso<br />

generoso, non certo di comodità, ma di nuovi<br />

profumi, essenze forti di fiori che solo piante e cespugli<br />

abituati ad avere poca acqua sanno dare.<br />

Non conoscevo i nomi di quelle erbe, ma, annusando<br />

l’aria in continuazione, avevo imparato, per distrarmi,<br />

e per scacciare i nodi di quel bastone, a distinguerle<br />

l’una dall’altra: le più dolciastre da quelle più asprigne,<br />

le più delicate da quelle decisamente forti che si imponevano<br />

prepotentemente su tutti gli altri odori.<br />

E poi la polvere, tanta polvere, che penetrava dappertutto,<br />

che imbiancava le criniere dei cavalli, le divise<br />

delle scorte: i postiglioni sembravano bianchi cavalieri<br />

usciti da un mondo irreale, lo stemma delle gualdrappe<br />

sbiadito.<br />

<strong>Si</strong> procedeva lentamente tra scossoni e pietre e gole<br />

paurose e soste per cambiare i cavalli, e soddisfare altre<br />

necessità… chissà per quanto tempo.<br />

Carrozza e cavalli, così, mi portarono alla mia mèta:<br />

al Castello di Quirra, dominante su buona parte delle<br />

terre orientali dell’isola.<br />

Sul cocuzzolo di una collina, sembrava più a contatto<br />

col cielo che con le terre che erano a valle.<br />

Il castello di Quirra: mi bastò un attimo per sentire<br />

che da lì non sarei mai più tornata.<br />

81


È il 1386.<br />

Donna <strong>Violante</strong> Carròz arriva al Castello di Quirra.<br />

La nuova feudataria. Donna. E senza spada.<br />

Ad accoglierla, funzionari e castellano.<br />

La folla è un coro di evviva. Tutti si mostrano compiaciuti<br />

ed entusiasti, colpiti dalla giovane età della<br />

nuova <strong>Si</strong>gnora.<br />

– Benvenuta al castello, donna <strong>Violante</strong>, – risuona<br />

tutto intorno.<br />

E lei, timida ed impaurita, ma soprattutto stanca,<br />

molto stanca, sa dire soltanto:<br />

– La strada è lunga e faticosa per arrivare a questo<br />

nido d’aquile.<br />

– Le aquile hanno lunga vista, mia <strong>Si</strong>gnora, – la<br />

conforta il castellano don Ignacio, – e da qui si può vedere<br />

il mare, e le golette dei Saraceni, e lì i monti, ed oltre<br />

essi il Giudicato d’Arborea, dov’è padrona la giudicessa<br />

Eleonora, la terribile Eleonora.<br />

– Questa terra non è ricca, ma vicino al mare vi sono<br />

stagni, donna <strong>Violante</strong>, e sono pieni di pesci. E nelle<br />

campagne, le nuvole… sono uccelli di passo: la selvaggina<br />

non mancherà di certo alla vostra tavola, – così la<br />

accoglie quel panciuto di don Ignacio.<br />

83


E lei, la giovane <strong>Violante</strong>, risponde che per volontà<br />

del Re è signora di quelle terre, e degli uomini che le<br />

abitano. Ma solo per volere del Re è lì. Non per suo desiderio.<br />

Quanto alla selvaggina, aggiunge, che volino<br />

pure tranquille le pernici, lei guarderà solamente ad<br />

oriente, da dove arriva il profumo del mare.<br />

Nessuno ascolta davvero le sue parole.<br />

Però, tutti, contenti ed ossequiosi, esclamano:<br />

– Il vostro volere è il nostro, donna <strong>Violante</strong>. Bienvenida.<br />

84<br />

Negli appartamenti riservati ritrovai la mia dama di<br />

compagnia, Maria. Lei malvolentieri aveva lasciato il<br />

Castello di San Michele precedendomi di qualche giorno,<br />

insieme ai bagagli.<br />

Come meglio aveva potuto, era riuscita a dare a quelle<br />

stanze tetre e disadorne un’aria accogliente e femminile:<br />

fiori odorosi di campo e qualche specchio in più. Il<br />

tanto, insomma, perché una nobildonna potesse trovarsi<br />

a proprio agio in un posto che mai aveva accolto<br />

donne. Un bell’inginocchiatoio di fattura catalana era<br />

quanto di più lussuoso potesse trovarsi in quelle stanze.<br />

Le statue dei santi, le pale d’altare, i quadri sontuosi<br />

e gli arredi di lusso del Castello di San Michele erano<br />

per me già un ricordo di cui non sentivo assolutamente<br />

la mancanza, anche se Maria li elogiava di continuo e se<br />

li ricordava uno per uno, dal camino grande di marmo<br />

con le striature rosse, a quel santo riccioluto senza nome<br />

che indicava la curva del corridoio principale. E ogni<br />

volta scuoteva la testa, dispiaciuta e piena di nostalgia<br />

per quel luogo e in modo particolare per quella Teresa<br />

che la incantava con i suoi racconti.<br />

Era piccola e dolce Maria, ma molto vivace. Ogni<br />

giorno che passavo con lei mi rendevo conto che la scel-<br />

85


ta della mia Regina era stata proprio la scelta giusta. Il<br />

suo cuore di fanciulla era sempre ridente e tutto per lei<br />

sembrava facile e bello.<br />

La sua intelligenza e curiosità le avevano permesso di<br />

imparare tante cose su quella gente e su quei luoghi in<br />

brevissimo tempo.<br />

La sua gioia nel rivedermi e le premure perché mi riprendessi<br />

dalla stanchezza di quel viaggio interminabile<br />

e sfiancante mi ridiedero un po’ di coraggio, e a lei che,<br />

con parole e gesti mi sollecitava ad entrare subito nella<br />

parte di contessa e padrona di un vasto territorio, ricordavo,<br />

con in bocca il sapore della paura, che il velo nero<br />

che mi ricopriva il volto e la persona aveva un significato<br />

ben preciso, e che io desideravo essere morta alla vita,<br />

nonostante il Re avesse deciso diversamente.<br />

Ma Maria era incalzante e cercava di stimolarmi:<br />

– Mia signora, – affannava, aiutandomi a liberarmi<br />

dagli abiti impolverati, – alto compito è il vostro. Gli<br />

abitanti di queste terre vi aspettano per onorarvi e servirvi.<br />

Dovrete pure mostrare il vostro volto. Avete un<br />

dovere con la Corona d’Aragona. E poi, Eleonora d’Arborea,<br />

la vostra vicina, è una grande avversaria. Ricordate<br />

le parole di Teresa: in nome della gente sarda, combatte<br />

con le armi il Re d’Aragona. Fatele vedere quale<br />

potere ha una nobildonna aragonese.<br />

Mi aizzava come si aizza un cane verso la preda, anzi<br />

come si aizzano quei galli da combattimento che, senza<br />

la voce roca e avvinazzata del padrone, non avrebbero<br />

nessuna voglia di beccarsi l’un l’altro fino a dissanguarsi,<br />

per la gioia dei miei conterranei.<br />

Sfinita dalla stanchezza, le risposi che avevo bisogno<br />

di raccogliermi e pregare Dio per avermi fatta giungere<br />

sana e salva fin lassù, e chiedergli aiuto in quel gravoso<br />

86<br />

compito. Che tacesse, dunque. E non parlasse di Eleonora,<br />

che mi parlasse invece di quel posto.<br />

– Se vi piace, – e a Maria brillarono gli occhi di entusiasmo,<br />

– ai piedi del Castello c’è una chiesetta. È piccola,<br />

fatta di mattoni rossi. Potrà accogliere le vostre preghiere<br />

e le vostre soltanto, se vorrete. È sempre aperta,<br />

e, se non avete paura, potete andarci quando meglio vi<br />

aggrada. Nessuno vi entra, ma pare che sempre si odano<br />

canti…<br />

Quella descrizione odorava di mistero e mi incuriosì.<br />

Con quel pensiero mi addormentai quella prima notte,<br />

nel Castello di Quirra.<br />

L’indomani pomeriggio montai su una cavalla bionda<br />

e docilissima, che da allora sarebbe stata la mia fedele.<br />

Scortata dal palafreniere, ridiscesi la china del colle<br />

che da non molto avevo percorso.<br />

Il palafreniere era un tipo ben strano. Tutto pieno di<br />

premure, tutto impettito nel suo compito. Aveva un’aria<br />

maestosa, sempre: nel guidarmi per i viottoli e nelle<br />

mansioni più umili.<br />

– State attenta, mia signora, prima del calar del sole,<br />

– diceva con voce tremolante, – andate via dalla chiesa.<br />

<strong>Si</strong> raccontano certe cose… Anzi, aspetterò qui che voi<br />

diciate le vostre orazioni.<br />

Insistevo per licenziarlo. Che non doveva preoccuparsi.<br />

Che non mi sarei attardata. Insomma che io non<br />

avevo paura di nulla e di nessuno.<br />

Così aveva parlato tutta la mia insicurezza.<br />

L’andare e lo stupore fu tutt’uno.<br />

Il ruscello che mi era stato indicato portava direttamente<br />

alla chiesa.<br />

Mi sembrava che quella terra non fosse come me l’avevano<br />

dipinta. “Una sorta d’inferno, povera la mia<br />

87


<strong>Violante</strong>,” aveva commentato tra le lacrime la regina <strong>Si</strong>billa.<br />

“Terra arida e gente malvagia,” aveva raccontato<br />

Teresa.<br />

Delle voci in lontananza mi smossero dai miei pensieri…<br />

– Benvenuta padrona…<br />

– Salute e onore alla contessa…<br />

Erano voci di bimbi e di donne che lavoravano poco<br />

distante.<br />

Ancora non mi ero abituata a ricevere tanti omaggi.<br />

Dal Castello di San Michele non avevo mai messo fuori<br />

neanche il naso, se non per salire sulla carrozza che mi<br />

aveva portato fino a quest’altro castello.<br />

Ed ero stupita di non essermi ancora imbattuta in<br />

quelle bande di banditi di cui mi aveva parlato quella<br />

Teresa al Castello di San Michele quando tacque dopo<br />

l’ultimo racconto per scrutarmi occhi e anima: “gentaglia,<br />

sardacci, cara la mia signora, tenetevene lontana”.<br />

Mi sentivo sola, catapultata in una terra sconosciuta<br />

e lontana. Lontana come il Re che aveva detto: “Vai e<br />

comanda”, come fosse la cosa più facile da farsi.<br />

Mentre cercavo di controllare le mie emozioni e perfino<br />

la mia andatura, sbilenca su quelle pietre, un’emozione<br />

grandissima mi prese tutta.<br />

Di fronte a me stava il più bel gioiello che avessi mai<br />

visto: non aveva ori, non aveva gemme: una chiesetta,<br />

tutta di mattoni rossi, piccola piccola, che avrei quasi<br />

potuto contenere in un abbraccio. In cima, terminava<br />

con un campaniletto a vela.<br />

Era come se mio padre avesse voluto regalarmi un<br />

giocattolo, un ninnolo, che mai aveva avuto l’occasione<br />

di donarmi, solo per ricordarmi di lui.<br />

Così io credevo e speravo.<br />

88<br />

Ma rimasi molto male quando il palafreniere mi disse<br />

che era antica di cent’anni e forse più.<br />

Dopo il primo impatto con la gente di <strong>Sardegna</strong> e le<br />

preghiere in solitudine, mi sentii un po’ risollevata. E<br />

così, animata di tanto zelo, decisi di andare a visitare altri<br />

luoghi.<br />

Volevo andare verso est, a valle verso il mare, a visitare<br />

gli stagni.<br />

Nella mia mente era ancora viva l’immagine dell’arcangelo,<br />

che indicava l’oriente con la sua spada fiammeggiante.<br />

Maria, quando le chiesi di approntare tutto per la<br />

spedizione, prese a seguirmi coi suoi brevi passetti, parlandomi<br />

fitto fitto con quella sua vocina, quasi sempre<br />

dolce, ma con alcuni toni striduli quando mi voleva avvisare<br />

di qualche pericolo.<br />

Parlava e parlava, ma solo una frase mi arrivò con<br />

violenza:<br />

– Questa terra è più vasta dell’Arborea, dov’è padrona<br />

Eleonora.<br />

Mi girai di scatto, quasi finendole addosso e la investii<br />

di rimproveri:<br />

– Ma perché, perché, – le dicevo con labbra livide, –<br />

dovete tutti sempre mettermi davanti questo nome?<br />

Cosa vuoi che importi a me della potenza di quella donna?<br />

Tutto quello che oggi sembra gloria, Maria, domani<br />

non c’è più, mettitelo bene in testa.<br />

L’altra, poveretta, presa alla sprovvista dalla mia faccia<br />

cattiva, non fiatò più e si diede da fare per organizzare<br />

la partenza.<br />

Tutti, tutti mi spingevano alla competizione con lei,<br />

l’altra donna che, in tutta l’isola, allora, aveva un posto<br />

di comando.<br />

89


A me veniva un nodo allo stomaco, al solo pensare<br />

di dovere per forza affrontare una gara, qualunque, anche<br />

se, per il momento, solo a distanza.<br />

A me non era mai piaciuto gareggiare con qualcuno,<br />

figuriamoci in quella terra sconosciuta e contro una che<br />

io ormai mi immaginavo come una gigantessa alta tre<br />

metri e con un pugnale stretto tra i denti.<br />

Mi venivano subito i brividi per la paura.<br />

Io volevo solo starmene tranquilla e andare a vedere<br />

gli stagni, così, per curiosità.<br />

* * *<br />

Il luogo era detto Colostrai.<br />

Don Ignazio mi accompagnò da un vecchio pescatore<br />

che era la guida del posto.<br />

– Vedete, contessa, questo è lo stagno di Colostrai.<br />

Io lavoro qui da più di cinquant’anni: ero alto appena<br />

così, e sono stato servitore del conte vostro padre, che<br />

ogni tanto ci onorava della sua visita. In cielo sia. Il mio<br />

nome è Pedru, il vecchio Pedru, come mi <strong>chiama</strong>no tutti,<br />

qua.<br />

Ogni parola, ogni lieve mutamento di tono mi colpiva:<br />

non avevo perso nulla di quanto diceva. Don Ignacio<br />

lo lasciò libero di parlare. Scostandosi di pochi passi,<br />

sembrava fingesse di perdersi con lo sguardo oltre i<br />

giunchi che tagliavano l’orizzonte piatto degli stagni.<br />

Io continuavo a fissare il viso del vecchio pescatore…<br />

tutto grinze… sembrava una tartaruga… e quella<br />

bocca, quasi tutta sdentata… uno sfacelo.<br />

Ma le sue parole suonavano calde, amiche. C’era<br />

qualcosa che mi rapiva, e ancora non sapevo cosa.<br />

Rispondevo con sussiego, e gli facevo domande solo<br />

90<br />

per farlo continuare a parlare: volevo sentire ancora<br />

quel tono caldo di voce.<br />

Chiedevo dei metodi di pesca e perché non vedevo<br />

barche di pescatori in mare. Non mi interessava granchè,<br />

a dire il vero, ma bevevo le sue parole di spiegazione.<br />

– Il Padreterno, – riattaccò lui, – ha pensato bene di<br />

regalarci questi stagni, mia signora, perché il mare è<br />

troppo pericoloso. Sapete bene quanto filo da torcere<br />

diano i Saraceni: arrivano con le loro imbarcazioni, che<br />

scivolano leggere sul mare, approdano come fantasmi<br />

sulla nostra terra, e una volta approdati fanno prigionieri<br />

i nostri uomini e le nostre donne.<br />

La bocca sdentata, mentre parlava, si ricomponeva<br />

in una bella espressione che non mi era nuova, mi lasciavo<br />

cullare da quelle parole e la mia attenzione era<br />

tutta per lui.<br />

– Anche se ci sono le torri di avvistamento, – diceva,<br />

– rade dove approdare, quelli, ne trovano sempre, e i<br />

Sardi, da tante generazioni oramai, non vanno per mare.<br />

Forse perché ci sono gli stagni e il pesce è abbondante,<br />

e si pesca senza bisogno di affrontare tempeste e<br />

Saraceni. Iddio, evidentemente, vuole preservare questa<br />

nostra razza: non permette che si arrischi tra le onde.<br />

Questa terra, basta volerlo, offre tutto. E ben lo sanno<br />

tutti quelli che, per liberarci dai pirati del mare, vi<br />

hanno messo radici. Troppe volte - permettete, dolce<br />

signora, queste parole a un vecchio pescatore che nulla<br />

ha da sperare o da temere - questi, i liberatori dico, sono<br />

stati meno teneri dei predatori.<br />

Erano parole tremende quelle che gli uscivano dalla<br />

bocca sdentata, e il mio orgoglio si sentì un po’ scosso.<br />

Il mio dovere mi imponeva di zittire quel vecchio, e in-<br />

91


vece, rilassata e perfino contenta, lo invitai a continuare,<br />

e gli assicurai che ascoltavo con attenzione.<br />

Lui continuò:<br />

– Ecco, i Sardi restano negli stagni. Qui i Saraceni<br />

non penetrano, non saprebbero come fare. Le nostre<br />

misere abitazioni sono qua, nella parte interna, e lo stagno<br />

le protegge. Noi peschiamo con barchette leggere e<br />

con ami di spina Christi: vedete? Quella pianta selvatica<br />

lì, con i fiorellini rossi e spine lunghe e robuste. Ma<br />

non possiamo difenderci dai nostri salvatori. Questo è<br />

il nostro problema, e forse il nostro destino.<br />

Mi agitai non poco davanti a quelle affermazioni. Il<br />

piacere delle sue parole era disturbato dal dubbio: e se<br />

fosse stato un simpatizzante di quella Eleonora lì?<br />

– Dite che siete stato buon servitore del mio padre, –<br />

gli dissi con una voce dura, ma sperando disperatamente<br />

che la risposta fosse negativa, – ma non avrete, per<br />

caso, simpatie per quella Eleonora?<br />

– Mia cara nuova padrona, ve l’ho detto: dovete perdonare<br />

a questo uomo che oramai ne ha viste tante e<br />

nulla più teme, né spera. Eleonora, la giudicessa di Arborea,<br />

mai riuscirà a spuntarla con gli Aragonesi. Innanzitutto<br />

perché la vostra potenza è superiore alla sua,<br />

e poi perché i Sardi sanno colpire, e bene, solo quando<br />

hanno di fronte un cinghiale, e non un uomo.<br />

– Se siete stato davvero buon servitore di mio padre,<br />

– gli chiesi allora più affabilmente, – vi chiedo, se sapete,<br />

di raccontarmi qualcosa della sua morte. So che è<br />

morto in queste terre e nient’altro.<br />

Il vecchio lanciò uno sguardo interrogativo a don<br />

Ignacio - rimasto poco lontano da noi e di colpo più attento<br />

alla domanda che avevo posto al pescatore - e<br />

disse:<br />

92<br />

– Mi ricordo ancora bene quel momento… – continuando<br />

a interrogare con gli occhi don Ignacio.<br />

– Vi prego, non abbiate paura, il mio cuore saprà<br />

reggere.<br />

E il vecchio, lanciato un ultimo sguardo al Castellano:<br />

– Tre giorni e tre notti è stato vegliato. Tre giorni e<br />

tre notti donne, <strong>chiama</strong>te e arrivate dai villaggi vicini, si<br />

sono battute il petto e hanno cantato le sue lodi. Tre<br />

giorni e tre notti urlavano le donne, come fanno qui da<br />

noi. Cantilenavano “Gloria ne avrà il cielo ad accoglierlo”<br />

e ancora “Era forte e valoroso, il conte Berengario,<br />

bello e gioioso”.<br />

– Sì, ma ditemi: in che modo è morto?<br />

– Sapete, quelle donne, tutte vestite di nero, intorno<br />

alla sua salma, si sono strappate i capelli, lacerate le vesti<br />

e urlato al cielo il dolore di tutti “Grande perdita ha<br />

avuto oggi la nostra terra, ma anche grande onore per<br />

averlo avuto padrone e signore”.<br />

– Sì, ma…<br />

– E poi sapete, – riprende Pedru con fare accattivante<br />

ma non dando possibilità alcuna di interromperlo, –<br />

accanto al suo corpo è stata messa “sa pippiedda po su<br />

consolu de su mortu”, come si fa per chi è morto in stato<br />

di vedovanza.<br />

– Cosa vuol dire questa cosa, cosa è?<br />

– Solo così, dandole compagnia, una bamboletta di<br />

stoffa, illusione di donna, il morto non ritorna più, non<br />

ritorna a cercare e prendersi femmine vive nelle nostre<br />

terre… chè già ne aveva abbastanza di predilette.<br />

– Ma siete scortese, ancora non mi dite come è<br />

morto?<br />

– Certe cose, cara contessa, è meglio che una figlia<br />

93


nobile come siete voi, non le conosca mai. Consolatevi<br />

e state serena. Solo il <strong>Si</strong>gnore nostro Dio lo sa, dolce<br />

contessa, e soltanto lui decide quando è l’ora per ciascuno<br />

di noi.<br />

I suoi denti ora splendevano tutti… la sua faccia…<br />

non era più rugosa… quella voce calda usciva da una<br />

bocca conosciuta e quasi dimenticata…<br />

Il mondo girò tutto e, mentre mi accorgevo a mala<br />

pena che intorno a me c’era grande trambusto, io seguivo<br />

solo la mia realtà.<br />

Non era quel vecchio che parlava.<br />

Era Felipe, il mio primo marito morto tempo addietro.<br />

La sua voce mi arrivava melodiosa e il suo volto sempre<br />

giovane e bello.<br />

Cara la mia bambina. Non devi turbarti. Mai. In questa<br />

terra ti accadranno molte cose che ti sembreranno<br />

strane. Ma io, che ti voglio bene come quando eri mia e<br />

mi facevi godere delle più grandi gioie terrene, ti starò<br />

sempre vicino. Io non ti abbandono… ti farò sempre sentire<br />

la mia presenza. Sempre. E un bel giorno…<br />

* * *<br />

L’acqua appena ondulata dello stagno mi dava la<br />

nausea. La bocca sdentata del vecchio era lì, di fronte a<br />

me. Sorrideva.<br />

Maria mi inumidiva la fronte con un fazzoletto e<br />

l’acqua mi scivolava dentro il vestito, dentro il seno,<br />

confondendosi col sudore che tutta mi aveva bagnata.<br />

La guardai interrogandola con gli occhi.<br />

– Calmatevi ora. <strong>Si</strong> torna al Castello. Non agitatevi<br />

94<br />

donna <strong>Violante</strong>, siete stata poco bene. Forse il caldo. E<br />

l’aria fresca del colle vi gioverà.<br />

Erano convinti che stessi male; pensavano ad un malore<br />

dovuto alla giornata afosa.<br />

Solo qualcuno ne dubitò. Non vedevo esattamente<br />

chi fosse, ma sentivo addosso uno sguardo indagatore,<br />

cattivo, interrogativo.<br />

Durante il tragitto mi uscì inavvertitamente un:<br />

– …e Felipe?<br />

– Felipe? – rispose Maria con la voce stridula, che<br />

mi metteva in allarme, – non c’è nessun Felipe qui. Calmatevi<br />

ora.<br />

E aggiunse, a consolarmi: – Mia signora, la giornata<br />

di oggi è stata molto faticosa, e avete il viso tirato. Ora<br />

pensate a recuperare tutte le vostre forze. Qui la gente,<br />

intanto, non ha mai fretta. Abituatevi, siate certa che<br />

non se la prenderanno, se non vi vedranno in visita per<br />

il territorio. Avete tutto il tempo che volete. E poi, si saprà<br />

già in tutto il feudo che siete stata male. Non preoccupatevi:<br />

loro aspettano, sono fatti così, sembra che<br />

aspettino sempre.<br />

Questi Sardi aspettano… aspettano sempre.<br />

Così aveva detto Maria. E ancora adesso sono sicura<br />

che aveva proprio ragione: è come se fossero “perenni”.<br />

La loro civiltà non ha avuto grande crescita, né decadenza,<br />

né apogeo, né caduta.<br />

La sazietà logora gli imperi; loro, sazietà, non ne<br />

hanno mai conosciuta. È come se facessero una lotta di<br />

resistenza con qualcuno. Loro sono lì, ad aspettare che<br />

l’avversario sbagli; non attaccano mai.<br />

Aspettano… loro. Chissà cosa.<br />

95


I dignitari di corte, invece, aspettavano soltanto me.<br />

O meglio, aspettavano che io prendessi iniziative,<br />

decisioni, insomma, che facessi “la feudataria”.<br />

Ogni tanto arrivavano notizie allarmanti dai confini<br />

col Giudicato d’Arborea.<br />

E i funzionari a spiarmi, a sollecitare con gli sguardi<br />

una qualunque azione di risposta, di forza, da parte<br />

mia.<br />

Io, invece, quella Eleonora, avevo deciso di non<br />

prenderla in considerazione: avevo promesso a me stessa,<br />

in cuor mio, fin da quando me ne aveva parlato per la<br />

prima volta Teresa, lì al Castello di San Michele, che,<br />

per quanto quella provocasse, non avrei accettato sfide,<br />

né cruente, né di altro genere.<br />

Preghiere nella chiesetta, cavalcate giù a valle e brevi<br />

conversazioni con la gente che lavorava nei campi erano<br />

le mie occupazioni.<br />

Avevo davvero voglia e curiosità di quella gente.<br />

In effetti tutti, uomini e donne, erano molto scuri di<br />

pelle, facevano un po’ impressione, ma i loro modi<br />

non erano sgarbati né selvaggi, come mi avevano detto<br />

tutti.<br />

C’erano, invece, i miei incubi diurni: i miei funzionari.<br />

Me li ritrovavo dappertutto, ad ogni lato del Castello,<br />

giù a valle, a volte nei dintorni della chiesa. Fantasmi<br />

reali, incombenti, mi spiavano con quegli occhi accusatori,<br />

con quelle bocche malevole.<br />

Mandarono perfino un resoconto a Cagliari, lamentandosi<br />

di non essere funzionari di niente e di nessuno.<br />

E lì, al Castello di Cagliari, la meraviglia e lo scandalo<br />

crebbero ancora di più.<br />

96<br />

* * *<br />

– Che viso scuro, don Federico, – commentava don<br />

Paolo.<br />

– Certamente, – spiegava l’altro, – arrivano brutte<br />

nuove dall’interno. Eleonora ammassa uomini ai confini<br />

del Giudicato. E il feudo di Quirra a lei confinante<br />

è nelle mani di quella <strong>Violante</strong> lì, quella incapace.<br />

– Ma che fa quella donna? È stata messa in allarme?<br />

– si preoccupava don Paolo.<br />

– La gran dama… non ha ancora capito, a quanto<br />

pare, – diceva don Federico, – che quella non è la corte<br />

della Regina, che questa è terra di battaglia, dove occorre<br />

tirare fuori gli artigli, ché la preda non si impaurisce<br />

per poco. Ma sapete, don Paolo, sapete che fa costei?<br />

– Che fa? – si incuriosiva sempre di più, l’altro.<br />

– Va in giro per il feudo, in genere sola su un cavallo<br />

e… parla coi Sardi.<br />

– Parla coi Sardi?! E cos’ha una nobildonna aragonese<br />

da dir loro?<br />

E don Federico, con un largo gesto delle braccia, a<br />

indicare disappunto:<br />

– Roba da matti, don Paolo, roba da matti.<br />

* * *<br />

Nelle cucine del Castello di Quirra le malelingue<br />

delle serve e delle cuoche non erano da meno.<br />

– L’ho vista che vagava per le sale, vestita di veli trasparenti,<br />

e parlava con qualcuno che non c’era…<br />

– <strong>Si</strong> ferma a parlottare fitto fitto col palafreniere,<br />

giù nelle stalle…<br />

97


– Va sempre sola in quella chiesetta…<br />

– Che razza di nobildonna è mai questa?<br />

– La metteranno a posto, prima o poi, gli uomini del<br />

Castello…<br />

– In un modo o in un altro…<br />

E le cucine risuonavano degli echi delle loro risate<br />

grasse come il cibo che tutti i giorni mi preparavano.<br />

Quei piatti giganteschi: con uccelli che galleggiavano<br />

nell’unto, maialetti che puzzavano di selvatico. Ogni<br />

giorno così, a pranzo, a cena, e salsicce che non finivano<br />

più di arrotolare e srotolare davanti ai miei occhi. E i<br />

funzionari che ci si tuffavano con il mento, le guance, le<br />

mani, mentre con gli occhi mi scrutavano, per controllare<br />

che anch’io mangiassi, e mi sollecitavano, con lo<br />

sguardo, a bere, a più non posso, quel vino rossonero<br />

come sangue, come facevano loro.<br />

E io ero confusa, smarrita quando dentro lo specchio<br />

dalla cornice dorata e floreale non vedevo la mia<br />

faccia. Come si raccontava, dalle mie parti, che capitasse<br />

ai fantasmi. Ed ero solo attratta nell’abisso della dolcezza<br />

della voce di Felipe: il mio delirio che sempre mi<br />

risuonava dentro le tempie.<br />

Non angosciarti, piccina, non serve. Qualunque cosa<br />

tu pensi o faccia, non avrà peso. Per la storia degli uomini,<br />

tu, sarai sempre un mistero, come se non fossi mai vissuta.<br />

Nei loro libri comparirà soltanto il tuo nome, non<br />

altro. Mai riusciranno a sapere, per quanti sforzi faranno,<br />

qualcosa di ciò che sei stata. Non darti pena, dunque, nessuno<br />

degli uomini potrà mai giudicarti. E se qualcuno<br />

mai parlerà di te, sarà perché tu vorrai raccontare: di<br />

fronte a un mare cristallino, oppure ai piedi di questo colle,<br />

o ancora, tra le pietre di un castello rotolate a valle.<br />

98<br />

Rimbombavano quelle parole dentro di me, fino a<br />

stordirmi tutta.<br />

Cercavo e trovavo conforto solo nella preghiera.<br />

Una sera, mentre andavo verso la chiesetta, il palafreniere,<br />

che sempre mi scortava, si prese qualche licenza:<br />

– Mia buona signora, io vorrei, vorrei raccontarvi<br />

una storia, – diceva serio e con la sua aria maestosa e solenne,<br />

– una storia che riguarda questa chiesetta. Fino<br />

ad oggi non ho avuto il coraggio. Non osavo. Ma voi,<br />

che siete tanto buona, so che mi perdonerete.<br />

E così quello, che mi pare di avere ancora al mio fianco,<br />

con quella faccia olivastra e lunga e gli occhi fissi nel<br />

vuoto, cominciò:<br />

– Era una giornata come questa. Tiepida, di primo<br />

autunno. La campagna era silenziosa. Non si sentiva voce<br />

d’uomo né di bestia. Solo il vento mi faceva compagnia.<br />

Il vento, che mai manca in questa terra. Camminavo<br />

lento, con la borraccia del vino a tracolla. Ad un tratto,<br />

tra i cespugli, ho visto una lepre, grassa grassa. Me la<br />

vedevo già penzoloni in spalla. Ho rallentato i movimenti<br />

per non spaventarla e ho iniziato ad avvicinarmi<br />

cercando di aggirarla. Ma quando ero a pochi passi dal<br />

suo cespuglio, quella ha ftto un salto che neanche una<br />

catapulta. E io a cercarla ancora fra rovi e cisto fitto, credendo<br />

di averla ormai persa. Ma dopo un po’ tempo, ecco<br />

che l’ho rivista acquattata come a riprender fiato.<br />

D’un balzo le ero sopra. Presa! Le ho schiacciato la testa<br />

con un sasso, l’ho caricata sulle spalle e ho ripreso il<br />

cammino. Però intanto si era fatto scuro, quasi buio.<br />

Cammina cammina, mi sono ritrovato, finalmente,<br />

vicino a questa chiesetta. Mi era familiare. Ho affrettato<br />

il passo, rincuorato.<br />

99


La chiesa era tutta illuminata. Mi sono avvicinato e<br />

ho sentito canti come di ubriachi e risate di gente in festa.<br />

Mi sono fermato per ascoltare meglio e mi sono detto:<br />

con questa lepre e con tanta gente allegra, si potrebbe<br />

combinare una bella festicciola.<br />

Mi sono accostato alla chiesa, con la mia preda, pronto<br />

a metterla allo spiedo per tutta la compagnia.<br />

C’erano uomini e donne in girotondo, e come mi<br />

hanno visto hanno gridato il benvenuto e hanno cercato<br />

subito di farmi entrare in mezzo al cerchio. Ero incantato.<br />

Quanta gente mai vista! E quanta allegria!<br />

Ad un tratto, dal girotondo è venuto fuori un uomo<br />

e mi si è avvicinato.<br />

Io l’ho riconosciuto subito. Era Andria, compare di<br />

battesimo, vecchio amico. Ho sentito le gambe che mi<br />

tremavano: Andria era morto da almeno due anni prima.<br />

Mi è venuto incontro sorridente e ha detto sottovoce:<br />

“Voi, compare mio, siete in mezzo ai morti. Se non<br />

fate di tutto per uscirne, domani sarete con noi. Se volete,<br />

però, io posso salvarvi dalla morte. Entrate, entrate<br />

pure a ballare con noi, ma quando vorrete andar via,<br />

cantate queste parole”… e mi ha suggerito una filastrocca<br />

magica.<br />

Io ho saltato e danzato coi morti, tutti vestiti di bianco.<br />

Ma col passar del tempo mi venivano attorno sempre<br />

più vicino. Alla fine mi si stringevano tanto da impedirmi<br />

di respirare. Allora non ce l’ho fatta più e ho<br />

cantato a squarciagola la filastrocca di Andria:<br />

Cantate e ballate voi<br />

che ora la festa è vostra<br />

quando verrà la nostra<br />

cantiamo e balliamo noi<br />

100<br />

Come ho finito di recitare queste parole, i morti si<br />

sono buttati a terra ed io sono corso fuori dal cerchio, a<br />

gambe levate.<br />

Dal giorno, io, in questa chiesa, non ci sono più entrato.<br />

Così aveva parlato la faccia olivastra. E poi aveva taciuto.<br />

– Ma che bella leggenda, – riuscii a dire per nascondere<br />

che il cuore mi balzava in gola.<br />

E quello: – No, signora, perché leggenda? È capitata<br />

a me, proprio a me, – diceva sorridente e scuotendo il<br />

capo, meravigliato che potessi non credergli.<br />

Riuscii, comunque, a farlo tacere ed entrai da sola in<br />

chiesa.<br />

Rosario tra le mani, cominciai a pregare.<br />

Ma che avemarie! Quella storia… che storia…<br />

E se avesse voluto prendermi in giro?<br />

piena di grazia…<br />

no, non avrebbe osato tanto…<br />

avemaria…<br />

i morti che fanno il girotondo…<br />

ilsignorecontè…<br />

avemaria…<br />

e se quel giorno era ubriaco? Ecco, deve essere così…<br />

Tutte iniziate quelle Avemaria, neanche una arrivata<br />

all’amen.<br />

101


6<br />

Alla fine si rese necessario.<br />

Necessario convocare quei funzionari che pareva vivessero<br />

soltanto in attesa di dimostrare la loro utilità.<br />

Tutto venne predisposto per l’occasione.<br />

Ed eccomi di fronte a quegli uomini con facce serie e<br />

compiaciute.<br />

Parlai e parlai. Di pericoli da ponente, di eserciti di<br />

Eleonora, di stare allerta… e quelli, quelli avevano un<br />

cipiglio beffardo, e sotto i nasi più rossi che mai, un sorriso<br />

strano.<br />

La riunione, o meglio, quel tentativo di riunione,<br />

naufragò. Come se qualcun altro avesse acchiappato i<br />

fili della storia, ci avesse giocato e li avesse lasciati lì, tutti<br />

ingarbugliati.<br />

Un grande trambusto, voci concitate e incomprensibili<br />

si sovrapposero alle parole di don Ignacio che aveva<br />

iniziato a parlare.<br />

Un messo, inseguito da un servitore che voleva fargli<br />

rispettare le regole di entrata al Castello, irruppe nella<br />

sala:<br />

– I Saraceni… – urlava, – …un rapimento… i Sardi,<br />

nessuna resistenza… – ansimava, – non hanno opposto<br />

resistenza… giù agli stagni… cinque soldati del Re rapiti…<br />

103


Non ci fu verso di tirargli fuori altra spiegazione.<br />

Ripeteva: i Sardi… niente… i soldati… presi.<br />

Non restava altro da fare che essere al più presto a<br />

Colostrai.<br />

Le facce dei funzionari, livide, erano rivolte a me:<br />

non parlavano quegli uomini, ma dicevano “colpa tua!<br />

non sai fare niente, ed ecco cosa ti combinano questi<br />

animali”.<br />

Io, mi sentivo solo terrorizzata.<br />

Pensavo: dov’è il vero pericolo? Nelle barche dei<br />

Saraceni? Nelle truppe armate di Eleonora che stringeva<br />

il pugnale tra i denti? O forse dentro lo stesso Castello?<br />

Io lo vedevo dappertutto, il pericolo.<br />

Corsi comunque là, verso gli stagni, verso il mare.<br />

Senza indugiare.<br />

A Colostrai, il vecchio Pedru aveva la faccia di sempre.<br />

Il suo berretto in testa, levato immediatamente di<br />

fronte alla mia nobile persona, le orecchie a sventola,<br />

la faccia rugosa.<br />

– È arrivato il nemico predatore dal mare e il mio<br />

dovere mi <strong>chiama</strong> qui, – così gli dissi a muso duro perché<br />

temevo che volesse ingannarmi. – Ho saputo che i<br />

Sardi non hanno opposto alcuna resistenza. Le vittime<br />

erano soldati aragonesi.<br />

– Ma mia signora, – rispose quello, – come avrebbero<br />

potuto far qualcosa dei poveracci senz’armi?<br />

– <strong>Si</strong>ete arrogante con la vostra padrona, – lo minacciai,<br />

– la vostra età avanzata non può permettervi tanto.<br />

E lui, con aria fiera e di sfida:<br />

104<br />

– Lo scontro è tra i rinnegatori di Dio e la vostra potenza,<br />

signora. Potete fare di me quello che vorrete, ormai…<br />

però la mia gente, o meglio, i vostri sudditi, quasi<br />

non hanno più neanche la forza fisica di opporsi a<br />

qualcosa. Saraceni? Aragonesi? La nostra lotta è contro<br />

la miseria e le malattie.<br />

Don Ignacio mi guardò, si trattenne a fatica dal fare<br />

o dire qualcosa, ma non contro quell’uomo, no: contro<br />

di me.<br />

I suoi occhi dicevano: Embè? Non fa nulla la signora?<br />

Sperava, forse, chissà, in un mio ordine di sguainare<br />

spade, di ridurre a nulla quel vecchio. O forse sperava<br />

di poter dimostrare la sua maestria con la mazza o altra<br />

arma che facesse sgorgare sangue.<br />

Chissà, in fondo, cosa si aspettava da me quell’uomo.<br />

Io un ordine lo diedi. Fermo e deciso.<br />

– <strong>Si</strong> torna al Castello!<br />

* * *<br />

Alla partenza di donna <strong>Violante</strong> e quelli del Castello,<br />

il vecchio si sente di nuovo padrone del suo spazio,<br />

del suo stagno. Solo allora si fa spiegare particolari che<br />

ancora non ha avuto tempo di conoscere da quegli uomini<br />

che il mare, dopo esserseli ingoiati, ha riportato<br />

alla loro terra. Quegli uomini che ora sono lì proprio<br />

dov’era prima donna <strong>Violante</strong>. Pedru li rimprovera e<br />

considera una sciocchezza quello che hanno fatto. Una<br />

sciocchezza che può mettere in pericolo tante vite. Ma<br />

è curioso e vuole sapere.<br />

E quelli, infervorati ancora per l’impresa ben riuscita,<br />

gli raccontano tutta la storia, fin dal principio.<br />

105


– Vedete Pedru, quando i Saraceni, un anno fa, ci<br />

hanno fatto prigionieri, eravamo pieni di paura. Ci hanno<br />

portato nei loro paesi. E abbiamo capito una cosa:<br />

per noi, non cambiava molto: servi eravamo, lì come<br />

qui.<br />

– A volte era più facile intendersi con quelli che non<br />

con questi padroni di qua, – aggiunge un compare, e<br />

Pedru sollecita la continuazione di quel racconto che<br />

ancora gli riesce poco chiaro.<br />

– Lì, in quei paesi lontani, – riprende quello che aveva<br />

parlato per primo, – abbiamo visto cose meravigliose:<br />

costruzioni tutte d’oro, dove quelli pregano chissàchi.<br />

Non è come nelle nostre chiese, lì non c’è Gesù<br />

Cristo, ma quei templi sono la cosa più straordinaria e<br />

grandiosa che un uomo abbia potuto costruire… La casa<br />

del sultano, poi, è una vera e propria reggia: un’infinità<br />

di sale, anticamere e salotti elegantemente arredati…<br />

È un grande castello con una corte quadrata con<br />

intorno novantanove porte di legno di sandalo e una<br />

d’oro e molte scalinate che conducono agli appartamenti<br />

di sopra. Le cento porte conducono in giardini e<br />

in luoghi dove ci sono cose meravigliose a vedersi. Una<br />

porta immette in un giardino dove c’è abbondanza di<br />

alberi e di frutti di mille specie sconosciute: giardino di<br />

delizie con una rete di rigagnoli che fa arrivare acqua in<br />

abbondanza alle radici, per far spuntare alle piante le<br />

prime foglie e i primi fiori. Un’altra porta immette in<br />

un giardino solo di fiori. Ce ne sono un’infinità, di tutti<br />

i colori. E non c’è cosa più dolce dell’aria che si respira<br />

in quel giardino. La magnificenza di quel palazzo è cosa<br />

che non si può raccontare. Dicevano che dentro ci sono<br />

gabbie di legno profumato, dove sono rinchiusi usignoli,<br />

cardellini, canarini e altri uccelli ancora più strani,<br />

106<br />

dei quali non avevamo sentito parlare in tutta la nostra<br />

vita. E di sera, di sera, bracci d’argento giganteschi reggono<br />

mille torce che illuminano le sale come fosse giorno,<br />

anche quando il cielo si fa molto scuro.<br />

– Venite al dunque, – incita Pedru, che vuole capire<br />

e basta.<br />

– E poi, e poi di nascosto siamo riusciti a parlare con<br />

altri prigionieri. Ce n’era anche qualcuno pisano. E allora<br />

ci hanno raccontato cose… cose che noi ce le sogniamo.<br />

Loro non sanno chi sia un feudatario, loro hanno<br />

città ricche e non sanno cosa siano fame e miseria, e<br />

il loro guadagno non lo dividono con nessuno.<br />

E qui Pedru si fa pensieroso. A capo chino, col tono<br />

di voce di chi spiega a chi non sa, dice:<br />

– Non le voglio neanche sentire queste cose. Voi siete<br />

giovani, molto giovani, e non li avete conosciuti i Pisani,<br />

quando erano loro i padroni, qui. I nostri antichi<br />

ne sapevano qualcosa. La loro ricchezza ha purtroppo<br />

molto a che vedere con la nostra miseria… ma è inutile,<br />

non potete capire per ora. Raccontatemi, piuttosto,<br />

com’è che avete organizzato il piano e come siete riusciti<br />

a scappare.<br />

– Eravamo in cinque noi prigionieri, quattro uomini<br />

e una donna… ricordate la povera Marielène? Eravamo<br />

sempre controllati a vista: ci avevano messo a lavorare<br />

il ferro in una officina dove si stava preparando<br />

una cancellata di ferro battuto per non so quale altra<br />

porta di quella reggia. La cancellata doveva essere lavorata<br />

di fino, a formare disegni e ghirigori che, per<br />

quelli, sono parole e preghiere. Comunque, per noi: lavoro<br />

e silenzio. Se no, frustate. Ma nell’officina stavamo<br />

solo noi uomini. Marielène la tenevano nella casa<br />

107


del sultano con le altre donne. Era bella Marielène, e<br />

giovane.<br />

– Un giorno succede che il nipotino del sultano sta<br />

male: si sentono lamenti in tutta la corte, fin fuori del<br />

palazzo. Il sovrano, dicono, è disperato. Quel nipotino<br />

è l’unico nipote maschio, e ha appena sette anni. Così ci<br />

raccontavano i nostri compari che avevano libero accesso<br />

al palazzo: ogni giorno si vedevano lunghe file di<br />

dotti, maghi e astrologi. Nulla: il piccolo, pallido e sfinito<br />

dal malessere, giaceva sul suo lussuoso letto, senza<br />

voglie né sorrisi. Voi, Pedru, sapevate quanto brava era<br />

Marielène a far riprendere i nostri piccoli, quando erano<br />

mogi mogi, con quella medicina lì, “dell’occhio preso”.<br />

E Marielene si fa avanti anche alla reggia del sultano.<br />

Chiede, invoca a gesti e poco con parole che tanto<br />

nessuno avrebbe capito, di poter vedere il piccolo, e il<br />

sultano, venuto a conoscenza che c’è una donna che conosce<br />

arti antiche, la <strong>chiama</strong> e le dice: “Se guarirai il<br />

mio nipote preferito, e unico, chiedi quello che vuoi.<br />

Ma bada, non ingannarmi, se no, assaggerai la punta<br />

delle nostre spade.” A Marielène viene portato un catino<br />

d’argento e acqua in un vaso d’oro. E altre schiave,<br />

nere, le porgono una coppa d’oro, colma di chicchi di<br />

grano e un’oliera di vetro finissimo piena d’olio color<br />

del sole. E ancora chicchi di sale. Tutto ciò che le serviva<br />

e che aveva richiesto. E fa quelle cose che noi tante<br />

volte le abbiamo visto fare: pronuncia, cantilenando,<br />

parole in un latino incomprensibile, e bagna il piccolo<br />

in fronte.<br />

– Lo fa per tre volte, Pedru, sempre allo stesso modo<br />

che conosciamo. E poi al piccolo fa bere l’acqua dal ca-<br />

108<br />

tino d’argento. E poi aspetta. Guarda il piccino e aspetta.<br />

Un sorriso dolcissimo pare sia affiorato sulle labbra<br />

del bambino e un colore di pesca sul viso. Marielène ricambia<br />

il sorriso, senza poter dire altro, e gli fa una carezza.<br />

Poi, come può, spiega al Sultano che qualcuno<br />

l’ha guardato con invidia, e i bimbi sono come i fiori. Il<br />

sultano, che non sta più in sé dalla gioia, fa tintinnare<br />

borse di monete d’oro sotto gli occhi della nostra Marielène,<br />

ma lei fa no con la testa: non vuole oro, né denari,<br />

vuole tornare alla sua isola. Cerca di fargli capire<br />

disegnando navi e vele a gesti nell’aria, e quello: no e<br />

no, Marielene starà sempre lì, alla reggia, trattata con<br />

riguardi e onori. Che chieda altro.<br />

– E lei, allora, che ci ha sempre voluto bene e ha giocato<br />

con noi fin da bambina, chiede per noi, almeno<br />

per noi, il ritorno a casa, per noi che abbiamo moglie e<br />

figli. Forse aveva la morte nel cuore, Marielène, ma ha<br />

sorriso quando il Sultano ha accettato. La nostra libertà,<br />

però, era una spada col doppio fendente, come le<br />

sanno fare quei Mori. Noi saremmo stati liberi in cambio<br />

di altri cinque uomini. E chi poteva far gola al Sultano<br />

d’Oriente? Chi? Se non soldati al servizio di quella<br />

potenza d’Aragona regina dei mari, che tanto li combatte?<br />

Ecco: noi liberi, in cambio di cinque soldati catalani…<br />

Ha fatto allestire un’imbarcazione, governata<br />

da alcuni Saraceni, e via per il mare… Dopo giorni di<br />

navigazione e di fatica e di paura delle tempeste e di altri<br />

pirati, ecco che già si vedeva la nostra baia, e il nostro<br />

cuore batteva forte, quando quelli ci hanno minacciato:<br />

Se non prenderete con le vostre mani cinque di<br />

quelli con l’armatura, vi tagliamo la testa e la buttiamo<br />

ai pesci.<br />

109


– Un’occhiata, un’occhiata soltanto è bastata tra noi:<br />

non avevamo alcuno scampo. Gli abbiamo messo tra le<br />

mani quei soldati un po’ malconci: il fumo delle nostre<br />

case, lì, di fronte ai nostri occhi, era più forte di qualunque<br />

arma. La nave, poi, nella semioscurità dell’alba, ha<br />

ripreso il mare. Quei Saraceni si sono ripresi il mare<br />

proprio come ne fossero i padroni.<br />

Hanno parlato a turno, senza sovrapporsi, senza tentennamenti,<br />

con partecipazione reciproca e intesa perfetta,<br />

frutto della comune disavventura e della comune<br />

salvezza. Ora tacciono e aspettano. Aspettano di vedere<br />

nel viso di Pedru ammirazione e compiacimento.<br />

Ora aspettano l’approvazione.<br />

Ma Pedru li guarda con uno sguardo diverso dal solito:<br />

– Il gioco è stato molto pericoloso, non c’è dubbio.<br />

Marielène è persa, ormai, e forse anche altri. Sì, anche<br />

altri, perché ho tristi pensieri, non so cosa possa accadere.<br />

Voi vi siete conquistati la libertà. Ma vedete, quelli<br />

sono rinnegatori di Dio e vi facevano servi; questi, ci<br />

fanno servi, ma li conosciamo: credono nel nostro stesso<br />

Dio, anzi sembrano più cristiani di noi; e forse è per<br />

questo che sono così potenti. Forse è il Padreterno che<br />

li aiuta, che vuole che siano padroni. Noi non possiamo<br />

diventare amici dei Saraceni e non possiamo considerarci<br />

cristiani se facciamo patti coi nemici di Dio. <strong>Si</strong>amo<br />

poco convinti, perfino, della santità dei nostri santi,<br />

e forse è per questo che Iddio ci punisce: a non essere<br />

padroni neppure nelle nostre terre. La potenza degli<br />

Aragonesi è protetta dall’alto.<br />

Pare terminare così il vecchio il suo rimprovero, ma<br />

aggiunge che la nuova feudataria è una… una… beh…<br />

che forse è diversa dai soliti padroni. E lo dice lenta-<br />

110<br />

mente, come leggendo dentro di sé. Gli altri lo guardano<br />

stupiti, mentre Pedru continua:<br />

– Sembra che guardi al di sopra delle nostre teste e<br />

delle nostre miserie, questa è l’impressione che mi fa:<br />

che con questo mondo abbia poco a che fare… <strong>Si</strong> <strong>chiama</strong><br />

<strong>Violante</strong>, donna <strong>Violante</strong>, – dice scuotendo la testa.<br />

– È una mia sensazione, mi sbaglierò, sarà perché sono<br />

vecchio e odoro più di incenso che di vita, ma quella<br />

donna non sembra di questa terra.<br />

– È lei, però, ora ad imporre le tasse, – comincia<br />

uno degli scampati.<br />

– Un quarto del pescato va al suo Castello, – aggiunge<br />

un altro.<br />

– Vive in un castello, lei.<br />

– E noi nelle capanne…<br />

– Le nostre donne si rompono la schiena mattina e<br />

sera sui campi.<br />

– I nostri bambini hanno fame e muoiono per le<br />

malattie.<br />

– Hanno la pancia gonfia e il viso scavato.<br />

Pedru li mette a tacere tutti, e basta un gesto, le<br />

braccia protese verso di loro, i palmi aperti. Altrimenti<br />

quelli non si stancherebbero di dire e dire contro di lei,<br />

donna <strong>Violante</strong>, e contro il Padreterno…<br />

Ma è solo una tregua, perché si lamenta subito uno:<br />

– Pedru, a volte non vi capiamo proprio. <strong>Si</strong>ete sempre<br />

stato voi a farci discorsi di libertà, giù alla peschiera.<br />

I vostri discorsi di libertà respirati insieme al profumo<br />

del pesce. Ma ora, ora… boh!…<br />

– Torniamo alle nostre case, fa un altro, – hanno bisogno<br />

di noi.<br />

Lasciano Pedru solo, si incamminano verso casa,<br />

quegli uomini, un tempo rapiti e ora tornati, e com-<br />

111


mentano tra di loro che Pedru sta veramente diventando<br />

vecchio, e non è più lui.<br />

Anche il vecchio, però, rimasto solo, scuote la testa<br />

e cerca risposte dentro di sé.<br />

“Perché solo io sento tutto questo? Non riesco ad<br />

avercela con quella donna. E non è certo perché è bella.<br />

Sono vecchio per certe cose, ormai. E neanche perché<br />

quando parla ha quel modo così… così nonsocome di<br />

muovere le mani… e quella bocca, poi, non deve aver<br />

detto mai parole offensive a nessuno. Basta, Pedru.<br />

Che dici? Lo saprà il diavolo cos’ha quella donna…”<br />

* * *<br />

I giorni successivi portarono cattive notizie dai confini.<br />

Un messaggero annunciò pericoli da ponente, dall’Arborea.<br />

– <strong>Violante</strong> controllate i confini. La giudicessa Eleonora<br />

vuole rompere la tregua. Occhio ai vostri Sardi,<br />

controllate gli spostamenti della gente, attenzione ai<br />

traditori.<br />

Così mi mandava a dire il mio Re.<br />

Io, però, la mia decisione l’avevo presa: tacere tutto<br />

ai funzionari. Far finta di niente. Che accadesse quello<br />

che doveva accadere.<br />

Maria mi confortava, mentre spazzolava i miei capelli<br />

lisci e lunghi:<br />

– Povera signora. Quella, quella Eleonora, non riesce<br />

a starsene un giorno tranquilla. <strong>Si</strong> ribella alla potenza<br />

d’Aragona. <strong>Si</strong> comporta come un uomo. Ma sa, dicono<br />

che sia proprio brutta, magra come uno stecco, e coi<br />

baffi. Voi, oltre che buona, siete bellissima: questi ca-<br />

112<br />

pelli sembrano seta, e il nero degli abiti, poi, sta così bene<br />

col vostro incarnato. Non sciupatevi con le ansie.<br />

Dite tutto ai vostri uomini, loro hanno l’animo da soldati,<br />

loro penseranno il da farsi.<br />

– Quelli? Quelli, per carità! Non mi hanno accettata.<br />

Scattai come se mi avesse punto la tarantola.<br />

– Non vogliono una donna al di sopra di loro, a comandare.<br />

Ed io lo vedo, sai? Dal loro sguardo bovino e<br />

indagatore, dal sorriso beffardo, perfino dal dondolio<br />

provocatorio delle loro pance enormi.<br />

Dentro di me urlavo di rabbia, o forse addirittura<br />

farneticavo che… se avessi avuto il marito, magari avrebbe<br />

potuto fare lui quello che a me non importava di fare,<br />

e invece: uno morto, così, se n’era andato via e l’altro,<br />

non se ne parli neanche, uno che un giorno si era<br />

messo un saio, si era rasato il capo ed era finito in un cenobio<br />

in chissà quale parte della terra… così, per lo meno,<br />

mi aveva raccontato la regina <strong>Si</strong>billa - ed io, invece,<br />

ero lì, a non dir nulla, a restare sola col mio delirio, a<br />

morire dentro, e gli altri a vedermi ancora viva e bella<br />

anche, e quel Re mi credeva perfino capace di comandare…<br />

– Basta Maria! – Ripresi con voce concitata, – io non<br />

comunicherò niente a nessuno, e tu taci. Zitta, devi solo<br />

stare zitta. Nessuno saprà, sono sicura che intanto non<br />

succederà niente di grave. Tacciamo.<br />

I muri avevano orecchie, però, e orecchie infide.<br />

Era bastato un luccichio di moneta per corrompere<br />

la fragile fedeltà delle serve, così come basta un fruscio<br />

di gonnelle, a volte, per corrompere l’integrità di un debole<br />

gentiluomo.<br />

113


Ed io continuavo a cercare conforto nella preghiera.<br />

Andavo sempre più spesso, da sola, quasi di nascosto,<br />

nella mia chiesetta.<br />

Un giorno, però, accadde qualcosa di insolito…<br />

Me ne andavo, sola, tutta raccolta in me stessa, verso<br />

la chiesa, pestando appositamente le foglie secche<br />

perché il rumore mi facesse compagnia.<br />

Ma un altro rumore superò il crocchiare delle foglie,<br />

come se qualcuno fosse appostato dietro i cespugli.<br />

In un primo momento tentai di affrettare i passi.<br />

Presi in mano il mio rosario, per cercare coraggio.<br />

Eccola lì, mi dicevo, è a pochi metri, tra un po’ sarò<br />

al sicuro.<br />

Ma una musica di flauto, intervallata da una filastrocca,<br />

inchiodò i miei piedi al suolo. Le parole erano<br />

chiare e comprensibili:<br />

Dalle onde arrivò una galea<br />

piena, hanno detto, di Saraceni.<br />

Ha portato ventata di morte<br />

per cinque soldati del Re.<br />

Il flauto interrompeva, di tanto in tanto, quelle crude<br />

parole.<br />

Io tesi il più possibile le orecchie, per non perderne<br />

una di quelle parole.<br />

però, mia signora,<br />

la morte<br />

stavolta<br />

non era moresca.<br />

Vi erano Sardi dentro la barca<br />

114<br />

un tempo rapiti<br />

e ora tornati<br />

Ancora il flauto e ancora veleno.<br />

Il pagano d’Oriente<br />

la morte ha preteso<br />

la morte di cinque soldati del Re.<br />

Ma Sardi son stati<br />

a sguainare le spade.<br />

Quei Sardi rapiti<br />

ed ora approdati.<br />

Restai lì, impietrita, senza un filo di voce per gridare,<br />

per chiedere: chi è che suona? Chi è che canta?<br />

Il vile che aveva fatto la spia si guardò bene dal farsi<br />

vedere, o aggiungere altro.<br />

Non mi recai più nella mia chiesa. Veloce sulla cavallina,<br />

al Castello, con la faccia di pietra.<br />

Saraceni, vero?, mi dicevo: me lo sistemo io, adesso,<br />

quel vecchiaccio; lo sapevo che sapeva.<br />

Il giorno dopo il pescatore era al Castello, portato<br />

con la forza dalle guardie.<br />

Ai funzionari non avevo detto nulla, non mi era passato<br />

per la testa: me la dovevo vedere io, da sola, col<br />

vecchio.<br />

Quella faccia rugosa di fronte a me:<br />

– Sono ai vostri piedi, signora, al vostro comando.<br />

Ma perché farmi prendere con le guardie?<br />

– In nome del Re e del potere che mi ha conferito, –<br />

gli dissi a muso duro, stupita della mia stessa reazione,<br />

– io ordino, come e quando voglio, che un suddito ven-<br />

115


ga prelevato con la forza e portato dinanzi a me, signora<br />

e padrona di queste terre. Tacete, pertanto, e abbassate<br />

lo sguardo.<br />

Negli occhi non volevo guardarlo, no.<br />

E continuai:<br />

– E così erano Saraceni, vero? Le navi erano piene di<br />

Saraceni! O piuttosto di questa vostra razza di servi?<br />

Eh? Traditori che non siete altro. E tu, che non hai avuto<br />

rispetto neanche per la tua barba bianca, sei stato al<br />

loro gioco. Tu sapevi chi aveva ucciso i soldati. Tu sapevi<br />

chi c’era dentro quella nave “saracena”! E hai mentito.<br />

Hai mentito alla tua signora. Non dovevi fare questo:<br />

mentire proprio a me, tu. Ma la tua padrona, ora,<br />

ha la tua vita nelle sue mani, e quella dei tuoi compagni.<br />

Tutti sapevate e tutti pagherete. Tu per primo. La razza<br />

di servi e di Caini, però, come sempre avviene tra i malvagi,<br />

ha nel suo seno traditori e serpi. Uno di voi ha scoperto<br />

il vostro piano di menzogne: ha parlato, ha spiato,<br />

ha cantato il tradimento. Da domani riderò io, quando<br />

vedrò il sangue scorrere sulle schiene dei tuoi compari,<br />

per le frustate e le torture. Colostrai risuonerà per<br />

i pianti e le urla di dolore arriveranno sino alle terre<br />

d’Oriente e il pagano ne godrà.<br />

– <strong>Si</strong>gnora, – invocava quello con la bocca senza denti,<br />

che era uno sfacelo, – vi prego, non posso credere<br />

che simili malvagità riescano a soddisfare il vostro nobile<br />

animo.<br />

– Vi siete permesso di prendervi gioco di me, – rincaravo<br />

io, – ed ora, in nome del Re ed in nome di Dio,<br />

giustizia sarà fatta.<br />

Ma ricominciò a parlare, il pescatore, con una voce<br />

la più calda, la più suadente:<br />

– Prendete la mia vita, piuttosto. Solo la mia. Io sono<br />

116<br />

vecchio, ormai, e ho patito abbastanza. Ma gli altri, gli<br />

altri sono tornati alle loro mogli, ai loro figli, in quelle<br />

misere capanne, sfidando Saraceni e mare. Perfino il<br />

Moro si è impietosito, perfino il rinnegatore di Dio. E<br />

voi, che siete una donna, come potete non capire? E il<br />

traditore, se ha davvero “cantato”, so io chi può essere.<br />

Non può essere che lui, quel dannato, lo storpio del villaggio<br />

che, con lusinghe, il flauto e la violenza, si introduceva<br />

nei letti delle mogli e delle figlie dei poveri rapiti<br />

dai Saraceni.<br />

E aggiunse il vecchio Pedru:<br />

– Io, io chiedo la clemenza per i giovani che non<br />

hanno saputo accettare la malasorte e sono stati costretti<br />

a venire a patti coi nemici di Dio. La giovinezza è<br />

una brutta bestia, sapete? Fa attaccare gli animi alle cose<br />

terrene, all’inganno dell’amore e alle donne. Perché<br />

non comprendete?<br />

Tacque quel vecchio. E riabbassò lo sguardo. E tremava.<br />

Ma chi era per parlarmi così?<br />

Lo mandai via di malo modo, fuori dal Castello.<br />

Ma poco passò che la solita voce di Felipe mi inondò<br />

tutta: non sapevo più se il pescatore fosse ancora lì, se<br />

fosse ancora lì a parlare…<br />

Solo quella voce, di Felipe, mi scaldava il cuore:<br />

Viola, mia cara. Calma. Ricorda ciò che ti dissi un tempo:<br />

le parole del pescatore… ascoltale. A chi giova il sangue?<br />

A chi giovano le grida dei torturati? Ce n’è abbastanza<br />

e i lamenti giungono fin qui, dalle prigioni di Espagna.<br />

Vuoi che altre ne salgano? Sarebbero grida di poveri<br />

disgraziati, la cui unica colpa è stata di aver desiderato<br />

mogli e figli. Perché dici di voler far giustizia in nome del<br />

117


Re e in nome di Dio? Iddio, mia cara <strong>Violante</strong>, non pare si<br />

occupi di queste cose e, quanto al Re… in tutta l’isola vorrebbe<br />

sentire solo il ragliare degli asini, far tacere le teste e<br />

le bocche affamate. Ricorda, <strong>Violante</strong>, qualunque cosa tu<br />

dica o faccia, se la porterà via il vento. La Storia, mai dirà<br />

di te. Temi la vergogna? Il disonore? Di fronte a chi? Il<br />

sangue non disseta, mia Viola, ricordalo…<br />

Ogni volta era così Felipe.<br />

Appariva, parlava, sgridava, sentenziava e poi via…<br />

mi lasciava nella disperazione, disorientata più che mai.<br />

Nel frattempo, don Ignazio mi aveva spiata e, accesa<br />

la sua fantasia più che mai, si era precipitato dai suoi pari<br />

a sfoggiare il suo “iosìchesocose”.<br />

– Ho visto cose, signori, ho sentito cose, signori… La<br />

nostra contessa e il vecchio pescatore di stagno… faccia<br />

a faccia… – e gli occhi sempre più bovini.<br />

– Confabulavano i due… – e il naso sempre più rosso,<br />

ansimava, – e poi, dovete sapere che la galea saracena…<br />

non era saracena…<br />

– Come? Come? – insistevano gli altri con occhi lunghi<br />

a carpire notizie.<br />

– Questa mattina, – riprendeva don Ignazio, reggendosi<br />

la pancia con le mani, – è stato portato qui con le<br />

guardie, e… e… ha parlato da solo con lei. Bene… io,<br />

sapete, l’interesse… il dovere… di sapere… insomma,<br />

<strong>Si</strong>gnori… ho spiato.<br />

– E cosa avete visto? E cosa avete sentito? – urlava la<br />

morbosità dei presenti.<br />

– Sentito e visto cose! Parlavano i due: fitto fitto. Pare<br />

che non siano stati i Saraceni a rapire, ma gli stessi<br />

Sardi…<br />

118<br />

– Cosa? Gli stessi Sardi? Como es posible?<br />

Tremava la voce in gola al vecchio don Ignazio:<br />

– E poi, lei, è… è rimasta sola, così, occhi sbarrati,<br />

e… abbandonata! Sembrava parlare con qualcuno che<br />

non c’era… pareva, pareva… parlasse col Maligno! Ecco,<br />

col Maligno.<br />

– Era scomposta? – chiese uno.<br />

– Lo avevo immaginato, io, – disse un altro.<br />

– Cosa diceva? – un altro ancora.<br />

– Era scomposta? – sempre la stessa bava.<br />

– In quali mani, in quali mani… una contessa che<br />

parla a tu per tu con un servo! Che ci nasconde i messaggi<br />

del Re, che ci nasconde la verità sul rapimento delle<br />

nostre guardie… signori, è troppo grave! Il feudo è in<br />

pericolo. <strong>Si</strong>amo nelle mani di una…<br />

– Avvisiamo Callèr, – fu il coro;<br />

– Avvisiamo Callèr, – tutti d’accordo.<br />

– Un messaggio sia subito inviato!<br />

– E aspettiamo le decisioni della Corona.<br />

E lo fecero davvero.<br />

E quel messaggio arrivò a Cagliari. Al Castello di Cagliari.<br />

Due uomini a commentarlo: don Paolo e don Federico.<br />

In una giornata di quelle…<br />

<strong>Si</strong> era in un novembre che non ne voleva sapere di<br />

piovere.<br />

I due, seduti l’uno di fronte all’altro, in alte seggiole,<br />

si scambiavano opinioni sul tempo, così come fanno<br />

tutti quelli che credono di essere vivi.<br />

<strong>Si</strong> guardavano e parlavano a turno… che non ne voleva<br />

sapere di buttare giù acqua, quell’anno… che quel-<br />

119


l’afa era come una cappa opprimente sulla città… che in<br />

quella città di merda, gialla d’argilla, anche i muri delle<br />

case sembrava avessero sete, e crepe e crepe come bocche<br />

a cercare ristoro… e ancora, che non se ne poteva<br />

più di quel vento lì, e che fiaccava, quel levante pieno di<br />

umidità senza pioggia, che ti gonfia le ginocchia…<br />

Il messaggio venne consegnato al più autorevole.<br />

Don Federico lo lesse e rilesse, e sgranò gli occhi:<br />

– Notizie da Quirra, don Paolo, fresche fresche e<br />

succulente.<br />

– Davvero? – chiese l’altro. – Ravvivate un po’ questa<br />

giornata umida e ventosa, don Federico, che mi fa sentire<br />

col cuore scuro. Quali notizie dall’Interno?<br />

– Dunque… dunque… Non è molto chiaro… Cose<br />

sospette a Quirra… rapimento… Sardi, no, Saraceni,<br />

ma la nave con Sardi… E chi ci capisce qualcosa?<br />

Però… però… aspettate. Ecco qui, in questo punto si<br />

dice che… che la contessa è stata vista, tutta rapita, parlare,<br />

nientemeno… che… col Maligno…<br />

– Ma, aspettate, Don Federico: non erano forse queste<br />

le voci che circolavano sul conto di quella donna prima<br />

che mettesse piede in quest’isola? Eh? Che ne dite?<br />

Non sarà che il Re l’ha spedita qua da noi per questo<br />

motivo? Per disperdere dalla Corte di Barcelona anche<br />

il minimo sospetto di fumi eretici?<br />

– È possibile, don Paolo, non ci avevo pensato prima,<br />

ma è possibile. Però… ci mancava pure questo…<br />

– È una donna, don Federico, – perle di sudore sulla<br />

sua fronte, – quindi una bruja. Il diavolo è suo amico.<br />

Proprio oggi, però, con questo vento di levante, questa<br />

notizia… non sono tranquillo, don Federico, non sono<br />

tranquillo.<br />

– Questo è vento che viene dal mare, don Paolo, e ar-<br />

120<br />

riva dritto dritto dai paesi dei Mori e sembra, infatti,<br />

proprio l’alito di Satana e dei suoi compari.<br />

– Mandiamo un messaggio direttamente al Re, – si<br />

dissero quei due, – sì, mandiamolo.<br />

121


7<br />

Don Paolo, imprecando contro il clima della <strong>Sardegna</strong>,<br />

non fece neanche in tempo a chiedere perdono dei<br />

suoi peccati che una brutta febbre malarica, dopo avergli<br />

bruciato la fronte, se lo portò via.<br />

L’altro, quel don Federico, pensando che il diavolo<br />

era nel Castello di Quirra, quindi lontano da lui, si tranquillizzò<br />

e non fece nulla. Trascorse quel lungo inverno,<br />

interminabile come una mal’annata, attaccato al<br />

braciere parlando ai fumi e al rossore dei tizzoni come<br />

se don Paolo fosse ancora lì.<br />

Nessun messaggio arrivò in Spagna.<br />

Nel frattempo, però, i “miei uomini” attendevano<br />

risposte autorevoli, continuando a spiare a più non<br />

posso quanto potevano spiare.<br />

E ricordo quella sera, quella volta delle torce e dell’asino.<br />

Una sera, fin dall’alto del Castello, si vedevano tante<br />

luci giù nella valle battuta dalla tramontana. Fiaccole<br />

e gente che consumava un rito antico: il rito della<br />

vendetta.<br />

Uomini infuriati facevano un gran baccano per<br />

smuovere un asino.<br />

– Arrì, aiò, dagli col bastone a quell’asino.<br />

– Che corra lontano da qui.<br />

123


Avevano legato sulla bestia un uomo mezzo nudo -<br />

uno straccio a coprirgli le vergogne - con la faccia rivolta<br />

al di dietro dell’asino, che, quando è spaventato<br />

fa puzze a non finire. E poi spingevano la bestia, a colpi<br />

di qualunque cosa gli capitasse in mano, per farla<br />

correre lontano, verso il nulla.<br />

Donne che parevano ancora più arrabbiate lanciavano<br />

maledizioni ancestrali:<br />

– Via storpio bastardo.<br />

– Brutto come il peccato e pure traditore.<br />

– Ti spolpino gli spiriti del bosco.<br />

– Ti rincorra la tentazione.<br />

– Li volevi adesso i tuoi calzoni che abbiamo appeso<br />

sulla pianta di fico più alta e più vecchia!<br />

L’asino, sollecitato a più non posso da tutta quella<br />

gente infuriata, finalmente partì scattando.<br />

– Aiò. Aiò a su molenti.<br />

– Vai come il fumo, brutto traditore.<br />

– Come il fumo, quando soffia tramontana.<br />

Sembravano impazziti, tutti, uomini e donne. Delle<br />

furie.<br />

<strong>Si</strong> erano vendicati di quello col flauto, dello spione<br />

col flauto, si erano vendicati come i loro antichi, per<br />

proteggere la comunità dai traditori. Su quello storpio<br />

avevano riversato rabbie antiche.<br />

Maria, eccitata da tutto quello che aveva visto, si rivolse<br />

verso di me. Mi fissò. Sembrava illuminata. Con<br />

occhi di fuoco fece: – <strong>Si</strong> sono vendicati, mia signora,<br />

loro. Ora tocca a voi la giustizia. Ora tocca a voi. Li<br />

avete minacciati già una volta, ora fate giustizia.<br />

Abbassai lo sguardo.<br />

Nel mettermi a letto, quella notte, speravo tanto di<br />

124<br />

rivedere nel sogno l’arcangelo Michele che mi aveva<br />

indicato la strada dove scappare, tempo prima.<br />

Non avrebbe potuto indirizzare la sua spada di fuoco,<br />

anche questa volta, verso chissàdove?<br />

Ma il sonno non mi regalò nessun angelo, né arcangeli.<br />

Alcuni giorni dopo, don Ignazio venne a chiedermi<br />

se concedessi un po’ del mio tempo per ascoltare i funzionari.<br />

Acchiappata. Nella rete. Non potei più sottrarmi. Feci<br />

sì con la testa.<br />

* * *<br />

Il salone viene approntato come per una seduta ufficiale<br />

e solenne.<br />

Il grande tavolo ovale al centro e intorno tante seggiole<br />

con lo schienale di cuoio e i braccioli di legno: tante<br />

quanti sono i dignitari, gente spedita in terra di conquista<br />

dalla Catalogna, con promessa di benefici e prebende<br />

e potere. Gente, quindi, assetata di benefici, prebende<br />

e potere. Al servizio del Re e, sotto di lui, del<br />

grande feudatario.<br />

Ed eccoli lì, ritti sulle seggiole, con le mani incrociate,<br />

a protezione delle loro pance.<br />

Con un occhio guardano verso di me, ma i loro corpi<br />

sono rivolti verso don Ignazio, il castellano che, infatti,<br />

comincia a parlare. È suadente la sua voce e piagnucolosa.<br />

– Sarebbe arrivata una donna, qui al Castello. Una<br />

nobildonna. Per quanto sorpresi e perplessi, eravamo<br />

felici nell’attendervi. <strong>Si</strong>ete arrivata voi, donna <strong>Violante</strong><br />

e avete portato una ventata di grazia femminile, di gio-<br />

125


ventù… Ecco, ci dicevamo, faremo di tutto per ridarle<br />

il sorriso, perché il distacco dalla corte della regina non<br />

le pesi tanto, qui, sul monte… Ci sentivamo lusingati,<br />

emozionati: poter essere i consiglieri di una feudataria!<br />

Pensate: potervi ammirare mentre girate per queste terre,<br />

popolate di gente brutta, sporca, rozza, servi, che<br />

contrasta con questo splendido cielo…<br />

Io comincio ad agitarmi sulla seggiola, non so dove<br />

voglia infilarsi la volpe…<br />

– Ecco, voi, nobildonna d’Aragona, nostra padrona<br />

e signora, a dominare su tutto, bella quanto questo cielo,<br />

fresca come un ruscello. Credevamo… eravamo<br />

convinti che avreste avuto bisogno continuo di noi, dei<br />

nostri suggerimenti, della nostra esperienza… – la voce<br />

sempre più mielosa, – …noi, che siamo uomini e nobiluomini,<br />

avremmo certamente fugato ogni vostra<br />

preoccupazione, vi avremmo permesso di dedicarvi a<br />

tutto ciò che può far piacere ad una donna. E saremmo<br />

stati pronti a scortarvi fino a Callèr, giù in città, ad un<br />

vostro appena accennato desiderio di compagnia degna<br />

di voi, del vostro rango…<br />

Ho paura, sento che il miele sta per finire. Lo interrompo,<br />

e, con voce flebile gli chiedo cosa vuole ancora<br />

dire.<br />

– Ebbene, donna <strong>Violante</strong>, – e la voce si è indurita, –<br />

voi avete preferito chiudervi al mondo, non trattare<br />

con noi, solo con noi. Ci avete nascosto i messaggi del<br />

Re, ci avete nascosto la verità sull’assalto della nave saracena,<br />

– si infiamma sempre di più, – sul rapimento<br />

dei soldati… nostri. Capite?… nostri! Insomma… e<br />

poi… voi sapete bene qual è il vostro segreto, quali sono<br />

le vostre trame…<br />

Comincio a tremare tutta ma riesco a minacciare:<br />

126<br />

– Badate, don Ignazio, badate alle parole, non potete<br />

osare tanto…<br />

– A me… a me non permettete tanto, – riprende lui,<br />

col viso sanguigno, – ma a quella carcassa senz’anima<br />

del vecchio servo pescatore permettete ben altro, a<br />

quanto pare. Ah! Se il Re sapesse!<br />

A quel punto, gli altri, incoraggiati dal tono di sfida<br />

di don Ignazio, si voltano, come all’unisono, tutti verso<br />

di me, con le loro pance, con le loro facce bavose, con<br />

gli occhi bovini:<br />

– …e i falsi saraceni?<br />

– …e il pericolo dall’Arborea?<br />

– …e il Maligno?<br />

– Vogliamo la verità!<br />

Io grido solo: – Basta! – Poi, con un filo di voce, pur<br />

di sottrarmi a tutto quello, prometto che farò giustizia<br />

contro i traditori.<br />

– Carta e penna sigleranno la vostra giustizia e l’accordo<br />

tra voi e noi. – Riprende mellifluo, chinandosi<br />

verso di me, don Ignazio.<br />

E mentre parla ancora, un forte suono di campane a<br />

martello arriva alle orecchie di tutti: il suono arriva fin<br />

lassù, portato dal vento del mare.<br />

Due tocchi ripetuti sconvolgono il mio cuore, rintronano<br />

nel mio cervello.<br />

Tutta la vallata è pervasa da quel cupo rintocco annunciatore<br />

di morte.<br />

In bocca sento il sapore della beffa.<br />

E se quei rintocchi fossero per il vecchio?<br />

Con faccia stralunata e con la penna d’oca in mano,<br />

con la punta rivolta verso il cielo, chiedo cosa può essere<br />

quel martellare.<br />

Don Ignazio mi risponde maligno:<br />

127


– Qualcuno, giù a valle, avrà tirato le cuoia, magari<br />

il vostro pescatore…<br />

* * *<br />

Salutavano Pedru i campanili di ogni villaggio. Pedru<br />

il vecchio pescatore.<br />

Era riuscito a sottrarsi alla mia vendetta e a sottrarre<br />

me a una ridicola giustizia.<br />

Poggiai la penna ancora gocciolante di inchiostro<br />

nero, mi sedetti comoda comoda sulla seggiola abbandonando<br />

la posizione rigida di pochi istanti prima. Incrociai<br />

anche io le mani sul grembo, mi guardai intorno<br />

e con voce pacata:<br />

– Ebbene signori, io, donna <strong>Violante</strong> Carròz, feudataria<br />

di queste terre di <strong>Sardegna</strong>, ho deciso. Non firmerò<br />

nessuna condanna. La vendetta non appaga il<br />

mio cuore, e io mi rifiuto. Non ho altro da aggiungere.<br />

I funzionari, sprizzando rabbia, abbandonarono il<br />

loro posto, con il cuore pieno di minacce, di minacce<br />

di vendetta.<br />

Rimasta sola, mi feci il segno della croce, e recitai<br />

un requiem per quella povera anima.<br />

Quel vecchio, che vecchio! <strong>Si</strong> era preso gioco di me,<br />

ancora una volta.<br />

* * *<br />

Da quel giorno decisi. Fuori dal Castello: a scaldarmi<br />

finalmente di quella primavera ritardataria, a vedere<br />

ogni cosa, a cercare soprattutto rocce strane, di mille<br />

forme, come ce n’erano tante in quei luoghi. E ogni<br />

roccia aveva la sua storia, la sua leggenda. Il palafrenie-<br />

128<br />

re che spesso mi scortava, fin dalla prima volta in cui<br />

mi aveva accompagnato alla piccola chiesa di mattoni<br />

rossi a valle, me ne raccontava in continuazione di quelle<br />

storie.<br />

Oppure andavo sola, sulla mia cavalla bionda e docilissima,<br />

dalla mattina fino al tramonto del sole.<br />

A volte godevo del saluto dei sudditi, quando, chini<br />

sui campi aridi, si levavano il cappello; ma troppe volte<br />

capitava di vederli scappare, quando mi vedevano arrivare.<br />

Aspettavano da un momento all’altro un bando di<br />

morte. La minaccia fatta a Pedru era corsa di bocca in<br />

bocca, e perfino chi viveva lontano da Colostrai temeva<br />

qualcosa.<br />

Cosa era successo al castello, nell’ultima riunione,<br />

nessuno sapeva. I funzionari, quella volta, si erano ben<br />

cuciti la bocca. La loro sconfitta rodeva solo le loro teste<br />

e le loro viscere. Erano stati bravi a tenere un segreto.<br />

Era il loro segreto!<br />

Un giorno mi trovai in aperta campagna.<br />

Era d’estate. Un’estate resa più calda da un vento di<br />

maestrale che portava fin lì tutto il calore di una pianura<br />

afosa e arsa per gli incendi quell’estate divampati più<br />

a nord.<br />

Avevo fatto una cavalcata faticosa, che mi aveva fatto<br />

venire una gran sete. Mi guardai intorno e, un po’ in<br />

lontananza vidi una fontanella, vicina ad un abbeveratoio<br />

per bestie. Rimasi perplessa. La sete decise. Lasciai<br />

la cavallina dietro ad un poggio, ben nascosta e, impacciata<br />

dai miei pesanti e ingombranti vestiti, scesi a terra.<br />

Il contatto dei miei piedi col suolo fu molto doloroso:<br />

non avevo mai visto, né sentito tante spine in vita mia.<br />

129


Cespuglietti spinosi, con fiorellini viola chiaro: una<br />

distesa enorme; mi penetravano e mi pungevano i piedi,<br />

protetti soltanto da calzari leggeri, e le caviglie già<br />

stanche per la posizione a cavallo. Ed io con quell’arsura!<br />

Mi guardai intorno con fare prudente: non volevo<br />

essere certo riconosciuta da qualcuno. Ma le labbra<br />

erano proprio secche: ansiosa ma anche divertita, mi<br />

chinai alla canna della fontanella.<br />

Non ero abituata a simili situazioni. Cercare ristoro<br />

direttamente con la bocca ad una fonte campestre non<br />

era certo da nobildonna, tanto meno da nobildonna<br />

aragonese. Ma sorrisi alla sola idea di quella postura,<br />

china sul bordo basso dell’abbeveratoio. E per la prima<br />

volta in quell’isola riuscii a ridere di tutto e di me stessa,<br />

perché, insomma, il risultato fu che la finii tutta bagnata,<br />

riuscendo a mala pena a dissetarmi. E fu lì che sentii<br />

delle voci… scappai, mi acquattai dietro un cespuglio, il<br />

cuore in gola, senza quasi respirare per non rivelare la<br />

mia presenza. Il mio riparo era un grosso cespuglio di<br />

rosmarino, profumatissimo, e, per fortuna, senza spine.<br />

Le voci, che si avvicinavano sempre di più, erano di<br />

donna: due donne.<br />

Avevano dei cesti sulla testa, forse avevano lavato i<br />

loro panni, o forse li stavano portando da qualche parte:<br />

non sapevo.<br />

Cercavano, comunque, ristoro alla stessa fonte da<br />

cui io mi ero dovuta allontanare bruscamente.<br />

Cercai di intravederne le fattezze: poggiavano per<br />

terra le ceste, si toglievano dalla testa il fazzoletto, avevano<br />

il viso accaldato. Mi chiedevo che età potessero<br />

avere. Non si capiva. I loro abiti scuri, marrone, sembravano<br />

pesanti, nonostante il caldo.<br />

Conversavano le due: le voci non erano allegre, pa-<br />

130<br />

reva si confidassero timori notturni. Ed io, con l’orecchio<br />

teso, a sentire…<br />

– Non si può vivere in quest’attesa. Il mio uomo,<br />

ogni notte, si sveglia di soprassalto, tutto sudato, con la<br />

faccia più bianca di questi panni…<br />

– Anche il mio, Marianna, dice che sogna Saraceni, e<br />

poi soldati aragonesi che lo minacciano con la spada, e<br />

poi la nostra feudataria, e poi la forca, e allora caccia un<br />

urlo, si sveglia. Mi tormenta, è tormentato, ed io non<br />

faccio che pregare.<br />

– Se si potesse sapere cosa ci vuole riservare quella<br />

donna. Li perdonerà? Farà innalzare la forca? Ha minacciato<br />

un bando…<br />

– Da quel castello da mesi non arriva più nessuna<br />

notizia…<br />

<strong>Si</strong> interrogavano quelle donne, e avevano il viso segnato<br />

dalla fatica quotidiana.<br />

In quel momento, io non sentii più le punture delle<br />

spine, non sentii più il profumo di rosmarino. Capii<br />

che, senza volerlo, avevo inflitto la pena più crudele: il<br />

silenzio. E l’attesa.<br />

Se ne andarono così come erano arrivate, nei loro<br />

panni marrone e pesanti, a capo chino, con il loro poco<br />

grave fardello di panni lavati o da lavare.<br />

La mia sete era sparita col sorriso. Rimontai sulla cavallina<br />

e mi avviai verso il colle che già il cielo era scuro.<br />

Non rivolsi la parola a nessuno.<br />

Mi ritirai nelle mie stanze.<br />

131


Rivedo la mia vita passata. È tutta sotto i miei occhi.<br />

Sono passati secoli, o chissà quanto, da allora.<br />

Ora, del castello, non sono rimaste che pietre, grosse<br />

pietre.<br />

È come se la roccia, dov’era stato innalzato, se lo fosse<br />

mangiato lentamente.<br />

Non c’è più nessuno lassù; forse, davvero, vi ha fatto<br />

il nido qualche aquila.<br />

E a valle… a valle, solo campagna brulla, non più case<br />

di contadini.<br />

Hanno vinto le spine: le pietre e le spine.<br />

È rimasto il ruscello che scorre ai piedi del monte,<br />

ma non è che un rivolo semisecco.<br />

La gente si è concentrata vicino allo stagno, lungo il<br />

mare.<br />

È come se si fosse voluta allontanare il più possibile<br />

dalla rocca, temendo sempre un bando di morte.<br />

Vicino al castello e al suo ruscello, però, qualcosa è<br />

rimasto.<br />

A sfida del tempo, si erge ancora, con i suoi mattoni<br />

rossi, con le finestrelle dai vetri colorati, la chiesetta: la<br />

mia chiesetta.<br />

In quel rosso di mattoni, in quei colori dei vetri è<br />

sfumata la mia avventura, col profumo di terra bagnata.<br />

133


Ora che sono morta, rivedo tutto. Come in un sogno.<br />

È come essere dentro ad un sogno.<br />

134<br />

Era un pomeriggio scuro e umido.<br />

Volevo scacciare la mia tristezza fuori da quel castello<br />

e non riuscirono a fermarmi neppure le insistenze di<br />

Maria di cui sempre meno cercavo la compagnia e che<br />

sempre meno mi capiva.<br />

Minacciava pioggia.<br />

Montai sulla mia cavallina bionda e la diressi a valle,<br />

verso la piccola chiesa dai mattoni rossi.<br />

La bestia era nervosa, ma sotto la mia mano ferma e<br />

calma, si avviò, decisa, verso la chiesa.<br />

Vi entrai col mio prezioso rosario tra le dita e mi misi<br />

a pregare. Al crocifisso, quel pomeriggio grigio, indirizzai<br />

le preghiere più fervide.<br />

Pregai e pregai: un’avemaria inanellata ad un paternoster<br />

e via via con gli amen, uno dietro l’altro.<br />

Lasciai la chiesa che si era fatto tutto buio.<br />

Goccioloni pesanti venivano giù da quel cielo pauroso<br />

e nero: mi guardai intorno, non vedevo la cavalla.<br />

Presa dal panico, mi misi a correre, a cercarla: non<br />

sentii più neanche la pioggia, avevo il viso in fiamme. A<br />

tratti mi pareva di sentire il respiro dell’animale. Andavo<br />

in quella direzione, mi sembrava vicino…<br />

135


In quel momento mi arrivarono canti e musiche…<br />

talmente dolci che mi fermai a cercare con lo sguardo<br />

la fonte di quella melodia.<br />

Ero ancora di fronte alla chiesa.<br />

Mi girai.<br />

Era tutta illuminata.<br />

Li vidi.<br />

Erano almeno una decina, tutti vestiti di bianco, di<br />

veli bianchi.<br />

Formavano un cerchio con le mani intrecciate che<br />

oscillavano seguendo la musica.<br />

Cantavano. Dalle loro labbra non uscivano parole<br />

distinte: la voce era una sola.<br />

Mi fermai, impietrita.<br />

Li guardai: mi passavano davanti come giravano in<br />

tondo: mi sembravano tutti uguali, così nel canto, così<br />

nell’allegria.<br />

Ad un tratto, come ad un cenno d’intesa, le loro<br />

mani si liberarono e permisero ad uno di loro di venirmi<br />

incontro.<br />

Un’andatura trasognata… sudavo sempre di più…<br />

dei baffetti chiari sul labbro superiore… un sorriso<br />

aperto: il mio Felipe mi veniva incontro.<br />

– Dolce compagna, – disse, e il suono della sua voce<br />

era lo stesso del mio delirio. – Qui sei in mezzo ai morti.<br />

Se vuoi, io posso salvarti. Entra, entra pure a ballare<br />

con noi, ma… se vuoi andar via, canta queste parole…<br />

– e chino sul mio orecchio, tanto da farmi rabbrividire,<br />

mi recitò una filastrocca.<br />

Cantate e ballate voi<br />

ché ora la festa è vostra…<br />

136<br />

Nella mia testa non c’era più nulla: non il castello,<br />

non una feudataria, niente di niente.<br />

Seguii Felipe, volevo sentire il suo contatto, che riposava<br />

nella memoria di fanciulla.<br />

I miei piedi toccavano appena il suolo e, con la mano<br />

che sfiorava quella di lui, mi fermai, lo guardai, gli<br />

sorrisi.<br />

Mi circondava la vita con un braccio.<br />

Il girotondo si era fermato.<br />

Tutti si erano rivolti verso di noi.<br />

Uno di loro si spostò per farmi largo; mi sforzai di<br />

guardarlo in volto, per vedere chi potesse essere…<br />

Lo riconobbi. Sorrise con indulgenza: era il vecchio<br />

Pedru. Diablo de viejo.<br />

Proprio accanto a me un altro sorriso mi toccò il<br />

cuore. Il volto: sconosciuto.<br />

Mi sussurrò: – Non c’è bene che sempre duri, né<br />

male che perduri. Anch’io mi <strong>chiama</strong>vo Pietro, signora,<br />

Pietro de Açen.<br />

Avevo la vista annebbiata…<br />

Avevo la vista annebbiata per l’emozione.<br />

Non sapevo più quanto avevo danzato con loro, e<br />

quando vidi che mi accerchiavano sempre di più, mi<br />

prese paura e cominciai lentamente a cantare:<br />

Cantate e ballate voi<br />

ché ora la festa è vostra…<br />

Cercando nella memoria le parole finali della filastrocca,<br />

sollevai lo sguardo e incontrai quello di Felipe.<br />

Mi sorrise di un sorriso dolcissimo, invitante… avvicinò<br />

le sue labbra alle mie… io smisi di cantare.<br />

Intrecciai la mia mano con la sua e la melodia fu su<br />

tutto e su tutti.<br />

137


Mille torce quella stessa notte furono accese al Castello.<br />

La ricerca fu lunga e faticosa, sotto la pioggia scrosciante.<br />

Ma di <strong>Violante</strong> nessuna traccia. Donna <strong>Violante</strong> Carròz,<br />

feudataria di una parte delle terre orientali dell’isola<br />

di <strong>Sardegna</strong> non c’era più. Sparita. Nel nulla.<br />

Così raccontò il palafreniere a Maria, che consumava<br />

tutte le sue lacrime:<br />

– Sotto il castello, c’è un corridoio lunghissimo che<br />

porta fino al mare. E dall’altra parte del monte ci sono<br />

delle grotte naturali. “Domus de janas” le <strong>chiama</strong>no:<br />

case di fate.<br />

– Cosa? …fate? …streghe? dove sono? – si disperava<br />

Maria.<br />

– No, no, Maria, non c’è da aver paura. Non sono<br />

streghe cattive. No! Non fanno del male. Sono loro, invece,<br />

ad aver paura degli uomini.<br />

– E allora? Allora? – strillava l’altra tra i singhiozzi,<br />

– perché hanno fatto del male alla mia signora?<br />

– Io so che non le hanno fatto del male…<br />

Maria si calmò tutta a quella rassicurazione e incoraggiò<br />

il palafreniere - bastò uno sguardo - a continua-<br />

139


e a spiegare, se c’erano spiegazioni, e a raccontare, visto<br />

che sapeva. Capì lo sguardo il palafreniere e non si<br />

fece pregare:<br />

– Un tempo le fate erano come donne, come donne<br />

molto belle, ma piccole. La loro pelle, che non tollerava<br />

la forte luce del sole, era candida come la luna e la<br />

loro bellezza era tale che gli uomini le importunavano<br />

e davano loro la caccia in continuazione. Ma quelle detestavano<br />

il contatto umano. Quelle non si nutrivano<br />

come gli uomini, pare mangiassero solo petali di rose.<br />

Erano fate, insomma, mi segui?<br />

Maria annuì, cullata dalle parole e dal racconto. Il<br />

palafreniere proseguì:<br />

– Le fate, una sera d’autunno, decisero che Basta!<br />

Basta con gli uomini. <strong>Si</strong> fecero trasportare dal vento, insieme<br />

alle foglie cadute dagli alberi, e il vento le adagiò,<br />

alcune ai piedi dei monti, dove cercarono rifugio in piccole<br />

grotte naturali - quelle che gradiva tanto Donna<br />

<strong>Violante</strong> e sembrava volerci spiare dentro quando l’accompagnavo…<br />

Altre fate, invece, furono adagiate all’ingresso<br />

dei cunicoli sotterranei che stanno sempre<br />

sotto i castelli. E questo è un castello, Maria.<br />

Maria fece sì con la testa.<br />

– Ebbene, si organizzarono in comunità, quelle delle<br />

grotte e quelle dei cunicoli. Tutte misero insieme le<br />

loro doti e i loro poteri. Filavano, tessevano e ricamavano<br />

gli scialli più belli che mai si erano visti, con fili<br />

d’oro e d’argento, color del sole e color della luna.<br />

Maria era di sale. Non si muoveva, quasi non respirava:<br />

per non perdere una parola del racconto e per<br />

non perdere il braccio di quell’uomo che ora - solo ora<br />

se n’era accorta - le circondava la vita. Gli occhi persi e<br />

il cuore in tumulto.<br />

140<br />

– Solo il loro telaio poteva tessere quei ricami meravigliosi.<br />

E gli uomini lo sapevano. Quindi tendevano<br />

mille trappole per catturarle e impadronirsi di quel magico<br />

strumento. E le fate si stancarono di essere sempre<br />

minacciate e ancora importunate e abbandonarono anche<br />

quelle grotte e quei cunicoli sotterranei. Sono andate<br />

via ormai da molto tempo, chissà dove… Ma hanno<br />

lasciato il loro telaio d’oro, solo che prima di partire<br />

gli hanno fatto un incantesimo. Nessuno, dicono, da allora<br />

lo può vedere il telaio. Solo loro, le fate - nel caso<br />

un giorno decidessero di tornare - e solo anime pure<br />

hanno occhi per vederlo. E quel telaio, cara la mia Maria,<br />

se mano di anima pura lo vede e sfiora, pff… come<br />

per incanto, trasforma la persona in una jana. Ecco,<br />

questo deve essere accaduto a Donna <strong>Violante</strong>.<br />

Rasserenata dal destino felice della sua signora, Maria<br />

diede sfogo ad altre curiosità tutte umane:<br />

– Ma erano proprio belle queste… janas? E come<br />

erano belle?<br />

– Se non fossi qui, accanto a me, e sentissi il tuo<br />

contatto e la tua morbidezza, direi… direi… che tu sei<br />

una di loro, perché sei proprio bella come una jana…<br />

Così raccontava il palafreniere, e Maria, catturata<br />

dal fascino del racconto, e vinta dal potere del suo abbraccio,<br />

affidò a quell’uomo stravagante tutte le notti<br />

che le restavano da vivere.<br />

141


La notizia della sparizione arrivò, un bel po’ di tempo<br />

dopo, anche alla corte della regina <strong>Si</strong>billa de Fortià,<br />

dove fu commentata con particolari piccanti, piccantissimi.<br />

– Avete sentito, donna Carmelita? Cosa sapete? Cosa<br />

sapete di donna <strong>Violante</strong>?<br />

– Donna Inés, donna Inés… che brutta storia. La<br />

regina <strong>Si</strong>billa è trepidante per quella lì. Non fa che pregare.<br />

Le notizie che sono arrivate da quell’isola dicono<br />

che… pfff: si è volatilizzata. Sparita nel nulla. Ma come<br />

è possibile che una persona scompaia così? Lei, la regina,<br />

solo lei ci crede a questa storia.<br />

– Perché, donna Carmelita, sapete qualcos’altro?<br />

– Dei marinai che sono sbarcati pochi giorni fa pare<br />

abbiano portato notizie nuovissime… e inquietanti.<br />

Vero donna Maria?<br />

– Eh! Su, non fatemi dire, non fatemi parlare. Lo<br />

dicevamo già da tempo che quella lì era una specie<br />

di…<br />

– Ma i marinai… cosa hanno detto quei marinai che<br />

sono partiti da quell’isola? Raccontate donna Maria,<br />

non fateci stare sulle spine.<br />

– Lei… lei… se ne andava per i boschi a cavallo.<br />

143


– A cavallo per i boschi? E con chi?<br />

– Da sola… diceva lei. Un pastore di capre… pensate,<br />

un pastore di capre, pare che un giorno l’abbia<br />

trovata a terra, tramortita…<br />

– E allora? E allora?<br />

– Pare l’abbia trascinata fino al suo ovile e lei, vi ricordate<br />

con quali occhi guardava gli uomini? Beh! Immaginate<br />

quello, a vedersi fissato in quel modo, un selvaggio<br />

senza fede in Dio e nella Vergine Maria… insomma<br />

l’ha portata dentro una grotta e ne ha fatto quello<br />

che voleva.<br />

– Oh! Ma allora! Poveretta… mi fa quasi pena.<br />

– Ih! Ih! Che pena e pena. Quei selvaggi che vivono<br />

nelle terre dove sorge il suo castello, dicono che lei, lei<br />

si è data tutta a lui e alle sue voglie. E vive tra le capre,<br />

coperta di stracci per non farsi riconoscere. Ecco perché<br />

non la trovano…<br />

– Perché non vuole farsi trovare…<br />

Conclusero in coro complice donna Carmelita de<br />

Jerez y Ortega, donna Inés de Perez y Esterrìa e donna<br />

Maria de Mariner y Gasset.<br />

144<br />

Anche presso gli stagni se ne parlò per anni e anni,<br />

per generazioni di pescatori.<br />

Intorno al fuoco, nelle serate invernali, e durante<br />

l’estate, al fresco, sotto il pergolato.<br />

Qualcuno la vide, quella sera, su una barca che scivolava<br />

a pelo d’acqua.<br />

Era bellissima, vestita di bianco e coi capelli al vento.<br />

Di fronte a lei, remava, sorridente, un vecchio pescatore<br />

di stagno.<br />

<strong>Si</strong> <strong>chiama</strong>va Pedru. Uomo molto rispettato e amato<br />

da tutti. Uno di loro.<br />

Lì, su quella barca, con lei, non aveva più tutti i suoi<br />

anni: era giovane, bello, coi capelli ricci, col volto senza<br />

rughe, e tutti i suoi denti erano candidi e luccicavano<br />

per lei, in un sorriso felice.<br />

La barca si è dileguata tra le onde, come se le nuvole<br />

se la fossero ingoiata.<br />

Restavano incantati gli ascoltatori di quel racconto,<br />

e lo richiedevano in continuazione, mai stanchi di riascoltarlo.<br />

E quando era finita la storia, sguardi di ammirazio-<br />

145


ne andavano ad un giovane che, nei tratti, ricordava il<br />

vecchio del racconto.<br />

Ed era infatti un pronipote di Pedru che, fiero di un<br />

tal nonno, socchiudeva gli occhi e tirava con soddisfazione<br />

una boccata dalla pipa di radica.<br />

146<br />

Di storie ne son circolate sul conto di Donna <strong>Violante</strong><br />

Carròz.<br />

Compresa la storia dei libri di Storia.<br />

<strong>Violante</strong> Carròz.<br />

Figlia di Berengario e di una sconosciuta.<br />

Nel 1383, il Re Pietro il Cerimonioso le riconobbe<br />

in feudo il contado di Quirra. <strong>Violante</strong> fu dama della<br />

Regina <strong>Si</strong>billa de Fortià.<br />

Sposò Poncho de Senesterra, morto giovanissimo.<br />

In seconde nozze sposò Berengario Bertran, della<br />

famiglia catalana dei signori di Gelida, il quale scomparve<br />

senza dare più sue notizie.<br />

La verità?<br />

Intorno alle pietre e alle spine del castello, quando<br />

soffia il vento dal mare, pare che di notte si oda come<br />

una voce.<br />

Ma sono parole appena percettibili…<br />

Qualunque cosa, cara la mia Viola, tu dica o faccia, se<br />

la porterà via il vento.<br />

147


INDICE


INDICE<br />

SI CHIAMA VIOLANTE<br />

CAPITOLO 1 11<br />

CAPITOLO 2 55<br />

CAPITOLO 3 61<br />

CAPITOLO 4 73<br />

CAPITOLO 5 79<br />

CAPITOLO 6 103<br />

CAPITOLO 7 123


Volumi pubblicati:<br />

Tascabili . Narrativa<br />

Grazia Deledda, Chiaroscuro<br />

Grazia Deledda, Il fanciullo nascosto<br />

Grazia Deledda, Ferro e fuoco<br />

Francesco Masala, Quelli dalle labbra bianche<br />

Emilio Lussu, Il cinghiale del Diavolo<br />

Maria Giacobbe, Il mare (2 a edizione)<br />

Sergio Atzeni, Il quinto passo è l’addio<br />

Sergio Atzeni, Passavamo sulla terra leggeri<br />

Giulio Angioni, L’oro di Fraus<br />

Antonio Cossu, Il riscatto<br />

Bachisio Zizi, Greggi d’ira<br />

Ernst Jünger, Terra sarda<br />

Salvatore Niffoi, Il viaggio degli inganni (2 a edizione)<br />

Luciano Marrocu, Fáulas (2 a edizione)<br />

Gianluca Floris, I maestri cantori<br />

D.H. Lawrence, Mare e <strong>Sardegna</strong><br />

Salvatore Niffoi, Il postino di Piracherfa<br />

Flavio Soriga, Diavoli di Nuraiò (2 a edizione)<br />

Giorgio Todde, Lo stato delle anime<br />

Francesco Masala, Il parroco di Arasolè<br />

Maria Giacobbe, Gli arcipelaghi (2 a edizione)<br />

Salvatore Niffoi, Cristolu<br />

Giulio Angioni, Millant’anni<br />

Luciano Marrocu, Debrà Libanòs<br />

Giorgio Todde, La matta bestialità (2 a edizione)<br />

Sergio Atzeni, Racconti con colonna sonora e altri «in giallo»<br />

Marcello Fois, Materiali<br />

Maria Giacobbe, Diario di una maestrina<br />

Giuseppe Dessì, Paese d’ombre<br />

Francesco Abate, Il cattivo cronista<br />

Gavino Ledda, Padre padrone<br />

Salvatore Niffoi, La sesta ora


Jack Kerouac, L’ultima parola. In viaggio. Nel jazz<br />

Gianni Marilotti, La quattordicesima commensale<br />

Giorgio Todde, Ei<br />

Luigi Pintor, Servabo<br />

Marcello Fois, Tamburini<br />

Francesco Abate, Ultima di campionato<br />

Patrick Chamoiseau, Texaco<br />

Luciano Marrocu, Scarpe rosse e tacchi a spillo<br />

Alberto Capitta, Creaturine<br />

Romano Ruju, Quel giorno a Buggerru<br />

Narrativa<br />

Salvatore Cambosu, Lo sposo pentito<br />

Marcello Fois, Nulla (2 a edizione)<br />

Francesco Cucca, Muni rosa del Suf<br />

Paolo Maccioni, Insonnie newyorkesi<br />

Bachisio Zizi, Lettere da Orune<br />

Maria Giacobbe, Maschere e angeli nudi: ritratto d’un’infanzia<br />

Giulio Angioni, Il gioco del mondo<br />

Aldo Tanchis, Pesi leggeri<br />

Maria Giacobbe, Scenari d’esilio. Quindici parabole<br />

Giulia Clarkson, La città d’acqua<br />

Paola Alcioni, La stirpe dei re perduti<br />

Mariangela Sedda, Oltremare<br />

<strong>Rossana</strong> <strong>Copez</strong>, <strong>Si</strong> <strong>chiama</strong> <strong>Violante</strong><br />

Poesia<br />

Giovanni Dettori, Amarante<br />

Sergio Atzeni, Due colori esistono al mondo. Il verde è il secondo<br />

Gigi Dessì, Il disegno<br />

Roberto Concu Serra, Esercizi di salvezza<br />

Serge Pey, Nierika o le memorie del quinto sole<br />

Saggistica<br />

Bruno Rombi, Salvatore Cambosu, cantore solitario<br />

Giancarlo Porcu, La parola ritrovata. Poetica e linguaggio in<br />

Pascale Dessanai<br />

FuoriCollana<br />

Salvatore Cambosu, I racconti<br />

Antonietta Ciusa Mascolo, Francesco Ciusa, mio padre<br />

Alberto Masala - Massimo Golfieri, Mediterranea<br />

I Menhir<br />

Salvatore Cambosu, Miele amaro<br />

Antonio Pigliaru, Il banditismo in <strong>Sardegna</strong>. La vendetta barbaricina<br />

Giovanni Lilliu, La civiltà dei sardi<br />

Giulio Angioni, Sa laurera. Il lavoro contadino in <strong>Sardegna</strong><br />

In coedizione con Edizioni Frassinelli<br />

Marcello Fois, Sempre caro<br />

Marcello Fois, Sangue dal cielo<br />

Giorgio Todde, Lo stato delle anime<br />

Marcello Fois, L’altro mondo<br />

Giorgio Todde, Paura e carne<br />

Giorgio Todde, L’occhiata letale


Finito di stampare<br />

nel mese di settembre 2004<br />

dalla Tipolitografia ME.CA. - Recco GE

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