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Erthole - Sardegna Cultura

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se attendevo da molto, e voleva sapere come avevo fatto ad<br />

arrivare fin lì da solo. Non riusciva a stare fermo. Gli chiesi<br />

cosa avesse trovato alla fiera, ma non mi rispose. Tutta la sua<br />

attenzione era rivolta al cane, che cercava le sue carezze saltandogli<br />

addosso.<br />

– So che cerchi qualcosa, c’entra tuo fratello? –. Mi rispose<br />

che erano cose delicate… si penava anche a parlarne<br />

con se stessi.<br />

– Tu non credi che Giovanni abbia commesso quel fatto<br />

–. Esitava ancora. Forse si vergognava di confessare che<br />

aveva assolto suo fratello senza una ragione, per fede soltanto<br />

o anche per paura. Alla fine accennò qualcosa. Aveva cercato<br />

inutilmente. Nessuno aveva visto né sentito. L’avevano<br />

mandato da una parte all’altra, in un gioco senza fine. Qualcuno<br />

aveva promesso.<br />

– Dai ascolto a Bambinu?<br />

– Se gli capita di dire cose sensate… A voi Bambinu<br />

non piace. Vi accompagno, non siete abituato alle veglie –.<br />

Voleva star solo e io m’incamminai per rientrare alla casa.<br />

– Ricordatevi la pietra, Biburdeu s’avvicina, – mi disse<br />

quando stava per lasciarmi. Con quella promessa voleva<br />

esprimermi la sua riconoscenza per le mie premure. Si allontanò<br />

e pareva andasse incontro all’alba che vinceva le ultime<br />

ombre.<br />

72<br />

XIV<br />

Dei grandi mutamenti che aveva portato Zuacchinu pareva<br />

fosse sfumato anche il ricordo nel paese. Solo gli anziani<br />

ne parlavano, qualche volta; richiami distaccati per numerare<br />

il tempo di sos contos, come si faceva con le grandi nevicate,<br />

con le carestie e con gli altri eventi ormai passati. Eppure<br />

la gente era scesa nelle strade e aveva cantato quando Zuacchinu,<br />

compiutosi ormai il destino di su Dominariu, aveva<br />

festeggiato il suo trionfo.<br />

Viva la luce<br />

che ha portato<br />

signor Zuacchinu<br />

cantava una mia sorella, scolaretta, ch’era stata alla festa ed<br />

era tornata tutta eccitata battendo le mani. Quel giorno,<br />

Zuacchinu, contando le sue lampadine, aveva creduto anche<br />

lui, come il farneticante Nicola, di essere simile al sole. Io ero<br />

scappato di casa e mi ero nascosto tra i pruni neri di Teti.<br />

Su Dominariu e Zuacchinu: nodi rimasti dolorosamente<br />

dentro di me come un segno delle insanabili lacerazioni del<br />

mio essere. Da una parte gli istinti, le emozioni che non si<br />

dimenticano; dall’altra il richiamo della ragione, l’esaltazione<br />

per la fantasia di Zuacchinu che pareva dovesse ricreare il<br />

mondo.<br />

La prima volta che l’avevo visto, nel suo negozio di tessuti,<br />

con uno scandaloso custu est? insieme alla meraviglia<br />

per l’insperato incontro, avevo voluto gridare la mia ribellione<br />

a quello che mi era parso un beffardo stravolgimento di<br />

ciò che avevo immaginato. Zuacchinu, nei discorsi di tutti,<br />

era un termine di paragone, un’entità inarrivabile, infinitamente<br />

lontano, ma terribilmente presente nella quotidianità<br />

di ciascuno. Così me l’ero figurato anch’io, simile a quel Padreterno<br />

del Catechismo, più vero forse, per la tangibilità<br />

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