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manico ad arco. Le pecore si scansavano una dopo l’altra,<br />
aprendo un passaggio stretto che si chiudeva subito dopo di<br />
lui. Muovendo il braccio sinistro per bilanciare il peso, ripeteva<br />
una cantilena che io, assediato dalle pecore al centro del<br />
recinto, udivo appena. Si affidava all’emozione del primo<br />
incontro: bastava uno sguardo, a volte, per capire tutto di<br />
una persona. Era così anche con le bestie.<br />
Dopo aver riversato il latte nel bidone, prese un secondo<br />
paiolo e ritornò da me indicandomi il posto, a ridosso della<br />
siepe. Mi sentivo a disagio, come se dovessi superare un<br />
esame.<br />
– Farete bene, sono certo, – mi disse convinto.<br />
– Devi insegnarmi.<br />
– Non è l’arte di scrivere… apprenderete tutto da solo,<br />
cercate di capire le bestie, il resto sarà facile.<br />
– Voglio osservare ancora come fai tu –. Ero scontento<br />
della mia insicurezza. Sceglieva lui le pecore da mungere per<br />
prime. Ad alcune il latte entrava più lentamente, altre lo nascondevano,<br />
per ribellione. Lui, pazientemente, glielo chiedeva:<br />
una parola, un incitamento e una lunga carezza sulle<br />
mammelle per lusingare la pecora, che finiva per darsi senza<br />
più alcuna resistenza.<br />
– All’inizio sentirete un po’ di stanchezza ai polsi e alla<br />
schiena.<br />
Io continuavo a memorizzare i dati per definire le procedure.<br />
– Dipende molto da come si tiene la pecora fra le gambe.<br />
E mi svelò i fondamenti di un nuovo sistema di equilibrio.<br />
Il corpo doveva inarcarsi, sfiorando appena il dorso della<br />
pecora. Bastava il caldo del vello a creare la tensione che<br />
reggeva i movimenti e i contatti… braccia, gambe, schiena<br />
si piegavano e si allungavano, come se nelle membra circolassero<br />
linfe prodigiose. La pecora che tentavo di mungere<br />
io si dimenava furiosamente per liberarsi dalla stretta soffocante<br />
delle mie gambe, nelle quali pareva scorresse solo la<br />
paura. Luca mungeva per suo conto. Mi aveva voltato la<br />
schiena. Voleva che superassi da solo le difficoltà. Tentai di<br />
parlare alla povera bestia, chiamandola col nome che avevo<br />
udito; mi rispondeva con lunghi belati che accrescevano il<br />
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mio disagio. Solo quando allentai la stretta si rassegnò, scuotendosi<br />
tutta per quel male che l’aveva tormentata. Non si<br />
mosse più e potei avventurarmi in quell’impresa inarcando<br />
anch’io la schiena e affondando le mani nelle mammelle;<br />
con insperato godimento riuscii a far sprizzare il latte che<br />
scrosciò nel paiolo. Mi pareva di avere altre gambe, altre<br />
braccia, altre possibilità di movimento. Avevo sentito parlare<br />
di discesa dall’uomo alla bestia, ma le sensazioni ch’io provavo<br />
erano altre.<br />
Mungevo senza sollevare la schiena, con una grande<br />
stanchezza alle mani, che parevano gonfie tanto erano arrossate<br />
e calde. Mi dolevano anche i polsi, ma non dissi niente<br />
a Luca, che era uscito dal recinto e rideva divertito perché<br />
una pecora era tornata da me per essere munta una seconda<br />
volta.<br />
– Ci ha preso gusto, lo dicevo che voi piacete.<br />
– Come si fa a distinguerle, sono tutte uguali! –. Risi<br />
anch’io.<br />
– Abbiamo finito, – mi disse caricandosi uno dei bidoni<br />
sulle spalle. Davanti alla casa c’era un vecchio motocarro<br />
per il trasporto del latte fino al punto di raccolta. Cercai<br />
d’imitarlo col secondo bidone, nel quale avevo riversato il<br />
mio latte. Ma lo sentii talmente pesante che stentai a sollevarlo.<br />
Luca mi venne incontro di corsa, preoccupato; il mio<br />
era stato un azzardo, un affronto per lui. Prese il bidone e<br />
se lo caricò sulle spalle, facendolo roteare con uno strappo.<br />
Raggiunse rapidamente il motocarro e con due fischi guidò<br />
le pecore che andarono lungo il canale, ai piedi del versante.<br />
Cercai di dirgli che il bidone m’era sembrato leggero.<br />
– Sono adirato, dovete aspettare che mi passi –. Ma già<br />
sorrideva, anche se si era calcata la visiera del berretto, per<br />
non farsi scorgere da me.<br />
– Sei svelto e forte, quante pecore hai munto? –. Mi<br />
guardò e il suo sorriso era aperto.<br />
– Abile è Giovanni… –. Si rattristò di colpo. Pareva<br />
cercasse qualcosa nell’inarrivabile orizzonte di <strong>Erthole</strong>. Avevo<br />
capito che parlava di suo fratello e gli chiesi dov’era. Lui<br />
mi guardò con l’espressione di un bambino che attende<br />
conforto.<br />
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