Erthole - Sardegna Cultura

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31.05.2013 Views

IX Era seduto sullo stesso sasso, in muto dialogo col suo inseparabile coltello. Pareva un falchetto in attesa della preda. – Cosa vi ha raccontato ziu Croale? – mi chiese, come se riprendesse un discorso appena interrotto. Gli stava a cuore tutto ciò che mi riguardava. – Attendi da molto? –. Volevo dialogare col diffidente airone, che saltò giù dal sasso con un guizzo. – Passavo… sapevo ch’eravate sceso in paese. Una guardatina non fa male! Della mia visita a su Dominariu non avevo parlato con nessuno, ma questo strano ragazzo pareva mi leggesse dentro. – Quante cose sai e vedi! Non è detto ch’io sia andato in paese. Fece una risatina e andò verso la porta della casa. Ripose il coltello. Segno che si sentiva più sicuro. Non avevo ancora toccato cibo, salvo il bicchierino d’acquavite nella fredda casa di su Dominariu. Gli chiesi se voleva mangiare qualcosa con me. Non mi rispose, pareva non ascoltasse. Si guardava attorno nella casa rimasta chiusa per tanto tempo, e andava avanti e indietro, come se volesse misurare l’ampiezza della cucina. Parlò d’altro: di su Dominariu, del quale ormai più nessuno si curava, e di ziu Croale, che un tempo mandava via quelli che volevano sapere, e al quale ora nessuno più aveva niente da chiedere. – Con tutto quello che succede, a chi possono interessare quelle storie… capisco voi, venite da molto lontano. Ancora si giocava a fare i sordi. Io mi ero già stancato. Non riuscivo più a tenere a mente i riporti delle domande senza risposta. Dalla cantinetta, un vuoto nel muro che si prolungava fino alla roccia esterna, tirai fuori quattro uova, un pezzo di salsiccia, un po’ di burro e una cipolla. Feci la mia prima esperienza di cuoco, e preparai un’abbondante 50 frittata. Tirai fuori anche il pane, il formaggio e una bottiglia di vino. – Vediamo se ti piace quello che cucino io, – gli dissi. Si sedette e mangiò senza fare alcun commento. Aveva seguito il mio daffare con ostentata indifferenza, lanciando uno sguardo ogni tanto. Non voleva essere preso alla sprovvista. Con cenni della testa faceva capire che la mia frittata gli piaceva. Si muoveva con compostezza e aveva un’espressione molto seria, come se stesse adempiendo a un compito gravoso. Gli versai il vino. – Beviamo, per sorridere un po’, – dissi scherzosamente. Per la prima volta lo vidi arrossire e fui contento della sua timidezza. – Cortesia è offrire, cortesia è accettare… per l’appetito non devo invocarmi ai santi. Gli chiesi cosa mangiava solitamente e lui mi espose la sua piccola filosofia della vita. Con gli occhi della mente bisognava mangiare, non con gli occhi del ventre, altrimenti si barattava la vita per una past’e recattu. 13 Anche con i cibi, pesta pesta, si tornava agli antichi: pane e casu, il resto erano imbentos. – Adesso che abbiamo mangiato e bevuto insieme, possiamo anche considerarci amici. Sorrise e scuotendo la testa mi disse che la sapevo lunga. Rifiutò di bere altro vino. Preferiva l’acqua di Erthole, che faceva digerire anche le pietre. – Chi vuole sapere deve anche dire, – sentenziò. Per farmi capire che non era garrigu ’e sonnu, 14 soggiunse che, se parlava, era perché voleva parlare. Aveva la gravità d’un esperto negoziatore che detta le condizioni definitive, il suggello d’un trattato importante. Lo assecondai con altrettanta solennità; il principio doveva valere anche per me. Appariva soddisfatto, quasi compiaciuto, e divenne improvvisamente meno diffidente e più disponibile al dialogo. Doveva andare, però, era l’ora della mungitura. 13. Scorpacciata. 14. Carico di sonno. 51

IX<br />

Era seduto sullo stesso sasso, in muto dialogo col suo inseparabile<br />

coltello. Pareva un falchetto in attesa della preda.<br />

– Cosa vi ha raccontato ziu Croale? – mi chiese, come se<br />

riprendesse un discorso appena interrotto. Gli stava a cuore<br />

tutto ciò che mi riguardava.<br />

– Attendi da molto? –. Volevo dialogare col diffidente<br />

airone, che saltò giù dal sasso con un guizzo.<br />

– Passavo… sapevo ch’eravate sceso in paese. Una guardatina<br />

non fa male!<br />

Della mia visita a su Dominariu non avevo parlato con<br />

nessuno, ma questo strano ragazzo pareva mi leggesse dentro.<br />

– Quante cose sai e vedi! Non è detto ch’io sia andato<br />

in paese.<br />

Fece una risatina e andò verso la porta della casa. Ripose<br />

il coltello. Segno che si sentiva più sicuro.<br />

Non avevo ancora toccato cibo, salvo il bicchierino d’acquavite<br />

nella fredda casa di su Dominariu. Gli chiesi se voleva<br />

mangiare qualcosa con me. Non mi rispose, pareva non<br />

ascoltasse. Si guardava attorno nella casa rimasta chiusa per<br />

tanto tempo, e andava avanti e indietro, come se volesse misurare<br />

l’ampiezza della cucina. Parlò d’altro: di su Dominariu,<br />

del quale ormai più nessuno si curava, e di ziu Croale,<br />

che un tempo mandava via quelli che volevano sapere, e al<br />

quale ora nessuno più aveva niente da chiedere.<br />

– Con tutto quello che succede, a chi possono interessare<br />

quelle storie… capisco voi, venite da molto lontano.<br />

Ancora si giocava a fare i sordi. Io mi ero già stancato.<br />

Non riuscivo più a tenere a mente i riporti delle domande<br />

senza risposta. Dalla cantinetta, un vuoto nel muro che si<br />

prolungava fino alla roccia esterna, tirai fuori quattro uova,<br />

un pezzo di salsiccia, un po’ di burro e una cipolla. Feci la<br />

mia prima esperienza di cuoco, e preparai un’abbondante<br />

50<br />

frittata. Tirai fuori anche il pane, il formaggio e una bottiglia<br />

di vino.<br />

– Vediamo se ti piace quello che cucino io, – gli dissi. Si<br />

sedette e mangiò senza fare alcun commento. Aveva seguito<br />

il mio daffare con ostentata indifferenza, lanciando uno<br />

sguardo ogni tanto. Non voleva essere preso alla sprovvista.<br />

Con cenni della testa faceva capire che la mia frittata gli piaceva.<br />

Si muoveva con compostezza e aveva un’espressione<br />

molto seria, come se stesse adempiendo a un compito gravoso.<br />

Gli versai il vino.<br />

– Beviamo, per sorridere un po’, – dissi scherzosamente.<br />

Per la prima volta lo vidi arrossire e fui contento della<br />

sua timidezza.<br />

– Cortesia è offrire, cortesia è accettare… per l’appetito<br />

non devo invocarmi ai santi.<br />

Gli chiesi cosa mangiava solitamente e lui mi espose la<br />

sua piccola filosofia della vita. Con gli occhi della mente bisognava<br />

mangiare, non con gli occhi del ventre, altrimenti si<br />

barattava la vita per una past’e recattu. 13 Anche con i cibi,<br />

pesta pesta, si tornava agli antichi: pane e casu, il resto erano<br />

imbentos.<br />

– Adesso che abbiamo mangiato e bevuto insieme, possiamo<br />

anche considerarci amici.<br />

Sorrise e scuotendo la testa mi disse che la sapevo lunga.<br />

Rifiutò di bere altro vino. Preferiva l’acqua di <strong>Erthole</strong>,<br />

che faceva digerire anche le pietre.<br />

– Chi vuole sapere deve anche dire, – sentenziò. Per farmi<br />

capire che non era garrigu ’e sonnu, 14 soggiunse che, se<br />

parlava, era perché voleva parlare. Aveva la gravità d’un<br />

esperto negoziatore che detta le condizioni definitive, il suggello<br />

d’un trattato importante. Lo assecondai con altrettanta<br />

solennità; il principio doveva valere anche per me. Appariva<br />

soddisfatto, quasi compiaciuto, e divenne improvvisamente<br />

meno diffidente e più disponibile al dialogo. Doveva andare,<br />

però, era l’ora della mungitura.<br />

13. Scorpacciata.<br />

14. Carico di sonno.<br />

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