31.05.2013 Views

Erthole - Sardegna Cultura

Erthole - Sardegna Cultura

Erthole - Sardegna Cultura

SHOW MORE
SHOW LESS

Create successful ePaper yourself

Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.

Tutto mi appariva senza senso, anche la nebbia che improvvisamente<br />

si diradò, lasciando filtrare un sole caldo e luminoso<br />

che sollevava case e strade dalla loro desolazione. In<br />

cima alla torretta mozza che ancora svettava sui ruderi di su<br />

Dominariu, vidi muoversi qualcuno. Avvolto dalla nebbia<br />

ch’era tornata ancora più fitta comparve nella strada un uomo<br />

anziano, tutto raccolto dentro un vecchio impermeabile.<br />

Non mi venne incontro, attese davanti alla porta dov’era la<br />

cappella. Aveva seguito il mio impossibile dialogo col povero<br />

sordo. Mi avvicinai e gli dissi ciò che cercavo. Non rispose<br />

subito. Diffidava, ma non voleva farlo capire e sorrise. Intanto<br />

mi osservava. I suoi occhi, mobilissimi, sembrava volessero<br />

spogliarmi. Ed erano occhi stanchi di chi, per anni e anni,<br />

aveva cercato invano di intuire il mondo da dietro i muri di<br />

una prigione.<br />

– Siete ziu Croale? – gli chiesi quando mi accorsi della<br />

sua straordinaria somiglianza con Pablo Picasso. Così me<br />

l’avevano descritto. Lo presi sottobraccio, quasi per fargli<br />

sentire fisicamente ch’ero felice d’incontrarlo, e gli dissi che,<br />

pur non avendolo mai visto, avevo di lui un ricordo vivissimo…<br />

La notizia era arrivata di sera nel paese, col vento, o<br />

forse il vento aveva portato l’urlo che si era levato nella Corte<br />

d’Assise di Sassari. Anche mio padre aveva gridato più<br />

volte: – S’ergastulu a Croale! – e io, atterrito dai fragori del<br />

vento e da quelle parole che non capivo, mi ero rannicchiato<br />

dietro un muricciolo.<br />

Lui non si scompose, continuò a guardarmi e a sorridere;<br />

troppo aveva vissuto per lasciarsi commuovere dalle mie<br />

effusioni. Mi parlò d’altro: del grande cortile di su Dominariu<br />

e del vecchio mulino, indicandomi la bottega con una<br />

brutta insegna, e la cappella votiva, simili a covi di uccelli<br />

rapaci fra quelle rovine.<br />

– Così hanno voluto –. Pareva volesse riferirsi a entità<br />

lontane, inesistenti quasi. Parlare con me non gli dispiaceva.<br />

La nebbia si era alzata, e arrivò la pioggia. Volevo sospingerlo<br />

nel vano di una porta per ripararci, ma lui mi fermò.<br />

– Dentro, – disse deciso. Attraverso un passaggio che non<br />

avevo notato, m’introdusse in una specie di cortile, ricavato<br />

dalla demolizione dell’officina di Nicola, poi mi fece salire<br />

44<br />

una scala di pietra, che mi pareva di conoscere, ed entrammo<br />

in una stanza semibuia; c’era un camino che non aveva mai<br />

conosciuto il calore di un fuoco, un tavolo, delle sedie e uno<br />

specchio alla parete, sopra un mobile dall’uso indefinito, forse<br />

il buffet, come pomposamente l’avevo sentito chiamare altrove.<br />

Lui continuava a parlare, m’aveva già spiegato com’era nato<br />

il mulino, suggerimento di un suo amico, un ragioniere<br />

che lavorava alla centrale del Tirso; di Nicola parlò poco, solo<br />

qualche parola per dire che l’aveva fatto venire lui, quando era<br />

un povero diavolo. Mi fece sedere e mi offrì da bere; preferii<br />

l’acquavite al vino, per scaldarmi. La stanza, umida e fredda,<br />

dava un senso di abbandono, come se nessuno l’avesse mai<br />

abitata. La riconoscevo, anche se il pavimento era stato rifatto<br />

e le pareti, con una tinta verdognola, nascondevano l’intonaco<br />

cadente. Era fredda anche allora quella casa. Ci andavo<br />

qualche sera chiamato da Caterina, che voleva riempire con la<br />

mia compagnia la sua solitudine senza figli. D’estate e d’inverno<br />

vi percepivo lo stesso odore di chiuso e di rovina.<br />

Ziu Croale continuava a raccontare. Accompagnava le<br />

parole col gesto, e rideva. Le pause, un tradimento della memoria,<br />

come lui diceva, pareva sondassero le profondità del<br />

tempo per sottrarre le vicende dall’oblio. Raramente rispondeva<br />

alle domande che gli rivolgevo. Faceva una pausa più<br />

lunga, reclinava la testa su una spalla e riprendeva il filo del<br />

suo racconto, preparato in anticipo forse, come se mi avesse<br />

atteso. Avevo l’impressione che spesso non si accorgesse della<br />

mia presenza, e raccontasse a se stesso per inventarsi una<br />

vita. Insistevo perché mi parlasse di Zuacchinu, volevo sapere<br />

la ragione dell’antico contrasto. Affidò la risposta alla sua<br />

risatina, contrappunto accattivante di quel raccontare, quasi<br />

metafora di un giudizio. La disamistade con Zuacchinu, fortunato<br />

bentuleri 12 venuto da chissà dove, quando il paese<br />

non conosceva ancora i commerci e il vendere e il comprare<br />

toccavano solo le cose che duravano più della vita, aveva origini<br />

remote; gli intrighi, le calunnie e le furibonde lotte per<br />

la «concessione» dell’illuminazione elettrica erano venute dopo.<br />

C’era una storia di cavalli all’inizio.<br />

12. Venditore ambulante.<br />

45

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!