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Erthole - Sardegna Cultura

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quali raggiungeva quella maestosa luminosità. Io avevo sempre<br />

amato il leccio, simbolo di forza e di perennità, paragonabile<br />

solo alla roccia. Ne ammiravo il tronco possente, con<br />

la sua scorza muschiosa, e la chioma raccolta in cupole di<br />

verde. Delle sughere avevo un ricordo penoso, il ricordo degli<br />

incendi fuligginosi e della processionaria portatrice di desolazione.<br />

Una rivelazione improvvisa ora m’inchiodava davanti a<br />

questi alberi con le loro vertiginose aperture.<br />

Avrei detto ch’erano le dieci, ma senza convincimento: il<br />

sole non mi dava certezze; mi pareva che riscaldasse a sprazzi.<br />

Ad ogni fermata, in quel ritorno alla casa, avevo sentito<br />

freddo, un freddo di un’altra stagione: il sole mi escludeva.<br />

Per il pranzo e la cena non dovevo fare niente. Paschedda<br />

aveva pensato a tutto. Ancora infreddolito, accesi il fuoco,<br />

prelevando dalla catasta una bracciata di legna che bruciò<br />

subito con una grande fiammata. Mi sedetti davanti al<br />

camino su un leggero sgabello, un piccolo cubo ricavato con<br />

listelli di ferula, soffice come un cuscino. Sulla legna arsa,<br />

rami di corbezzolo e tronchetti di leccio, si formò uno strato<br />

bianco, il primo fiore che mia nonna raccoglieva per la lisciva.<br />

Con l’attizzatoio muovevo le braci, e la cenere si sollevava<br />

leggera come fiocchi di neve. Pensavo a Maddalena, che<br />

aveva perduto la ragione per aver guardato ciò che non doveva.<br />

Il suo ricordo tornava spesso, come se la conoscessi da<br />

sempre. Pensavo anche a su Dominariu, alla grande cucina<br />

di zia Anzeledda e allo scantinato di Carmína…<br />

Non avevo voglia di cibo. Volevo rivedere la sughera<br />

grande, nella cui solarità si era compiuto il destino di Battalla,<br />

che sembrava m’implorasse di scioglierlo dalla vita dove il<br />

mio ricordo lo cercava. L’ultima volta che l’avevo visto era in<br />

cima a un capanno, e scrutava la terra col binocolo per scovare<br />

gl’incendi. Così in alto, sospeso su legni malfermi, pareva<br />

già fuori dal mondo. L’avevo chiamato più volte e lui<br />

aveva risposto, continuando a cercare i fuochi con un occhio<br />

solo, che doveva vedere per due; l’altro era entrato nel<br />

buio da tempo. Anche allora Battalla inseguiva la luce, e mi<br />

chiamava nella sua casa di notte, per fare la prova col cerino.<br />

Pensava alle molte puledre che aveva domato calvalcandole<br />

a pelo. Era un cavallo da niente quello dal quale era caduto,<br />

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battendo la testa su un sasso. Non credeva di pagare così lo<br />

sbaglio che aveva commesso, ma quel piccolo graffio sulla<br />

fronte era il segno del buio che doveva venire.<br />

Chiudeva l’occhio sano, coprendolo con le dita, e nell’oscurità<br />

della sua casa mi chiedeva di accendere il cerino,<br />

per provare se la vista tornava. Qualcuno glielo aveva garantito.<br />

Strofinando piano, di cerini ne accendevo più di<br />

uno, ma la luce non passava in quell’occhio desolato.<br />

– Accendi! – mi ordinava furente e agitava un pugno che<br />

non poteva ghermire più nulla.<br />

– Non riesco, – mentivo, con le dita bruciate dalle fiamme<br />

che lui non vedeva. Lasciava la casa col viso stravolto, e<br />

gridava trascinato da un furore impotente. Io mi avvicinavo<br />

a sua madre, e piangevo con lei accucciato nell’angolo buio.<br />

Battalla da allora si era intristito, come il suo occhio che<br />

spiava nelle tenebre il male di un mondo sommerso. Non<br />

riusciva a legare con nessuno e andava spesso fuori misura.<br />

– Minad’est su locu, 9 – diceva voltando le spalle alla gente.<br />

Nel lavoro però era attento, e menava il piccone per due.<br />

Quando c’era da smuovere un masso, nella strada nuova per<br />

il salto, avanzava tutti. A casa, la sera, ascoltava con pena la<br />

moglie, una povera donna, che mostrava contenta il giornale<br />

con la foto del figlio bandito. Lui piangeva in silenzio, seduto<br />

nell’angolo dove spesso giaceva sua madre.<br />

In piedi su quella torre di legno, vegliava di notte e di<br />

giorno, e pensava alle mine. Doveva star solo e non voleva<br />

scendere neanche per mangiare; la bisaccia col pane pendeva<br />

da un ramo in quel piccolo spazio, e la bariletta di sughero<br />

conservava l’acqua fresca per più giorni. Non gli avevo parlato<br />

della casa che volevano togliergli, né del figlio, rinchiuso<br />

in prigione da tempo: l’avevano preso nel sonno, quando<br />

ormai era stanco di fare il bandito. Gli avevo chiesto soltanto<br />

come stava, e lui aveva scosso la testa. Non poteva distrarsi<br />

dai fuochi che bruciavano il mondo. M’aveva concesso di<br />

salire, però; il capanno era solido e c’era anche la scala a pioli.<br />

Si ricordava di me, ma non potevo chiedergli altro, perché<br />

tutto gli dava dolore.<br />

9. Minato è il luogo.<br />

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