Erthole - Sardegna Cultura

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31.05.2013 Views

deserte, da un incrocio all’altro, con i carboni stretti nei pugni. Non dovevo parlare di ciò che mi era accaduto, ma la gente diceva già che avevo bevuto alla fontana di Erthole. Io sapevo che quel sogno prediceva una vita. Tutto era già noto, anche ora che tornavo in quel luogo… L’emozione non era solo mia. Anche Paschedda, la ragazza che doveva farmi la consegna della casa, appariva turbata. Stentavo a riconoscerla. Si guardava intorno, nella luce abbagliante del mattino. Eravamo partiti presto dal paese, con la mia macchina carica di provviste: non mi mancava niente, Saverio aveva provveduto a tutto. Forse sarebbe voluta venire anche Maddalena, m’era parso di capirlo dal suo sguardo al momento del saluto; ma l’aria di Erthole le avrebbe dato emozioni troppo forti, come si era affrettata a dire Paschedda che, appena messo piede dentro la macchina, aveva assunto l’aria della donna vissuta. Tuttavia appariva compiaciuta di farsi notare in mia compagnia dalla gente, che ci guardava con apparente indifferenza. Usciti dal paese, aveva parlato solo lei, un torrente di parole. In prossimità di Erthole però aveva taciuto. Con la mano tesa, pareva fosse ritornata bambina. – La casa è quella, – disse, senza il compiacimento che solitamente metteva per le cose che sentiva sue. Quel distacco mi sorprese ancora. Sul pianoro una grande macchia indistinta sfumava in una luce più intensa con aloni abbaglianti. Non ricordavo la casa; ma pareva fosse stata sempre lì. Paschedda raccoglieva fiori di campo, inseguendo i colori. Voleva vincere il giallo, ma le pervinche e le pratoline non bastavano, e lei cercava i rossi. – C’era la capanna lì, prima, – mi disse. Presi due ranuncoli e glieli infilai tra i capelli; diventò rossa, come i papaveri che cercava invano. Era rientrata nella sua età. – Per la festa della tosatura salivamo a cavallo con mio padre o mio fratello. Maddalena mi teneva per mano. Raccoglievamo i fiori insieme, lei inventava le tabelline dei colori. Anche d’estate venivamo per restarci a lungo. Io contavo le stelle anche se avevo paura che mi venissero le verruche… Le chiesi da quanto tempo Maddalena non tornava a 34 Erthole. Mi guardò senza dire niente; pareva uscisse penosamente dai suoi ricordi. – Vado verso il torrente, – disse allontanandosi. – Portate la macchina alla casa, ci si arriva facilmente –. Lasciò cadere i fiori e disse ancora qualcosa, senza voltarsi. – Da tanto tempo… dalla disgrazia… – credetti di capire. Ma forse aveva detto altro, o forse non aveva detto niente, a Erthole parole e silenzi si equivalevano. Mi sedetti sul ceppo di un albero abbattuto, che però dava la sensazione d’essere ancora intatto con rami e chiome, e guardai Paschedda allontanarsi, piccolo uccello senz’ali pronto a sfidare ogni rischio pur di provare l’ebbrezza del volo. Non capivo se salisse o scendesse; pareva immobile, come tutto ciò che le stava attorno, come quell’aria fredda d’aprile nella quale svaniva rapidamente. Arrivai alla casa seguendo una scia luminosa, itinerario possibile in quel luogo di confluenze senza strade. Paschedda mi attendeva. Era ritornata attenta, sicura, ostentatamente compiaciuta della casa e della terra. Del turbamento iniziale non era rimasta alcuna traccia in lei. Pareva si vergognasse di ciò che aveva detto e fatto. Io non riuscivo a capire le stranezze di questa ragazza che si sforzava di apparire ciò che forse non era. Entrammo nella casa: tre grandi stanze, una a fianco all’altra, con il camino in quella centrale, e la cucina. Paschedda mi consegnò l’elenco di ciò che la casa conteneva: letti, materassi di lana e coperte. Sistemò le provviste in un grande armadio e mi disse che avrebbe provveduto a rinnovarle ogni settimana, secondo le intese; ogni tanto avrei potuto scendere io in paese. Mi diede anche istruzioni sul come usare pentole e stoviglie. Era tutto in ordine, tutto pulito: aveva preparato lei ogni cosa. Per rientrare in paese avrebbe atteso il camioncino del latte. Le proposi di accompagnarla fino alla strada e parlai di Maddalena e del suo male. – Lo sapete ciò ch’è accaduto, uno spavento, come capita –. La incalzai, e lei raccontò di malavoglia. Era successo a Erthole. Ci voleva poco in certe condizioni, il male voleva la sua scusa. 35

deserte, da un incrocio all’altro, con i carboni stretti nei pugni.<br />

Non dovevo parlare di ciò che mi era accaduto, ma la<br />

gente diceva già che avevo bevuto alla fontana di <strong>Erthole</strong>. Io<br />

sapevo che quel sogno prediceva una vita. Tutto era già noto,<br />

anche ora che tornavo in quel luogo…<br />

L’emozione non era solo mia. Anche Paschedda, la ragazza<br />

che doveva farmi la consegna della casa, appariva turbata.<br />

Stentavo a riconoscerla. Si guardava intorno, nella luce abbagliante<br />

del mattino. Eravamo partiti presto dal paese, con la<br />

mia macchina carica di provviste: non mi mancava niente,<br />

Saverio aveva provveduto a tutto. Forse sarebbe voluta venire<br />

anche Maddalena, m’era parso di capirlo dal suo sguardo al<br />

momento del saluto; ma l’aria di <strong>Erthole</strong> le avrebbe dato<br />

emozioni troppo forti, come si era affrettata a dire Paschedda<br />

che, appena messo piede dentro la macchina, aveva assunto<br />

l’aria della donna vissuta. Tuttavia appariva compiaciuta di<br />

farsi notare in mia compagnia dalla gente, che ci guardava<br />

con apparente indifferenza. Usciti dal paese, aveva parlato solo<br />

lei, un torrente di parole. In prossimità di <strong>Erthole</strong> però aveva<br />

taciuto. Con la mano tesa, pareva fosse ritornata bambina.<br />

– La casa è quella, – disse, senza il compiacimento che<br />

solitamente metteva per le cose che sentiva sue. Quel distacco<br />

mi sorprese ancora. Sul pianoro una grande macchia indistinta<br />

sfumava in una luce più intensa con aloni abbaglianti.<br />

Non ricordavo la casa; ma pareva fosse stata sempre lì. Paschedda<br />

raccoglieva fiori di campo, inseguendo i colori. Voleva<br />

vincere il giallo, ma le pervinche e le pratoline non bastavano,<br />

e lei cercava i rossi.<br />

– C’era la capanna lì, prima, – mi disse. Presi due ranuncoli<br />

e glieli infilai tra i capelli; diventò rossa, come i papaveri<br />

che cercava invano. Era rientrata nella sua età.<br />

– Per la festa della tosatura salivamo a cavallo con mio<br />

padre o mio fratello. Maddalena mi teneva per mano. Raccoglievamo<br />

i fiori insieme, lei inventava le tabelline dei colori.<br />

Anche d’estate venivamo per restarci a lungo. Io contavo<br />

le stelle anche se avevo paura che mi venissero le verruche…<br />

Le chiesi da quanto tempo Maddalena non tornava a<br />

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<strong>Erthole</strong>. Mi guardò senza dire niente; pareva uscisse penosamente<br />

dai suoi ricordi.<br />

– Vado verso il torrente, – disse allontanandosi. – Portate<br />

la macchina alla casa, ci si arriva facilmente –. Lasciò<br />

cadere i fiori e disse ancora qualcosa, senza voltarsi.<br />

– Da tanto tempo… dalla disgrazia… – credetti di capire.<br />

Ma forse aveva detto altro, o forse non aveva detto niente,<br />

a <strong>Erthole</strong> parole e silenzi si equivalevano. Mi sedetti sul<br />

ceppo di un albero abbattuto, che però dava la sensazione<br />

d’essere ancora intatto con rami e chiome, e guardai Paschedda<br />

allontanarsi, piccolo uccello senz’ali pronto a sfidare<br />

ogni rischio pur di provare l’ebbrezza del volo. Non capivo<br />

se salisse o scendesse; pareva immobile, come tutto ciò che<br />

le stava attorno, come quell’aria fredda d’aprile nella quale<br />

svaniva rapidamente.<br />

Arrivai alla casa seguendo una scia luminosa, itinerario<br />

possibile in quel luogo di confluenze senza strade. Paschedda<br />

mi attendeva. Era ritornata attenta, sicura, ostentatamente<br />

compiaciuta della casa e della terra. Del turbamento iniziale<br />

non era rimasta alcuna traccia in lei. Pareva si vergognasse di<br />

ciò che aveva detto e fatto. Io non riuscivo a capire le stranezze<br />

di questa ragazza che si sforzava di apparire ciò che forse<br />

non era.<br />

Entrammo nella casa: tre grandi stanze, una a fianco all’altra,<br />

con il camino in quella centrale, e la cucina. Paschedda<br />

mi consegnò l’elenco di ciò che la casa conteneva: letti,<br />

materassi di lana e coperte. Sistemò le provviste in un grande<br />

armadio e mi disse che avrebbe provveduto a rinnovarle<br />

ogni settimana, secondo le intese; ogni tanto avrei potuto<br />

scendere io in paese. Mi diede anche istruzioni sul come<br />

usare pentole e stoviglie. Era tutto in ordine, tutto pulito:<br />

aveva preparato lei ogni cosa. Per rientrare in paese avrebbe<br />

atteso il camioncino del latte. Le proposi di accompagnarla<br />

fino alla strada e parlai di Maddalena e del suo male.<br />

– Lo sapete ciò ch’è accaduto, uno spavento, come capita<br />

–. La incalzai, e lei raccontò di malavoglia. Era successo<br />

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la sua scusa.<br />

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