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Erthole - Sardegna Cultura

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– Come prendere una goccia dal mare.<br />

Legittimava così quella ribalderia, della quale era orgoglioso.<br />

L’altra carne l’aveva già distribuita pro sas animas. Rideva<br />

e raccontava di altre gocce che aveva preso da altri mari,<br />

e dei poveri affamati che lo benedicevano quando portava loro<br />

su presente. Ogni tanto mi puntava addosso i suoi occhi di<br />

gatto selvatico, e porgendomi un assaggio d’arrosto sulla<br />

punta del suo affilatissimo coltello chiedeva a mio zio se in<br />

me ci fosse omine. Io abbassavo gli occhi e arrossivo.<br />

– Dagli tempo.<br />

– Prendi, allora, – insisteva Vargiolu, che per vincere la<br />

mia esitazione chiamava mio padre «ghermanu», inventando<br />

un legame inesistente, lui che in paese non aveva parenti<br />

né amici, salvo la riconoscenza dei poveri ai quali distribuiva<br />

la carne nei giorni di festa. Doveva essere il giorno dei Santi;<br />

passavamo davanti alla sua casa e lui aveva insistito perché<br />

entrassimo. Chiamava «ghermanu» anche mio zio. Le cose<br />

che raccontava sembravano prese da un mare torbido, dove<br />

ribolliva il male del mondo.<br />

– Chi se ne importa se sono conchi ruju… la casa ce<br />

l’ho, i vicini mi vogliono bene –. Rideva dei suoi capelli rossicci<br />

che lo facevano apparire diverso, ma non riusciva a nascondere<br />

la sua tristezza di uomo solo. Parlava per non pensare<br />

e di notte andava insonne per distrarsi da quel cruccio.<br />

Maddalena era tornata nell’angolo del camino dove io<br />

avevo ascoltato i racconti di Vargiolu. Forse anch’essa vedeva<br />

ardere il fuoco del mio ricordo. Io sentivo ancora il profumo<br />

della carne che Vargiolu mi porgeva.<br />

– Saverio sa, la casa ve la diamo per un favore, siete un<br />

compaesano.<br />

Con un cenno significai che avevo capito, ma Paschedda<br />

m’incalzava: era lei e non altri che poteva darmi o non darmi<br />

la casa. Le mie distrazioni offendevano il suo orgoglio.<br />

– Devo regolarmi, appena Maddalena starà bene andremo<br />

in continente. Saverio ve l’avrà detto, la roba e gli affetti<br />

li abbiamo lì.<br />

Le dissi che sapevo. Per la durata del mio soggiorno non<br />

precisai niente, dipendeva da tante cose. Dovevo vedere i<br />

luoghi. In ogni caso non ci avrebbero rimesso.<br />

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Maddalena era diventata ancora più triste. Sentiva le parole<br />

della sorella come una minaccia, e ne era spaventata.<br />

Non voleva andare in continente.<br />

– Anche <strong>Erthole</strong> era di ziu Vargiolu…<br />

Forse voleva riprendere il sogno che non riusciva a raccontare.<br />

Le sorrisi, e pensavo a mia madre che attribuiva<br />

un’anima alle cose.<br />

– Vanno, gli affetti se li cercano –. Si riferiva alle terre e<br />

alle case, che credeva fossero mosse da misteriose intelligenze.<br />

Quando il povero Vargiolu, in una notte di vento, era<br />

caduto sul sasso di Gristolu, sgozzato come un agnello, perché<br />

troppo aveva visto e troppo aveva parlato, anche la sua<br />

casa era «andata» e aveva chiamato Maddalena a custodire<br />

gli affetti.<br />

– Non si può lasciarla chiusa, – disse lei sommessamente<br />

e pareva ripetesse il lamento di Vargiolu morente, che<br />

nessuno aveva ascoltato nella notte buia.<br />

Saremmo saliti l’indomani a <strong>Erthole</strong>, con la mia macchina,<br />

e chiesi dove potevo trovare un alloggio per quella notte.<br />

Paschedda mi offrì la sua casa, dicendo che avevano anche il<br />

telefono. Lasciai trapelare i mei scrupoli, ma lei mi tranquillizzò,<br />

nessuno più badava a certe cose. Anche Maddalena mi<br />

chiese di restare. Volevo uscire a ritrovare il paese e Paschedda<br />

mi domandò se ricordavo i luoghi. Dissi il mio «sì» con<br />

molta incertezza, e lei mi raccomandò di tornare per la cena:<br />

ci teneva molto.<br />

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