Erthole - Sardegna Cultura

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31.05.2013 Views

XXIX Sentivo le loro voci, ma non riuscivo a vederli, come se tutto fosse coperto da una pesante pietra nera, simile a quella che seppelliva il brulicante universo di sa Currentina. Non mi ero allontanato molto dalla casa, né avevo fatto ricerche di luoghi: avevo dovuto soltanto attendere l’ora del grande buio, l’ora alta di sas runnas, affidandomi poi all’intenzione. Cercavo sos incumannados 80 che popolavano le notti di Erthole, per sapere di Luca. Volevo trovare almeno un indizio di ciò che poteva essergli accaduto, come aveva chiesto Maddalena; l’avevo riaccompagnata in paese, senza poterla distrarre da quel cupo presentimento. La sua muta supplica m’aveva aiutato a uscire dalla mia rassegnazione e mi spingeva, ora, ad avventurarmi dove non aveva mai osato neanche sa zustissia. In altro tempo, ci aveva provato Bonu, carabiniere temerario, incumannadu anche lui, come gli scellerati che perseguiva. Per scoprire dove allignava il male di Erthole, rincorreva senza tregua Pedone, un ribaldo insofferente di se stesso e di quel mortorju ch’era diventato il paese. Pedone di notte saliva a Erthole, a trovare sos omines, con i quali si poteva almeno brullare; 81 di giorno, andando di bettola in bettola, ripeteva la sua sfida a Bonu: ci avrebbe perduto la ragione, se avesse insistito. Ma Bonu non desisteva: s’imbottiva di armi e inseguiva ogni notte nuove piste che lo portavano sempre più lontano. – So che ci sei, – minacciava dalla rupe dove si nascondeva in agguato. Pedone ne spiava le mosse, e rideva, sicuro dell’inviolabilità delle tenebre in quel luogo. Aveva riso anche quando Bonu, mostrando una vecchia mantella, dava a intendere di avergliela strappata di dosso mentre fuggiva. 80. Gli invasati. 81. Scherzare, beffare. 162 – No est prus in tinu, – commentava malignamente la gente, messa su da Pedone, e il povero Bonu, sconsolato, aveva dovuto lasciare il paese; i superiori avevano finito per convincersi che si era affaticato troppo in quei vani inseguimenti notturni. Anch’io ora percepivo voci concitate, interrotte da oscuri avvertimenti. Pro su corbu no si prantat ficu. In maju cantat sa rana. Per paura dei corvi non si piantano i fichi. / In maggio canta la rana. Dovevano essere sos omines di Pedone, ma non avevano allegria, come se il tempo di sas brullas fosse finito. Cercavo di dedurre l’identità dalle fisionomie, ma in quei volti non riconoscevo nessuno. Come Pedone, questi vagabondi consumavano nelle bettole la loro dannazione, e piangevano di notte, a Erthole, la loro inutile vita. Li vedevo aggirarsi senza posa, come se cercassero sollievo al male che li affliggeva. Ma follia e saggezza non riuscivano a trovare ragione di scambio. Il male nasceva dal nulla; bastava poco a stroncare una vita, e nessuno serbava memoria dell’offesa recata. Soffrivano la stessa pena che gravava l’esistenza dei carcerati di Bad’e carros. – Bae e poneli capu, – rispondevano allargando le braccia, se qualcuno domandava loro il perché. Ne parlavano, a volte, tornando indietro nel tempo, per capire da quale notte salisse la maledizione. – Incumannados sono, – urlava la gente, che non si dava ragione di quel vivere dissennato. Si erano accorti della mia presenza, ma nessuno sembrava sorpreso, come fossi anch’io portatore di pene e cercatore di requie. Pensavo alla necessità di fare qualcosa per uscire dal nulla e mi venne in mente Lopéne. Dissero che potevano anche andarci, ma non era un rimedio. – Chi nasce così… – ripetevano, quasi fosse dato spiegare col destino quella condanna a una trasgressione perpetua. 163

XXIX<br />

Sentivo le loro voci, ma non riuscivo a vederli, come se<br />

tutto fosse coperto da una pesante pietra nera, simile a quella<br />

che seppelliva il brulicante universo di sa Currentina. Non mi<br />

ero allontanato molto dalla casa, né avevo fatto ricerche di<br />

luoghi: avevo dovuto soltanto attendere l’ora del grande buio,<br />

l’ora alta di sas runnas, affidandomi poi all’intenzione. Cercavo<br />

sos incumannados 80 che popolavano le notti di <strong>Erthole</strong>, per<br />

sapere di Luca. Volevo trovare almeno un indizio di ciò che<br />

poteva essergli accaduto, come aveva chiesto Maddalena;<br />

l’avevo riaccompagnata in paese, senza poterla distrarre da<br />

quel cupo presentimento. La sua muta supplica m’aveva aiutato<br />

a uscire dalla mia rassegnazione e mi spingeva, ora, ad<br />

avventurarmi dove non aveva mai osato neanche sa zustissia.<br />

In altro tempo, ci aveva provato Bonu, carabiniere temerario,<br />

incumannadu anche lui, come gli scellerati che perseguiva.<br />

Per scoprire dove allignava il male di <strong>Erthole</strong>, rincorreva<br />

senza tregua Pedone, un ribaldo insofferente di se stesso<br />

e di quel mortorju ch’era diventato il paese. Pedone di notte<br />

saliva a <strong>Erthole</strong>, a trovare sos omines, con i quali si poteva almeno<br />

brullare; 81 di giorno, andando di bettola in bettola, ripeteva<br />

la sua sfida a Bonu: ci avrebbe perduto la ragione, se<br />

avesse insistito. Ma Bonu non desisteva: s’imbottiva di armi<br />

e inseguiva ogni notte nuove piste che lo portavano sempre<br />

più lontano.<br />

– So che ci sei, – minacciava dalla rupe dove si nascondeva<br />

in agguato. Pedone ne spiava le mosse, e rideva, sicuro<br />

dell’inviolabilità delle tenebre in quel luogo. Aveva riso anche<br />

quando Bonu, mostrando una vecchia mantella, dava a<br />

intendere di avergliela strappata di dosso mentre fuggiva.<br />

80. Gli invasati.<br />

81. Scherzare, beffare.<br />

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– No est prus in tinu, – commentava malignamente la<br />

gente, messa su da Pedone, e il povero Bonu, sconsolato, aveva<br />

dovuto lasciare il paese; i superiori avevano finito per convincersi<br />

che si era affaticato troppo in quei vani inseguimenti<br />

notturni.<br />

Anch’io ora percepivo voci concitate, interrotte da oscuri<br />

avvertimenti.<br />

Pro su corbu no si prantat ficu.<br />

In maju cantat sa rana.<br />

Per paura dei corvi non si piantano i fichi. /<br />

In maggio canta la rana.<br />

Dovevano essere sos omines di Pedone, ma non avevano<br />

allegria, come se il tempo di sas brullas fosse finito.<br />

Cercavo di dedurre l’identità dalle fisionomie, ma in quei<br />

volti non riconoscevo nessuno. Come Pedone, questi vagabondi<br />

consumavano nelle bettole la loro dannazione, e piangevano<br />

di notte, a <strong>Erthole</strong>, la loro inutile vita. Li vedevo aggirarsi<br />

senza posa, come se cercassero sollievo al male che li<br />

affliggeva. Ma follia e saggezza non riuscivano a trovare ragione<br />

di scambio. Il male nasceva dal nulla; bastava poco a<br />

stroncare una vita, e nessuno serbava memoria dell’offesa recata.<br />

Soffrivano la stessa pena che gravava l’esistenza dei carcerati<br />

di Bad’e carros.<br />

– Bae e poneli capu, – rispondevano allargando le braccia,<br />

se qualcuno domandava loro il perché. Ne parlavano, a<br />

volte, tornando indietro nel tempo, per capire da quale notte<br />

salisse la maledizione.<br />

– Incumannados sono, – urlava la gente, che non si dava<br />

ragione di quel vivere dissennato.<br />

Si erano accorti della mia presenza, ma nessuno sembrava<br />

sorpreso, come fossi anch’io portatore di pene e cercatore<br />

di requie. Pensavo alla necessità di fare qualcosa per<br />

uscire dal nulla e mi venne in mente Lopéne. Dissero che<br />

potevano anche andarci, ma non era un rimedio.<br />

– Chi nasce così… – ripetevano, quasi fosse dato spiegare<br />

col destino quella condanna a una trasgressione perpetua.<br />

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