Erthole - Sardegna Cultura

Non si attendevano aiuti: non avevano atteso mai niente da
nessuno. Trasferivano sugli altri, su chi era in alto, fosse pure
il Padreterno, le cause delle loro sventure, anche del male
che li aveva condotti in quel luogo.
– La terra degli altri, avete detto?…
Era il più giovane di tutti, un ragazzo quasi, veniva da
Desulo; riprendeva ciò che avevamo detto sui pastori che
rincorrevano vanamente il sogno di una terra… Aveva un
pascolo, appena sufficiente per le sue pecore; volevano portarglielo
via «per fare il parco dei ricchi».
– Mi vogliono arrestare. Avete capito: arrestare!
Riferiva fatti accaduti, violenze subite, ma anche lui parlava
come se quelle vicende continuasse a viverle. Era al di
fuori del tempo e dello spazio; pareva toccato dalla follia.
Nella coscienza di quegli uomini tutto tendeva a eternarsi;
l’andare dietro il gregge e lo stare in prigione avevano la stessa
cadenza. Mettevano a nudo la loro esistenza per fare intendere
il male ch’era in tutti, come se una maledizione li
avesse inchiodati in quello stato della non-vita e della nonmorte.
Loro non potevano farci niente, volevano e temevano
i cambiamenti, il mondo non aveva punti di riferimento;
e poi avevano una stanchezza che non riuscivano a vincere.
Appena entrato nella saletta, avevo cercato di individuare
il fratello di Luca, del quale non conoscevo il cognome.
– Sono tutti Giovanni o Pietro qui, – m’aveva risposto
l’Educatore. Ora ch’era tornato il silenzio, passai di nuovo in
rassegna i detenuti, scrutandoli uno dopo l’altro; mi parevano
senza età, tutti ugualmente chiusi in un risentito distacco.
Più del nome, contava il reato o la condanna per distinguere,
e così l’Educatore si ricordò di Giovanni.
– Non è voluto scendere, si finge pazzo. Sono tutti simulatori…
dico così perché sembra sano.
Nel paese la pazzia veniva invocata spesso, come se il
turbamento della mente fosse una normalità del vivere, un
gioco dei possibili nel quale ciascuno potesse entrare e uscire
a sua scelta. C’era anche la follia dei grandi rifiuti in cui ci si
rifugiava per sottrarsi a una chiamata alle armi, in pace o in
guerra, o per difendersi da una supposta ingiustizia: doveva
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essere provata vivendola dolorosamente, ma talvolta non se
ne poteva più uscire.
– Ma non me l’hanno fatta, – dicevano i superstiti,
consumando in quel vanto ripetuto l’ultimo barlume di lucidità.
Anche la pazzia di Giovanni, presunta o vera, poteva
essere il segno di un rifiuto, il rifiuto di tutto, persino di se
stesso: Zommaria avrebbe detto che erano i malefici di Erthole.
Parlarono anche del libro.
– È uno degli ergastolani, – mi disse sottovoce l’Educatore
indicandomi l’uomo vicino al Cappellano, che chiedeva
di dire qualcosa. Lo osservai attentamente: volevo istituire
un rapporto fra quella pena inumana e la sua timidezza.
Nell’aspetto di un ergastolano mi attendevo di cogliere i segni
di una tragicità, ma questo piccolo uomo, ragazzo anche
lui, appariva spaurito e sorrideva per pudore.
– E custu traitore? 75 – disse rimettendosi a sedere. Stentavo
a capire il senso della sua domanda. Riassunsi la storia
di quel personaggio minore del libro cui voleva riferirsi.
– Ho capito, ma Nicola cosa gli aveva fatto?
– A lui niente, – risposi.
– E allora?
Gli pareva insensato che uno potesse uccidere così, gratuitamente.
Vi doveva pur essere un rapporto, una ragione
di scambio fra vendetta e offesa subita. Gli spiegai che anche
su traitore era stato ucciso e che nessuno l’aveva pianto.
– Che cosa vuol dire…?
Si sedette e non disse più nulla. Pareva risentito per quell’assurdo
personaggio, dentro il quale lui non riusciva a calarsi.
Anche le altre domande sul libro toccavano i perché. Cercai
di spiegare, ma nessuno si accontentò. Ripensavano alla
vendetta, epilogo di un dramma, in cui torto e ragione si
confondono fatalmente.
Avrei voluto fare domande anch’io, per capire fino in
fondo il loro modo di intendere le trasgressioni e di vivere il
peso di una condanna. Non osai. Senza propormelo avevo
75. E questo traditore?
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