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Erthole - Sardegna Cultura

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negare né affermare, ma forse solo esprimere stupore per la<br />

brutalità della mia domanda.<br />

– Già, <strong>Erthole</strong>, come si chiama… bidda e campu… –<br />

disse, accennando al paese tra le frange della tenda. Gli chiesi<br />

se aveva mai pensato di tornarvi e lui mi guardò sorpreso;<br />

era stato a lungo fuori, ma era come se non fosse mai partito;<br />

andava e veniva il suo corpo massiccio, la sua anima non<br />

si era mai mossa. Parlò ancora, stancamente, e disse che<br />

rientrava ogni tanto in paese, per la casa rimasta bodia.<br />

– Già, <strong>Erthole</strong>, – ripeté; voleva parlare di quel luogo che<br />

gli richiamava ricordi lontani.<br />

– Ci andavo, a prendere legna…<br />

Avrebbe voluto fare il racconto di una vita non vissuta,<br />

ma poté dire soltanto che in quel luogo c’erano i mascadores,<br />

i miraggi.<br />

– Già… Maddalena… andate su, – e indicò vagamente<br />

un luogo della casa dove potevamo trovare sua moglie e forse<br />

anche suo figlio. – Io devo finire, – e fece ricadere la sua<br />

mano pesante sul registro.<br />

Uscimmo. Vicino alla porta, dentro una cassetta, c’erano<br />

delle lattughe appassite che forse nessuno avrebbe comprato.<br />

Gremos le cercava nel gorgo dei naufragi, compitandole insieme<br />

alle impossibili promesse dei paesani.<br />

148<br />

XXVII<br />

Avevo chiesto tempo per superare paure e incertezze.<br />

L’Educatore aveva insistito: erano miei compaesani quelli<br />

che dovevo incontrare; tutta gente delle mie zone, comunque.<br />

Avevo accettato per riguardo a Saverio, che aveva mediato<br />

sapientemente; lui non aveva voluto accompagnarmi:<br />

dovevo scendere solo in quel luogo, che non era diverso da<br />

sa Currentina e da Badd’e neulas.<br />

Bad’e carros evocava altri ricordi in me. Con Giuseppe,<br />

amico sfortunato, nelle sere d’estate arrivavamo fino al<br />

ponte, dove c’erano gli orti e il rovo degli usignoli. Il piacere<br />

di stare insieme e l’ansia di scambiarci le piccole grandi<br />

conquiste della mente ci facevano amare quel luogo più<br />

di ogni altro. Qualche volta ci spingevamo oltre e sostavamo<br />

sotto il pino, una sfida su quell’altura battuta dai venti;<br />

guardando i colli di sa Serra e la vallata di su Crastu intuivamo<br />

il mondo che volevamo conoscere; Nuoro viveva<br />

le nostre stesse trepidazioni, ne vedevamo il riverbero oltre<br />

Biscollai.<br />

Bad’e carros ora indicava sa presone, sempre incombente<br />

sul destino dei miei compaesani. Perfino la maledizione più<br />

crudele si arrestava di fronte a quel nome, temuto più della<br />

morte.<br />

– Ha ragione, sembra un monastero, – mi disse l’Educatore<br />

indicando le torri, il campanile e le piccole finestre decorate<br />

come i rosoni dei santuari. Le trachiti piene di luce si<br />

aprivano al sole prossimo al tramonto. Sì, Bad’e carros non<br />

aveva la tenebrosità della vecchia rotonda di via Roma, con<br />

quelle finestre a bocca di lupo e le tetre garitte che spuntavano<br />

dall’alto muraglione. Che pena provavo tutte le volte che<br />

incontravo i carcerati in tradotta con i ferri di campagna ai<br />

polsi e un sacchetto rigonfio tra le mani!<br />

– Corazu! – gridava la gente; io voltavo la faccia dall’altra<br />

parte ricordando ciò che spesso ripeteva mia madre:<br />

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