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e le circostanze si intuiscono, si deducono da indizi labilissimi,<br />
non occorre che qualcuno racconti o sveli segreti. Volevo<br />
sapere anch’io, l’aria misteriosa del giovane m’incuriosiva<br />
sempre di più.<br />
– Da dove sei uscito?<br />
Scosse la testa, e come se non avesse sentito la mia domanda<br />
parlò ancora di <strong>Erthole</strong>: lì sarei stato bene, c’era aria<br />
fina e avrei trovato buona compagnia. Rideva, per farmi capire<br />
che lui non credeva a ciò che si diceva di quel luogo di<br />
malefici. Gli chiesi di chi era figlio, ma ancora una volta<br />
parlò d’altro. Non riuscivo a farmi una ragione di queste sue<br />
reticenze, anche se sapevo che quelli del paese non amavano<br />
il dialogo; il loro era un parlare per metafore, un continuo<br />
raccontarsi anche quando le parole e i gesti avevano altri riferimenti.<br />
– Quali nuove? – domandava chi rientrava in paese.<br />
– Cose da raccontare… – rispondeva chi usciva. I viandanti<br />
si lasciavano così, e ciascuno pensava a ciò che l’altro<br />
non aveva potuto dire, tornando con la mente alle infinite<br />
sfumature colte nell’attimo di quel saluto senza dialogo.<br />
– <strong>Erthole</strong>! – esclamò il mio interlocutore con un’espressione<br />
grave, che poteva significare anche ammirazione per il<br />
coraggio con cui io sfidavo paure e pregiudizi.<br />
– Verrò a trovarvi, se potrò –. Non aveva piacere che gli<br />
facessi altre domande e andò via accennando appena un saluto.<br />
Volevo conoscere almeno il suo nome, ma quando mi<br />
voltai era scomparso. Il movimento delle siepi che ricoprivano<br />
il sentiero lo rivelava a tratti, leggero come un’ombra.<br />
Prima di tornare alla macchina diedi un ultimo sguardo<br />
al paese; cercavo disperatamente i tetti e i comignoli sui quali<br />
pareva si fossero cristallizzati i miei ricordi. Scorgevo solo<br />
muri alti che reggevano squarci di terrazze e antenne tristi<br />
come le croci di un immenso calvario. Pensai che non sarei<br />
mai più riuscito a riconciliarmi con me stesso, forse anch’io<br />
ero stato investito dai cataclismi che avevano sconvolto il<br />
paese. Lo sconosciuto aveva ragione: venivo da «molto lontano».<br />
12<br />
II<br />
La piazzola era piccola in origine, appena uno slargo scavato<br />
nella roccia per accogliere i carri nelle soste; era il luogo<br />
delle mediazioni e delle attese, il luogo dove l’intimità della<br />
casa si apriva al mondo. A sera vi giocavano i ragazzi, correndo<br />
attorno al sasso sul quale Gristolu, vecchio carrolante, ruminava<br />
la sua stanchezza, come facevano i buoi sfiancati dai<br />
lunghi viaggi. Lo chiamavano, ma lui, con gli occhi sprofondati<br />
nei viluppi dei folti sopraccigli, non riusciva a vincere il<br />
sonno senza riposo. Se muoveva qualche gesto era per trattenere<br />
quelle voci calde, che percepiva lontane, come l’eco dei<br />
ricordi; temeva la quiete e il silenzio.<br />
Ora la piazzola non mediava più niente. Cresciuta innaturalmente,<br />
aveva inghiottito tutto ciò che le stava intorno.<br />
Per aprire gli spazi alle ingombranti macchine, erano stati<br />
abbattuti i cortili e denudate le case, che si erano alzate impazzite<br />
in un folle azzardo di verticalità. Avevo l’impressione<br />
di essere capitato in un deserto. Non c’erano più carri né<br />
buoi ed era scomparso il sasso attorno al quale i ragazzi gridavano<br />
i loro giochi; dei carrolanti era morto anche il ricordo.<br />
Sentivo la stanchezza e il sonno di Gristolu, e come lui<br />
temevo il silenzio. Avrei voluto chiamare, ma sembrava che<br />
nessuno potesse più udire le parole degli altri.<br />
– A manu tenta picádebos… –. La voce di mia madre<br />
saliva da profondità remote del mio essere e si confondeva<br />
con i sibili del vento, la cui furia dovevo vincere insieme ai<br />
miei fratelli, quando ci avventuravamo soli fuori di casa.<br />
Andavamo curvi, quasi distesi sulla terra, tenendoci stretti<br />
per mano, e il vento che abbatteva gli alberi e sollevava le<br />
pietre non riusciva a spezzare la nostra piccola catena.<br />
– A manu tenta… –. In quella sfida c’era la saggezza del<br />
paese, che aveva modellato il suo vivere all’orizzontalità del<br />
tutto. Le case si distendevano nella loro povertà, con i cortili<br />
che le cingevano da ogni parte. Ne ricordavo una, con il tetto<br />
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