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Erthole - Sardegna Cultura

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Io non avevo niente da chiedere, i segni del mio destino li<br />

avevo colti nei sentieri invisibili di <strong>Erthole</strong>; né avevo alcuna<br />

curiosità per quell’innocente divinazione alla quale, in un altro<br />

tempo, una mia zia sfortunata affidava le sue dolorose<br />

attese. Allora ogni cosa aveva un senso; adesso pareva un’assurdità<br />

che a proporre questo gioco fosse Paschedda, così<br />

follemente in fuga da tutto, quasi non fosse più possibile vivere<br />

senza negare e senza dimenticare; ma al di là dei mutamenti<br />

che toccavano la quotidianità, visibili anche in quest’adolescenza<br />

turbata, affioravano gli echi di ciò ch’era stato<br />

vissuto nelle insondabili profondità del tempo.<br />

– E sia, – disse mostrandoci il primo chicco di grano<br />

fra i bagliori residui del fuoco.<br />

– Io e… isce, – scandì deponendo, uno dopo l’altro, i<br />

due chicchi nello spazio che aveva scavato. Quell’isce aveva<br />

una prepotente carnalità nel tono della sua voce, apparentemente<br />

scherzoso. Sos granos pareva racchiudessero realmente<br />

i misteri della vita. Quello di Paschedda trasudava un umore<br />

rossiccio, ma il destino si rivelava nei movimenti e isce era<br />

fermo, inchiodato dalla pesantezza del suo gonfiore.<br />

– A ti tremes! 55 – gli gridò Paschedda, che attendeva dai<br />

poveri granos una conferma di ciò che lei aveva già deciso di<br />

fare. Il suo chicco non trasudava più, girava intorno a se<br />

stesso, quasi volesse mutare forma per potersi sollevare dalla<br />

terra calda che l’accoglieva. Si mosse anche isce, come per<br />

fuggire. Il chicco di Paschedda lo rincorse. Giravano vorticosamente<br />

entrambi, cozzando spesso in una casualità di contatti<br />

che pareva li allontanasse sempre più. Alla fine, quando<br />

tutti gli umori vaporarono, i chicchi si spaccarono, aprendosi<br />

miseramente, uno lontano dall’altro.<br />

– Cussa si l’achet, – mi parve di udire. Poteva essere la<br />

voce di su Mudu o di Luca, ma forse quella predizione di<br />

un figlio bastardo era solo l’eco di un mio ricordo lontano.<br />

– Chi vuole sapere ancora? – chiese Paschedda, scrutandoci<br />

uno dopo l’altro; non era contenta di ciò che avevano<br />

segnato sos granos.<br />

– Sei sempre decisa… parti?<br />

55. Muoviti!<br />

130<br />

Maddalena pensava a Zommaria, il male che lei temeva<br />

si era rivelato nella triste rappresentazione di sos granos. Paschedda<br />

rispose che lei era capace di pensare e di decidere<br />

per suo conto, i giochi erano giochi.<br />

– Adesso metto i tuoi, – disse in tono di sfida. Maddalena<br />

si alzò di scatto, spaventata.<br />

– No, non voglio, – protestò con veemenza. Guardava<br />

me, chiedendomi aiuto. Proposi di andare al torrente per<br />

toglierci su thithibeddu, la fuliggine con la quale c’eravamo<br />

segnata la fronte. Paschedda, contrariata, diceva che tutti<br />

dovevamo sottoporci al gioco di sos granos e che non dovevamo<br />

ascoltare sas machiscias. 56 Si arrese però, e ci seguì nel<br />

silenzioso pellegrinaggio al torrente.<br />

56. Le stupidaggini.<br />

131

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