Erthole - Sardegna Cultura
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Luca vi era la certezza di qualcosa che doveva accadere. Io mi sentivo lontano ed estraneo a quel gioco di ragazzi. Non riuscivo più a stare fermo in quella scomoda posizione, e stavo per alzarmi quando Luca, afferrandomi per un braccio, mi disse di aprire bene gli occhi. Nei piccoli crateri ora brulicava un universo. Formiche alate, nere e rosse; millepiedi e lombrichi; piccoli ramarri e altri insetti mai visti pareva avessero trovato improvvisamente forma. – Da dove sono usciti? – chiesi, meravigliato per le simmetrie che composero quelle apparizioni dopo la prima sciamatura. – Che pietra vi è toccata! – esclamò Luca, sorpreso anche lui. – Come posso leggere ciò che non capisco, – continuò sconsolato. Con quei gesti stanchi, quella voce accorata, sembrava in preda a una possessione. Io pensavo al paese sommerso; alle voci e ai pianti che si udivano di notte; a quello sconcertante formicaio sorto dal nulla, legame misterioso fra un trapassato sospinto dal vento maligno, che non voleva perire, e il mondo vivo della luce e dei fragori. – Andiamo via, – gridai a Luca alzandomi in piedi. Lui, accovacciato davanti alla pietra del mio destino, cercava di tradurre i segni del formicaio. Col linguaggio di su Mudu, fatto più di gesti che di parole, scarnificava la mia tormentata esistenza, rievocandone le vicende; i miei errori e i miei terrori c’erano tutti. – Continuare o desistere? Questo sasso non lo può più dire… Solo parole ora, e qualche raro gesto per esprimere la fatica di decifrare un futuro. – La strada è disseminata di pietre che parlano cento lingue. La sofferenza del capire… l’avventura del decidere senza perdersi… I rimbombi che salivano dalle profondità della terra vincevano ogni altro rumore. Luca continuava a parlare con gli occhi socchiusi, come preso da un sonno. Intorno tutto si dilatava, e i sassi e gli alberi non si distinguevano più dalla terra. M’inginocchiai davanti al formicaio trasformatosi in un immenso cratere dove mi pareva di sprofondare. Era come se 98 mi dissolvessi tra esistenze che popolavano una cavità senza confini. Non mi stupivo di ritrovare intatto, quasi sorto dal nulla, il mondo dei ricordi. Il vento portava casupole, cortili e vicoli ch’io inseguivo; parvenze di uomini e di donne, abbrancate alle pietre, lottavano disperatamente per arrestarne la caduta e il dissolvimento. Era il paese che avevo già vissuto. Ritornavo nel passato tra i lamenti di coloro che parevano condannati a disseppellire un mondo ormai morto alla memoria. Una voce conosciuta mi chiamava. Da tempo nessuno più pronunciava il mio nome in quel modo, ne avevo perso il ricordo anch’io. – Siete proprio voi? Neanche in sogno m’eravate più apparso… Provavo un dolore che mi sconvolgeva la mente. Con le braccia scarnite, mio padre cingeva un muro della nostra vecchia casa, ripetendo il mio nome. Ricordavo il doloroso calvario dell’ultimo tempo della sua vita e inutilmente tentavo di avvicinarmi a lui. – Ti attendevo… –. Cercavo il suo viso seminascosto dal muro che sosteneva, ma lui non poteva voltarsi, doveva reggere la casa che aveva ricostruito, raccogliendo le pietre e la polvere. – Se mi fermo il vento la disperde. – Avete pensato a tutto, – gli dissi, – c’è anche il piccolo terrapieno che avevo costruito io, e il ciliegio, così come l’aveva ridotto la capra di Gantìne… Sembrava non riuscisse più a sopportare il peso dei muri. – Se potessi alleviare la vostra fatica… – Nessuno può… Sapevo che avresti cercato la casa. Gli domandai se ero vivo o morto, ma non mi diede risposta. – Mi lasciate così? Ditemi ancora di voi e degli altri… – È tutto qui, ciascuno porta la sua pena… Quando il vento si placherà, forse troveremo un luogo dove fermarci. – Non c’è più posto, – gli dissi, – hanno distrutto anche il ricordo… Si allontanò, sempre aggrappato alla casa. 99
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Luca vi era la certezza di qualcosa che doveva accadere. Io<br />
mi sentivo lontano ed estraneo a quel gioco di ragazzi. Non<br />
riuscivo più a stare fermo in quella scomoda posizione, e<br />
stavo per alzarmi quando Luca, afferrandomi per un braccio,<br />
mi disse di aprire bene gli occhi. Nei piccoli crateri ora<br />
brulicava un universo. Formiche alate, nere e rosse; millepiedi<br />
e lombrichi; piccoli ramarri e altri insetti mai visti pareva<br />
avessero trovato improvvisamente forma.<br />
– Da dove sono usciti? – chiesi, meravigliato per le simmetrie<br />
che composero quelle apparizioni dopo la prima sciamatura.<br />
– Che pietra vi è toccata! – esclamò Luca, sorpreso anche<br />
lui. – Come posso leggere ciò che non capisco, – continuò<br />
sconsolato. Con quei gesti stanchi, quella voce accorata,<br />
sembrava in preda a una possessione. Io pensavo al paese<br />
sommerso; alle voci e ai pianti che si udivano di notte; a<br />
quello sconcertante formicaio sorto dal nulla, legame misterioso<br />
fra un trapassato sospinto dal vento maligno, che non<br />
voleva perire, e il mondo vivo della luce e dei fragori.<br />
– Andiamo via, – gridai a Luca alzandomi in piedi. Lui,<br />
accovacciato davanti alla pietra del mio destino, cercava di<br />
tradurre i segni del formicaio. Col linguaggio di su Mudu,<br />
fatto più di gesti che di parole, scarnificava la mia tormentata<br />
esistenza, rievocandone le vicende; i miei errori e i miei<br />
terrori c’erano tutti.<br />
– Continuare o desistere? Questo sasso non lo può più<br />
dire…<br />
Solo parole ora, e qualche raro gesto per esprimere la fatica<br />
di decifrare un futuro.<br />
– La strada è disseminata di pietre che parlano cento lingue.<br />
La sofferenza del capire… l’avventura del decidere senza<br />
perdersi…<br />
I rimbombi che salivano dalle profondità della terra vincevano<br />
ogni altro rumore. Luca continuava a parlare con gli<br />
occhi socchiusi, come preso da un sonno. Intorno tutto si dilatava,<br />
e i sassi e gli alberi non si distinguevano più dalla terra.<br />
M’inginocchiai davanti al formicaio trasformatosi in un<br />
immenso cratere dove mi pareva di sprofondare. Era come se<br />
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mi dissolvessi tra esistenze che popolavano una cavità senza<br />
confini. Non mi stupivo di ritrovare intatto, quasi sorto dal<br />
nulla, il mondo dei ricordi. Il vento portava casupole, cortili<br />
e vicoli ch’io inseguivo; parvenze di uomini e di donne,<br />
abbrancate alle pietre, lottavano disperatamente per arrestarne<br />
la caduta e il dissolvimento. Era il paese che avevo<br />
già vissuto. Ritornavo nel passato tra i lamenti di coloro<br />
che parevano condannati a disseppellire un mondo ormai<br />
morto alla memoria.<br />
Una voce conosciuta mi chiamava. Da tempo nessuno<br />
più pronunciava il mio nome in quel modo, ne avevo perso<br />
il ricordo anch’io.<br />
– Siete proprio voi? Neanche in sogno m’eravate più<br />
apparso…<br />
Provavo un dolore che mi sconvolgeva la mente. Con le<br />
braccia scarnite, mio padre cingeva un muro della nostra<br />
vecchia casa, ripetendo il mio nome. Ricordavo il doloroso<br />
calvario dell’ultimo tempo della sua vita e inutilmente tentavo<br />
di avvicinarmi a lui.<br />
– Ti attendevo… –. Cercavo il suo viso seminascosto<br />
dal muro che sosteneva, ma lui non poteva voltarsi, doveva<br />
reggere la casa che aveva ricostruito, raccogliendo le pietre e<br />
la polvere.<br />
– Se mi fermo il vento la disperde.<br />
– Avete pensato a tutto, – gli dissi, – c’è anche il piccolo<br />
terrapieno che avevo costruito io, e il ciliegio, così come<br />
l’aveva ridotto la capra di Gantìne…<br />
Sembrava non riuscisse più a sopportare il peso dei muri.<br />
– Se potessi alleviare la vostra fatica…<br />
– Nessuno può… Sapevo che avresti cercato la casa.<br />
Gli domandai se ero vivo o morto, ma non mi diede risposta.<br />
– Mi lasciate così? Ditemi ancora di voi e degli altri…<br />
– È tutto qui, ciascuno porta la sua pena… Quando il<br />
vento si placherà, forse troveremo un luogo dove fermarci.<br />
– Non c’è più posto, – gli dissi, – hanno distrutto anche<br />
il ricordo…<br />
Si allontanò, sempre aggrappato alla casa.<br />
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