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Presentiamo alcune pagine di romanzi del Novecento, quattro ...

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Constantin Brancusi,<br />

Colonna senza fine, 1937.<br />

Acciaio, 29,35 m. Tirgu Jiu, Romania.<br />

Leggere<br />

<strong>romanzi</strong>:<br />

<strong>pagine</strong><br />

<strong>di</strong> invito<br />

alla lettura<br />

<strong>Presentiamo</strong> <strong>alcune</strong> <strong>pagine</strong> <strong>di</strong> <strong>romanzi</strong> <strong>del</strong> <strong>Novecento</strong>, <strong>quattro</strong> italiani e<br />

uno straniero, <strong>di</strong>versi tra loro, ma legati da un filo sottile. Essi, infatti,<br />

ricostruiscono, in modo più o meno realistico e con fini <strong>di</strong>versi,<br />

<strong>pagine</strong> <strong>di</strong> storia recenti o passate, all’interno <strong>del</strong>le quali si muovono i<br />

personaggi, fantastici o realistici, comunque simbolici – come ogni<br />

personaggio letterario – <strong>di</strong> una particolare con<strong>di</strong>zione umana che<br />

l’autore vuole comunicare e su cui vuole centrare le vicende narrate.<br />

Si tratta <strong>di</strong> una galleria <strong>di</strong> <strong>pagine</strong> dalle tonalità <strong>di</strong>versissime, appartenenti<br />

a fasi letterarie <strong>di</strong>verse, interessanti per conoscere contesti e stili <strong>di</strong>fferenti.<br />

Il primo esempio è dato da un maestro <strong>del</strong> romanzo fantastico, Italo Calvino,<br />

<strong>di</strong> cui presentiamo <strong>pagine</strong> tratte dalla trilogia de I nostri antenati.<br />

Seguono <strong>alcune</strong> <strong>pagine</strong> <strong>di</strong> ben <strong>di</strong>verso tono, tratte da Il giar<strong>di</strong>no dei<br />

Finzi-Contini <strong>di</strong> Giorgio Bassani, un romanzo <strong>di</strong> memoria che ripercorre,<br />

sullo sfondo <strong>del</strong> periodo fascista, la storia <strong>di</strong> alcuni giovani ebrei <strong>di</strong> Ferrara.<br />

Il terzo romanzo, La casa degli spiriti <strong>di</strong> Isabel Allende, è un classico <strong>del</strong>la<br />

letteratura mon<strong>di</strong>ale, e illustra, attraverso la possente fantasia <strong>del</strong>l’autrice,<br />

un momento <strong>di</strong> storia sudamericana <strong>del</strong> <strong>Novecento</strong>.<br />

1<br />

LEGGERE ROMANZI: PAGINE DI INVITO ALLA LETTURA<br />

© ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS


ITALO CALVINO<br />

I nostri antenati:<br />

un filtro fantastico racconta antiche epoche<br />

LA TRILOGIA DE I NOSTRI ANTENATI: IL VISCONTE DIMEZZATO,<br />

IL BARONE RAMPANTE, IL CAVALIERE INESISTENTE<br />

Italo Calvino <strong>di</strong>sse <strong>di</strong> essere approdato alla scrittura dei tre brevi <strong>romanzi</strong> che costituiscono la<br />

trilogia – Il visconte <strong>di</strong>mezzato, Il barone rampante, Il cavaliere inesistente, caratterizzati da “inverosimiglianza”<br />

e da un’aperta adesione alla <strong>di</strong>mensione fantastica – dopo la stagione dei racconti<br />

realistici.<br />

Le tre opere, composte nell’arco <strong>di</strong> circa otto anni, dal 1952 (Il visconte <strong>di</strong>mezzato) al 1959 (Il<br />

cavaliere inesistente), solo nel 1960 furono riunite nel volume dal titolo emblematico de I nostri<br />

antenati. Insieme vogliono fornire un ritratto allegorico, cioè metaforico, simbolico, <strong>del</strong>la<br />

figura <strong>del</strong>l’intellettuale nella società contemporanea, mostrandone i con<strong>di</strong>zionamenti e i limiti.<br />

I <strong>romanzi</strong> sono a metà strada tra il racconto filosofico – caratteristico <strong>del</strong> Settecento illuminista<br />

–, che conduceva ad una riflessione sull’uomo e sul mondo attraverso il racconto <strong>di</strong><br />

eventi paradossali, e il racconto fantastico, che sfrutta elementi <strong>di</strong> verosimiglianza abilmente<br />

sintetizzati con situazioni irreali.<br />

In tutti e tre i <strong>romanzi</strong> <strong>del</strong>la trilogia il narratore è interno: ne Il visconte <strong>di</strong>mezzato è il nipote<br />

<strong>del</strong> visconte stesso; ne Il barone rampante il fratello; ne Il cavaliere inesistente Teodora, una<br />

monaca che nel finale s’identifica con il personaggio <strong>di</strong> Bradamante, eroina cantata da Ludovico<br />

Ariosto.<br />

I tre <strong>romanzi</strong> sono ambientati in un passato remoto, trasfigurato in termini fantastici. Il visconte<br />

<strong>di</strong>mezzato, il cui protagonista è Medardo <strong>di</strong> Terralba, <strong>di</strong>viso in due parti in seguito a un duello<br />

con i Turchi, intorno alla metà <strong>del</strong> XVIII secolo. Il messaggio <strong>del</strong> romanzo è che, attraverso<br />

la <strong>di</strong>visione in due parti, il cosiddetto <strong>di</strong>mezzamento, è possibile conoscere meglio il mondo,<br />

grazie ad una maggiore consapevolezza derivata alla fine dalla riunificazione <strong>del</strong>le parti stesse.<br />

Le vicende de Il barone rampante, il ligure Cosimo Piovasco <strong>di</strong> Rondò, costretto a condurre la<br />

propria esistenza sugli alberi, si svolgono pure nel Settecento. L’autore vuole comunicare, attraverso<br />

le avventure <strong>del</strong> protagonista, il concetto <strong>del</strong>l’ironico <strong>di</strong>stacco <strong>del</strong>l’intellettuale, nonostante<br />

la partecipazione alla storia e alla vita <strong>del</strong> suo tempo. Il cavaliere inesistente Agilulfo, che<br />

vive solo <strong>del</strong>la sua armatura, è un ufficiale <strong>del</strong>l’esercito <strong>di</strong> Carlo Magno. La narrazione comunica<br />

un messaggio pessimistico: la pura razionalità, <strong>del</strong> tutto priva <strong>di</strong> ogni riferimento fisico,<br />

non è in grado <strong>di</strong> commisurarsi con i fatti <strong>del</strong>la vita, con la realtà esterna.<br />

Così l’autore nella Nota 1960 alla trilogia, commentava la sua opera:<br />

Siete padroni <strong>di</strong> interpretare come volete queste tre storie e non dovete sentirvi vincolati dalla deposizione<br />

che ora ho reso <strong>del</strong>la loro genesi. Ho voluto farne una trilogia <strong>di</strong> esperienze sul come<br />

realizzarsi come esseri umani: ne Il Cavaliere inesistente la conquista <strong>del</strong>l’essere, ne Il Visconte <strong>di</strong>mezzato<br />

l’aspirazione a una completezza al <strong>di</strong> la <strong>del</strong>le mutilazioni imposte dalla società, ne Il Barone<br />

rampante una via verso una completezza non in<strong>di</strong>vidualistica da raggiungere attraverso la fe<strong>del</strong>tà<br />

ad un’autodeterminazione in<strong>di</strong>viduale: tre gra<strong>di</strong> d’approccio alla libertà. E nello stesso tempo<br />

ho voluto che fossero tre storie, come si <strong>di</strong>ce, aperte, che innanzitutto stiano in pie<strong>di</strong> come<br />

storie, per la logica <strong>del</strong> succedersi <strong>del</strong>le loro immagini, ma che comincino la loro vera vita nell’impreve<strong>di</strong>bile<br />

gioco d’interrogazioni e risposte suscitate nel lettore. Vorrei che potessero essere<br />

guardate come un albero genealogico degli antenati <strong>del</strong>l’uomo contemporaneo, in cui ogni volto<br />

cela qualche tratto <strong>del</strong>le persone intorno, <strong>di</strong> voi, <strong>di</strong> me stesso.<br />

2<br />

LEGGERE ROMANZI: PAGINE DI INVITO ALLA LETTURA<br />

© ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS


Il gioco degli opposti:<br />

Agilulfo e Gurdulù<br />

Inizio poetico, che<br />

definisce un notturno<br />

illuminato dalla luna.<br />

Il comportamento <strong>di</strong><br />

Agilulfo si definisce<br />

per la sua instabilità<br />

e per la sua eccezionalità.<br />

Egli non riposa come<br />

gli uomini normali.<br />

Ora la notte si fa<br />

piattamente realistica,<br />

nella prospettiva <strong>di</strong><br />

Agilulfo, che la osserva<br />

nei suoi aspetti meno<br />

poetici.<br />

Il personaggio è<br />

combattuto tra due<br />

opposti sentimenti,<br />

riguardo la sua<br />

situazione eccezionale.<br />

Aspetti poco eleganti<br />

derivanti dall’avere<br />

un corpo…<br />

1. sui due campi avversi: il campo cristiano<br />

e quello dei mori, <strong>di</strong> religione musulmana.<br />

Le stelle e la luna scorrono silenziose sui due campi avversi 1 . In nessun posto si<br />

dorme bene come nell’esercito. Solo ad Agilulfo questo sollievo non era dato.<br />

Nell’armatura bianca, imbardata <strong>di</strong> tutto punto, sotto la sua tenda, una <strong>del</strong>le più<br />

or<strong>di</strong>nate e confortevoli <strong>del</strong> campo cristiano, provava a tenersi supino, e continuava<br />

a pensare: non i pensieri oziosi e <strong>di</strong>vaganti <strong>di</strong> chi sta per prender sonno,<br />

ma sempre ragionamenti determinati ed esatti.<br />

Dopo poco si sollevava su <strong>di</strong> un gomito: sentiva il bisogno d’applicarsi a una<br />

qualsiasi occupazione manuale, come il lucidare la spada, che già era ben<br />

splendente, o l’ungere <strong>di</strong> grasso i giunti <strong>del</strong>l’armatura. Non durava a lungo: ecco<br />

che già s’alzava, ecco che usciva dalla tenda, imbracciando lancia e scudo, e<br />

la sua ombra biancheggiante trascorreva per l’accampamento. Dalle tende a co-<br />

no si levava il concerto dei pesanti respiri degli addormentati. Cosa fosse quel<br />

poter chiudere gli occhi, perdere coscienza <strong>di</strong> sé, affondare in un vuoto <strong>del</strong>le<br />

proprie ore, e poi svegliandosi ritrovarsi eguale a prima, a riannodare i fili <strong>del</strong>la<br />

propria vita, Agilulfo non lo poteva sapere, e la sua invi<strong>di</strong>a per la facoltà <strong>di</strong> dormire<br />

propria <strong>del</strong>le persone esistenti era un’invi<strong>di</strong>a vaga, come <strong>di</strong> qualcosa che<br />

non si sa nemmeno concepire. Lo colpiva e inquietava <strong>di</strong> più la vista dei pie<strong>di</strong><br />

ignu<strong>di</strong> che spuntavano qua e là dall’orlo <strong>del</strong>le tende, gli alluci verso l’alto: l’accampamento<br />

nel sonno era il regno dei corpi, una <strong>di</strong>stesa <strong>di</strong> vecchia carne <strong>di</strong><br />

Adamo 2 , esalante il vino bevuto e il sudore <strong>del</strong>la giornata guerresca; mentre sulla<br />

soglia dei pa<strong>di</strong>glioni 3 giacevano scomposte le vuote armature, che gli scu<strong>di</strong>eri<br />

e i famigli 4 avrebbero al mattino lustrato e messo a punto.<br />

Agilulfo passava, attento, nervoso, altero: il corpo <strong>del</strong>la gente che aveva un corpo<br />

gli dava sì un <strong>di</strong>sagio somigliante all’invi<strong>di</strong>a, ma anche una stretta che era<br />

d’orgoglio, <strong>di</strong> superiorità sdegnosa. Ecco i colleghi tanto nominati, i gloriosi pala<strong>di</strong>ni,<br />

che cos’erano? L’armatura, testimonianza <strong>del</strong> loro grado e nome, <strong>del</strong>le<br />

imprese compiute, <strong>del</strong>la potenza e <strong>del</strong> valore, eccola ridotta a un involucro, a<br />

una vuota ferraglia; e le persone lì a russare, la faccia schiacciata nel guanciale,<br />

un filo <strong>di</strong> bava giù dalle labbra aperte. Lui no, non era possibile scomporlo in<br />

pezzi, smembrarlo: era e restava a ogni momento <strong>del</strong> giorno e <strong>del</strong>la notte Agilulfo<br />

Emo Bertran<strong>di</strong>no dei Guil<strong>di</strong>verni e degli Altri <strong>di</strong> Corbentraz e Sura, armato<br />

cavaliere <strong>di</strong> Selimpia Citeriore e Fez il giorno tale, avente per la gloria <strong>del</strong>le armi<br />

cristiane compiuto le azioni tale e tale e tale, e assunto nell’esercito <strong>del</strong>l’imperatore<br />

Carlomagno il comando <strong>del</strong>le truppe tali e talaltre. E possessore <strong>del</strong>la<br />

più bella e can<strong>di</strong>da armatura <strong>di</strong> tutto il campo, inseparabile da lui. E ufficiale migliore<br />

<strong>di</strong> molti che pur menavano vanti così illustri; anzi, il migliore <strong>di</strong> tutti gli ufficiali.<br />

Eppure passeggiava infelice nella notte.<br />

2. vecchia carne <strong>di</strong> Adamo: sta per “corpi”.<br />

3. pa<strong>di</strong>glioni: capaci e ben organizzate ten-<br />

3<br />

LEGGERE ROMANZI: PAGINE DI INVITO ALLA LETTURA<br />

© ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS<br />

Da Il cavaliere inesistente<br />

Il testo è tratto dai capitoli II e III <strong>del</strong> romanzo Il cavaliere inesistente e gioca sulla antitesi tra due<br />

in<strong>di</strong>vidui che rappresentano nell’economia <strong>del</strong>la narrazione due situazioni entrambe paradossali:<br />

da una parte Agilulfo, il cavaliere costituito dalla sola armatura, privo <strong>di</strong> qualsiasi corporeità. Inesistente,<br />

dunque, ma pure ben consapevole <strong>di</strong> un suo particolare ruolo e capace <strong>di</strong> ritenersi superiore<br />

proprio per la sua particolarità. Dall’altro Gurdulù, pura materialità, che vive in quanto si<br />

identifica nelle cose che vede o che ode o che tocca, ma è <strong>del</strong> tutto inconsapevole <strong>di</strong> sé e <strong>del</strong> suo esistere.<br />

de da campo.<br />

4. famigli: servi.


Il suo dramma è quello<br />

<strong>di</strong> non riuscire ad<br />

instaurare un rapporto<br />

normale con gli uomini.<br />

Si vede condannato<br />

alla solitu<strong>di</strong>ne.<br />

Egli vive ridotto alle<br />

sole <strong>di</strong>mensioni <strong>del</strong>la<br />

coscienza e <strong>del</strong>la<br />

volontà.<br />

Le sue attività si<br />

riferiscono ad un<br />

mo<strong>del</strong>lo razionale,<br />

come il contare o il<br />

catalogare in forme<br />

geometriche svariati<br />

oggetti.<br />

Emerge<br />

imme<strong>di</strong>atamente la<br />

<strong>di</strong>fferenza nel<br />

comportamento tra<br />

i due esseri.<br />

[…]<br />

La più piccola manchevolezza nel servizio dava ad Agilulfo la smania <strong>di</strong> controllar<br />

tutto, <strong>di</strong> trovare altri errori e negligenze nell’operato altrui, la sofferenza acuta<br />

per ciò che è fatto male, fuori posto... Ma non essendo nei suoi compiti eseguire<br />

un’ispezione <strong>del</strong> genere a quell’ora, anche il suo contegno sarebbe stato<br />

da considerare fuori posto, ad<strong>di</strong>rittura in<strong>di</strong>sciplinato. Agilulfo cercava <strong>di</strong> trattenersi,<br />

<strong>di</strong> limitare il suo interesse a questioni particolari cui comunque l’indomani<br />

gli sarebbe toccato accu<strong>di</strong>re, come l’or<strong>di</strong>namento <strong>di</strong> certe rastrelliere 5 dove si<br />

conservano le lance, o i <strong>di</strong>spositivi per tenere il fieno in secco... Ma la sua bianca<br />

ombra capitava sempre tra i pie<strong>di</strong> al capoposto, all’ufficiale <strong>di</strong> servizio, alla<br />

pattuglia che rovistava nella cantina cercando una damigianetta <strong>di</strong> vino avanzata<br />

dalla sera prima... Ogni volta, Agilulfo aveva un momento d’incertezza, se doveva<br />

comportarsi come chi sa imporre con la sola sua presenza il rispetto <strong>del</strong>l’autorità<br />

o come chi, trovandosi dove non ha ragione <strong>di</strong> trovarsi, fa un passo in<strong>di</strong>etro,<br />

<strong>di</strong>screto, e finge <strong>di</strong> non esserci. In questa incertezza, si fermava, pensieroso:<br />

e non riusciva a prendere né l’uno né l’altro atteggiamento; sentiva solo <strong>di</strong><br />

dar fasti<strong>di</strong>o a tutti e avrebbe voluto far qualcosa per entrare in un rapporto qualsiasi<br />

col prossimo, per esempio mettersi a gridare degli or<strong>di</strong>ni, degli improperi<br />

da caporale, o sghignazzare e <strong>di</strong>re parolacce come tra compagni d’osteria. Invece<br />

mormorava qualche parola <strong>di</strong> saluto malintelligibile 6 , con una timidezza mascherata<br />

da superbia, o una superbia corretta da timidezza, e passava avanti; ma<br />

ancora gli pareva che quelli gli avessero rivolto la parola, e si voltava appena <strong>di</strong>cendo:<br />

– Eh? – ma poi imme<strong>di</strong>atamente si convinceva che non era a lui che parlavano<br />

e andava via come scappasse.<br />

[…]<br />

Agilulfo, lui, aveva sempre bisogno <strong>di</strong> sentirsi <strong>di</strong> fronte le cose come un muro<br />

massiccio al quale contrapporre la tensione <strong>del</strong>la sua volontà, e solo così riusciva<br />

a mantenere una sicura coscienza <strong>di</strong> sé. Se invece il mondo intorno sfumava<br />

nell’incerto, nell’ambiguo, anch’egli si sentiva annegare in questa morbida penombra,<br />

non riusciva più a far affiorare dal vuoto un pensiero <strong>di</strong>stinto, uno scatto<br />

<strong>di</strong> decisione, un puntiglio. Stava male: erano quelli i momenti in cui si sentiva<br />

venir meno; alle volte solo a costo d’uno sforzo estremo riusciva a non <strong>di</strong>ssolversi.<br />

Allora si metteva a contare: foglie, pietre, lance, pigne, qualsiasi cosa<br />

avesse davanti. O a metterle in fila, a or<strong>di</strong>narie in quadrati o in pirami<strong>di</strong>. L’applicarsi<br />

a queste esatte occupazioni gli permetteva <strong>di</strong> vincere il malessere, d’assorbire<br />

la scontentezza, l’inquietu<strong>di</strong>ne e il marasma, e <strong>di</strong> riprendere la luci<strong>di</strong>tà e<br />

compostezza abituali.<br />

[…]<br />

Carlomagno era ancora quello che provava più curiosità per tutte le specie <strong>di</strong> cose<br />

che si vedevano in giro.<br />

– Uh, le anatre, le anatre! – esclamava. Ne andava, per i prati lungo la strada,<br />

un branco. In mezzo a quelle anatre, era un uomo, ma non si capiva cosa <strong>di</strong>avolo<br />

facesse: camminava accoccolato, le mani <strong>di</strong>etro la schiena, alzando i pie<strong>di</strong><br />

<strong>di</strong> piatto come un palmipede, col collo teso, e <strong>di</strong>cendo: Quà... quà... quà... Le<br />

anatre non gli badavano nemmeno, come se lo riconoscessero per uno <strong>di</strong> loro.<br />

E a <strong>di</strong>re il vero, tra l’uomo e le anatre lo sguardo non faceva gran <strong>di</strong>stacco, perché<br />

la roba che aveva indosso l’uomo, d’un colore bruno terroso (pareva messa<br />

insieme, in gran parte, con pezzi <strong>di</strong> sacco), presentava larghe zone d’un grigio<br />

verdastro preciso alle loro penne, e in più c’erano toppe e bran<strong>del</strong>li e macchie<br />

dei più vari colori, come le striature iridate <strong>di</strong> quei volatili.<br />

– Ehi, tu, ti par questa la maniera d’inchinarti all’imperatore? – gli gridarono i pala<strong>di</strong>ni,<br />

sempre pronti a grattar rogne<br />

5. rastrelliere: sostegni per lo più in legno. 6. malintelligibile: incomprensibile.<br />

4<br />

LEGGERE ROMANZI: PAGINE DI INVITO ALLA LETTURA<br />

© ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS


Gurdulù non ha<br />

coscienza <strong>del</strong>la<br />

propria identità e<br />

assume quella degli<br />

animali o <strong>del</strong>le<br />

cose che incontra.<br />

Nemmeno il suo<br />

nome è fisso, ma<br />

cambia a seconda<br />

<strong>di</strong> chi parla <strong>di</strong> lui.<br />

E nemmeno ha <strong>del</strong>le<br />

chiare origini.<br />

7. frullarono su a volo: si alzarono in volo.<br />

L’uomo non si voltò, ma le anatre, spaventate da quelle voci, frullarono su a volo<br />

7 tutte insieme. L’uomo tardò un momento a guardarle levarsi, naso all’aria,<br />

poi aperse le braccia, spiccò un salto, e così spiccando salti e starnazzando con<br />

le braccia spalancate da cui pendevano frange <strong>di</strong> sbrin<strong>del</strong>lature, dando in risate<br />

e in “Quàaa! Quàaa!” pieni <strong>di</strong> gioia, cercava <strong>di</strong> seguire il branco.<br />

C’era uno stagno. Le anatre volando andarono a posarsi lì a fior d’acqua e, leggere,<br />

ad ali chiuse, filarono via nuotando. L’uomo, allo stagno, si buttò sull’acqua<br />

giù dì pancia, sollevò enormi spruzzi, s’agitò con gesti incomposti, provò ancora<br />

un “Quà! Quà!” che finì in un gorgoglio perché stava andando a fondo, riemerse,<br />

provò a nuotare, riaffondò.<br />

– Ma è il guar<strong>di</strong>ano <strong>del</strong>le anatre, quello? – chiesero i guerrieri a una conta<strong>di</strong>notta<br />

che se ne veniva con una canna in mano.<br />

– No, le anatre le guardo io, son mie, lui non c’entra, è Gurdulù... – <strong>di</strong>sse la conta<strong>di</strong>notta.<br />

– E che faceva con le tue anatre?<br />

– Oh niente, ogni tanto gli piglia così, le vede, si sbaglia, crede d’esser lui... –<br />

Crede d’essere anatra anche lui?<br />

– Crede d’essere lui le anatre... Sapete com’è fatto Gurdulù: non sta attento... –<br />

Ma dov’è andato, adesso?<br />

I pala<strong>di</strong>ni s’avvicinarono allo stagno. Gurdulù non si vedeva. Le anatre, traversato<br />

lo specchio d’acqua, avevano ripreso il cammino tra l’erba con i loro passi palmati.<br />

Attorno allo stagno, dalle felci, si levava un coro <strong>di</strong> rane. L’uomo tirò fuori la testa<br />

dall’acqua tutt’a un tratto, come ricordandosi in quel momento che doveva<br />

respirare. Si guardò smarrito, come non comprendendo cosa fosse quel bordo<br />

<strong>di</strong> felci che si specchiavano nell’acqua a un palmo dal suo naso. Su ogni foglia<br />

<strong>di</strong> felce era seduta una piccola bestia verde, liscia liscia, che lo guardava e faceva<br />

con tutta la sua forza: – Gra! Gra! Gra!<br />

– Gra! Gra! Gra! – rispose Gurdulù, contento, e alla sua voce da tutte le felci era<br />

un saltar giù <strong>di</strong> rane in acqua e dall’acqua un saltar <strong>di</strong> rane a riva, e Gurdulù gridando:<br />

– Gra! – spiccò un salto anche lui, fu a riva, fra<strong>di</strong>cio e fangoso dalla testa<br />

ai pie<strong>di</strong>, s’accoccolò come una rana, e gridò un – Gra! – così forte che in uno<br />

schianto <strong>di</strong> canne ed erbe ricadde nello stagno.<br />

– Ma non ci annega? – chiesero i pala<strong>di</strong>ni a un pescatore.<br />

– Eh, alle volte Omobò si <strong>di</strong>mentica, si perde... Annegare no... II guaio è quando<br />

finisce nella rete con i pesci... Un giorno gli è successo mentre s’era messo<br />

lui a pescare... Butta in acqua la rete, vede un pesce che è lì li per entrarci, e<br />

s’immedesima tanto <strong>di</strong> quel pesce che si tuffa in acqua ed entra nella rete lui...<br />

Sapete com’è, Omobò...<br />

– Omobò? Ma non si chiama Gurdulù?<br />

– Omobò, lo chiamiamo noi.<br />

Ma quella ragazza...<br />

– Ah, quella non è <strong>del</strong> mio paese, può darsi che al suo lo chiamino così.<br />

– E lui <strong>di</strong> che paese è?<br />

– Be’, gira...<br />

La cavalcata fiancheggiava un frutteto <strong>di</strong> peri. I frutti erano maturi. Con le lance<br />

i guerrieri infilzavano pere, le facevano sparire nel becco degli elmi, poi sputavano<br />

i torsoli.<br />

In fila in mezzo ai peri, chi vedono? Gurdulù-Omobò. Stava con le braccia alzate<br />

tutte contorte, come rami, e nelle mani e in bocca e sulla testa e negli strappi<br />

<strong>del</strong> vestito aveva pere.<br />

– Guardalo che fa il pero! – <strong>di</strong>ceva Carlomagno, ilare.<br />

5<br />

LEGGERE ROMANZI: PAGINE DI INVITO ALLA LETTURA<br />

© ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS


Uno che non è<br />

consapevole <strong>di</strong> sé.<br />

L’imperatore ha<br />

compreso bene la<br />

relazione tra i due.<br />

Il nuovo personaggio<br />

si identifica con gli<br />

esseri che incontra…<br />

Gurdulù ora si è<br />

identificato con chi<br />

detiene potere e<br />

autorità, che non<br />

sa più riconoscere<br />

come imperatore.<br />

8. moreschi: arabi.<br />

– Ora lo scuoto! – <strong>di</strong>sse Orlando, e gli menò una botta.<br />

Gurdulù lasciò cadere le pere tutte insieme, che rotolarono per il prato in declivio<br />

e vedendole rotolare non seppe trattenersi dal rotolare anche lui come una<br />

pera per i prati e sparì così alla loro vista.<br />

– Vostra maestà lo perdoni! – <strong>di</strong>sse un vecchio ortolano. – Martinzùl non capisce<br />

alle volte che il suo posto non è tra le piante o tra i frutti inanimati, ma tra i<br />

devoti sud<strong>di</strong>ti <strong>di</strong> vostra maestà!<br />

– Ma cos’è che gli gira, a questo matto che voi chiamate Martinzùl? – chiese, bonario,<br />

il nostro imperatore. – Mi pare che non sa manco cosa gli passa nella crapa!<br />

– Che possiamo capirne noi, maestà? – Il vecchio ortolano parlava con la modesta<br />

saggezza <strong>di</strong> chi ne ha viste tante. – Matto forse non lo si può <strong>di</strong>re: è soltanto<br />

uno che c’è ma non sa d’esserci.<br />

– O bella! Questo sud<strong>di</strong>to qui che c’è ma non sa d’esserci e quel mio pala<strong>di</strong>no<br />

là che sa d’esserci e invece non c’è. Fanno un bel paio, ve lo <strong>di</strong>co io!<br />

Di stare in sella, Carlomagno era ormai stanco. Appoggiandosi ai suoi staffieri,<br />

ansando nella barba, bofonchiando: – Povera Francia! – smontò. Come a un segnale,<br />

appena l’imperatore ebbe messo piede a terra, tutto l’esercito si fermò e<br />

allestì un bivacco. Misero su le marmitte per il rancio.<br />

– Portatemi qui quel Gurgur... Come si chiama? – fece il re.<br />

– A seconda dei paesi che attraversa – <strong>di</strong>sse il saggio ortolano – e degli eserciti<br />

cristiani o infe<strong>del</strong>i cui s’accoda, lo chiamano Gurdurù o Gu<strong>di</strong>-Ussuf o Ben-Va<br />

Ussuf o Ben-Stanbùl o Pestanzùl o Bertinzùl o Martinbon o Omobon o Omobestia<br />

oppure anche il Brutto <strong>del</strong> Vallone o Gian Paciasso o Pier Paciugo. Può capitare<br />

che in una cascina sperduta gli <strong>di</strong>ano un nome <strong>del</strong> tutto <strong>di</strong>verso dagli altri;<br />

ho poi notato che dappertutto i suoi nomi cambiano da una stagione all’altra.<br />

Si <strong>di</strong>rebbe che i nomi gli scorrano addosso senza mai riuscire ad appiccicarglisi.<br />

Per lui, tanto, comunque lo si chiami è lo stesso. Chiamate lui e lui crede<br />

che chiamiate una capra; <strong>di</strong>te “formaggio” o “torrente” e lui risponde: “Sono<br />

qui”.<br />

Due pala<strong>di</strong>ni – Sansonetto e Dudone – venivano avanti trascinando <strong>di</strong> peso Gurdulù<br />

come fosse un sacco. Lo misero in pie<strong>di</strong> a spintoni davanti a Carlomagno.<br />

– Scopriti il capo, bestia! Non ve<strong>di</strong> che sei davanti al re!<br />

La faccia <strong>di</strong> Gurdulù s’illuminò; era una larga faccia accaldata in cui si mischiavano<br />

caratteri franchi e moreschi 8 : una picchiettatura <strong>di</strong> efeli<strong>di</strong> rosse su una pelle<br />

olivastra; occhi celesti liqui<strong>di</strong> venati <strong>di</strong> sangue sopra un naso camuso e una<br />

boccaccia dalle labbra tumide, pelo bion<strong>di</strong>ccio ma crespo e una barba ispida a<br />

chiazze. E in mezzo a questo pelo, impigliati, ricci <strong>di</strong> castagna e spighe d’avena.<br />

Cominciò a prosternarsi in riverenze e a parlare fitto fitto. Quei nobili signori,<br />

che finora l’avevano sentito emettere solo versi d’animali, si stupirono. Parlava<br />

molto in fretta, mangiandosi le parole e ingarbugliandosi; alle volte sembrava<br />

passare senz’interruzione da un <strong>di</strong>aletto all’altro e pure da una lingua all’altra,<br />

sia cristiana che mora. Tra parole che non si capivano e spropositi, il suo <strong>di</strong>scorso<br />

era pressappoco questo: – Tocco il naso con la terra, casco in pie<strong>di</strong> ai vostri ginocchi,<br />

mi <strong>di</strong>chiaro augusto servitore <strong>del</strong>la vostra umilissima maestà, comandatevi<br />

e mi obbe<strong>di</strong>rò! – Brandì un cucchiaio che portava legato alla cintura. –... E<br />

quando la maestà vostra <strong>di</strong>ce: “Or<strong>di</strong>no comando e voglio”, e fa così con lo scettro,<br />

così con lo scettro come faccio io, vedete?, e grida così come grido io: “Or<strong>di</strong>nOOO<br />

comandOOO e vogliOOO!” voialtri tutti sud<strong>di</strong>ti cani dovete obbe<strong>di</strong>rmi<br />

se no vi faccio impalare e tu per primo lì con quella barba e quella faccia da<br />

vecchio rimbambito!<br />

6<br />

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– Debbo tagliargli la testa <strong>di</strong> netto, sire? – chiese Orlando, e già snudava.<br />

– Impetro grazia per lui, maestà – <strong>di</strong>sse l’ortolano. – È stata una <strong>del</strong>le sue sviste<br />

solite: parlando al re s’è confuso e non s’è più ricordato se il re era lui o quello<br />

a cui parlava.<br />

Dalle marmitte fumanti veniva odor <strong>di</strong> rancio.<br />

– Dategli una gavettata <strong>di</strong> zuppa! – <strong>di</strong>sse, clemente, Carlomagno.<br />

Con smorfie, inchini e incomprensibili <strong>di</strong>scorsi, Gurdulù si ritirò sotto un albero<br />

a mangiare.<br />

[…]<br />

Stava cacciando il capo dentro alla gavetta posata in terra, come volesse entrarci<br />

dentro. Il buon ortolano andò a scuoterlo per una spalla. – Quando la vuoi capire,<br />

Martinzùl, che sei tu che devi mangiare la zuppa e non la zuppa che deve<br />

mangiare te! Non ti ricor<strong>di</strong>? Devi portartela alla bocca col cucchiaio...<br />

Gurdulù cominciò a cacciarsi in bocca cucchiaiate, avido. Avventava il cucchiaio<br />

con tanta foga che alle volte sbagliava mira. Nell’albero al cui piede era seduto<br />

s’apriva una cavità, proprio all’altezza <strong>del</strong>la sua testa. Gurdulù prese a buttare<br />

cucchiaiate <strong>di</strong> zuppa nel cavo <strong>del</strong> tronco.<br />

– Non è la tua bocca, quella! È <strong>del</strong>l’albero!<br />

Agilulfo aveva seguito fin da principio con un’attenzione mista a turbamento le<br />

mosse <strong>di</strong> questo corpaccione carnoso, che pareva rotolarsi in mezzo alle cose<br />

esistenti sod<strong>di</strong>sfatto come un puledro che vuol grattarsi la schiena; e ne provava<br />

una specie <strong>di</strong> vertigine.<br />

– Cavalier Agilulfo! – fece Carlomagno. –- Sapete cosa vi <strong>di</strong>co? Vi assegno quell’uomo<br />

lì come scu<strong>di</strong>ero! Eh? Neh che è una bella idea?<br />

I pala<strong>di</strong>ni, ironici, ghignavano. Agilulfo che invece prendeva sul serio tutto (e tanto<br />

più un espresso or<strong>di</strong>ne imperiale!), si rivolse al nuovo scu<strong>di</strong>ero per impartirgli<br />

i primi coman<strong>di</strong>, ma Gurdulù, trangugiata la zuppa, era caduto addormentato all’ombra<br />

<strong>di</strong> quell’albero. Steso nell’erba, russava a bocca aperta, e petto stomaco<br />

e ventre s’alzavano e abbassavano come il mantice d’un fabbro.<br />

7<br />

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da Il cavaliere inesistente, Einau<strong>di</strong>, Torino


Riflessioni e analisi<br />

Coscienza<br />

e volontà<br />

vs corpo<br />

Le tesi<br />

<strong>del</strong> racconto<br />

filosofico<br />

Esercizi<br />

1<br />

2<br />

3<br />

Nel passo letto, Calvino sviluppa il tema degli opposti, proponendoci due casi<br />

umani agli antipo<strong>di</strong>: da una parte il protagonista, Agilulfo, il pala<strong>di</strong>no che<br />

non ha corpo ma si configura unicamente come coscienza e volontà; dall’altra<br />

Gurdulù, l’essere tutto corpo, che non sa <strong>di</strong> esistere e che non conosce nemmeno<br />

la propria identità, al punto che <strong>di</strong> volta in volta si identifica con le anatre,<br />

le rane, le pere, il rancio… o con lo stesso imperatore Carlomagno, assumendone<br />

il ruolo e non riconoscendolo, anche se gli sta <strong>di</strong> fronte.<br />

Le due situazioni paradossali offrono all’autore spunti <strong>di</strong> particolare interesse per<br />

lo sviluppo <strong>del</strong>la narrazione. Infatti, il passo si apre su un notturno poetico, in<br />

cui la luna e le stelle illuminano gli accampamenti addormentati. Ma proprio il<br />

particolare punto <strong>di</strong> vista <strong>di</strong> Agilulfo, che non può dormire perché non gli è concesso<br />

<strong>di</strong> interrompere neppure per un istante il suo stato <strong>di</strong> coscienza, apre il ritmo<br />

narrativo a soluzioni comiche. Egli osserva gli altri – <strong>di</strong>versi da lui – con invi<strong>di</strong>a,<br />

ma anche con un certo senso <strong>di</strong> superiorità… Così gli eroici pala<strong>di</strong>ni che<br />

combattono valorosamente durante il giorno, piombati in un sonno profondo, assumono<br />

la sembianza <strong>di</strong> sagome goffe, quasi animalesche.<br />

La presenza nel campo cristiano <strong>di</strong> Gurdulù, incapace <strong>di</strong> leggere la realtà esterna<br />

in quanto privo <strong>del</strong>la consapevolezza <strong>di</strong> sé, sviluppa il comico equivoco <strong>del</strong>l’identificazione<br />

<strong>di</strong> Carlomagno in un vecchio che ha ormai perduto il senno: e<br />

tu per primo lì con quella barba e quella faccia da vecchio rimbambito!<br />

Il particolare ritmo <strong>del</strong> passo, avvincente, coinvolge il lettore anche al <strong>di</strong> là <strong>di</strong><br />

schematismi rigi<strong>di</strong> <strong>del</strong>la sua struttura.<br />

Se si riflette attentamente sul significato profondo <strong>del</strong>la trilogia I nostri antenati,<br />

si può cogliere che l’autore ha voluto attribuire ai personaggi rappresentati e alle<br />

situazioni narrate un senso profondo, collegabile alla società e alla cultura contemporanee.<br />

Così Agilulfo, puro pensiero slegato dal corpo, riflette l’infelicità,<br />

l’irrequietu<strong>di</strong>ne e l’insod<strong>di</strong>sfazione che tale situazione provoca. Alcuni<br />

critici, inoltre, hanno visto nel personaggio, necessariamente collegato alla sua<br />

armatura, senza la quale non esiste, l’uomo contemporaneo, identificato nello<br />

stesso ruolo e incapace <strong>di</strong> realizzare una <strong>di</strong>mensione esistenziale completa. Gurdulù,<br />

d’altra parte, pura materia, non illuminata né dal pensiero né dalla coscienza,<br />

è allegoria <strong>del</strong>l’annullamento <strong>di</strong> sé e <strong>del</strong>la stessa <strong>di</strong>gnità umana<br />

che una tale situazione – paragonabile metaforicamente al materialismo <strong>del</strong>la società<br />

<strong>del</strong> secondo dopoguerra – comporta. È saggio allora il comportamento <strong>di</strong><br />

Carlo Magno, che decide <strong>di</strong> affidare ad Agilulfo Gurdulù come scu<strong>di</strong>ero: ciò significa<br />

che la <strong>di</strong>mensione umana si completa nei due versanti <strong>di</strong> materia e coscienza,<br />

che devono essere fusi e ben sintetizzati tra loro.<br />

Rispon<strong>di</strong> alle seguenti domande, che verificano se hai compreso il testo, anche in relazione<br />

agli apparati che lo completano.<br />

a. In quale periodo viene ambientato il romanzo?<br />

b.Quali sono i personaggi che agiscono in queste <strong>pagine</strong>?<br />

c. In che senso possono considerarsi opposti?<br />

Rintraccia nel testo <strong>alcune</strong> espressioni che ti sembrano significative per definire il personaggio<br />

<strong>di</strong> Agilulfo e il suo comportamento. Riportale sul tuo quaderno e preparati ad<br />

esporre oralmente un ritratto <strong>del</strong> personaggio.<br />

Fa’ la stessa cosa per il personaggio <strong>di</strong> Gurdulù.<br />

8<br />

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Chi è Cosimo?<br />

Ricor<strong>di</strong>amo che<br />

egli vive sugli alberi.<br />

Elemento importante<br />

per definire la sua<br />

concezione <strong>del</strong>la vita.<br />

Parte decisamente<br />

poetica, nella<br />

descrizione<br />

personificata degli<br />

elementi naturalistici.<br />

1. Abate: si tratta <strong>del</strong>l’abate Fauchelafleur,<br />

precettore <strong>del</strong> “barone rampante”.<br />

2. Enciclope<strong>di</strong>a: famosa opera collettiva<br />

<strong>del</strong>l’Illuminismo francese, che ridefiniva tutta<br />

la cultura alla luce <strong>del</strong>la ragione.<br />

3. Diderot e D’Alembert: due gran<strong>di</strong> filo-<br />

L’arresto <strong>del</strong>l’Abate 1 non portò alcun pregiu<strong>di</strong>zio ai progressi <strong>del</strong>l’educazione <strong>di</strong><br />

Cosimo. È da quell’epoca che data la sua corrispondenza epistolare con i maggiori<br />

filosofi e scienziati d’Europa, cui egli si rivolgeva perché gli risolvessero quesiti<br />

e obiezioni, o anche solo per il piacere <strong>di</strong> <strong>di</strong>scutere cogli spiriti migliori e in<br />

pari tempo esercitarsi nelle lingue straniere. Peccato che tutte le sue carte, che<br />

egli riponeva in cavità d’alberi a lui solo note, non si siano mai ritrovate, e certo<br />

saranno finite rose dagli scoiattoli o ammuffite; vi si troverebbero lettere scritte<br />

<strong>di</strong> pugno dai più famosi sapienti <strong>del</strong> secolo.<br />

Per tenere i libri, Cosimo costruì a più riprese <strong>del</strong>le specie <strong>di</strong> biblioteche pensili,<br />

riparate alla meglio dalla pioggia e dai ro<strong>di</strong>tori, ma cambiava loro continuamente<br />

<strong>di</strong> posto, secondo gli stu<strong>di</strong> e i gusti <strong>del</strong> momento, perché egli considerava<br />

i libri un po’ come degli uccelli e non voleva vederli fermi o ingabbiati, se no<br />

<strong>di</strong>ceva che intristivano. Sul più massiccio <strong>di</strong> questi scaffali aerei allineava i tomi<br />

<strong>del</strong>l’Enciclope<strong>di</strong>a 2 <strong>di</strong> Diderot e D’Alembert 3 man mano che gli arrivavano da un<br />

libraio <strong>di</strong> Livorno. E se negli ultimi tempi a forza <strong>di</strong> stare in mezzo ai libri era rimasto<br />

un po’ con la testa nelle nuvole, sempre meno interessato <strong>del</strong> mondo intorno<br />

a lui, ora invece la lettura <strong>del</strong>l’Enciclope<strong>di</strong>a, certe bellissime voci come<br />

Abeille, Arbre, Bois, Jar<strong>di</strong>n 4 gli facevano riscoprire tutte le cose intorno come<br />

nuove. Tra i libri che si faceva arrivare, cominciarono a figurare anche manuali<br />

d’arti e mestieri, per esempio, d’arboricoltura, e non vedeva l’ora <strong>di</strong> sperimentare<br />

le nuove cognizioni.<br />

A Cosimo era sempre piaciuto stare a guardare la gente che lavora, ma finora la<br />

sua vita sugli alberi, i suoi spostamenti e le sue cacce avevano sempre risposto a<br />

estri isolati e ingiustificati, come fosse un uccelletto. Ora invece lo prese il bisogno<br />

<strong>di</strong> far qualcosa <strong>di</strong> utile al suo prossimo. E anche questa, a ben vedere, era<br />

una cosa che aveva imparato nella sua frequentazione <strong>del</strong> brigante 5 ; il piacere<br />

<strong>di</strong> rendersi utile, <strong>di</strong> svolgere un servizio in<strong>di</strong>spensabile per gli altri.<br />

Imparò l’arte <strong>di</strong> potare gli alberi, e offriva la sua opera ai coltivatori <strong>di</strong> frutteti,<br />

l’inverno, quando gli alberi protendono irregolari labirinti <strong>di</strong> stecchi e pare non<br />

desiderino che d’essere ridotti in forme più or<strong>di</strong>nate per coprirsi <strong>di</strong> fiori e foglie<br />

e frutti. Cosimo potava bene e chiedeva poco: così non c’era piccolo proprietario<br />

o fittavolo che non gli chiedesse <strong>di</strong> passare da lui, e lo si vedeva, nell’aria cristallina<br />

<strong>di</strong> quelle mattine, ritto a gambe larghe sui bassi alberi nu<strong>di</strong>, il collo avvoltolato<br />

in una sciarpa fino alle orecchie, alzare la cesoia e, zac! zac!, a colpi si-<br />

dofi <strong>del</strong>l’Illuminismo, tra i maggiori collaboratori<br />

<strong>del</strong>l’Enciclope<strong>di</strong>a.<br />

4. Abeille, Arbre, Bois, Jar<strong>di</strong>n: Ape, Albero,<br />

Bosco, Giar<strong>di</strong>no.<br />

5. brigante: si tratta <strong>di</strong> Gian dei Brughi, un<br />

brigante che il nostro personaggio aveva<br />

9<br />

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Da Il barone rampante<br />

Il romanzo Il barone rampante è ambientato nel Settecento illuminista. La voce narrante è il fratello<br />

<strong>di</strong> Cosimo, Biagio. Cosimo, il Barone <strong>di</strong> Rondò, all’età <strong>di</strong> do<strong>di</strong>ci anni abbandona la <strong>di</strong>mora<br />

familiare per andare a vivere sugli alberi. Conserva però i contatti con la sua famiglia e con l’Abate<br />

suo precettore. Anzi, il rapporto con quest’ultimo si inverte: sarà infatti Cosimo a eru<strong>di</strong>re l’Abate<br />

attraverso la lettura dei filosofi illuministi.<br />

Ma chi è veramente Cosimo? Nel passo che segue vengono messi in luce alcuni tratti <strong>del</strong> suo comportamento,<br />

le sue inclinazioni, elementi per comprendere che cosa egli pensi <strong>del</strong>la vita.<br />

sottratto alla cattura da parte <strong>del</strong>le forze<br />

<strong>del</strong>l’or<strong>di</strong>ne e a cui aveva poi prestato alcuni<br />

libri. Il brigante aveva notevolmente influenzato<br />

Cosino nella scelta <strong>di</strong> buoni libri,<br />

orientandolo verso il mondo dei <strong>romanzi</strong><br />

settecenteschi.


Dato <strong>di</strong> carattere<br />

e <strong>di</strong> comportamento.<br />

Una piccola forma<br />

<strong>di</strong> egoismo.<br />

Riferimento all’attualità<br />

da parte <strong>del</strong>l’autore,<br />

ottimo conoscitore<br />

<strong>del</strong>l’ambiente ligure<br />

e <strong>del</strong> suo degrado.<br />

È Biagio, il fratello<br />

<strong>di</strong> Cosimo, che narra.<br />

Cioè, <strong>di</strong> Cosimo,<br />

il fratello.<br />

6. Ombrosa: paesino immaginario ove si<br />

trova la tenuta <strong>del</strong> Barone rampante.<br />

7. “L’homme sauvage... sur les arbres”:<br />

“L’uomo selvaggio <strong>di</strong> Ombrosa (Repubblica<br />

<strong>di</strong> Genova). Vive solo sugli alberi”.<br />

curi far volare via rametti secondari e punte. La stessa arte usava nei giar<strong>di</strong>ni, con<br />

le piante d’ombra e d’ornamento, armato d’una corta sega, e nei boschi, dove<br />

all’ascia dei taglialegna buona soltanto ad accozzare colpi al piede d’un tronco<br />

secolare per abbatterlo intero, cercò <strong>di</strong> sostituire la sua svelta accetta, che lavorava<br />

solo sui palchi e sulle cime.<br />

Insomma, l’amore per questo suo elemento arboreo seppe farlo <strong>di</strong>ventare, com’è<br />

<strong>di</strong> tutti gli amori veri, anche spietato e doloroso, che ferisce e recide per far<br />

crescere e dar forma. Certo, egli badava sempre, potando e <strong>di</strong>sboscando, a servire<br />

non solo l’interesse <strong>del</strong> proprietario <strong>del</strong>la pianta, ma anche il suo, <strong>di</strong> viandante<br />

che ha bisogno <strong>di</strong> rendere meglio praticabili le sue strade; perciò faceva<br />

in modo che i rami che gli servivano da ponte tra una pianta e l’altra fossero<br />

sempre salvati, e ricevessero forza dalla soppressione degli altri. Così, questa natura<br />

d’Ombrosa 6 ch’egli aveva trovato già tanto benigna, con la sua arte contribuiva<br />

a farla vieppiù a lui favorevole, amico a un tempo <strong>del</strong> prossimo, <strong>del</strong>la natura<br />

e <strong>di</strong> se medesimo. E i vantaggi <strong>di</strong> questo saggio operare godette soprattutto<br />

nell’età più tarda, quando la forma degli alberi sopperiva sempre <strong>di</strong> più alla sua<br />

per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> forze. Poi, bastò l’avvento <strong>di</strong> generazioni più scriteriate, d’imprevidente<br />

avi<strong>di</strong>tà, gente non amica <strong>di</strong> nulla, neppure <strong>di</strong> se stessa, e tutto ormai è<br />

cambiato, nessuno Cosimo potrà più incedere per gli alberi.<br />

Di quell’epoca io non posso <strong>di</strong>re molto, perché rimonta ad allora il mio primo<br />

viaggio per l’Europa. Avevo compiuto i ventun anni e potevo godere <strong>del</strong> patrimonio<br />

familiare come meglio m’aggradava, perché a mio fratello bastava poco,<br />

e non <strong>di</strong> più bastava a nostra madre, che poverina era andata negli ultimi tempi<br />

molto invecchiando. Mio fratello voleva firmarmi una carta d’usufruttuario <strong>di</strong><br />

tutti i beni, purché gli passassi un mensile, gli pagassi le tasse e tenessi un po’ in<br />

or<strong>di</strong>ne gli affari. Non avevo che da prendermi la <strong>di</strong>rezione dei poderi, scegliermi<br />

una sposa e già mi vedevo davanti quella vita regolata e pacifica, che nonostante<br />

i gran trambusti <strong>del</strong> trapasso <strong>di</strong> secolo mi riuscì <strong>di</strong> vivere davvero.<br />

Però, prima <strong>di</strong> cominciare, mi concessi un periodo <strong>di</strong> viaggi. Fui anche a Parigi,<br />

proprio in tempo per vedere le trionfali accoglienze tributate al Voltaire che vi<br />

tornava dopo molti anni per la rappresentazione d’una sua trage<strong>di</strong>a. Ma queste<br />

non sono le memorie <strong>del</strong>la mia vita, che non meriterebbero certo d’esser scritte;<br />

volevo solo <strong>di</strong>re come in tutto questo viaggio fui colpito dalla fama che s’era<br />

sparsa <strong>del</strong>l’uomo rampante d’Ombrosa, anche nelle nazioni straniere. Perfino su<br />

<strong>di</strong> un almanacco vi<strong>di</strong> una figura con sotto scritto: “L’homme sauvage d’Ombreuse<br />

(Rép. Génoise). Vit seulement sur les arbres” 7 . L’avevano rappresentato come<br />

un essere tutto ricoperto <strong>di</strong> lanugine, con una lunga barba ed una lunga coda, e<br />

mangiava una locusta 8 . Questa figura era nel capitolo dei mostri, tra l’Ermafro<strong>di</strong>to<br />

9 e la Sirena 10 .<br />

Di fronte a fantasie <strong>di</strong> questo genere, io <strong>di</strong> solito mi guardavo bene dal rivelare<br />

che l’uomo selvatico era mio fratello. Ma lo proclamai ben forte quando a Parigi<br />

fui invitato a un ricevimento in onore <strong>di</strong> Voltaire. Il vecchio filosofo se ne stava<br />

sulla sua poltrona, coccolato da uno stuolo <strong>di</strong> madame, allegro come una pasqua<br />

e maligno come un istrice. Quando seppe che venivo da Ombrosa, m’apostrofò:<br />

– C’est chez vous, mon cher Chevalier, qu’il y a ce fameux philosophe qui<br />

vit sur les arbres comme un singe? 11<br />

8. locusta: può essere sinonimo <strong>di</strong> cavalletta.<br />

9. Ermafro<strong>di</strong>to: essere mitologico, figlio <strong>di</strong><br />

Ermes e Afro<strong>di</strong>te, metà uomo e metà donna.<br />

10. Sirena: figura antropomorfa, metà pe-<br />

10<br />

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sce e metà donna.<br />

11. C’est chez vous... un singe?: è nel vostro<br />

paese, mio caro cavaliere, che abita<br />

quel famoso filosofo che vive sugli alberi come<br />

una scimmia?


Nel romanzo il tema<br />

<strong>del</strong>la <strong>di</strong>stanza è uno<br />

dei più ricorrenti<br />

e significativi.<br />

12. C’est mon frère... Rondeau: è mio fratello,<br />

Signore, il barone <strong>di</strong> Rondò.<br />

13. Mais... là-haut?: ma è per avvicinarsi al<br />

cielo che vostro fratello restà là in alto?<br />

14. Ja<strong>di</strong>s... Raison: un tempo era solo la<br />

E io, lusingato, non potei trattenermi dal rispondergli: – C’est mon frère, Monsieur,<br />

le Baron de Rondeau. 12<br />

Voltaire fu molto sorpreso, fors’anche perché il fratello <strong>di</strong> quel fenomeno appariva<br />

persona così normale, e si mise a farmi domande, come: – Mais c’est pour<br />

approcher du ciel, que votre frère reste là-haut? 13<br />

– Mio fratello sostiene, – risposi, – che chi vuole guardare bene la terra deve tenersi<br />

alla <strong>di</strong>stanza necessaria, – e il Voltaire apprezzò molto la risposta.<br />

– Ja<strong>di</strong>s, c’était seulement la Nature qui créait des phénomènes vivants, – concluse;<br />

– maintenant c’est la Raison 14 –. E il vecchio sapiente si rituffò nel chiacchiericcio<br />

<strong>del</strong>le sue pinzochere teiste 15 .<br />

Natura che creava dei fenomeni viventi…<br />

ora è la Ragione.<br />

15. pinzochere teiste: si tratta <strong>del</strong>le donne<br />

con cui sta <strong>di</strong>scutendo, che credono nel<br />

Teismo, cioè in una concezione secondo la<br />

11<br />

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da Il barone rampante, Mondadori, Milano, 1993<br />

quale Dio altro non sarebbe se non un’ipotesi<br />

formulata dalla ragione. Pinzochere significa<br />

“bigotte”.


Riflessioni e analisi<br />

Un<br />

personaggio<br />

a tutto tondo<br />

Un ironico<br />

affresco<br />

storico<br />

Il personaggio <strong>di</strong> Cosimo è senza dubbio interessante, così come lo è la rappresentazione<br />

che ne fornisce il narratore. L’interesse non va ricercato solo nella<br />

sua particolarità, guardare il mondo a <strong>di</strong>stanza, sempre sugli alberi, ma soprattutto<br />

per il ritratto che ce ne viene fornito. Esso – escludendo i caratteri fisici<br />

che nel passo non sono citati – risulta ben orientato a cogliere elementi <strong>del</strong><br />

carattere, <strong>del</strong>la personalità e <strong>del</strong>la concezione <strong>del</strong>la vita <strong>del</strong> personaggio. Inoltre,<br />

si integra con i dati che provengono da personaggi secondari, come l’illuminista<br />

Voltaire, che ha modo <strong>di</strong> incontrare il fratello Biagio e <strong>di</strong> <strong>di</strong>scutere con lui circa<br />

il particolare modo <strong>di</strong> vivere <strong>di</strong> Cosimo, attribuendolo ad una scelta operata in<br />

nome <strong>del</strong>la ragione, capace anche <strong>di</strong> superare la natura stessa. Fra i dati salienti<br />

<strong>del</strong>la personalità <strong>di</strong> Cosimo domina l’interesse per la lettura, scan<strong>di</strong>to dalla<br />

sua frequentazione <strong>del</strong>l’Enciclope<strong>di</strong>a, gelosamente custo<strong>di</strong>ta su mensole pensili.<br />

Caratterizza il personaggio anche un sano altruismo, che lo porta a considerare<br />

il fratello come erede dei beni paterni, tenendo per sé solo l’usufrutto; a lavorare<br />

per gli altri, de<strong>di</strong>candosi a quelle attività che gli sono più congeniali, come ad<br />

esempio la potatura degli alberi, facilitata dalla sua scelta <strong>di</strong> vivere appunto sospeso,<br />

a una certa altezza dal suolo, sui rami. Ma colpisce con simpatia l’aspetto<br />

minimamente utilitaristico <strong>del</strong> personaggio, che pensa <strong>di</strong> organizzare la<br />

potatura degli alberi anche in funzione dei suoi spostamenti, orientando la crescita<br />

<strong>del</strong>le fronde in modo da facilitarli.<br />

Sullo sfondo <strong>del</strong> racconto, si <strong>di</strong>stende un interessante affresco storico, che<br />

mette in luce aspetti peculiari <strong>del</strong>l’Illuminismo, corrente <strong>di</strong> pensiero <strong>del</strong> Settecento,<br />

sviluppatasi in tutta Europa, ma soprattutto in Francia. Domina il quadro<br />

il riferimento all’opera portante <strong>del</strong>la corrente illuminista, l’Enciclope<strong>di</strong>a, ai maggiori<br />

suoi esponenti, Diderot e D’Alembert, al grande Voltaire, sul quale sembra<br />

fermarsi la bonaria ironia <strong>del</strong>l’autore, che lo rappresenta coccolato da uno stuolo<br />

<strong>di</strong> madame. La parlata francese utilizzata nel testo rinvia anch’essa all’ambiente<br />

illuministico cui l’autore allude con tanta sapienza narrativa.<br />

12<br />

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Esercizi<br />

1<br />

2<br />

3<br />

4<br />

5<br />

6<br />

Chi narra le vicende <strong>del</strong> passo? Si può considerare solo come narratore o assume anche il<br />

ruolo <strong>di</strong> aiutante <strong>del</strong> protagonista?<br />

Come occupa il barone rampante le sue giornate?<br />

Quale rapporto stabilisce con i libri?<br />

In particolare, il fatto che si procuri da un libraio <strong>di</strong> Livorno i volumi <strong>del</strong>l’Enciclope<strong>di</strong>a che<br />

cosa determina nel suo comportamento riguardo la lettura?<br />

Per quale ragione il barone decide <strong>di</strong> de<strong>di</strong>carsi alla potatura degli alberi?<br />

Come svolge il suo compito? A quali criteri si attiene?<br />

Rintraccia i dati relativi alle caratteristiche <strong>del</strong> personaggio quali emergono dalla lettura <strong>del</strong><br />

brano presentato. Puoi aiutarti compilando una tabella simile a quella presentata. Puoi anche<br />

eliminare categorie eventualmente assenti nel brano presentato.<br />

COSIMO,<br />

BARONE RAMPANTE<br />

7<br />

DATI FISICI<br />

DATI DEL<br />

CARATTERE<br />

In<strong>di</strong>vidua gli elementi <strong>del</strong>lo spazio nel passo presentato.<br />

Si tratta <strong>di</strong> un unico spazio o ne vengono definiti più <strong>di</strong> uno?<br />

Se sono molteplici, risultano in analogia o in contrasto tra loro?<br />

13<br />

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COMPORTAMENTO<br />

VISIONE<br />

DELLA VITA


Un impreve<strong>di</strong>bile lieto fine<br />

Metafore in antitesi.<br />

Si tratta <strong>del</strong>la metà<br />

<strong>del</strong> Buono, che il<br />

Gramo non riconosce.<br />

Si tratta <strong>del</strong><br />

Gramo, cui il<br />

Buono vuole<br />

portare aiuto.<br />

1. le due metà: ricor<strong>di</strong>amo che <strong>di</strong> queste<br />

due metà, una è efferata e cru<strong>del</strong>e, mentre<br />

l’altra caratterizzata da eccessiva bontà.<br />

Non c’è notte <strong>di</strong> luna in cui negli animi malvagi le idee perverse non s’aggroviglino<br />

come ni<strong>di</strong>ate <strong>di</strong> serpenti, e in cui negli animi caritatevolinon sboccino gigli<br />

<strong>di</strong> rinuncia e de<strong>di</strong>zione. Così tra i <strong>di</strong>rupi <strong>di</strong> Terralba le due metà 1 <strong>di</strong> Medardo<br />

vagavano tormentate da rovelli opposti.<br />

Presa entrambe la propria decisione, al mattino si mossero per metterla in pratica.<br />

La mamma <strong>di</strong> Pamela 2 , andando a attinger acqua, cadde in un trabocchetto e<br />

sprofondò nel pozzo. Appesa ad una corda, urlava: – Aiuto! – quando vide nel<br />

cerchio <strong>del</strong> pozzo, contro il cielo, la sagoma <strong>del</strong> Gramo 3 che le <strong>di</strong>sse:<br />

– Volevo solo parlarvi. Ecco quanto io ho pensato: in compagnia <strong>di</strong> vostra figlia<br />

Pamela si vede spesso un vagabondo <strong>di</strong>mezzato. Dovete costringerlo a sposarla:<br />

ormai l’ha compromessa e se è un gentiluomo deve riparare. Ho pensato così;<br />

non chiedete che vi spieghi altro.<br />

Il babbo <strong>di</strong> Pamela portava al frantoio un sacco <strong>di</strong> olive <strong>del</strong> suo olivo, ma il sacco<br />

aveva un buco, e una scia d’olive lo seguiva pel sentiero. Sentendo alleggerito<br />

il carico, il babbo tolse il sacco dalla spalla e s’accorse che era quasi vuoto.<br />

Ma <strong>di</strong>etro vide che veniva il Buono 4 : raccoglieva le olive una per una e le metteva<br />

nel mantello.<br />

– Vi seguivo per parlarvi e ho avuto la fortuna <strong>di</strong> salvarvi le olive. Ecco quanto ho<br />

in cuore. Da tempo penso che l’infelicità altrui ch’è mio intento soccorrere, forse<br />

è alimentata proprio dalla mia presenza. Me ne andrò da Terralba. Ma solo se<br />

questa mia partenza ridarà pace a due persone: a vostra figlia che dorme in una<br />

tana mentre le spetta un nobile destino, e alla mia infelice parte destra che non<br />

deve restare così sola. Pamela e il visconte devono unirsi in matrimonio.<br />

Pamela stava ammaestrando uno scoiattolo quando incontrò sua mamma che<br />

fingeva d’andar per pigne.<br />

– Pamela, – <strong>di</strong>sse la mamma, – è giunto il tempo che quel vagabondo chiamato<br />

il Buono ti debba sposare.<br />

– Donde viene quest’idea? – <strong>di</strong>sse Pamela.<br />

– Lui t’ha compromessa, lui ti sposi. È tanto gentile che se gli <strong>di</strong>ci così non vorrà<br />

<strong>di</strong>r <strong>di</strong> no.<br />

– Ma come ti sei messa in testa questa storia?<br />

– Zitta: sapessi chi me l’ha detto non faresti più tante domande: il Gramo in persona,<br />

me l’ha detto, il nostro illustrissimo visconte!<br />

2. Pamela: la ragazza amata da Medardo.<br />

3. Gramo: con questo nome viene in<strong>di</strong>cata<br />

la parte malvagia <strong>di</strong> Medardo.<br />

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Da Il visconte <strong>di</strong>mezzato<br />

La storia è narrata dal nipote <strong>del</strong> visconte Medardo <strong>di</strong> Terralba, figlio illegittimo <strong>del</strong>la sorella, che è<br />

pure un personaggio <strong>del</strong>la storia. In particolare il passo è tratto dall’ultimo capitolo <strong>del</strong> romanzo,<br />

in cui si assiste alla portentosa “ricongiunzione” <strong>del</strong>le due parti, quella <strong>del</strong> Buono e quella <strong>del</strong> Gramo,<br />

come erano chiamate, così che la giovane Pamela, la sposa, può esclamare con sod<strong>di</strong>sfazione<br />

<strong>di</strong> avere finalmente come marito un in<strong>di</strong>viduo completo. Il lieto fine è preceduto da un duello in<br />

cui le due parti – il Buono e il Gramo – si contendono la sposa, e riescono a combattere con la spada<br />

grazie ad una sorta <strong>di</strong> puntello a compasso con cui possono reggersi in pie<strong>di</strong> senza grucce. La<br />

narrazione, soprattutto nell’ultima parte, presenta un ritmo sostenuto e avvincente.<br />

4. Buono: la parte buona, positiva <strong>del</strong> Visconte.


Si sottolineano<br />

i preparativi<br />

<strong>del</strong>la festa, alla<br />

notizia<br />

<strong>del</strong>l’imminente<br />

matrimonio.<br />

Estrema<br />

semplicità<br />

rurale<br />

<strong>del</strong> contesto.<br />

Accidenti! – <strong>di</strong>sse Pamela lasciando cadere lo scoiattolo in grembo, – chissà che<br />

tranello vuole preparare.<br />

Di lì a poco, stava imparando a fischiare con una foglia d’erba tra le mani quando<br />

incontrò suo babbo che faceva finta d’andare per legna.<br />

– Pamela, – <strong>di</strong>sse il babbo, – è ora che tu <strong>di</strong>ca <strong>di</strong> sì al visconte Gramo, al solo<br />

patto che ti sposi in chiesa.<br />

– È un’idea tua o qualcuno te l’ha detto?<br />

– Non ti piace <strong>di</strong>ventare viscontessa?<br />

– Rispon<strong>di</strong>mi a quello che t’ho domandato.<br />

– Bene; pensa che lo <strong>di</strong>ce l’anima meglio intenzionata che ci sia: il vagabondo<br />

che chiamano il Buono.<br />

– Ah, non ne ha più da pensare, quello li. Vedrai cosa combino!<br />

Andando con il magro cavallo per le fratte, il Gramo rifletteva sul suo stratagemma:<br />

se Pamela si sposava col Buono, <strong>di</strong> fronte alla legge era sposa <strong>di</strong> Medardo<br />

<strong>di</strong> Terralba, cioè era sua moglie. Forte <strong>di</strong> questo <strong>di</strong>ritto, il Gramo avrebbe<br />

potuto facilmente toglierla al rivale, così arrendevole e poco combattivo.<br />

Ma s’incontra con Pamela che gli <strong>di</strong>ce: – Visconte, ho deciso che se voi ci state,<br />

ci sposiamo.<br />

– Tu e chi? – fa il visconte.<br />

– Io e voi, e verrò al castello e sarò la viscontessa.<br />

Il Gramo questa non se l’aspettava, e pensò: “Allora è inutile montare tutta la<br />

comme<strong>di</strong>a <strong>di</strong> farla sposare all’altra mia metà: me la sposo io e tutto è fatto”. Così,<br />

<strong>di</strong>sse: – Ci sto.<br />

E Pamela: – Mettetevi d’accordo con mio babbo.<br />

Di li a un po’, Pamela incontrò il Buono sul suo mulo.<br />

– Medardo, – <strong>di</strong>sse lei, – ho capito che sono proprio innamorata <strong>di</strong> te e se vuoi<br />

farmi felice devi chiedere la mia mano <strong>di</strong> sposa.<br />

Il poverino, che per il bene <strong>di</strong> lei aveva fatto quella gran rinuncia, rimase a bocca<br />

aperta. “Ma se è felice a sposare me, non posso più farla sposare all’altro”,<br />

pensò, e <strong>di</strong>sse: – Cara, corro a pre<strong>di</strong>sporre tutto per la cerimonia.<br />

– Mettiti d’accordo con mia mamma, mi raccomando, – <strong>di</strong>sse lei.<br />

Tutta Terralba fu sossopra, quando si seppe che Pamela si sposava. Chi <strong>di</strong>ceva<br />

che sposava l’uno, chi <strong>di</strong>ceva l’altro. I genitori <strong>di</strong> lei pareva facessero apposta per<br />

imbrogliar le idee. Certo, al castello stavano lustrando e ornando tutto come per<br />

una gran festa. E il visconte s’era fatto fare un abito <strong>di</strong> velluto nero con un grande<br />

sbuffo alla manica e un altro alla braca 5 . Ma anche il vagabondo aveva fatto<br />

strigliare il povero mulo e s’era fatto rattoppare il gomito e il ginocchio. A ogni<br />

buon conto, in chiesa lucidarono tutti i can<strong>del</strong>ieri.<br />

Pamela <strong>di</strong>sse che non avrebbe lasciato il bosco che al momento <strong>del</strong> corteo nuziale.<br />

Io 6 facevo le commissioni per il corredo. Si cucì un vestito bianco con il<br />

velo e lo strascico lunghissimo e si fece corona e cintura <strong>di</strong> spighe <strong>di</strong> lavanda.<br />

Poiché <strong>di</strong> velo le avanzava ancora qualche metro, fece una veste da sposa per<br />

la capra e una veste da sposa anche per l’anatra, e corse così per il bosco, seguita<br />

dalle bestie, finché il velo non si strappò tutto tra i rami, e lo strascico non<br />

raccolse tutti gli aghi <strong>di</strong> pino e i ricci <strong>di</strong> castagne che seccavano per i sentieri.<br />

Ma la notte prima <strong>del</strong> matrimonio era pensierosa e un po’ spaurita. Seduta in cima<br />

a una collinetta senz’alberi, con lo strascico avvolto attorno ai pie<strong>di</strong>, la coroncina<br />

<strong>di</strong> lavanda <strong>di</strong> sghimbescio, poggiava il mento su una mano e guardava i<br />

boschi intorno sospirando.<br />

Io ero sempre con lei perché dovevo fare da paggetto, insieme a Esaú che però<br />

non si faceva mai vedere.<br />

5. braca: pantalone. 6. Io: ricor<strong>di</strong>amo che il narratore coincide, nella finzione narrativa,<br />

con il nipote <strong>di</strong> Medardo.<br />

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Colpo <strong>di</strong> scena!<br />

È impossibile, infatti,<br />

duellare con<br />

una sola parte<br />

<strong>del</strong> corpo.<br />

Mentre il Gramo e il<br />

Buono si combattono,<br />

gli esseri naturali, per<br />

analogia, si rivoltano<br />

ciascuno contro<br />

se stesso.<br />

– Chi sposerai, Pamela? – le chiesi.<br />

– Non so, – lei <strong>di</strong>sse, – non so proprio che succederà. Andrà bene? Andrà male?<br />

Dai boschi si levava ora una specie <strong>di</strong> grido gutturale, ora un sospiro. Erano<br />

i due pretendenti <strong>di</strong>mezzati, che in preda all’eccitazione <strong>del</strong>la vigilia vagavano<br />

per anfratti e <strong>di</strong>rupi <strong>del</strong> bosco, avvolti nei neri mantelli, l’uno sul suo magro cavallo,<br />

l’altro sul suo mulo spelacchiato, e mugghiavano e sospiravano tutti presi<br />

nelle loro ansiose fantasticherie. E il cavallo saltava per balze e frane, il mulo s’arrampicava<br />

per pen<strong>di</strong>i e versanti, senza che mai i due cavalieri s’incontrassero.<br />

Finché, all’alba, il cavallo spinto al galoppo non si azzoppò giù per un burrone;<br />

e il Gramo non poté arrivare in tempo alle nozze. Il mulo invece andava piano<br />

e sano, e il Buono arrivò puntuale in chiesa, proprio mentre giungeva la sposa<br />

con lo strascico sorretto da me e da Esaú che si faceva trascinare.<br />

A veder arrivare come sposo soltanto il Buono che s’appoggiava alla sua stampella,<br />

la folla rimase un po’ <strong>del</strong>usa. Ma il matrimonio fu regolarmente celebrato,<br />

gli sposi <strong>di</strong>ssero sì e si scambiarono l’anello, e il prete <strong>di</strong>sse: – Medardo <strong>di</strong> Terralba<br />

e Pamela Marcolfi, io vi congiungo in matrimonio.<br />

In quella dal fondo <strong>del</strong>la navata, sorreggendosi alla gruccia, entrò il visconte, con<br />

l’abito nuovo <strong>di</strong> velluto a sbuffi zuppo d’acqua e lacero. E <strong>di</strong>sse: – Medardo <strong>di</strong><br />

Terralba sono io e Pamela è mia moglie.<br />

Il Buono arrancò <strong>di</strong> fronte a lui. – No, il Medardo che ha sposato Pamela sono<br />

io. Il Gramo buttò via la stampella e mise la mano alla spada. Al Buono non restava<br />

che fare altrettanto.<br />

– In guar<strong>di</strong>a!<br />

Il Gramo si lanciò in un a-fondo, il Buono si chiuse in <strong>di</strong>fesa, ma erano già rotolati<br />

per terra tutti e due.<br />

Convennero che era impossibile battersi tenendosi in equilibrio su una gamba<br />

sola. Bisognava rimandare il duello per poterlo preparare meglio.<br />

– E io sapete cosa faccio? – <strong>di</strong>sse Pamela, – me ne torno al bosco –. E prese la<br />

corsa via dalla chiesa, senza più paggetti che le reggessero lo strascico. Sul ponte<br />

trovò la capra e l’anatra che la stavano aspettando e s’affiancarono a lei trotterellando.<br />

Il duello fu fissato per l’indomani all’alba al Prato <strong>del</strong>le Monache. Mastro Pietrochiodo<br />

inventò una specie <strong>di</strong> gamba <strong>di</strong> compasso, che fissata alla cintura dei<br />

<strong>di</strong>mezzati permetteva loro <strong>di</strong> star ritti e <strong>di</strong> spostarsi e pure d’inclinare la persona<br />

avanti e in<strong>di</strong>etro, tenendo infissa la punta nel terreno per star fermi. Il lebbroso<br />

Galateo, che da sano era stato un gentiluomo, fece da giu<strong>di</strong>ce d’armi; i padrini<br />

<strong>del</strong> Gramo furono il padre <strong>di</strong> Pamela e il capo-sbirro; i padrini <strong>del</strong> Buono due<br />

ugonotti 7 . Il dottor Trelawney 8 assicurò l’assistenza, e venne con una balla <strong>di</strong><br />

bende e una damigiana <strong>di</strong> balsamo, come avesse da curare una battaglia. Buon<br />

per me, che dovendo aiutarlo a portar tutta quella roba potei assistere allo scontro.<br />

C’era l’alba verdastra; sul prato i due sottili duellanti neri erano fermi con le spade<br />

sull’attenti. Il lebbroso soffiò il corno: era il segnale; il cielo vibrò come una<br />

membrana tesa, i ghiri nelle tane affondarono le unghie nel terriccio, le gazze<br />

senza togliere il capo <strong>di</strong> sotto l’ala si strapparono una penna dall’ascella facendosi<br />

dolore, e la bocca <strong>del</strong> lombrico mangiò la propria coda, e la vipera si punse<br />

coi suoi denti, e la vespa si ruppe l’aculeo sulla pietra, e ogni cosa si voltava<br />

contro se stessa, la brina <strong>del</strong>le pozze ghiacciava, i licheni <strong>di</strong>ventavano pietra e le<br />

pietre lichene, la foglia secca <strong>di</strong>ventava terra, e la gomma spessa e dura uccideva<br />

senza scampo gli alberi. Così l’uomo s’avventava contro <strong>di</strong> sé, con entrambe<br />

le mani armate d’una spada.<br />

7. ugonotti: seguaci <strong>del</strong>la riforma religiosa <strong>di</strong> Giovanni Calvino. 8. Trelawney: è un personaggio <strong>di</strong> origini letterarie, tratto dal romanzo<br />

<strong>di</strong> Stevenson L’isola <strong>del</strong> tesoro.<br />

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Ancora per poco<br />

permane la <strong>di</strong>visione<br />

tra Gramo e Buono,<br />

per poi annullarsi per<br />

sempre.<br />

9. Pietrochiodo: artigiano al servizio <strong>del</strong> visconte,<br />

capace <strong>di</strong> realizzare strumenti <strong>di</strong><br />

tortura or<strong>di</strong>nati dal Gramo e altre opere vo-<br />

Ancora una volta Pietrochiodo 9 aveva lavorato da maestro: i compassi <strong>di</strong>segnavano<br />

cerchi sul prato e gli schermidori si lanciavano in assalti scattanti e legnosi,<br />

in parate e in finte. Ma non si toccavano. In ogni a-fondo, la punta <strong>del</strong>la spada<br />

pareva <strong>di</strong>rigersi sicura verso il mantello svolazzante <strong>del</strong>l’avversario, ognuno sembrava<br />

s’ostinasse a tirare dalla parte in cui non c’era nulla, cioè dalla parte dove<br />

avrebbe dovuto esser lui stesso. Certo, se invece <strong>di</strong> mezzi duellanti fossero stati<br />

duellanti interi, si sarebbero feriti chissà quante volte. Il Gramo si batteva con<br />

rabbiosa ferocia, eppure non riusciva mai a portare i suoi attacchi dove davvero<br />

era il suo nemico; il Buono aveva la corretta maestria dei mancini, ma non faceva<br />

che crivellare il mantello <strong>del</strong> visconte.<br />

A un certo punto si trovarono elsa 10 contro elsa: le punte <strong>di</strong> compasso erano infitte<br />

nel suolo come erpici. Il Gramo si liberò <strong>di</strong> scatto e già stava perdendo<br />

l’equilibrio e rotolando al suolo, quando riuscì a menare un terribile fendente,<br />

non proprio addosso all’avversario, ma quasi: un fendente parallelo alla linea<br />

che interrompeva il corpo <strong>del</strong> Buono, e tanto vicino a essa che non si capì subito<br />

se era più in qua o più in là. Ma presto vedemmo il corpo sotto il mantello<br />

imporporarsi <strong>di</strong> sangue dalla testa all’attaccatura <strong>del</strong>la gamba e non ci furono più<br />

dubbi. Il Buono s’accasciò, ma cadendo, in un’ultima movenza ampia e quasi<br />

pietosa, abbatté la spada anche egli vicinissimo al rivale, dalla testa all’addome,<br />

tra il punto in cui il corpo <strong>del</strong> Gramo non c’era e il punto in cui prendeva a esserci.<br />

Anche il corpo <strong>del</strong> Gramo ora buttava sangue per tutta l’enorme antica<br />

spaccatura: i fendenti <strong>del</strong>l’uno e <strong>del</strong>l’altro avevan rotto <strong>di</strong> nuovo tutte le vene e<br />

riaperto la ferita che li aveva <strong>di</strong>visi 11 , nelle sue due facce. Ora giacevano riversi,<br />

e i sangui che già erano stati uno solo ritornavano a mescolarsi per il prato.<br />

Tutto preso da quest’orrenda vista non avevo badato a Trelawney, quando m’accorsi<br />

che il dottore stava spiccando salti <strong>di</strong> gioia con le sue gambe da grillo, battendo<br />

le mani e gridando: – È salvo! È salvo! Lasciate fare a me.<br />

Dopo mezz’ora riportammo in barella al castello un unico ferito. Il Gramo e il<br />

Buono erano bendati strettamente assieme; il dottore aveva avuto cura <strong>di</strong> far<br />

combaciare tutti i visceri e le arterie <strong>del</strong>l’una parte e <strong>del</strong>l’altra, e poi con un chilometro<br />

<strong>di</strong> bende li aveva legati così stretti che sembrava, più che un ferito, un<br />

antico morto imbalsamato.<br />

Mio zio fu vegliato giorni e notti tra la morte e la vita. Un mattino, guardando<br />

quel viso che una linea rossa attraversava dalla fronte al mento, continuando poi<br />

giù per il collo, fu la balia Sebastiana a <strong>di</strong>re: – Ecco: s’è mosso.<br />

Un sussulto <strong>di</strong> lineamenti stava infatti percorrendo il volto <strong>di</strong> mio zio, e il dottore<br />

pianse <strong>di</strong> gioia al vedere che si trasmetteva da una guancia all’altra.<br />

Alla fine Medardo schiuse gli occhi, le labbra; dapprincipio la sua espressione<br />

era stravolta: aveva un occhio aggrottato e l’altro supplice, la fronte qua corrugata<br />

là serena, la bocca sorrideva da un angolo e dall’altro <strong>di</strong>grignava i denti. Poi<br />

a poco a poco ritornò simmetrico.<br />

Il dottor Trelawney <strong>di</strong>sse: – Ora è guarito.<br />

Ed esclamò Pamela: – Finalmente avrò uno sposo con tutti gli attributi.<br />

lute dal Buono.<br />

10. elsa: impugnatura <strong>del</strong>la spada.<br />

11. la ferita che li aveva <strong>di</strong>visi: a suo tem-<br />

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da Il visconte <strong>di</strong>mezzato, Mondadori, Milano, 1993<br />

po, il visconte era stato <strong>di</strong>viso in due parti<br />

da un colpo d’arma da fuoco.


Riflessioni e analisi<br />

I due punti<br />

<strong>di</strong> vista<br />

Pamela, la<br />

conta<strong>di</strong>nella<br />

Nel brano riportato emerge la duplicità dei punti <strong>di</strong> vista che la <strong>di</strong>visione in due<br />

personaggi <strong>del</strong> visconte – il Buono e il Gramo – comporta. Così il testo è ricco <strong>di</strong><br />

antitesi che confermano appunto il doppio comportamento e la doppia, opposta<br />

modalità <strong>di</strong> intendere le cose. Il Gramo, infatti, arreca danni e dolore, l’altro aggiusta<br />

le cose e pre<strong>di</strong>ca il bene. Non solo. La lettura si caratterizza per la particolare<br />

ambiguità che la <strong>di</strong>visione <strong>del</strong> visconte nei due personaggi antitetici ingenera.<br />

Chi sposerà Pamela, infatti, il Buono o il Gramo? Sposare il Buono significherà<br />

nel contempo aver sposato anche il Gramo e viceversa? La situazione comica<br />

si accentua quando, al termine <strong>del</strong>la celebrazione <strong>del</strong>le nozze tra Pamela e il Buono,<br />

irrompe il Gramo, con gli eleganti abiti nuziali sciupati dalla nottata trascorsa<br />

all’aperto per l’incidente <strong>del</strong> suo ronzino. La lotta che si ingaggia tra i due sorprende<br />

per il carattere fantasioso <strong>del</strong>la soluzione – il compasso, che consente <strong>di</strong><br />

duellare nonostante il precario equilibrio che la <strong>di</strong>visione a metà <strong>del</strong> corpo comporta<br />

– e per l’esito finale, quando le due parti si fondono, grazie all’azione portentosa<br />

<strong>del</strong> chirurgo, in un unico personaggio, finalmente ricongiunto.<br />

Il mondo <strong>del</strong> Visconte <strong>di</strong>mezzato riflette – pur nella fantasia <strong>del</strong>la narrazione – il<br />

permanere <strong>di</strong> aspetti e mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> vita feudali nell’ambito <strong>del</strong>la storia europea<br />

<strong>del</strong> Settecento. Vi si incontrano, infatti, elementi <strong>di</strong> nobiltà, identificabili<br />

nella figura <strong>del</strong> Gramo, che vive al castello, ben coniugati con il mondo rurale<br />

dei boschi e dei campi, simboleggiato da Pamela, destinata a sposare il visconte<br />

e a godere <strong>del</strong> beneficio <strong>del</strong>la definitiva riunione <strong>del</strong>le due parti. La giovane Pamela<br />

rappresenta, infatti, la piena adesione ad una vita semplice e conta<strong>di</strong>na.<br />

Ciò è attestato nel brano dal carattere rustico <strong>del</strong> suo corteo nuziale – la<br />

capra e l’anatra a cui vengono messi rispettivamente il velo nuziale e un abito da<br />

sposa –, nonché dal suo comportamento, in simbiosi con il boschi: il suo stesso<br />

abito nuziale sarà rovinato dagli aghi <strong>di</strong> pino e dai ricci <strong>di</strong> castagna in cui si imbatte<br />

correndo nel bosco. Colpisce, inoltre, l’ingenuità <strong>del</strong>la figura, cui non importa<br />

sostanzialmente <strong>di</strong> scegliere tra Gramo e Buono, entrambi interessanti per<br />

lei e per la sua famiglia.<br />

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Esercizi<br />

1<br />

2<br />

3<br />

4<br />

5<br />

6<br />

7<br />

8<br />

9<br />

Chi racconta le vicende nel passo presentato? È un personaggio che agisce nel romanzo o<br />

un narratore esterno?<br />

Quali sono in particolare gli eventi più significativi narrati nel passo?<br />

Che intenzioni esprime il Gramo a proposito <strong>di</strong> Pamela? E il Buono?<br />

Quali azioni li caratterizzano, nella prima parte <strong>del</strong> brano presentato?<br />

Come si conclude il racconto? Quali personaggi entrano in azione, per consentire il lieto fine<br />

<strong>del</strong>la storia?<br />

Nel brano puoi in<strong>di</strong>viduare passi in antitesi, ora riferiti al Gramo, ora al Buono, cioè alle due<br />

parti in cui il visconte è stato <strong>di</strong>viso. Rintracciali nel testo.<br />

Definisci il ruolo in rapporto ai protagonisti – il Buono, il Gramo, il Visconte ricucito – dei<br />

personaggi secondari che vengono citati nel brano.<br />

Rileggi attentamente la fantasiosa ricostruzione <strong>del</strong> duello elaborata dall’autore, in<strong>di</strong>viduando<br />

in essa elementi tecnici, quin<strong>di</strong> oggettivi, e dati fantastici.<br />

Definisci il personaggio <strong>di</strong> Pamela attraverso gli elementi che vengono forniti nel passo,<br />

utili per una sua rappresentazione.<br />

19<br />

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