La pecora bergamasca. Storia e presente di una razza ... - Ruralpini

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31.05.2013 Views

Michele Corti Milano-Bergamo, aprile 1998 Cap. 1 - Gli ovini domestici nell’antichità La pecora domestica (Ovis aries) deriva da progenitori selvatici presenti all’epoca della domesticazione nell’area medio-orientale. La specie progenitrice più probabile appare l’Ovis orientalis anche se non si possono escludono con certezza altre specie (Ovis vignei e Ovis ammon). Il Muflone di Sardegna (Ovis musimon) invece, secondo recenti potrebbe rappresentare una forma rinselvatichita e non un progenitore degli ovini domestici europei. La presenza delle prime pecore domestiche in Europa è attestata in Grecia a partire da VII millennio a.c.; da qui esse si diffusero nel Balcani e nel V millennio a.c. la loro presenza è attestata in gran parte dell’Europa meridionale e centrale. (BÖKÖNGY, 1977). Il modello della diffusione a ondate discontinue e centrifughe a partire dai centri di domesticazione medio-orientale (LAUVERGNE, 1979; RYDER, 1981) spiega perché, in generale, le razze più primitive si trovano nelle aree più periferiche (estremo nordovest dell’Europa). Secondo questo modello le successive ondate migratorie umane da sud-est hanno portato con loro razze ovine sempre più “perfezionate”. Bisogna aggiungere che, in analogia con i modelli del popolamento umano (CAVALLI SFORZA E CAVALLI SFORZA, 1997) oltre alla presenza di un centro di diffusione medioorientale degli agricoltori-neolitici, bisognerebbe considerare quella di altri centri di origine delle migrazioni. Dal punto di vista del popolamento ovino dell’Europa occidentale non si può non considerare l’influsso delle migrazioni verso occidente dei popoli indoeuropei delle steppe che, oltre che cavalieri, erano anche pastori e che dal 4.000 a.c., attraverso i Balcani penetrarono nell’Europa centrale. Non mancano autori che contestano la tesi della provenienza degli ovini domestici da est e che sostengono che, almeno nella penisola iberica, sia stata possibile una domesticazione indipendente a partire da ovini selvatici (MUZZOLINI, 1986). Tali tesi però devono trovare ulteriori conferme. Per molto tempo dopo la domesticazione le pecore furono utilizzate solo per la carne (ZEUNER, 1963), per le pelli quindi per il latte e per la fibra ma, inizialmente, non le si tosava. Negli ovini primitivi “di tipo peloso” il vello era costituito da normali peli molto lunghi (giarra) e di grande diametro con un corto sottopelo lanuginoso. Fissando i caratteri di soggetti che manifestavano delle mutazioni nella struttura dei follicoli piliferi si arrivò ad ottenere tipi di pecore con accrescimento continuo delle fibre (non soggette a muta) e con la presenza di un solo tipo di fibre (DI PIETRO ET AL., 1986). L’utilizzo della lana è documentato a partire dall’inizio del secondo

millennio a.c. a Babilonia. A quel tempo in quella regione l’allevamento era già basato criteri zootecnici ed esistevano già tipi di pecore da carne e da lana (RYDER, 1983). Soltanto con l’utilizzo del ferro per la fabbricazione di forbici (1000 a.c.) acquistò significato economico la produzione di lana di qualità uniforme; in precedenza infatti si poteva operare solo con pettini a dentatura grossolana in bronzo (DI PIETRO, 1986). Nell’epoca neolitica le pecore sono diffuse in gran parte dell’Europa meridionale, compresa l’Italia nord-occidentale (MARCUZZI E VANOZZI, 1981). I reperti provenienti da vari siti della pianura padana e dalle palafitte dei lago di Ledro e di Garda testimoniano la presenza di animali con vari tipi di corna (di tipo “caprino”, di grande diametro), ma anche acorni. Le pecore neolitiche erano piccole e slanciate, (altezza al garrese stimata in 59 cm); nell’età del Bronzo 1 le pecore a nord delle Alpi aumentarono di statura mentre restarono piccole a sud. Probabilmente la “seconda ondata” di ovini domestici che raggiunsero l’Europa nella seconda metà del terzo millennio a.c. (BÖKÖNGY, 1977) fece sentire solo più tardi i suoi effetti nella pianura padana e nelle aree alpine limitrofe. La “seconda ondata”, destinata a dare nuovo impulso all’ovinicoltura europea, era caratterizzata da una taglia più elevata (nell’ordine di 10 cm) e probabilmente da una migliore qualità della lana . La taglia delle pecore dell’area padano-veneta-alpina aumentò anch’essa nell’età del ferro (come indica l’insediamento greco-etrusco di Spina) e ancor più in epoca romana. Essa raggiunse circa 65 cm per poi diminuire di nuovo nel medioevo (più nell’area alpina che nel Veneto) (RIEDEL, 1986). Il passaggio dall’età del bronzo all’età del ferro segnò probabilmente, anche nell’ambito padano-veneto, il passaggio da una utilizzazione prevalente per la carne a quella per la lana; su questo aspetto vi sono, però, solo indicazioni indirette come la minor frequenza di resti di agnelli in rapporto a quelli di soggetti adulti (RIEDEL, 1977). Nelle Alpi la testimonianza della presenza di ovini e caprini è fornita, oltre che da reperti ossei, anche dalle raffigurazioni dell’arte rupestre. Nella periodizzazione dell’arte camuna (ANATI, 1982) è stata identificata una “civiltà dei caprovini” collocata cronologicamente tra il 2.600 e il 2.000 a.c. In una incisione sono presenti numerosi animali (73) capre, pecore, camosci, stambecchi e tre cani, in particolare si osservano tre pecore a coda lunga . In una incisione (Fig.1) sono raffigurate secondo ANATI il pastore con il bastone, tre capre dalle lunghe corna un cane, quello che viene identificato come un asinello ed una pecora. La pecora appare acorne, con il collo lungo, con lunghe zampe e con le orecchie non erette. FIGURA 1 Fig. 1 : Arte rupeste camuna: pastore con caprini e pecora. Le forme ovine europee più primitive si trovano nella Scozia nord-occidentale; quella che appare più antica, la pecora di Soay dell’isola di St.Kulda viene considerata 1 in ambito padano-alpino l’età del Bronzo va dal 2.000 al 900 a.c.

millennio a.c. a Babilonia. A quel tempo in quella regione l’allevamento era già<br />

basato criteri zootecnici ed esistevano già tipi <strong>di</strong> pecore da carne e da lana (RYDER,<br />

1983). Soltanto con l’utilizzo del ferro per la fabbricazione <strong>di</strong> forbici (1000 a.c.)<br />

acquistò significato economico la produzione <strong>di</strong> lana <strong>di</strong> qualità uniforme; in<br />

precedenza infatti si poteva operare solo con pettini a dentatura grossolana in bronzo<br />

(DI PIETRO, 1986).<br />

Nell’epoca neolitica le pecore sono <strong>di</strong>ffuse in gran parte dell’Europa meri<strong>di</strong>onale,<br />

compresa l’Italia nord-occidentale (MARCUZZI E VANOZZI, 1981). I reperti<br />

provenienti da vari siti della pianura padana e dalle palafitte dei lago <strong>di</strong> Ledro e <strong>di</strong><br />

Garda testimoniano la presenza <strong>di</strong> animali con vari tipi <strong>di</strong> corna (<strong>di</strong> tipo “caprino”, <strong>di</strong><br />

grande <strong>di</strong>ametro), ma anche acorni. Le pecore neolitiche erano piccole e slanciate,<br />

(altezza al garrese stimata in 59 cm); nell’età del Bronzo 1 le pecore a nord delle Alpi<br />

aumentarono <strong>di</strong> statura mentre restarono piccole a sud. Probabilmente la “seconda<br />

ondata” <strong>di</strong> ovini domestici che raggiunsero l’Europa nella seconda metà del terzo<br />

millennio a.c. (BÖKÖNGY, 1977) fece sentire solo più tar<strong>di</strong> i suoi effetti nella pianura<br />

padana e nelle aree alpine limitrofe. <strong>La</strong> “seconda ondata”, destinata a dare nuovo<br />

impulso all’ovinicoltura europea, era caratterizzata da <strong>una</strong> taglia più elevata<br />

(nell’or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> 10 cm) e probabilmente da <strong>una</strong> migliore qualità della lana . <strong>La</strong> taglia<br />

delle pecore dell’area padano-veneta-alpina aumentò anch’essa nell’età del ferro<br />

(come in<strong>di</strong>ca l’inse<strong>di</strong>amento greco-etrusco <strong>di</strong> Spina) e ancor più in epoca romana.<br />

Essa raggiunse circa 65 cm per poi <strong>di</strong>minuire <strong>di</strong> nuovo nel me<strong>di</strong>oevo (più nell’area<br />

alpina che nel Veneto) (RIEDEL, 1986). Il passaggio dall’età del bronzo all’età del<br />

ferro segnò probabilmente, anche nell’ambito padano-veneto, il passaggio da <strong>una</strong><br />

utilizzazione prevalente per la carne a quella per la lana; su questo aspetto vi sono,<br />

però, solo in<strong>di</strong>cazioni in<strong>di</strong>rette come la minor frequenza <strong>di</strong> resti <strong>di</strong> agnelli in rapporto<br />

a quelli <strong>di</strong> soggetti adulti (RIEDEL, 1977). Nelle Alpi la testimonianza della presenza<br />

<strong>di</strong> ovini e caprini è fornita, oltre che da reperti ossei, anche dalle raffigurazioni<br />

dell’arte rupestre. Nella perio<strong>di</strong>zzazione dell’arte cam<strong>una</strong> (ANATI, 1982) è stata<br />

identificata <strong>una</strong> “civiltà dei caprovini” collocata cronologicamente tra il 2.600 e il<br />

2.000 a.c. In <strong>una</strong> incisione sono presenti numerosi animali (73) capre, pecore,<br />

camosci, stambecchi e tre cani, in particolare si osservano tre pecore a coda lunga . In<br />

<strong>una</strong> incisione (Fig.1) sono raffigurate secondo ANATI il pastore con il bastone, tre<br />

capre dalle lunghe corna un cane, quello che viene identificato come un asinello ed<br />

<strong>una</strong> <strong>pecora</strong>. <strong>La</strong> <strong>pecora</strong> appare acorne, con il collo lungo, con lunghe zampe e con le<br />

orecchie non erette.<br />

FIGURA 1<br />

Fig. 1 : Arte rupeste cam<strong>una</strong>: pastore con caprini e <strong>pecora</strong>.<br />

Le forme ovine europee più primitive si trovano nella Scozia nord-occidentale; quella<br />

che appare più antica, la <strong>pecora</strong> <strong>di</strong> Soay dell’isola <strong>di</strong> St.Kulda viene considerata<br />

1 in ambito padano-alpino l’età del Bronzo va dal 2.000 al 900 a.c.

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