La pecora bergamasca. Storia e presente di una razza ... - Ruralpini

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31.05.2013 Views

fintanto che rimasero boschi e brughiere e la struttura fondiaria fu basata su grandi proprietà a conduzione diretta le pecore bergamasche erano bene accolte in ragione della necessità di disporre del “grasso” per la concimazione dei seminativi investiti a cereali. Nel ‘600 sono diversi proprietari che chiedono “licenza” per il pascolo di centinaia di ovini nelle loro proprietà. Anche le comunità delle zone di pianura con terreni ancora solo in parte bonificati (come nella zona di Soncino) richiedevano tali licenze adducendo la motivazione che i loro terreni non potevano essere utilizzati in modo più redditizio. Anche nelle zone alpine come le valli del Grigioni i diritti di pascolo incassati dai greggi bergamaschi inducevano a limitare o a non far osservare i divieti di pascolo delle “bestie forastiere”. Nonostante gli interessi che spingevano nel senso favorevole alla pastorizia non mancarono tentativi di “bando” totale delle pecore come quello adottato nel piano bergamasco che, però, venne subito modificato in un divieto alle pecore straniere. In generale le autorità degli Stati pur emanando provvedimenti che, almeno sulla carta, prevedevano pene severissime non si posero in una posizione negativa nei confronti della pastorizia cui venne riconosciuta un’importante fonte di ricchezza nazionale. Gli Stati, anzi, con la proibizione dell’uscita di greggi tosati cercavano di trattenere a vantaggio dei lanifici locali la preziosa materia prima. Le “Pecore di Spagna” in Lombardia: storia di un fallimento Già alla fine del secolo XVIII, probabilmente in concomitanza con la diffusione in Piemonte delle pecore merinos dalla Francia in numero di alcune migliaia (Calcaterra, 1876), alcuni allevatori milanesi avevano caldeggiato l’appoggio del governo al fine dell’introduzione delle “pecore di Spagna”. Durante l’epoca napoleonica Vincenzo Dandolo ispirato “dai molteplici rapporti che andava leggendo sulla Biblioteca britannica” tra la fine del 1802 e il maggio 1804 riuscì ad introdurre dal Piemonte grazie ai buoni uffici di Luigi Bossi, rappresentante della Repubblica Cisalpina in Piemonte, 139 capi tra cui 26 arieti che servirono alla costituzione di un allevamento a Varese. Il governo fornì pieno appoggio all’iniziativa con una circolare con la quale si invitavano i prefetti a divulgare la notizia ed a stimolare quanti volessero intraprenderla a loro volta. Il trattato del Dandolo “Del governo delle pecore spagnole”, venne pubblicato nel 1804 a spese del Governo che ne curò anche la diffusione. Proprio dal dipartimento del Serio (coincidente almeno in parte con la provincia di Bergamo) si levarono, però, delle voci contrarie. Il prefetto del Dipartimento del Serio riferiva, infatti, che gli allevatori bergamaschi, che conoscevano bene quanto era stato attuato in Piemonte dal momento che alcuni “avevano là dei greggi”, ritenevano le pecore spagnole poco fertili, non in grado di fornire la stessa quantità di lana e troppo vulnerabili alle intemperie. La diffusione dei merinos comunque proseguì trovando adesioni prevalentemente nel bresciano. Nel 1808 il governo ottenne direttamente da Napoleone il permesso di importare 700 capi dal Piemonte con l’intenzione di distribuirli di propria iniziativa agli allevatori ai quali venivano ceduti con l’impegno a restituire un uguale numero dopo 5 anni. Nel

1813, quando dovettero cominciare le restituzioni, le difficoltà si resero evidenti. Il prefetto del Serio si rese interprete dei motivi della mancata accoglienza da parte degli allevatori bergamaschi. La lana merinos spuntava prezzi di poco superiori a quella pugliese o del levante, che meglio si prestava a quelle lavorazioni tradizionali del lanificio in grado di corrispondere alle esigenze dei consumatori, ancora largamente soddisfatte, peraltro, anche dalle produzioni economiche ottenute con le lane nostrane. Inoltre la quantità di lana prodotta dai merinos era minore, la produzione di carne e di latte peggiori. Probabilmente l’ostacolo principale fu rappresentato dai costi di produzione. Le pecore “spagnole” infatti richiedevano la costruzione di ovili e ciò aumentava considerevolmente i costi di produzione. Gli allevatori non riuscirono a vendere i soggetti per la riproduzione e furono costretti a svenderli o, spesso, a macellarli. Si deve osservare che anche in Piemonte, nonostante l’introduzione fosse stata colà più precoce e condotta per più lungo tempo, l’esito parimenti negativo. (DASSAT, 1942). Oggetto di “miglioramento” oltre agli ovini biellesi, furono anche quelli padovani che, probabilmente, risultarono gli unici ad essere influenzati in modo significativo dall’introduzione dei merinos, come dimostra la finezza molto maggiore della lana delle pecore (BOTRÈ, 1942). La stessa regione che favorì la merinizzazione della Padovana (il sistema di allevamento stanziale in piccoli allevamenti di pianura) determinò, però, anche la scomparsa della razza dopo l’ultimo conflitto mondiale quando l’agricoltura veneta si rinnovò radicalmente e le aziende contadine, basate ancora prevalentemente sull’autoconsumo, si specializzarono secondo precisi indirizzi produttivi. In questo modo l’influenza della merinizzazione sulle razze ovine allevate al di qua del Po è quasi del tutto scomparsa. Cap 8 –Il XIX secolo e la decadenza dell’allevamento ovino bergamasco Mentre alcuni membri del governo a Milano si preoccupavano del successo dell’introduzione delle “pecore di spagna” il bergamasco MAIRONI DA PONTE (1803), si preoccupava più realisticamente delle condizioni dell’allevamento bergamasco “non è meraviglia se per sì enorme carestia di pasturaggio i nostri pastori sogliono passar l’estate sull’alpi della Retia, e della Svizzera, piuttosto frà noi, e indi si portino ancora nel basso Milanese, nel Pavese, e nel dipartimento dell’Agogna, dove più economicamente passano l’inverno, non facendo nel suolo natio se non un sollecito passaggio”. La diminuzione delle pecore, oltre che da ragioni “inevitabili”, legate al progresso dell’agricoltura, sarebbe stata determinata da ragioni “maliziose” e cioè all’ “abuso di alcuni trafficanti, che per avididi denaro, raccogliendo queste poche lane nostrali. Le quali sono assai perfette, le fanno con ingegnosi raggiri passare in altri paesi. Il più comune de’ mezzi, che adoperano è quello di far sortire le greggi, come dicono non tosate,: abuso tanto più detestabile, quanto che per alimentare poi in nazionale Lanificio, dobbiamo tirare la massima quantità di lane da regioni lontanissime, e dalla Puglia segnatamente”

1813, quando dovettero cominciare le restituzioni, le <strong>di</strong>fficoltà si resero evidenti. Il<br />

prefetto del Serio si rese interprete dei motivi della mancata accoglienza da parte<br />

degli allevatori bergamaschi. <strong>La</strong> lana merinos spuntava prezzi <strong>di</strong> poco superiori a<br />

quella pugliese o del levante, che meglio si prestava a quelle lavorazioni tra<strong>di</strong>zionali<br />

del lanificio in grado <strong>di</strong> corrispondere alle esigenze dei consumatori, ancora<br />

largamente sod<strong>di</strong>sfatte, peraltro, anche dalle produzioni economiche ottenute con le<br />

lane nostrane. Inoltre la quantità <strong>di</strong> lana prodotta dai merinos era minore, la<br />

produzione <strong>di</strong> carne e <strong>di</strong> latte peggiori. Probabilmente l’ostacolo principale fu<br />

rappresentato dai costi <strong>di</strong> produzione. Le pecore “spagnole” infatti richiedevano la<br />

costruzione <strong>di</strong> ovili e ciò aumentava considerevolmente i costi <strong>di</strong> produzione. Gli<br />

allevatori non riuscirono a vendere i soggetti per la riproduzione e furono costretti a<br />

svenderli o, spesso, a macellarli. Si deve osservare che anche in Piemonte,<br />

nonostante l’introduzione fosse stata colà più precoce e condotta per più lungo tempo,<br />

l’esito parimenti negativo. (DASSAT, 1942). Oggetto <strong>di</strong> “miglioramento” oltre agli<br />

ovini biellesi, furono anche quelli padovani che, probabilmente, risultarono gli unici<br />

ad essere influenzati in modo significativo dall’introduzione dei merinos, come<br />

<strong>di</strong>mostra la finezza molto maggiore della lana delle pecore (BOTRÈ, 1942). <strong>La</strong> stessa<br />

regione che favorì la merinizzazione della Padovana (il sistema <strong>di</strong> allevamento<br />

stanziale in piccoli allevamenti <strong>di</strong> pianura) determinò, però, anche la scomparsa della<br />

<strong>razza</strong> dopo l’ultimo conflitto mon<strong>di</strong>ale quando l’agricoltura veneta si rinnovò<br />

ra<strong>di</strong>calmente e le aziende conta<strong>di</strong>ne, basate ancora prevalentemente<br />

sull’autoconsumo, si specializzarono secondo precisi in<strong>di</strong>rizzi produttivi. In questo<br />

modo l’influenza della merinizzazione sulle razze ovine allevate al <strong>di</strong> qua del Po è<br />

quasi del tutto scomparsa.<br />

Cap 8 –Il XIX secolo e la decadenza dell’allevamento ovino bergamasco<br />

Mentre alcuni membri del governo a Milano si preoccupavano del successo<br />

dell’introduzione delle “pecore <strong>di</strong> spagna” il bergamasco MAIRONI DA PONTE (1803),<br />

si preoccupava più realisticamente delle con<strong>di</strong>zioni dell’allevamento bergamasco<br />

“non è meraviglia se per sì enorme carestia <strong>di</strong> pasturaggio i nostri pastori sogliono<br />

passar l’estate sull’alpi della Retia, e della Svizzera, piuttosto frà noi, e in<strong>di</strong> si portino<br />

ancora nel basso Milanese, nel Pavese, e nel <strong>di</strong>partimento dell’Agogna, dove più<br />

economicamente passano l’inverno, non facendo nel suolo natio se non un sollecito<br />

passaggio”. <strong>La</strong> <strong>di</strong>minuzione delle pecore, oltre che da ragioni “inevitabili”, legate al<br />

progresso dell’agricoltura, sarebbe stata determinata da ragioni “maliziose” e cioè all’<br />

“abuso <strong>di</strong> alcuni trafficanti, che per avi<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> denaro, raccogliendo queste poche lane<br />

nostrali. Le quali sono assai perfette, le fanno con ingegnosi raggiri passare in altri<br />

paesi. Il più comune de’ mezzi, che adoperano è quello <strong>di</strong> far sortire le greggi, come<br />

<strong>di</strong>cono non tosate,: abuso tanto più detestabile, quanto che per alimentare poi in<br />

nazionale <strong>La</strong>nificio, dobbiamo tirare la massima quantità <strong>di</strong> lane da regioni<br />

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