La pecora bergamasca. Storia e presente di una razza ... - Ruralpini

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31.05.2013 Views

quest’ultima in un ruolo tutt’altro che subalterno. Accanto ai più grandi imprenditori agricoli che riversano nelle campagne e nelle industrie agrarie i ricavati del commercio internazionale, degli appalti delle tasse, del credito, assume importanza uno strato di più piccoli imprenditori agricoli di origine valligiana. Nel XV secolo, calata la pressione demografica che determinava la forzata estensione della ceralicoltura a buona parte delle superfici agricole, inizia un nuovo ciclo di investimenti che, data la nuova struttura dei prezzi dei prodotti, si incentra sulla già citata piantata. Appoggiati ad alberi “tutori” i filari di viti si intervallano a campi di lino e di cereali. Tutt’intorno gli appezzamenti sono delimitati da fossati di scolo e da fitte siepi per interdire l’ingresso del bestiame. Se da una parte queste sistemazioni fondiarie rendono sempre meno compatibile l’esercizio dell’agricoltura e della pastorizia transumante dall’altra il progredire dell’estensione dei prati irrigui a spese degli arativi ma anche dei boschi residui mette a disposizione tre tagli di fieno che devono essere consumate da bestie forastiere. Si tratta di bestiame bovino che continua a seguire i percorsi tradizionali della transumanza, che continua ad utilizzare i pascoli acquitrinosi e i prati naturali della Lomellina o del cremasco secondo linee trasversali che si affiancano alla transumanza verticale per quote altimetriche, ma che si affida sempre più alle scorte accumulate nelle cassine (CHIAPPA MAURI, 1977). Tra questi allevatori i più fortunati tendono a radicarsi in pianura come ricchi affittuari avviando un processo che si concluderà tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo quando la transumanza bovina resterà come fenomeno marginale. I proprietari dei fondi stimolati dalle prospettive del commercio dei foraggi e dai patti con gli allevatori intraprendono la costruzione di casere e di stalle e di abitazioni per i pergamaschi. Dalle strutture fragili e temporanee si passa a strutture sempre più stabili e durature promuovendo quella costruzione di nuovi nuclei insediativi al di fuori dei vecchi villaggi nell’ambito di quella che prima era precedentemente aperta campagna imprimendo al paesaggio della bassa quella che è rimasta l’indelebile caratteristica della presenza delle cascine. E’evidente che questi processi determinino ad un certo punto una netta differenziazione tra i pastori e i “bergamini” che, sino ad allora, mantenevano uno stile di vita simile e, forse, rappresentavano figure non ben distinte. In una campagna “presidiata” dalle cascine, cintata da siepi, costellata di viti ai pastori non resta che differenziare i percorsi tradizionali. Dopo aver pascolato i pascoli e le brughiere e i pascoli dell’alta pianura ed essersi abbeverate alle pissine dei villaggi, greggi e mandrie prendevano strade differenti: i bovini verso le stalle dove le attendevano scorte di fieno nell’ambito di ben precise forme contrattuali, rimaste in vigore almeno sino al XIX secolo, le pecore verso i rimanenti prati asciutti, i pascoli naturali, lungo i fiumi e le regone. Si era avviato pertanto un processo che avrebbe visto nei secoli restringersi sempre di più l’estensione dei pascoli invernali per la pastorizia. Ancora tra ‘400 e ‘500, però, come segnala ROVEDA (1988), quelli che i documenti chiamano “bergamaschi” erano in generale allevatori di bestiame in senso lato. All’epoca, sia nel pavese propriamente detto che nella zone pianeggianti al di là del Po, esistevamo ancora grandi estensioni di pascolo comunale e privato ed erano queste estensioni che i “bergamaschi” prendevano in affitto. E’ probabile che fin

tanto che l’allevamento transumante continuò a basarsi sull’utilizzo del pascolo e che la presenza delle cassine e delle scorte di fieno non cominciarono a caratterizzare l’allevamento bovino come semipermanente non vi sia stata una netta distinzione tra allevatori di bovini e di ovini. La prova verrebbe fornita da un documento del 1439 in cui si parla di tre “pergamaschi” soliti risiedere nelle possessioni di Visano di Pietro Visconti. Uno di essi aveva 48 vacche, un altro 60, il terzo 45 più 80 pecore. Nella possessione di Portalbera del Vescovo di Pavia nel 1453 alla morte del vescovo l’inviato ducale rinvenì “circa tremila fassi (oltre 2200 q.li!)de feno ben ordinato e affassonato e misso soto le cassine belle e apte, el quale feno me pare sia promisso ad alcuni malgari …”. A Gerenzano, nel 1527 vari bergamini dovevano pagare al commendatario dell’abbazia di S.Pietro in Ciel d’Oro lire 438 per 480 fassi di fieno; in queste possessioni si stabiliva che i fittabili fossero obbligati a far pascolare il bestiame dei malgari sui prati e sui pascoli della possessione stessa. In altre possessioni vicino a Belgioioso nel 1492 i fittabili dovevano consegnare oltre all’affitto determinate quantità e di formaggio prodotto dai malgari segno che la presenza dei bergamaschi e il rapporto con i conduttori delle aziende si andavano stabilizzando. Un’intensa attività di vendita di fieno ai bergamaschi è segnalata anche in altre località. Nel 1537 in una lista di 68 “bergamaschi tra forestieri e pavesi” per 52 è indicato il possesso di vacche (in totale 3.032), per sedici non si indica il bestiame allevato e solo in un caso il bergamasco è espressamente indicato come “pecoraio forestiero”. E’ evidente che nel XVI l’importanza delle vacche da latte sia diventata preminente in alcune zone più avanzate della “bassa”; ciò non toglie che anche la pastorizia alpino-padana, in analogia con quanto noto attraverso l’ampia documentazione sulla transumanza appenninica, abbia continuato a crescere di importanza per raggiungere un culmine nell’età d’oro del XVII secolo. Il restringersi degli spazi utilizzabili per il pascolo e l’aumento delle greggi transumanti causarono a partire dal ‘500, ma ancor più nel ‘600, crescenti conflitti di cui rimane amplissima testimonianza. Le risposte delle autorità furono contraddittorie, ma probabilmente, al di là delle carenze politicoamministrative delle autorità pubbliche, non era facile affrontare un conflitto di interessi che, come vedremo, aveva diversi risvolti e coinvolgeva grossi interessi economici e persino i rapporti tra gli Stati assumendo grande rilievo politico. Lungi dal poter essere interpretato come un semplice scontro tra “poveri” pastori sempre più al margine delle attività economiche e l’agricoltura in generale, il conflitto intorno alla transumanza vede spesso schierati dalla parte della pastorizia i Principi, i grossi proprietari terrieri, le comunità rurali.

quest’ultima in un ruolo tutt’altro che subalterno. Accanto ai più gran<strong>di</strong> impren<strong>di</strong>tori<br />

agricoli che riversano nelle campagne e nelle industrie agrarie i ricavati del<br />

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uno strato <strong>di</strong> più piccoli impren<strong>di</strong>tori agricoli <strong>di</strong> origine valligiana. Nel XV secolo,<br />

calata la pressione demografica che determinava la forzata estensione della<br />

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investimenti che, data la nuova struttura dei prezzi dei prodotti, si incentra sulla già<br />

citata piantata. Appoggiati ad alberi “tutori” i filari <strong>di</strong> viti si intervallano a campi <strong>di</strong><br />

lino e <strong>di</strong> cereali. Tutt’intorno gli appezzamenti sono delimitati da fossati <strong>di</strong> scolo e da<br />

fitte siepi per inter<strong>di</strong>re l’ingresso del bestiame. Se da <strong>una</strong> parte queste sistemazioni<br />

fon<strong>di</strong>arie rendono sempre meno compatibile l’esercizio dell’agricoltura e della<br />

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degli arativi ma anche dei boschi residui mette a <strong>di</strong>sposizione tre tagli <strong>di</strong> fieno che<br />

devono essere consumate da bestie forastiere. Si tratta <strong>di</strong> bestiame bovino che<br />

continua a seguire i percorsi tra<strong>di</strong>zionali della transumanza, che continua ad utilizzare<br />

i pascoli acquitrinosi e i prati naturali della Lomellina o del cremasco secondo linee<br />

trasversali che si affiancano alla transumanza verticale per quote altimetriche, ma che<br />

si affida sempre più alle scorte accumulate nelle cassine (CHIAPPA MAURI, 1977). Tra<br />

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allevatori intraprendono la costruzione <strong>di</strong> casere e <strong>di</strong> stalle e <strong>di</strong> abitazioni per i<br />

pergamaschi. Dalle strutture fragili e temporanee si passa a strutture sempre più<br />

stabili e durature promuovendo quella costruzione <strong>di</strong> nuovi nuclei inse<strong>di</strong>ativi al <strong>di</strong><br />

fuori dei vecchi villaggi nell’ambito <strong>di</strong> quella che prima era precedentemente aperta<br />

campagna imprimendo al paesaggio della bassa quella che è rimasta l’indelebile<br />

caratteristica della presenza delle cascine. E’evidente che questi processi determinino<br />

ad un certo punto <strong>una</strong> netta <strong>di</strong>fferenziazione tra i pastori e i “bergamini” che, sino ad<br />

allora, mantenevano uno stile <strong>di</strong> vita simile e, forse, rappresentavano figure non ben<br />

<strong>di</strong>stinte. In <strong>una</strong> campagna “presi<strong>di</strong>ata” dalle cascine, cintata da siepi, costellata <strong>di</strong> viti<br />

ai pastori non resta che <strong>di</strong>fferenziare i percorsi tra<strong>di</strong>zionali. Dopo aver pascolato i<br />

pascoli e le brughiere e i pascoli dell’alta pianura ed essersi abbeverate alle pissine<br />

dei villaggi, greggi e mandrie prendevano strade <strong>di</strong>fferenti: i bovini verso le stalle<br />

dove le attendevano scorte <strong>di</strong> fieno nell’ambito <strong>di</strong> ben precise forme contrattuali,<br />

rimaste in vigore almeno sino al XIX secolo, le pecore verso i rimanenti prati asciutti,<br />

i pascoli naturali, lungo i fiumi e le regone. Si era avviato pertanto un processo che<br />

avrebbe visto nei secoli restringersi sempre <strong>di</strong> più l’estensione dei pascoli invernali<br />

per la pastorizia.<br />

Ancora tra ‘400 e ‘500, però, come segnala ROVEDA (1988), quelli che i documenti<br />

chiamano “bergamaschi” erano in generale allevatori <strong>di</strong> bestiame in senso lato.<br />

All’epoca, sia nel pavese propriamente detto che nella zone pianeggianti al <strong>di</strong> là del<br />

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