La pecora bergamasca. Storia e presente di una razza ... - Ruralpini

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31.05.2013 Views

Lo sviluppo della transumanza a lungo raggio 1 La fase successiva della transumanza, che si afferma a partire dalla metà del XII secolo, rappresenta quella forma di transumanza a lungo raggio che caratterizzerà la pastorizia bergamasca fino ad oggi. Gli alpeggi a quest’epoca sono già prevalentemente utilizzati dalle comunità locali, raramente da signori laici. Il vescovo conserva dei diritti che fruttano rendite più o meno elevate, ma raramente mantiene la piena proprietà degli alpeggi; dove questo accade concede gli alpeggi in affitto come faranno sempre più frequentemente anche i signori laici nel corso del secolo e di quello successivo. Normalmente le comunità alpeggiano solo bestiame proprio ma, a volte, sono ammessi anche capi forestieri a fronte di tasse e spesso della decima. Tutta la superficie utilizzabile nel XII è già sfruttata e gli alpeggi, i cui confini vengono delimitati anche materialmente, sono caricati con una quantità di bestiame probabilmente uguale a quella della fine del ‘500 (al culmine dello sviluppo della pastorizia bergamasca e camuna). Nei secoli successivi l’espansione dell’allevamento poté essere realizzata solo allargando al Trentino, al Piemonte, alla Valtellina e alla Svizzera l’area dei pascoli estivi anche perché, nel frattempo, sugli alpeggi bergamaschi venne aumentando il numero dei bovini che in inverno potevano trovare crescente accoglienza, grazie allo sviluppo delle coltivazioni foraggere, presso le stalle della Bassa. Parallelamente e in stretta connessione con lo sviluppo della pastorizia transumante, alla fine del XII secolo, si moltiplicano i mulini a follone (segnalati a Gorle, Albino, Vertova). Intorno alla transumanza si sviluppò anche una serie di attività artigianali di traffici che vanno dalla vendita di pelli, formaggi, bestiame ai prestiti. Essi consentono ai montanari di acquisire una qualificazione che consentirà loro di inserirsi già nel XIII a Brescia e in modo massiccio nel XIV secolo ancora a Brescia ma anche nel milanese e nel pavese dove i “pergamaschi” rappresenteranno un elemento importante per gli sviluppi dell’agricoltura della “bassa” (ROVEDA, 1988). Per quanto riguarda l’emigrazione a breve raggio sappiamo che, a partire dal XIII secolo i montanari legati alla transumanza si insediarono anche nei vari borghi del piano fino a Crema creando “colonie” che restarono in rapporto ancora per lungo tempo con la transumanza. L’abilità commerciale degli imprenditori della transumanza era legata alla necessità di manovrare denaro e di ragionare in termini finanziari. I pastori contrattavano prestiti alla partenza per le zone di svernamento, vendevano bestiame, contrattavano soccide. Queste operazioni venivano eseguite durante le diverse tappe del percorso e hanno consentito di ricostruire i percorsi stessi grazie alle tracce lasciate nei contratti. . A settembre il gregge scendeva dall’alpeggio e sostava sui prati falciabili dei maggenghi. L’ultima parte di settembre e ottobre erano trascorse su prati e campi di fondovalle che erano a quest’epoca aperti al pascolo. TIRABOSCHI (1882) riferisce che lo statuto di Leffe, consentiva il pascolo ovino da S.Michele al primo di marzo e cita il proverbio “a S.Martino l’erba è dell’agnellino” che ricorda questa radicata consuetudine. Verso l’epoca della festa dei 1 anche questo paragrafo si basa prevalentemente su. Menan (1993)

Morti i greggi ovini con al seguito un ridotto numero di vacche (allora “aggregate” alle greggi ovine) erano già partiti e si trovavano all’imbocco delle valli, ad Almenno, a Seriate, nei sobborghi di Bergamo mentre maiali e capre occupavano i pascoli lasciati liberi nei fondovalle. Qui i pastori raccoglievano bestiame di compaesani che si sono stanziati lungo il percorso e si dirigevano verso la pianura. Ancora in pieno inverno era però possibile incontrare greggi “ritardatarie” che scendevano dai monti. La transumanza bergamasca assume connotati pacifici lontani da quelle violenze che di solito sono associate alle transumanze a lungo raggio). Solo in un caso la guerra tra Bergamo e Milano provocò colpi di mano a danno di pecore greggi bergamaschi che si trovavano in territorio milanese (nel dicembre 1227 a Fornovo e nell’ottobre 1269 a Maleo). Intorno al 1400 durante la guerra civile a Bergamo tra guelfi e ghibellini i greggi che si ostinarono a transumare furono oggetto di attacchi armati. Ma furono casi isolati. La violenza era limitata alle risse tra pastori della stessa città e quindi ad una semplice questione di polizia. Nel 1186 Federico I concesse ai figli del cremonese Cremoxanus il monopolio della protezione dei greggi svernanti nella diocesi di Cremona riferendosi esplicitamente al fatto che i pastori fossero bergamaschi. Solo in qualche caso i proprietari della pianura, invece di limitarsi alla facile e lucrosa riscossione dei diritti di pascolo, gestivano essi stessi la transumanza, ma si tratta di casi isolati. Sempre a proposito di Cremona sappiamo che nel XIII secolo i ricchi personaggi di questa città, noti per la passione per l’allevamento di cavalli di grande bellezza, possedevano anche grandi greggi che svernavano sulle glaree lungo il corso del Po. Essi erano governati da pastori bergamaschi che, probabilmente, le conducevano d’estate sugli alpeggi bergamaschi. Da queste notizie ricaviamo che il rapporto tra la pastorizia transumante e il territorio Cremonese fu molto stretto sin dagli inizi. La transumanza ovina diviene pertanto, a partire dal XII secolo, appannaggio dei montanari bergamaschi (e camuni). E’ interessante cercare di capire, però, quali fossero gli attori sociali della transumanza. Almeno inizialmente gli allevatoriproprietari-imprenditori erano certamente dei membri della nobiltà locale. Essi affittavano gli alpeggi, anticipavano somme di denaro ai conduttori dei greggi, controllavano la fabbricazione ed il commercio dei drappi di lana. Si trattava perciò di imprenditori-finanzieri ricchi e influenti anche se con interessi ben radicati nelle valli. A partire dal XIII secolo emergono “uomini nuovi” che devono le loro fortune alla transumanza. “Pastori” e “pecorai” Nei secoli successivi, fino al XVII, la transumanza costituirà un ramo economico importantissimo anche se il graduale aumento delle importazioni di lane dal levante, dalle aree di lingua tedesca, dalla Puglia farà progressivamente diminuire l’importanza sociale ed economica di questa attività. L’allevatore-proprietario resterà comunque una figura di imprenditore-commerciante; ancora nell’800 i più importanti industriali della lana di Gandino erano proprietari di moltissimi greggi che

Lo sviluppo della transumanza a lungo raggio 1<br />

<strong>La</strong> fase successiva della transumanza, che si afferma a partire dalla metà del XII<br />

secolo, rappresenta quella forma <strong>di</strong> transumanza a lungo raggio che caratterizzerà la<br />

pastorizia <strong>bergamasca</strong> fino ad oggi. Gli alpeggi a quest’epoca sono già<br />

prevalentemente utilizzati dalle comunità locali, raramente da signori laici. Il vescovo<br />

conserva dei <strong>di</strong>ritti che fruttano ren<strong>di</strong>te più o meno elevate, ma raramente mantiene la<br />

piena proprietà degli alpeggi; dove questo accade concede gli alpeggi in affitto come<br />

faranno sempre più frequentemente anche i signori laici nel corso del secolo e <strong>di</strong><br />

quello successivo. Normalmente le comunità alpeggiano solo bestiame proprio ma, a<br />

volte, sono ammessi anche capi forestieri a fronte <strong>di</strong> tasse e spesso della decima.<br />

Tutta la superficie utilizzabile nel XII è già sfruttata e gli alpeggi, i cui confini<br />

vengono delimitati anche materialmente, sono caricati con <strong>una</strong> quantità <strong>di</strong> bestiame<br />

probabilmente uguale a quella della fine del ‘500 (al culmine dello sviluppo della<br />

pastorizia <strong>bergamasca</strong> e cam<strong>una</strong>). Nei secoli successivi l’espansione dell’allevamento<br />

poté essere realizzata solo allargando al Trentino, al Piemonte, alla Valtellina e alla<br />

Svizzera l’area dei pascoli estivi anche perché, nel frattempo, sugli alpeggi<br />

bergamaschi venne aumentando il numero dei bovini che in inverno potevano trovare<br />

crescente accoglienza, grazie allo sviluppo delle coltivazioni foraggere, presso le<br />

stalle della Bassa.<br />

Parallelamente e in stretta connessione con lo sviluppo della pastorizia transumante,<br />

alla fine del XII secolo, si moltiplicano i mulini a follone (segnalati a Gorle, Albino,<br />

Vertova). Intorno alla transumanza si sviluppò anche <strong>una</strong> serie <strong>di</strong> attività artigianali <strong>di</strong><br />

traffici che vanno dalla ven<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> pelli, formaggi, bestiame ai prestiti. Essi<br />

consentono ai montanari <strong>di</strong> acquisire <strong>una</strong> qualificazione che consentirà loro <strong>di</strong><br />

inserirsi già nel XIII a Brescia e in modo massiccio nel XIV secolo ancora a Brescia<br />

ma anche nel milanese e nel pavese dove i “pergamaschi” rap<strong>presente</strong>ranno un<br />

elemento importante per gli sviluppi dell’agricoltura della “bassa” (ROVEDA, 1988).<br />

Per quanto riguarda l’emigrazione a breve raggio sappiamo che, a partire dal XIII<br />

secolo i montanari legati alla transumanza si inse<strong>di</strong>arono anche nei vari borghi del<br />

piano fino a Crema creando “colonie” che restarono in rapporto ancora per lungo<br />

tempo con la transumanza. L’abilità commerciale degli impren<strong>di</strong>tori della<br />

transumanza era legata alla necessità <strong>di</strong> manovrare denaro e <strong>di</strong> ragionare in termini<br />

finanziari. I pastori contrattavano prestiti alla partenza per le zone <strong>di</strong> svernamento,<br />

vendevano bestiame, contrattavano soccide. Queste operazioni venivano eseguite<br />

durante le <strong>di</strong>verse tappe del percorso e hanno consentito <strong>di</strong> ricostruire i percorsi stessi<br />

grazie alle tracce lasciate nei contratti. . A settembre il gregge scendeva dall’alpeggio<br />

e sostava sui prati falciabili dei maggenghi. L’ultima parte <strong>di</strong> settembre e ottobre<br />

erano trascorse su prati e campi <strong>di</strong> fondovalle che erano a quest’epoca aperti al<br />

pascolo. TIRABOSCHI (1882) riferisce che lo statuto <strong>di</strong> Leffe, consentiva il pascolo<br />

ovino da S.Michele al primo <strong>di</strong> marzo e cita il proverbio “a S.Martino l’erba è<br />

dell’agnellino” che ricorda questa ra<strong>di</strong>cata consuetu<strong>di</strong>ne. Verso l’epoca della festa dei<br />

1 anche questo paragrafo si basa prevalentemente su. Menan (1993)

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