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La pecora bergamasca. Storia e presente di una razza ... - Ruralpini

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lasciarne le lane ad alimento delle vicine Fabbriche <strong>di</strong> panni Biellesi a qualunque estero<br />

preferibile nel loro acquisto.. In oggi <strong>di</strong>visa la Vallesesia in due parti cosichè la destra al<br />

Piemonte e la sinistra alla nostra Repubblica appartiene, restano per gli antichi rapporti<br />

<strong>di</strong> paese con paese variati a segno che, <strong>una</strong> <strong>di</strong>retta ed assoluta proibizione <strong>di</strong> tosare le<br />

pecore a que’ confini risulterebbe forse più che d’avvantaggio , <strong>di</strong> grave danno allo<br />

Stato, come dal seguente riflesso si può raccogliere. (...) deve temersi la ritorsione del<br />

Piemonte che priverebbe del <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> pascolo sulla parte destra della Valsesia i pastori<br />

bergamaschi costringendoli a <strong>di</strong>minuire il numero delle pecore allevate.”<br />

Secondo il rapporto del 6 agosto 1803 sarebbe stata quest’ultima la ragione che aveva<br />

spinto il governo Veneto a “soffrire la per<strong>di</strong>ta della tosatura”. Da questo carteggio si<br />

deduce che all’epoca e, verosimilmente, più <strong>di</strong> un secolo prima (come è lecito<br />

dedurre dal riferimento ad “antichissima misura politica del Governo Piemontese”) le<br />

greggi bergamasche pascolavano in gran numero sia sugli alpeggi che sui pascoli <strong>di</strong><br />

me<strong>di</strong>a montagna delle Valsesia. E’ evidente che il loro contributo al lanificio biellese<br />

fosse importante. Ai fabbricanti gan<strong>di</strong>nesi venne comunque concessa <strong>una</strong><br />

sovvenzione <strong>di</strong> 50.000 lire (ne avevano chieste 300.000 a titolo <strong>di</strong> partecipazione<br />

minoritaria dello Stato ad <strong>una</strong> nuova società) per l’acquisto <strong>di</strong> nuovi macchinari<br />

necessari a migliorare la qualità del prodotto ed a venire incontro alle esigenze delle<br />

commesse governative. Il Governo si impegnava anche ad acquistare 50.000 m <strong>di</strong><br />

stoffa. (COVA, 1988);<br />

Nel periodo del Regno Lombardo-Veneto subentrò un nuovo elemento decisivo che<br />

determinò la decadenza del lanificio. Si trattò della <strong>di</strong>ffusione dei cotonifici. Il<br />

prodotto del cotonificio risultava accessibile alle classi popolari grazie alla maggiore<br />

economicità e semplicità delle macchine per la sua lavorazione. Esso era in grado <strong>di</strong><br />

sostituire non solo il lino e la canapa, ma per molti usi, anche la lana. Sulla <strong>di</strong>ffusione<br />

dei tessuti in cotone dopo la metà del secolo Giuseppe Zanardelli nel 1857 scrisse che<br />

“(…) anche tra noi mutò ad un tratto la foggia del vestito dei nostri artieri e conta<strong>di</strong>ni,<br />

i quali alle rozze lane ad ai tessuti <strong>di</strong> lino e <strong>di</strong> canapa sostituirono i generalizzati<br />

fustagni” (TREZZI, 1988). Cesare Correnti (CORRENTI, 1844) riferì dei tentativi che si<br />

fecero a Gan<strong>di</strong>no negli anni ’20 e ’30 dell’ ‘800 per introdurre innovazioni nel<br />

lanificio importando nuove macchine e maestranze dall’estero. Nel 1820 Marco<br />

Ghirardelli importò per primo macchine <strong>di</strong> cardatura e filatura dando il via<br />

all’industria moderna <strong>bergamasca</strong> (BARBIERI, 1996). Ne derivò <strong>una</strong> vera e propria<br />

rivoluzione. <strong>La</strong> produzione prima decentrata in <strong>una</strong> casa su tre si concentrò negli<br />

opifici dove si utilizzavano i telai meccanici. Ignazio Cantù nella sua <strong>Storia</strong> <strong>di</strong><br />

Bergamo e della sua provincia, e<strong>di</strong>ta nel 1859 scriveva:<br />

“Ora sei fabbriche compiute, con macchine per cardassare, filare, tessere, feltrare, ridur<br />

a pelo e raderlo, e parecchie fabbriche piccole coll’antica filatura a mano si hanno in<br />

Gan<strong>di</strong>no. Vi lavorano 515 telaj, la Più parte riuniti in 27 opificj, e servono pei tessuti<br />

operati più fini, sussi<strong>di</strong>ati da 45 macchine alla Jaquard, producenti sino a 8000 pezze<br />

annue <strong>di</strong> panno del valore complessivo <strong>di</strong> lire 600 mila, la massima parte grossolano,<br />

ottimo pel popolo. Onde è che in quel <strong>di</strong>stretto si lavora più lana che in tutto il resto<br />

della provincia, e viene importata in gran parte dal Veneto, dalla Romagna, dalla Puglia,<br />

dall’Ungheria, dalla Russia, dal Levante, dall’Australia”

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