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Storia della Guerra futura Storia della Guerra Futura

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82<br />

Atti del Convegno maggio <br />

bili e ripugnanti nell’ottica occidentale, e facendo uso a proprio vantaggio di<br />

quelli che Edward Luttwak ha denominato i fattori intangibili <strong>della</strong> guerra. Essi<br />

hanno sempre avuto una grande importanza in tutti i conflitti. Ciò nonostante,<br />

la mitologia tecnologica ed ingegneristica che costituisce il fondamento dell’ideologia<br />

<strong>della</strong> RMA e <strong>della</strong> transformation comporta che l’influenza esercitata<br />

dalla storia, dalle strutture sociali, dalla psicologia e dalla cultura sia trascurata,<br />

o persino ignorata, soprattutto se tali modelli sociali e culturali divergono da<br />

quelli che regolano il funzionamento <strong>della</strong> società americana.<br />

In altre parole, i concetti di cui si fanno promotori Rumsfeld ed altri negli<br />

Stati Uniti ammettono implicitamente che la strategia sia separata dalla politica,<br />

come era già avvenuto per la strategia nucleare. Ma allora la questione, pur sollevando<br />

interrogativi circa la sua razionalità, non aveva rivestito molta importanza,<br />

poiché il confronto bipolare era in sostanza rimasto ingabbiato nella dimensione<br />

virtuale, ossia in quella <strong>della</strong> deterrenza e <strong>della</strong> “non-guerra”.<br />

A questo proposito, vale la pena di ricordare le analisi condotte alla Rand<br />

Corporation di Santa Monica, in California, il cui risultato finale è stato quello<br />

di dimostrare il livello di interdipendenza e di influenza reciproca esistente fra i<br />

processi di decision making delle due superpotenze. A tal fine ci si era serviti <strong>della</strong><br />

tecnica analitica <strong>della</strong> teoria dei giochi, sviluppata dai matematici John von<br />

Neumann e Oskar Morgenstern, nonché <strong>della</strong> teoria dei sistemi, che incoraggiava<br />

l’analisi considerando la prospettiva del sistema nel suo complesso anziché<br />

quella del singolo attore operante in esso.<br />

Questi sviluppi teorici ponevano in rilievo come il confronto fra gli Stati Uniti<br />

e l’Unione Sovietica fosse un gioco a somma diversa da zero. Le strategie adottate<br />

potevano essere di beneficio – o a detrimento – di entrambe le parti. L’idea<br />

che i potenziali nemici avvertissero la necessità di instaurare fra loro una relazione<br />

cooperativa per evitare che l’antagonismo potesse finire fuori controllo costituiva<br />

il perno dell’attività diplomatica, ma la pretesa che ciò fosse accompagnato<br />

dall’elaborazione di strategie militari che tenessero conto degli interessi dell’altro<br />

contendente appariva certamente poco familiare se non un fatto insolito.<br />

Fu soprattutto l’economista Thomas Schelling a tradurre in pratica tali<br />

approcci, sostenendo che sarebbe stato preferibile, nell’ottica <strong>della</strong> deterrenza<br />

nucleare, colpire le città anziché gli arsenali missilistici, mentre Herman Kahn<br />

introdusse il concetto di escalation quale atto deliberato sulla base del presupposto<br />

che anche i conflitti nucleari potessero essere soggetti a controllo attraverso<br />

apposite strategie di manipolazione del rischio. In un certo senso, un simile

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