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Storia della Guerra futura Storia della Guerra Futura

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76<br />

Atti del Convegno maggio <br />

vedibilmente dovrà combattere nel breve-medio termine, il ruolo delle culture,<br />

delle strutture sociali e <strong>della</strong> dimensione umana <strong>della</strong> guerra sarà maggiore di<br />

quello che tali fattori strategici avevano nei conflitti armati tradizionali o westfaliani,<br />

vale a dire in quelli fra eserciti regolari. La comprensione delle culture<br />

nonché delle dinamiche sociali (e spesso etniche e identitarie) e, specularmente,<br />

il superamento di visioni e logiche eurocentriche assume una rilevanza particolare<br />

nelle cosiddette “guerre di quarta generazione”.<br />

Queste – secondo una teoria comparsa sul finire degli anni ottanta e, attraverso<br />

successivi aggiornamenti e revisioni, divenuta di nuovo popolare all’indomani<br />

dell’attacco alle Twin Towers e sulla scia delle drammatiche vicende irachene<br />

– non si combattono più fra gli Stati, ma all’interno di essi, e nel caso di interventi<br />

esterni (come in Afghanistan e in Iraq) si sostanziano in una prosecuzione<br />

a lungo termine delle ostilità a seguito <strong>della</strong> conclusione delle classiche operazioni<br />

militari convenzionali. In altre parole, a queste ultime segue una fase di “guerra<br />

dopo la guerra” protratta nel tempo che, al di là delle speculazioni (spesso<br />

prive di fondamento storico) dei teorici <strong>della</strong> “guerra di quarta generazione”, ha<br />

natura e forme molto simili a quelle delle guerre rivoluzionarie di lunga durata<br />

teorizzate da Mao Tse-tung o delle guerre di guerriglia con cui hanno dovuto fare<br />

i conti le potenze coloniali. Questo punto è fondamentale. Come sottolinea<br />

Carlo Jean, logiche di tipo eurocentrico non sono in grado di rappresentare in<br />

modo realistico la situazione e inducono spesso a semplificazioni dagli effetti<br />

disastrosi, del tipo di quelle decise dal “proconsole” americano in Iraq, l’ambasciatore<br />

Paul Bremer.<br />

Nella fattispecie, la scelta infausta di dissolvere le forze armate irachene non è<br />

stata solo la fonte di disperazione di una massa di trecentomila uomini armati<br />

trovatisi dall’oggi al domani privi di un impiego, creando indirettamente un terreno<br />

fertile per le attività di reclutamento delle formazioni <strong>della</strong> guerriglia, ma<br />

ha comportato anche altre nefaste conseguenze. Ad esempio, Fallujah è assurta<br />

ad epicentro del movimento di opposizione armata agli sforzi americani di stabilizzazione<br />

(e peraltro è stata per questo motivo teatro di duri scontri con le<br />

forze <strong>della</strong> coalizione, dapprima nell’aprile del 2004 e successivamente nel<br />

novembre di quello stesso anno) anche perché la decisione di Bremer non poteva<br />

che avere pesanti ripercussioni per una città la cui larga parte degli abitanti di<br />

sesso maschile serviva nell’esercito. Il formale smantellamento delle forze armate,<br />

in definitiva, ha finito con il coincidere con gli auspici di alcuni esponenti di<br />

spicco curdi e sciiti (primo fra tutti, Ahmad Chalabi, l’uomo designato dal

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