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Storia della Guerra futura Storia della Guerra Futura

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170<br />

Atti del Convegno maggio <br />

Sono i primi giorni di luglio 2006. Alcuni cortei di auto di grossa cilindrata,<br />

scure, blindate, scortate girano per la città. Srebrenica è piccola, molto piccola e,<br />

quando i cortei delle auto, che vengono da fuori, si muovono, la circolazione<br />

rimane completamente bloccata. I corpi speciali <strong>della</strong> polizia, in tenuta da combattimento<br />

e con le armi spianate, dirigono il traffico e ti impediscono di tornare<br />

a casa. Ti mandano a parcheggiare fuori città. Oggi deve passare il presidente,<br />

poi il capo dell’associazione degli ex combattenti e il capo del governo. Ad essi<br />

si aggiungerà questa o quella autorità religiosa.<br />

Un pomeriggio degli stessi giorni di luglio, a pochi chilometri di distanza, a<br />

Potocari, che è una frazione di Srebrenica, tre camion entrano nell’area di parcheggio<br />

antistante una vecchia fabbrica.<br />

Prima <strong>della</strong> guerra vi si fabbricavano accumulatori di elettricità e batterie per<br />

auto e macchinari industriali. Oggi gli edifici sono vuoti. Enormi e vuoti. Abitati<br />

solo dai ricordi di chi è sopravvissuto.<br />

A Srebrenica, oggi, vivono poche migliaia di persone. Le abitazioni si sono<br />

svuotate nel 1995, i primi giorni del luglio 1995. Allora la fabbrica di accumulatori,<br />

dismessa dall’inizio <strong>della</strong> guerra, era stata trasformata nella sede di un centinaio<br />

di caschi blu olandesi. Il loro compito era difendere la città, enclave<br />

musulmana dichiarata zona protetta dalle Nazioni Unite.<br />

Le persone che scapparono quando Srebrenica cadde riposero in loro troppa<br />

fiducia.<br />

Le milizie serbe di Ratko Mladic, anch’esse alla fabbrica, insieme ai caschi blu<br />

paralizzati dai veleni delle politiche internazionali, accolsero migliaia di cittadini<br />

in fuga, in preda al terrore.<br />

Oggi gli autisti dei tre camion scendono dai loro mezzi e cominciano, lentamente<br />

e con gesti carichi di rispetto, a svuotarli del proprio contenuto. I tre camion trasportano<br />

corpi di uomini. I corpi riposano in bare di legno. Ogni bara è rivestita da un<br />

telo verde. Su ciascuna, inciso su una targhetta nera, un nome. Dopo undici anni di<br />

faticosi lavori investigativi ed esami del dna condotti in laboratori specializzati, è<br />

stato possibile soddisfare il primo diritto dei defunti. È stata restituita loro identità.<br />

Scapparono dalla certezza di essere uccisi e si rivolsero a chi si assunse il compito<br />

di garantire che ciò non avvenisse. Caddero in trappola. I miliziani serbi<br />

divisero gli uomini dalle donne. Degli uomini non si seppe più nulla. Per anni<br />

rimasero, e molti lo sono ancora, persone scomparse. Delle donne si sa che sono<br />

vedove, madri, sorelle e figlie in lutto. Ma non completamente. Il loro lutto non<br />

si potrà compiere nè esaurire, assopire nè rimuovere nè elaborare perchè dei loro

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