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Caselli/ La politica e la giustizia - I Siciliani giovani

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w.isiciliani.it<br />

Storia<br />

Donne e mafia<br />

in Sicilia<br />

Fra omertà e ribellione<br />

di Elio Camilleri<br />

Buscetta diceva che <strong>la</strong> donna era lo<br />

“stampo” dell’uomo, cioè aveva <strong>la</strong> forma<br />

che il maschio che le stava accanto<br />

aveva voluto per lei: ubbidiente, sottomessa,<br />

silenziosa, rispettosa dell’autorità<br />

del capo famiglia. Dentro <strong>la</strong> Sicilia<br />

era così ed anche in tante periferie<br />

agresti del nostro Paese, ma dentro<br />

Cosa nostra <strong>la</strong> cosa era sicuramente più<br />

“sentita”, perché dentro Cosa nostra <strong>la</strong><br />

prima rego<strong>la</strong> è il silenzio e, quindi,<br />

l’omertà che pure comprende, oltre al<br />

“non parlo” anche il “non sento” e il<br />

“non vedo”.<br />

<strong>La</strong> donna siciliana ha, così, sofferto un<br />

condizionamento in più ed è sta costretta<br />

a rimuovere un ostacolo in più per liberarsi<br />

dal<strong>la</strong> soggezione e dal<strong>la</strong> sottomissione.<br />

Ma fu proprio Buscetta a stracciare <strong>la</strong><br />

fondamentale rego<strong>la</strong> del silenzio sul<strong>la</strong><br />

quale Cosa nostra aveva costruito il suo<br />

dominio sui suoi affiliati e su pezzi significativi<br />

del<strong>la</strong> società siciliana e, allora,<br />

dopo Buscetta, le cose cambiarono sensibilmente<br />

per tutti e, quindi, anche per <strong>la</strong><br />

donna siciliana dentro Cosa nostra.<br />

Il “pentitismo” maschile inaugurato da<br />

Buscetta, avendo prodotto centinaia di arresti,<br />

decine di ergastoli e migliaia di anni<br />

di detenzione, aveva costretto, infatti,<br />

Cosa nostra ad affidare alle donne, cioè<br />

alle mogli o alle sorelle o figlie dei detenuti,<br />

quelle mansioni che da sempre erano<br />

state svolte dai “maschi”.<br />

Cosa nostra avvertì che le “affiliazioni”<br />

con tanto di rito, santino e “punciuta” e<br />

sangue e bacio non avevano più senso e si<br />

servì, piuttosto di gente abile a trafficare<br />

in droga e ad imporre il pizzo, ma non degna<br />

di diventare “uomo d’onore”: certo,<br />

perché l’ “uomo d’onore” poteva sapere<br />

tutto di tutti, ma le nuove reclute evidentemente<br />

non potevano accedere alle informazioni<br />

più riservate.<br />

Le donne, allora, cominciarono a tenere<br />

i contatti tra i loro congiunti detenuti e i<br />

mafiosi in libertà, sia <strong>la</strong>titanti che no, a<br />

control<strong>la</strong>re il gettito delle estorsioni, delle<br />

altre attività lecite ed illecite e a ridistribuire<br />

le risorse così accumu<strong>la</strong>te ai detenuti<br />

e per le parcelle degli avvocati.<br />

Come si vede, in Cosa nostra prima del<br />

“pentimento” di Buscetta, <strong>la</strong> donna era<br />

strumentalizzata per il suo silenzio, mentre<br />

nel<strong>la</strong> nuova situazione <strong>la</strong> donna è strumentalizzata<br />

per il ruolo attivo che deve<br />

svolgere. Fra l’altro, <strong>la</strong> donna era ancora,<br />

per così dire, “favorita” dal persistere di<br />

stereotipi e di luoghi comuni sul<strong>la</strong> sua<br />

“arretratezza culturale” e sul<strong>la</strong> sua “dipendenza<br />

e sottomissione” all’uomo, sicché il<br />

giudice non aveva neppure gli strumenti<br />

per incriminar<strong>la</strong> per “associazione mafiosa”<br />

ma solo per favoreggiamento e, trattandosi<br />

di favoreggiamento nei riguardi di<br />

un familiare, non era neppure punibile.<br />

Ciò fino al<strong>la</strong> sentenza del<strong>la</strong> Corte di<br />

Cassazione del 25 settembre del 2005 che<br />

imponeva di fare riferimento ai fatti accaduti<br />

e non più agli aspetti culturali e sociologi<br />

del<strong>la</strong> condizione femminile.<br />

Naturalmente tali nuove incombenze<br />

furono soddisfatte in diverso modo dalle<br />

donne familiari dei detenuti: Pietra lo Verso,<br />

prima maledisse il marito “pentito” dicendo<br />

che per lei e per i suoi figli era<br />

morto, ma, poi, nel 1984, volle ricongiungersi<br />

a lui e cambiare vita.<br />

Anche Pina Spadaro nel 1987 prima<br />

maledisse il marito e poi chiese agli investigatori<br />

di poterlo raggiungere nel luogo<br />

segreto del<strong>la</strong> “protezione”.<br />

Carme<strong>la</strong> Iucu<strong>la</strong>no svolse per un certo<br />

periodo il compito di “postina”, ma poi,<br />

condizionate dai suoi figli ancora piccoli,<br />

decise, nel 2004, di “col<strong>la</strong>borare” con <strong>la</strong><br />

<strong>giustizia</strong>, rompendo ogni legame col marito<br />

detenuto e con <strong>la</strong> “famiglia mafiosa”.<br />

Giusy Vitale svolse addirittura il ruolo<br />

di capo mandamento, a Partinico, in sostituzione<br />

del fratello detenuto, poi fu arrestata<br />

e, in previsione di una lunga pena<br />

detentiva, decise di iniziare anche lei, nel<br />

2011, “<strong>la</strong> col<strong>la</strong>borazione” con <strong>la</strong> <strong>giustizia</strong>.<br />

Le familiari delle vittime del<strong>la</strong> mafia,<br />

una dopo l’altra, da Serafina Battaglia<br />

(1962) in poi, presero coraggio e col<strong>la</strong>borarono<br />

con polizia e magistratura nel<strong>la</strong> ri-<br />

I <strong>Siciliani</strong><strong>giovani</strong><br />

<strong>Siciliani</strong><strong>giovani</strong><br />

– pag. 64<br />

costruzione dei fatti, nel<strong>la</strong> individuazione<br />

delle responsabilità e nel<strong>la</strong> conseguente<br />

incriminazione dei colpevoli: oltre al<strong>la</strong> già<br />

citata Pietra Lo Verso, Miche<strong>la</strong> Buscemi<br />

nel 1987, e infine, il 2 novembre 1996, Filippa<br />

Spato<strong>la</strong>, vedova del boss Salvatore<br />

Inzerillo volle <strong>la</strong>nciare dalle pagine del<br />

Giornale di Sicilia il seguente, accorato<br />

appello:<br />

“Donne di mafia, ribel<strong>la</strong>tevi. Rompete<br />

le catene; Rompete le catene, tornate al<strong>la</strong><br />

vita. Sangue chiama sangue, vendetta<br />

chiama vendetta. Basta con questa spirale<br />

senza fine. <strong>La</strong>sciate che Palermo rifiorisca<br />

sotto una nuova luce, nel segno dell’amore<br />

di dio. <strong>La</strong>sciate che i vostri figli crescano<br />

secondo i princìpi sani, capaci di esaltare<br />

quanto di bello c’è nel mondo ".<br />

L’universo femminile si è manifestato<br />

anche negli esempi del rigore e del<strong>la</strong> “fedeltà”<br />

totale a Cosa nostra: Rosali Basile,<br />

moglie di Vincenzo Scarantino, implicato<br />

nel<strong>la</strong> strage di Via D’Amelio.<br />

Giuseppa Mandarano, moglie di Marco<br />

Favaloro, imputato e “pentito” per l’omicidio<br />

di Libero Grassi dichiarò che il marito<br />

era un infame e che non lo avrebbe<br />

mai più voluto vedere. Rosa Romeo, sorel<strong>la</strong><br />

di Pietro, killer al servizio di Leoluca<br />

Bagarel<strong>la</strong>, nel momento del “pentimento”<br />

del fratello, lo rinnegò giudicandolo pazzo<br />

e infame.<br />

Ange<strong>la</strong> Morvillo tentò di dissuadere il<br />

marito Fedele Battaglia dal “col<strong>la</strong>borare<br />

con <strong>la</strong> <strong>giustizia</strong>, ma poi acconsentì a seguirlo<br />

con due delle quattro figlie nel<strong>la</strong> località<br />

segreta per poi abbandonarlo per<br />

tornare a Palermo.<br />

Al termine di questa veloce e sommaria<br />

carrel<strong>la</strong>ta va ricordato il caso di Vincenzina<br />

Marchese, moglie di Leoluca Bagarel<strong>la</strong><br />

e devastata da formidabili e insopportabili<br />

preoccupazioni per non riuscire a dare un<br />

figlio al marito, da un senso di colpa per<br />

le responsabilità del marito per <strong>la</strong> scomparsa<br />

del piccolo Santino Di Matteo, avvertita<br />

come “punizione divina”. Vincenzina<br />

Marchese si suicidò, ma anche questo<br />

non è assolutamente certo, il suo corpo<br />

fu sepolto nel bosco accanto a Bello<strong>la</strong>mpo,<br />

dissepolto, fatto a pezzi e bruciato.

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