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Caselli/ La politica e la giustizia - I Siciliani giovani

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Si rivolge a un ultrasessantenne, piazzato<br />

su una sedia e rapito nel<strong>la</strong> sua quiete.<br />

Si ripete una seconda volta, mentre il<br />

pensionato si muove con lentezza. Sembrerebbe<br />

volersi portare <strong>la</strong> sedia fino a<br />

sotto <strong>la</strong> macchina; poi, avanza senza. Il<br />

ragazzo, nel frattempo, si è avvicinato,<br />

sembra perduto. Si volta descrivendo un<br />

percorso curvo con <strong>la</strong> mano, dicendoci:<br />

«A chiazza (<strong>la</strong> piazza)». Il vegliardo è ormai<br />

vicino, quando il giovane ci fa segno<br />

di aspettare, compulsivamente.<br />

Il signore anziano indossa lenti scure,<br />

sotto il tasco; ha l’unghia del mignolo<br />

lunga, che può voler significare una manifestazione<br />

di malindrineria o comando<br />

in un ordine gerarchico, se non una sua<br />

scarsa propensione all’igiene. Le sue indicazioni<br />

<strong>la</strong>sciano spazio all’interpretazione:<br />

«Voi dovete prendere <strong>la</strong> strada che<br />

ci diciamo (ndr, leggi “che noi Niscemesi<br />

chiamiamo”) “il ponte”» e poi «E <strong>la</strong> strada<br />

che ci dicono… Come ci dicono? Nun<br />

mou rivordu (non ricordo)». Indicandoci<br />

il segnale di divieto di transito, fa più o<br />

meno così: «Di qua non ci si può prendere,<br />

ma se volete ci potete andare».<br />

<strong>La</strong> base militare<br />

Non era <strong>la</strong> nostra meta, ma una tappa<br />

prevista, così, quando capitiamo a Masciò,<br />

non possiamo che fermarci. Qui una<br />

lunga tradizione di famiglia è infusa nel<br />

biscottificio in cui entriamo. I dolci bianchi<br />

con il cartellino “meringhe” sono in<br />

bel<strong>la</strong> mostra. «Noi le chiamiamo schummi»<br />

ci fa il quarantenne dietro il banco. I<br />

tatò al ciocco<strong>la</strong>to sono esauriti, mentre<br />

quelli c<strong>la</strong>ssici ci sono ancora. Riponiamo<br />

il bottino in due sacchetti di carta e ci<br />

facciamo spiegare come raggiungere <strong>la</strong><br />

grande attrazione turistica del luogo, <strong>la</strong><br />

base militare dove sorgerà il Muos.<br />

www.isiciliani.it<br />

<strong>La</strong> via d'accesso al<strong>la</strong> base<br />

Testata <strong>la</strong> bontà e <strong>la</strong> dolcezza dei frutti<br />

dell’ingegno gastronomico siciliano,<br />

giungiamo a un incrocio, dove un gazebo<br />

segna<strong>la</strong> <strong>la</strong> presenza di un presidio di protesta.<br />

E’ quello che dicono “delle croci”<br />

per via degli ornamenti funebri di cui è<br />

vestito. Croci in legno e corona funeraria<br />

ornano l’area, dove il professore Giuseppe<br />

Maida ha condotto <strong>la</strong> sua personale<br />

lotta contro il Muos, giacendo in<br />

tenda anche nelle notti più fredde.<br />

Al momento, non sembra esserci nessuno.<br />

L’altrimenti anonima strada vicinale<br />

“Fonte Apa Martelluzzo Fico Polo”<br />

ospita il punto d’accesso al<strong>la</strong> via più nota<br />

per <strong>la</strong> base. Non c’è nessuno, per adesso.<br />

Il paesaggio rotto dalle antenne<br />

Mentre un’antenna si staglia lontana,<br />

in un’epifania molesta, ci inoltriamo per<br />

paesaggi argillosi. Sul muro d’un bivio<br />

c’è una freccia dello stesso colore rosso<br />

di una scritta che indica il presidio di<br />

Contrada Ulmo, quello verso cui siamo<br />

diretti, in prossimità del<strong>la</strong> base; ma c’è<br />

anche una freccia di colore diverso e in<br />

direzione opposta. Soltanto uno sprovveduto<br />

potrebbe credere che sia quel<strong>la</strong> <strong>la</strong><br />

direzione giusta: quando si dice <strong>la</strong> persona<br />

sbagliata al momento sbagliato.<br />

Riprendiamo il giusto tragitto e arriviamo<br />

a destinazione. Sul terreno, a fianco<br />

del<strong>la</strong> casa-serra costruita dai militanti No<br />

Muos, c’è una manciata di ragazzi su sedie<br />

di p<strong>la</strong>stica, aria di arrustuta (barbecue),<br />

in un pacato stato di quiete. Ma non<br />

è sempre così. Il presidio dell’Ulmo è <strong>la</strong><br />

linea del fronte del<strong>la</strong> lotta contro<br />

l’impianto, soprattutto per i comitati No<br />

Muos sparsi sul territorio siciliano. Qui il<br />

conflitto si consuma più che altrove, si<br />

I <strong>Siciliani</strong><strong>giovani</strong><br />

<strong>Siciliani</strong><strong>giovani</strong><br />

– pag. 47<br />

bloccano i camion con il materiale per<br />

costruire l’apparecchio.<br />

I ragazzi sono un gruppo di passaggio,<br />

con loro un locale, l’Indigeno, un ragazzotto<br />

diretto e schietto. Fa loro da guida<br />

in un’escursione fotografica, cui possiamo<br />

aggregarci. Saliamo sul<strong>la</strong> macchina<br />

infangata dell’Indigeno e partiamo.<br />

Si chiacchiera del<strong>la</strong> serata di festa precedente,<br />

in cui s’è bevuto e mangiato a<br />

sazietà. «Mi pumiciai una (Ho pomiciato<br />

con una)…» ci fa il nostro, scanzonatamente.<br />

Ma è successo anche altro <strong>la</strong> notte<br />

passata: un ragazzo ubriaco è passato oltre<br />

<strong>la</strong> recinsione, scatenando <strong>la</strong> reazione<br />

di autorità locali e militari americani.<br />

Si racconta che uno di questi sia spuntato<br />

dal nul<strong>la</strong>, forse attraverso un bunker<br />

segreto, e che poi lui o un altro abbia<br />

scarrel<strong>la</strong>to, che fosse quindi pronto<br />

a sparare. Una brutta storia, insomma.<br />

E’ un conflitto che si consuma anche su<br />

piani più banali: un ragazzo ha incastrato<br />

per scherzo e protesta uno stuzzicadenti<br />

nel campanello del<strong>la</strong> base; è stato denunciato,<br />

ma non se n’è fatto nul<strong>la</strong>, perché<br />

era un’accusa piuttosto eccessiva - o almeno<br />

così ci racconta l’Indigeno.<br />

Lungo i retico<strong>la</strong>ti<br />

<strong>La</strong> nostra escursione costeggia le reti<br />

del<strong>la</strong> base. «Chisti u Medioriente u scassanu<br />

tuttu (Questi il Medioriente lo distruggono<br />

tutto)!» fa l’Indigeno. I ragazzi<br />

lo ascoltano, passeggiando. Sull’<br />

accento ibleo, alcuni di loro sfoggiano<br />

coloritismi del par<strong>la</strong>to romanesco. Uno<br />

di loro, cappellino e barbetta, scambia<br />

due battute con noi. Si è <strong>la</strong>ureato a Roma<br />

in Sociologia, ma adesso fa l’operaio in<br />

Germania, un <strong>la</strong>voro non stressante, che<br />

serve per dargli il tempo di imparare il<br />

tedesco e progettare un futuro.

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