31.05.2013 Views

Narcomafie - Liberanet

Narcomafie - Liberanet

Narcomafie - Liberanet

SHOW MORE
SHOW LESS

You also want an ePaper? Increase the reach of your titles

YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.

Il trentennale<br />

dell’omicidio<br />

dalla Chiesa<br />

9<br />

1 | settembre 2012 | narcomafie<br />

29<br />

Dossier<br />

Sacra<br />

corona<br />

unita<br />

67<br />

Colombia, il vero volto<br />

della narcoguerriglia<br />

60Casoria, rap anticamorra


numero 9 | settembre 2012<br />

Il giornale è dedicato a Gian carlo Siani<br />

simbolo dei giornalisti uccisi dalle mafie<br />

Fondatore Luigi Ciotti<br />

Direzione Manuela Mareso (direttore responsabile)<br />

Livio Pepino (condirettore)<br />

Redazione<br />

Stefania Bizzarri, Marika Demaria, Davide Pati (Roma), Matteo Zola<br />

Comitato scientifico<br />

Enzo Ciconte, Mirta Da Pra, Nando dalla Chiesa, Daniela De Crescenzo,<br />

Alessandra Dino, Sandro Donati, Lorenzo Frigerio, Tano Grasso,<br />

Leopoldo Grosso, Monica Massari, Diego Novelli, Stefania Pellegrini<br />

Collaboratori<br />

Fabio Anibaldi, Pierpaolo Bollani, Ferdinando Brizzi, Maurizio Campisi,<br />

Gian Carlo Caselli, Stefano Caselli, Elena Ciccarello, Rinaldo Del Sordo,<br />

Stefano Fantino, Jole Garuti, Andrea Giordano, Gianluca Iazzolino,<br />

Piero Innocenti, Alison Jamieson, Alain Labrousse, Bianca La Rocca,<br />

Davide Mazzesi, Giovanna Montanaro, Marco Nebiolo, Dino Paternostro,<br />

Davide Pecorelli, Antonio Pergolizzi, Osvaldo Pettenati, Guido<br />

Piccoli, Francesca Rispoli, Lillo Rizzo, Pierpaolo Romani, Adriana<br />

Rossi, Peppe Ruggiero, Paolo Siccardi, Elisa Speretta, Lucia Vastano,<br />

Monica Zornetta<br />

Progetto grafico<br />

Avenida grafica e pubblicità (Mo)<br />

Impaginazione<br />

Acmos adv<br />

In copertina<br />

Foto di Lua (laboratoriourbanoaperto.wordpress.com)<br />

Fotolito e stampa<br />

Giunti Industrie Grafiche S.p.A. Stabilimento di Prato - Tel. 0574 6291<br />

Direzione, Redazione<br />

corso Trapani 91, 10141 Torino, tel. 011/3841074<br />

fax 011/3841047, redazione@narcomafie.it, www.narcomafie.it<br />

Registrazione al Tribunale di Torino il 18.12.1992 n. 4544<br />

Abbonamenti<br />

Spedizione in abbonamento postale<br />

30 euro (estero 49), 50 euro abbonamento sostenitore<br />

Bollettino postale: ccp n. 155101 intestato a Gruppo Abele periodici,<br />

Corso Trapani 95, 10141 Torino<br />

Bonifico bancario: Banca Popolare Etica - Padova<br />

IBAN: IT21S0501801000000000001803<br />

intestato ad Associazione Gruppo Abele Onlus<br />

Online: con carta di credito (Visa-Mastercard-American Express-Aura-Postepay),<br />

tramite il servizio Paypal<br />

Ufficio Abbonamenti<br />

tel. 011/3841046 - fax 011/3841047 abbonamenti@gruppoabele.org<br />

Reclamo arretrati<br />

Chi non ha ricevuto un numero della rivista ha 30 giorni di tempo dal<br />

ricevimento del numero successivo per richiederlo gratuitamente,<br />

oltre dovrà acquistarlo a prezzo di copertina<br />

Informazione per gli abbonati: i dati personali sono trattati elettro-<br />

nicamente e utilizzati esclusivamente dall’Associazione Gruppo Abele<br />

Onlus per l’invio di informazioni sulle proprie iniziative. Ai sensi<br />

dell’art. 13, L.675/96 sarà possibile esercitare i relativi diritti, fra cui<br />

consultare, modificare e far cancellare i dati personali scrivendo a:<br />

Associazione Gruppo Abele, Responsabile Dati, c.so Trapani 95, 10141<br />

Torino<br />

Questo numero è stato chiuso in redazione il 18/09/2012<br />

L’elenco delle librerie in cui è possibile acquistare narcomafie<br />

è disponibile alla pagina web www.narcomafie.it/librerie.htm<br />

www.narcomafie.it<br />

2 | settembre 2012 | narcomafie


La<br />

Trattativa<br />

e l’ombra<br />

dei servizi<br />

C’è, di nuovo, polemica intorno<br />

alla magistratura, alle sue competenze,<br />

alle sue asserite esorbitanze,<br />

ai suoi presunti eccessi.<br />

Questa volta la polemica è esplosa<br />

a seguito degli sviluppi delle<br />

indagini palermitane sulla cosiddetta<br />

trattativa, intercorsa nei<br />

primi anni Novanta tra lo Stato<br />

e Cosa nostra, e del conflitto,<br />

sollevato dal Capo dello Stato di<br />

fronte alla Corte costituzionale<br />

in merito al trattamento da riservare<br />

a sue conversazioni telefoniche<br />

captate nel corso di intercettazioni<br />

disposte nei confronti<br />

di altri (nella specie il senatore<br />

Nicola Mancino).<br />

La polemica interviene in un<br />

momento delicatissimo e rischia<br />

di far passare in secondo piano<br />

due scadenze giudiziarie che<br />

propongono una rilettura di pagine<br />

consistenti del grande libro<br />

degli intrecci tra mafie e potere<br />

e dell’intervento giudiziario al<br />

riguardo: la nuova indagine<br />

sull’omicidio di Paolo Borsellino<br />

e sulla strage di via D’Amelio e<br />

la chiusura delle indagini per la<br />

citata trattativa (con le omissioni<br />

e le compromissioni che l’hanno<br />

caratterizzata).<br />

Il processo per l’omicidio del<br />

dottor Paolo Borsellino (quello<br />

sviluppatosi nei cosiddetti Borsellino<br />

e Borsellino bis) è stato<br />

– possiamo dirlo con tranquilla<br />

certezza pur in attesa del giudizio<br />

di revisione – un processo truccato.<br />

Lo afferma la Procura generale<br />

di Caltanissetta nella richiesta,<br />

inoltrata il 13 ottobre<br />

2011 alla Corte di appello di<br />

Catania, diretta a ottenere la revisione<br />

del processo per undici<br />

condannati come autori materiali<br />

o partecipi della strage; lo avvalorano<br />

le conseguenti scarcerazioni<br />

disposte dalla Corte di<br />

appello di Catania il successivo<br />

28 ottobre (in attesa dei necessari<br />

seguiti processuali); lo documentano<br />

la memoria della Direzione<br />

distrettuale antimafia di<br />

Caltanissetta allegata alla richiesta<br />

(riepilogativa di tre anni di<br />

indagini), i fatti ivi ricostruiti e<br />

le dichiarazioni riportate, anche<br />

autoaccusatorie, del collaboratore<br />

di giustizia Gaspare Spatuzza;<br />

lo conferma l’emissione da parte<br />

del Gip di Caltanissetta di<br />

ordinanza di custodia cautelare<br />

in carcere, eseguita l’8 marzo<br />

2012, per quattro nuovi imputati<br />

di strage: il boss Salvatore Madonia<br />

e, con lui, Gaspare Spatuzza,<br />

Vittorio Tutino e Salvatore<br />

Vitale (in precedenza mai<br />

3 | settembre 2012 | narcomafie<br />

di Livio Pepino<br />

lambito dalle indagini seppur<br />

notoriamente legato a Cosa nostra<br />

e residente nel condominio di<br />

via D’Amelio dove abitava la<br />

madre del dottor Borsellino...);<br />

e, ancor più, lo dimostra l’inconsistenza<br />

– alla luce di una analisi<br />

spassionata – della costruzione<br />

accusatoria edificata sulle<br />

dichiarazioni dei (falsi) pentiti<br />

Vincenzo Scarantino e Salvatore<br />

Candura, con la regia del dottor<br />

Arnaldo La Barbera (il superpoliziotto<br />

incaricato dal capo della<br />

Polizia di coordinare le indagini<br />

sulle stragi e ben incardinato – ora<br />

lo sappiamo – nel Sisde) e con<br />

la successiva ratifica di ben sei<br />

collegi giudicanti. Se tutto questo<br />

sia accaduto per superficialità,<br />

per eccesso di zelo nel trovare<br />

(comunque e presto) dei colpevoli<br />

o per fini inconfessabili<br />

(comprensivi anche della copertura<br />

di responsabilità nell’omicidio<br />

estranee a Cosa nostra,<br />

come adombrato nella memoria<br />

della Dda di Caltanissetta) non<br />

è dato oggi sapere.<br />

È qui che si inserisce – intrecciandosi<br />

con le anomalie del processo<br />

per la strage – la vicenda della<br />

trattativa intercorsa tra lo Stato e<br />

Cosa nostra nei primi anni Novanta:<br />

forse per interrompere la<br />

strategia stragista (che inizia non<br />

già, come talora si dice, nel 1993<br />

ma l’antivigilia di Natale del 1984<br />

con l’attentato al treno rapido 904<br />

in viaggio da Napoli a Milano),<br />

forse per propiziare la cattura di<br />

alcuni capi latitanti da decenni,<br />

forse per ridisegnare i rapporti tra<br />

mafia e politica, forse per ambizioni<br />

e concorrenza di apparati.<br />

Anche qui non è dato sapere. Ma<br />

quel che è certo è che trattativa<br />

c’è stata (come accertato sin dalla<br />

sentenza 6 giugno 1998 della<br />

Corte di assise di Firenze, secondo<br />

cui i colloqui tra gli ufficiali<br />

dei carabinieri Mori e De Donno<br />

e l’ex sindaco mafioso di Palermo<br />

Vito Ciancimino «avevano tutte<br />

le caratteristiche per apparire come<br />

una “trattativa” e l’effetto sui<br />

capi mafiosi fu quello di convincerli,<br />

definitivamente, che la strage<br />

[di via dei Georgofili, ndr] era<br />

idonea a portare vantaggi all’organizzazione);<br />

che in essa si inserirono<br />

vicende inquietanti (come<br />

quella della mancata perquisizione<br />

del covo di Riina dopo il<br />

suo arresto); che essa vedeva la<br />

ferma e intransigente opposizione<br />

di Paolo Borsellino.<br />

Si tratta di vicende per le quali<br />

occorre attendere le verifiche<br />

giudiziarie, nella speranza che<br />

siano rapide e rigorose. Nell’attesa,<br />

peraltro, è difficile non<br />

condividere un’amara considerazione<br />

svolta da Enrico Deaglio<br />

nel recente Il vile agguato. Chi<br />

ha ucciso Paolo Borsellino. Una<br />

storia di orrore e di menzogna<br />

(Feltrinelli, 2012): «In realtà, più<br />

che i mafiosi stessi o i politici<br />

corrotti, sono gli onnipotenti<br />

servizi i protagonisti dell’ultima<br />

stagione di narrazione della mafia.<br />

Sono i depositari di una verità<br />

che, ovviamente, non si saprà<br />

mai, perché i mafiosi si pentono,<br />

crollano, parlano (il problema,<br />

casomai, è fermare la loro loquela,<br />

prima che facciano danno),<br />

i politici si spaventano, i<br />

banchieri vengono ammazzati,<br />

ma la baracca la tengono in piedi<br />

loro, i Servizi».


Cantieri a Palermo<br />

Foto di Yoann Brieux<br />

La metro<br />

che verrà<br />

È l’opera pubblica più importante della Sicilia da almeno due<br />

decenni. Un’interdittiva prefettizia nel 2011 ne riscontra i tentativi<br />

di infiltrazione mafiosa: forniture di calcestruzzi.<br />

Eppure la realizzazione della metropolitana prosegue<br />

di Manlio Melluso<br />

6 | settembre 2012 | narcomafie


Che cosa succede se, a Palermo,<br />

all’interno del cantiere per la<br />

realizzazione della metropolitana<br />

sono evidenti i tentativi<br />

di infiltrazione mafiosa? Si va<br />

avanti lo stesso, anche deliberando<br />

un recesso parziale. Il<br />

motivo? Interrompere i lavori<br />

non sarebbe conveniente: si<br />

perderebbero i fondi europei,<br />

si dovrebbero mettere in sicurezza<br />

i cantieri già avviati,<br />

i disagi per i residenti si prolungherebbero.<br />

Ancora: i costi<br />

dovrebbero essere rivalutati e<br />

non si potrebbe chiedere conto<br />

alle nuove imprese appaltatrici<br />

dei ritardi nella realizzazione<br />

dell’opera.<br />

Così scrisse “il barone”. Sono<br />

queste le motivazioni avanzate<br />

da Rfi, Rete ferroviaria italiana,<br />

in una delibera datata 27 marzo<br />

2012 e firmata dall’ingegner<br />

Andrea Cucinotta, responsabile<br />

del progetto per la società. Insomma,<br />

si continua a lavorare<br />

con le imprese in odore di mafia<br />

perché non farlo costa troppo.<br />

Ubi maior minor cessat. Ma<br />

chi era interessato, all’interno<br />

di Cosa nostra, alla realizzazione<br />

del raddoppio del passante<br />

ferroviario? L’affare è di quelli<br />

che fanno gola. Per questo i boss<br />

più importanti della mafia siciliana<br />

si erano mossi per tempo.<br />

Tra questi c’erano padrini del<br />

calibro di Bernardo Provenzano<br />

e Salvatore Lo Piccolo. Quando<br />

l’11 aprile del 2006 “Binnu<br />

u tratturi” fu arrestato nel<br />

covo di Montagna dei Cavalli,<br />

a una manciata di chilometri<br />

dalla sua Corleone, gli agenti<br />

che lo catturarono trovarono<br />

all’interno della masseria un<br />

“pizzino” in cui si parlava<br />

di appalti: «Zio, la informo<br />

che siccome in breve (forse<br />

in aprile) dovrebbe iniziare la<br />

metropolitana, che è un grosso<br />

lavoro, volevo chiedere se le<br />

interessa qualche calcestruzzi<br />

da fare lavorare. Se c’è qualche<br />

calcestruzzi che le interessa, me<br />

lo faccia sapere che la inserisco<br />

nel consorziato che sto facendo<br />

con Andrea Impastato. In<br />

merito attendo sue notizie. Poi<br />

inoltre mi sto interessando per<br />

fargli lavorare qualche mezzo a<br />

Luca». Il mittente era Salvatore<br />

Lo Piccolo, detto “il barone”,<br />

capomandamento di San Lorenzo,<br />

destinato a prendere il<br />

comando dell’associazione criminale<br />

a Palermo proprio dopo<br />

l’arresto del boss corleonese.<br />

Anche lui, come Provenzano,<br />

finirà in manette insieme al<br />

figlio Sandro il 5 novembre del<br />

2007, catturato in una villa di<br />

Giardinello. Cosa nostra era<br />

dunque interessata ai lavori<br />

per la realizzazione del raddoppio<br />

del passante ferroviario di<br />

Palermo, un affare da oltre seicento<br />

milioni di euro. Di fronte<br />

a questi indizi e visto il rango<br />

criminale dei nomi coinvolti,<br />

gli investigatori si sono messi<br />

all’opera e hanno cercato di<br />

capire di più su quanto stava<br />

succedendo intorno al cantiere<br />

affidato da Rete ferroviaria<br />

italiana alla Nodo di Palermo,<br />

l’associazione temporanea di<br />

imprese costituita dalla capofila<br />

Sis spa (consorzio a sua volta<br />

creato dalle torinesi Inc General<br />

Contractor spa e Sipal spa<br />

e dalla spagnola Sacyr), dalla<br />

Sintagma spa di Perugia e la<br />

Geodata di Torino. Il quadro<br />

emerso è di quelli che fanno<br />

tremare i polsi.<br />

Andiamo con ordine. Il 30<br />

maggio 2011 l’imprenditore<br />

che veniva citato nel “pizzino”<br />

inviato da Lo Piccolo a<br />

7 | settembre 2012 | narcomafie<br />

Provenzano, Andrea Impastato<br />

– già condannato per mafia e<br />

sospettato di essere in affari<br />

con Pino Lipari, il “ragioniere”<br />

di Bernardo Provenzano<br />

– viene arrestato dagli uomini<br />

della direzione investigativa<br />

antimafia di Palermo. L’inchiesta,<br />

coordinata dal procuratore<br />

aggiunto Antonio Ingroia e dai<br />

sostituti Gaetano Paci e Francesco<br />

Del Bene, porta alla luce i<br />

rapporti tra l’imprenditore, che<br />

avrebbe gestito alcune imprese<br />

nell’interesse di Cosa nostra, e<br />

l’associazione criminale, che<br />

si sarebbe prodigata affinché<br />

Impastato si aggiudicasse grossi<br />

appalti nella provincia di Palermo.<br />

Tra gli altri, appunto,<br />

anche quello per la fornitura<br />

del cemento per il cantiere della<br />

linea metropolitana.<br />

Di padre in figlio. I lavori per<br />

la realizzazione del raddoppio<br />

del passante ferroviario, che<br />

servirà a collegare alcune zone<br />

della città di Palermo con l’aeroporto<br />

“Falcone Borsellino” di<br />

Punta Raisi, a Cinisi, distante 30<br />

chilometri dal centro cittadino,<br />

sono iniziati ufficialmente il 22<br />

febbraio del 2008. I legami con<br />

una delle ditte di Impastato<br />

erano, però, risalenti al 2006,<br />

anno in cui la Sis aveva già<br />

cominciato a lavorare al cantiere<br />

nel quartiere Brancaccio.<br />

Le forniture di calcestruzzo<br />

erano state affidate, infatti,<br />

alla “Prime Iniziative”, il cui<br />

titolare era, appunto, Impastato.<br />

Viste le contestazioni<br />

arrivate dalla prefettura di<br />

Palermo, però, la Sis prende<br />

precauzioni e gira l’appalto<br />

alla “Medi Tour”. Ma chi sono<br />

i titolari di questa impresa?<br />

Ebbene, i figli di Impastato,<br />

Francesco e Luigi.<br />

L’imprenditore<br />

citato nel<br />

“pizzino” inviato<br />

da Lo Piccolo<br />

a Provenzano è<br />

Andrea Impastato,<br />

già condannato per<br />

mafia e sospettato<br />

di essere in affari<br />

con Pino Lipari,<br />

il “ragioniere”<br />

di Bernardo<br />

Provenzano


Viste le<br />

contestazioni<br />

della prefettura<br />

di Palermo, la Sis<br />

prende precauzioni<br />

e gira l’appalto alla<br />

“Medi Tour”. Ma<br />

chi sono i titolari<br />

di questa impresa?<br />

I figli<br />

di Impastato,<br />

Francesco e Luigi<br />

Lo stop della prefettura. Il 30<br />

novembre 2011 la Prefettura<br />

di Torino (competente perché<br />

la Sis ha sede legale nel capoluogo<br />

piemontese) trasmette a<br />

Italferr, società incaricata da<br />

Rfi, un’informativa antimafia,<br />

pervenuta il 16 dicembre, in<br />

cui si riportano tentativi di infiltrazione<br />

mafiosa all’interno<br />

della Sis e si fa riferimento al<br />

direttore tecnico, l’ingegner Giuseppe<br />

Galluzzo, e al direttore di<br />

produzione dell’associazione di<br />

imprese, il geometra Roberto<br />

Russo. A seguito dell’informati<br />

va la Sis corre ai ripari: Galluzzo,<br />

che non è iscritto nel registro<br />

degli indagati e non è oggetto<br />

di alcun provvedimento giu<br />

diziario (il suo legale dopo sei<br />

mesi dall’informativa non era<br />

neanche riuscito a recuperare la<br />

documentazione richiesta alla<br />

prefettura di Torino) viene licen<br />

ziato in tronco; Russo è allonta<br />

nato da Palermo e richiamato in<br />

sede a Torino. Successivamente,<br />

da Italferr viene richiesta una<br />

nuova certificazione antimafia<br />

alla prefettura di Palermo, che il<br />

3 febbraio di quest’anno comu<br />

nica di avere girato la domanda<br />

all’omologo organismo di Tori<br />

no e sollecita contestualmente<br />

Italferr a «far conoscere quali<br />

decisioni intenda assumere in<br />

ordine al rapporto con il general<br />

contractor dei lavori Nodo<br />

di Palermo s.c.p.a.»: evidentemente<br />

i provvedimenti messi<br />

in atto dalla capofila Sis non<br />

sono sufficienti. Nel frattempo<br />

la stampa locale comincia a<br />

interessarsi al caso, tanto che il<br />

19 aprile Rete ferroviaria italiana<br />

decide di diffondere un comunicato<br />

stampa: «(…) relativamente<br />

all’appalto per la progettazione<br />

esecutiva e realizzazione del<br />

raddoppio della tratta Palermo-<br />

8 | settembre 2012 | narcomafie<br />

Carini, nell’ambito del “Progetto<br />

Nodo di Palermo” e ai tentativi<br />

di infiltrazione mafiosa nei<br />

confronti del contraente generale,<br />

Rete ferroviaria italiana<br />

precisa che lo scorso dicembre<br />

aveva chiesto e ottenuto dal<br />

contraente generale l’allontanamento<br />

del direttore tecnico<br />

e del direttore di produzione e<br />

la loro immediata sostituzione<br />

con persone non segnalate dalla<br />

prefettura. Al momento della<br />

segnalazione prefettizia, su un<br />

totale di 706 milioni di euro di<br />

valore complessivo dell’opera,<br />

rimanevano da realizzare lavori<br />

per 394 milioni. Per far fronte ai<br />

rischi segnalati dalle autorità, si<br />

è provveduto alla risoluzione di<br />

contratti per 257 milioni. Si è<br />

altresì responsabilmente deciso<br />

di portare avanti e completare i<br />

lavori relativi ai restanti 137 milioni<br />

per assicurare un adeguato<br />

livello di sicurezza dei cantieri e<br />

consentire di mitigare i disagi per<br />

la cittadinanza nelle aree più densamente<br />

urbanizzate. Tutte queste<br />

azioni, sono state comunicate<br />

preventivamente alla prefettura<br />

di Palermo e gli altri enti istituzionali<br />

e territoriali interessati.<br />

(…) È da precisare che avverso<br />

il provvedimento adottato dalla<br />

prefettura di Torino il contraente<br />

generale ha presentato ricorso al<br />

Tar Piemonte per l’annullamento<br />

del provvedimento».<br />

I dubbi di Addiopizzo e Libero<br />

futuro. I lavori, insomma, secondo<br />

Rfi, non vanno interrotti<br />

del tutto, ma solo parzialmente:<br />

una questione di opportunità<br />

e non di opportunismo. Nel<br />

frattempo il ricorso al Tar contro<br />

il provvedimento della Prefettura<br />

di Torino, che ha ritenuto<br />

insufficiente l’allontanamento<br />

di Galluzzo e Russo è stato re-<br />

spinto, ma la Sis ha adito il Consiglio<br />

di Stato, che deve ancora<br />

pronunciarsi. Sis ha incassato<br />

il sostegno di due importanti<br />

associazioni antimafia, come<br />

Addiopizzo e Libero Futuro:<br />

«La società Sis, che sta realizzando<br />

a Palermo il raddoppio<br />

del passante ferroviario, la più<br />

importante opera pubblica degli<br />

ultimi vent’anni – si legge in un<br />

comunicato stampa congiunto –<br />

ha avuto rescisso parzialmente<br />

il contratto d’appalto a seguito<br />

di un provvedimento interdittivo<br />

della Prefettura di Torino.<br />

Nel caso della Sis va rilevato<br />

che ad oggi non vi è notizia di<br />

alcuna indagine o procedimento<br />

giudiziario in corso. Inoltre,<br />

contrariamente a quanto emerso<br />

su alcuni articoli di stampa, la<br />

società Sis si è rivolta per alcune<br />

forniture all’azienda Impastato<br />

solo dopo che quest’ultima è<br />

stata sequestrata e assegnata<br />

ad un amministratore giudiziario.<br />

Addiopizzo e Libero<br />

Futuro hanno avuto modo di<br />

approfondire la questione ed<br />

hanno maturato dei dubbi sul<br />

provvedimento della Prefettura<br />

di Torino che appare abnorme<br />

e che sarà oggetto di richiesta<br />

di riesame affinché possano<br />

essere revisionati i provvedimenti<br />

adottati. Confidando in<br />

un esito positivo del procedimento<br />

le nostre associazioni e<br />

la Sis predisporranno anche un<br />

protocollo finalizzato a porre<br />

in essere attività di tutoraggio<br />

e assistenza».<br />

La metropolitana di Palermo<br />

servirà a snellire la circolazione<br />

nelle strade della città,<br />

pazienza se si userà il cemento<br />

della mafia. D’altronde lo diceva<br />

anche Johnny Stecchino<br />

che il problema di Palermo è<br />

il traffico.


Anniversari<br />

9 | settembre 2012 | narcomafie<br />

«L’omicidio politico»<br />

«L’omicidio politico»<br />

del generale Carlo<br />

Alberto dalla Chiesa<br />

Il 3 settembre 1982 alle 21.10, la mafia uccideva il prefetto<br />

di Palermo Carlo Alberto dalla Chiesa, il piemontese di<br />

Saluzzo tornato in Sicilia per combattere Cosa nostra ma<br />

con i poteri “del prefetto di Forlì”. Quattro mesi di insidie,<br />

veleni, isolamento che preannunciarono il tragico epilogo.<br />

A distanza di trent’anni, il ricordo del figlio Nando<br />

di Marika Demaria


«Tre cose ti avevo promesso<br />

dentro di me il pomeriggio<br />

di quel 5 settembre a Parma,<br />

mentre ti sottraevano per sempre<br />

al sole: che avrei gridato<br />

al mondo il nome dei tuoi<br />

assassini; che avrei difeso la<br />

tua memoria dagli assalti degli<br />

sciacalli; che avrei cercato<br />

di tenere vivi gli ideali per i<br />

quali eri caduto. Per quello<br />

che potevo, quella promessa<br />

l’ho rispettata».<br />

Il destinatario di quelle promesse<br />

era il Generale Carlo<br />

Alberto dalla Chiesa, ucciso<br />

il 3 settembre 1982 insieme<br />

alla moglie Emmanuela Setti<br />

Carraro; l’agente di scorta<br />

Domenico Russo, che coraggiosamente<br />

tentò di salvarli<br />

dal fuoco dei kalashnikov con<br />

la sua pistola d’ordinanza,<br />

entrò in coma e morì dodici<br />

giorni dopo. Il figlio Nando<br />

si rivolse con quelle parole al<br />

padre dalle pagine di Delitto<br />

imperfetto, pubblicato nel<br />

1984 dapprima in Francia,<br />

poiché in Italia non trovò<br />

subito spazio editoriale. La<br />

spiegazione di un simile atteggiamento<br />

è da ricercarsi<br />

nella denuncia che emerge<br />

dallo scritto: il delitto dalla<br />

Chiesa fu un omicidio politico.<br />

Un’affermazione che i figli<br />

Rita, Nando e Simona hanno<br />

urlato per trent’anni e che<br />

hanno ribadito proprio il giorno<br />

in cui l’Italia si è fermata<br />

per ricordare la strage di via<br />

Isidoro Carini.<br />

«Tre decenni fa dissi di andare<br />

a cercare i mandanti nella<br />

Dc. Oggi lo confermo».<br />

Dopo tutti questi anni c’è<br />

dunque ancora chi crede (o<br />

vuole credere) che ad ucci-<br />

10 | settembre 2012 | narcomafie<br />

dere il prefetto di Palermo<br />

fu solo la mafia?<br />

«All’indomani delle celebrazioni<br />

per il trentennale<br />

dell’omicidio – risponde Nando<br />

dalla Chiesa – mi è stato<br />

chiesto di fare i nomi delle<br />

persone della Dc che ritenevo<br />

coinvolte....sì, nonostante<br />

tutto c’è ancora chi nega ciò<br />

che era sotto gli occhi di tutti.<br />

Io stesso credevo che non si<br />

sarebbero spinti a tanto, che<br />

non avrebbero ucciso mio<br />

padre perché ciò che accadde<br />

in quei quattro mesi a Palermo<br />

era così evidente, squassante,<br />

che colpirlo a morte significava<br />

firmare quell’omicidio.<br />

Purtroppo mi sbagliavo. Persone<br />

come i Salvo, Andreotti<br />

e i vertici della Cupola hanno<br />

formato un grumo di potere<br />

fortissimo, un sistema di potere<br />

che ha eliminato tutte le<br />

persone che potevano dare<br />

fastidio. Basti pensare a Pio<br />

La Torre, ucciso il 30 aprile<br />

1982: aveva dichiarato che i<br />

mafiosi bisognava colpirli al<br />

cuore sottraendo loro le ricchezze,<br />

i patrimoni. Quando<br />

il Generale dalla Chiesa giunse<br />

a Palermo, proprio il giorno<br />

dei funerali del sindacalista,<br />

affermò chiaramente che non<br />

avrebbe fatto sconti a nessuno<br />

e che il potere, quel certo<br />

tipo di potere, sarebbe stato<br />

smantellato. Fu calunniato,<br />

lasciato solo, addirittura c’è<br />

chi insinuò che cercava visibilità<br />

per diventare ministro<br />

dell’Interno.<br />

Il reato ascritto all’articolo<br />

416 bis del codice di procedura<br />

penale si ebbe solo il<br />

13 settembre di quello stesso<br />

anno: l’Italia dunque dovette<br />

pagare un tributo di sangue<br />

altissimo prima di ottenere<br />

uno strumento efficace per il<br />

contrasto alle mafie».<br />

1982-2012: cosa è cambiato<br />

in questo ambito?<br />

«Innanzitutto bisogna avere<br />

rispetto per la memoria. Non<br />

basta ricordare il sacrificio<br />

delle vittime delle mafie in<br />

occasione degli anniversari,<br />

specie quelli tondi. La memoria<br />

degli eroi deve essere<br />

continua, costante e non deve<br />

essere umiliata. Ognuno deve<br />

fare la propria parte: dalla<br />

cultura in senso generale al<br />

rifiuto della mafiosità, che<br />

deve essere spiegata all’interno<br />

delle scuole, bisogna<br />

che lo Stato si organizzi in<br />

maniera strutturata ed organica,<br />

difendendo i magistrati<br />

che della lotta alla mafia<br />

hanno fatto la loro ragione<br />

di vita e condannando i mafiosi<br />

anziché assolverli per<br />

insufficienza di prove (come<br />

accadde a Luciano Liggio,<br />

accusato dell’assassinio di<br />

Placido Rizzotto dall’allora<br />

capitano dei Carabinieri<br />

Carlo Alberto dalla Chiesa,<br />

nda). Anche l’antimafia deve<br />

essere un movimento stabile,<br />

non basta commuoversi agli<br />

incontri pubblici per poi dimenticare<br />

gli insegnamenti<br />

delle persone che si sono<br />

appena celebrate».<br />

Nando dalla Chiesa sottolinea<br />

che, nella generosa eredità<br />

di ideali e valori lasciata da<br />

suo padre, ci sono due insegnamenti<br />

che dovrebbero<br />

costituire il dogma per una<br />

società sana: i cittadini devono<br />

avere come diritti ciò<br />

che la mafia garantisce loro<br />

sotto forma di doveri e che<br />

finché una tessera di partito


conterà più dello Stato non<br />

riusciremo mai a sconfiggere<br />

la mafia.<br />

C’è una frase del Generale<br />

che suona come una sorta<br />

di testamento morale: «Ci<br />

sono cose che non si fanno<br />

per coraggio. Si fanno per<br />

potere continuare a guardare<br />

serenamente negli occhi i<br />

propri figli e i figli dei propri<br />

figli. C’è troppa gente onesta,<br />

tanta gente qualunque,<br />

che ha fiducia in me. Non<br />

posso deluderla». Professor<br />

dalla Chiesa, a distanza di<br />

trent’anni, che cosa vorrebbe<br />

dire a suo padre?<br />

«Vorrei dirgli che capisco appieno<br />

il significato di quella<br />

frase che mi ha cambiato la<br />

vita. Mio padre, come carabiniere<br />

prima e prefetto poi,<br />

ha trasmesso dei valori giusti.<br />

Noi dobbiamo continuare a<br />

portarli avanti».<br />

Il 3 settembre a Milano, nella<br />

sala comunale Alessi moltissima<br />

gente ha potuto guardare<br />

negli occhi i figli e i nipoti<br />

del Generale Carlo Alberto<br />

dalla Chiesa. Il Comune ha<br />

voluto ricordare il sacrificio<br />

del prefetto dei cento giorni<br />

proiettando il documentario<br />

“Generale” diretto da Lorenzo<br />

Rossi Espagnet, nel quale Dora<br />

dalla Chiesa, figlia di Nando<br />

e nata quattro mesi dopo la<br />

strage di via Carini, ha raccontato<br />

la figura del nonno.<br />

Un lavoro artistico realizzato<br />

grazie all’impegno dal basso<br />

di cittadini onesti e di alcune<br />

associazioni, poiché il ministero<br />

per i Beni e le Attività<br />

Culturali non lo ha ritenuto di<br />

interesse. «Non ricordo come<br />

ho scoperto che fosse morto.<br />

L’ho sempre saputo e basta.<br />

Solo che fino a una certa età<br />

lo immaginavo a combattere<br />

in Vietnam; verso gli undici<br />

anni, forse, ho capito che tipo<br />

di guerra era andato a combattere»,<br />

racconta la giovane<br />

donna, guardando alcune foto<br />

di famiglia.<br />

Dagli episodi raccontati dai figli<br />

del Generale si comprende<br />

che il militare è stato sempre<br />

consapevole dei rischi a cui<br />

andava incontro. «Avevo dodici<br />

anni quando mio padre si<br />

raccomandò che non uscissi<br />

sempre alla stessa ora per<br />

portare fuori il cane e che non<br />

percorressi sempre lo stesso<br />

tragitto» ricorda Nando,<br />

mentre Rita ammette: «Prima<br />

di andare a trovare un’amica<br />

bisognava sapere chi questa<br />

fosse e in quale stabile abitasse;<br />

se per mio padre lì vi erano<br />

persone poco raccomandabili<br />

o sospettabili, non ci potevo<br />

andare». Simona ricorda invece<br />

che i funerali della loro<br />

madre, Dora Fabbo, stroncata<br />

da un infarto nel 1978 («La<br />

vittima più silenziosa del terrorismo»<br />

la definì il prete<br />

durante l’omelia), furono<br />

blindati poiché si temeva<br />

per la loro stessa incolumità.<br />

«Poco dopo accettai<br />

l’invito di una mia amica<br />

che mi disse di lasciare la<br />

casa dove abitavo con la mia<br />

famiglia a Torino per andarla<br />

a trovare, per cambiare aria.<br />

Il giorno dopo il nostro arrivo,<br />

la mia amica ricevette<br />

una telefonata con la quale<br />

l’interlocutore l’avvisava<br />

che era a conoscenza della<br />

nostra presenza e di dove sua<br />

figlia andasse all’asilo. Così<br />

partimmo subito per Roma,<br />

ospitati da Rita».<br />

11 | settembre 2012 | narcomafie<br />

I tre figli ricordano con<br />

immutato dolore quel 3<br />

settembre 1982 e i giorni<br />

successivi. La gente furente<br />

di Palermo che lanciò le<br />

monetine all’indirizzo dei<br />

politici, la corona del Presidente<br />

della Regione Sicilia<br />

che fu rispedita al mittente<br />

perché «negli omicidi di<br />

mafia la prima corona che arriva<br />

è quella del mandante»<br />

come ricordava il Generale<br />

dalla Chiesa, il procuratore<br />

capo Pajno che esortò Nando<br />

dalla Chiesa a «darsi un<br />

contegno», la signora che<br />

si affacciò all’interno del<br />

taxi dove i figli del Generale<br />

erano saliti subito dopo i<br />

funerali per urlare, piangendo,<br />

«la Sicilia non c’entra, a<br />

Roma l’hanno voluto».<br />

I cittadini onesti urlano la loro<br />

rabbia, il loro dispiacere, riassunto<br />

lì, in quella scritta “Qui è<br />

morta la speranza dei siciliani<br />

onesti” apposta su un foglio<br />

all’indomani del 3 settembre,<br />

sul quel cordolo di marciapiede<br />

addosso al quale finì la sua<br />

corsa la “A112” bianca dei<br />

coniugi dalla Chiesa. Un’altra<br />

mano gentile ha chiesto<br />

di recente di non depositare i<br />

rifiuti nel luogo in cui è stato<br />

ucciso il Generale, in risposta<br />

all’ennesimo sfregio alla memoria<br />

di Carlo Alberto dalla<br />

Chiesa. Come la targa in frantumi<br />

ritrovata da Rita dalla<br />

Chiesa proprio il 3 settembre<br />

a Palermo, come la scritta “W<br />

la mafia” che campeggia su un<br />

muro che costeggia la spiaggia<br />

di Mondello. Molto, moltissimo<br />

è stato fatto, ma molto<br />

c’è ancora da fare. Affinché le<br />

celebrazioni, gli anniversari<br />

delle stragi, non siano solo un<br />

inno alla retorica.


‘Ndrangheta<br />

al nord, killer di<br />

Novella si pente<br />

Vuole raccontare un ventennio di<br />

’ndrangheta, da quando nel 1993<br />

venne affiliato nel carcere di Locri.<br />

Nato a Stoccarda, ma operativo tra<br />

Milano e la Calabria, si chiama<br />

Michael Panaja il secondo pentito<br />

dall’operazione “Infinito” del 13<br />

luglio 2010 della Dda di Milano,<br />

che contestualmente all’operazione<br />

“Crimine” della Dda di Reggio<br />

Calabria ha portato all’arresto di<br />

oltre 300 persone tra la Lombardia<br />

e la Calabria.<br />

Il killer di Carmelo Novella – il<br />

boss che tentò l’indipendenza della<br />

’ndrangheta lombarda, assassinato<br />

nel 2008 – ha 38 anni e si trova<br />

in carcere dall’aprile del 2011 a<br />

seguito delle dichiarazioni di Antonino<br />

Belnome, il primo pentito,<br />

anch’egli assassino di Novella, che<br />

sta raccontando i retroscena delle<br />

cosche milanesi.<br />

Panaja ha contribuito con le sue<br />

dichiarazioni all’operazione “Faida<br />

dei boschi”, portata a termine lo<br />

scorso 8 agosto da polizia e carabinieri<br />

con l’arresto di 16 persone del<br />

sodalizio Leuzzi-Ruga-Vallelonga<br />

di Monasterace, Stilo, Riace e Stignano<br />

e della Locale di Caulonia;<br />

e all’operazione “Ulisse” dell’11<br />

settembre, che ha evidenziato per<br />

l’ennesima volta i profondi intrecci<br />

tra ’ndrangheta e mondo imprenditoriale:<br />

tra i 37 arresti anche quelli<br />

di Orlando e Antonio Demasi, imprenditori<br />

incensurati.<br />

12 | settembre 2012 | narcomafie<br />

brevi di mafia<br />

Scene di guerriglia<br />

urbana per<br />

l’arresto del boss<br />

È successo a Cassano allo Jonio,<br />

in provincia di Cosenza. All’arresto<br />

di Celestino Abbruzzese,<br />

67 anni, boss del clan ’ndranghetista<br />

degli “zingari”, la cittadinanza<br />

di Timpone Rosso,<br />

il quartiere popolare abitato<br />

dai rom stanziali, si è sollevata<br />

contro i carabinieri.<br />

Le forze dell’ordine, come ripor- ripor<br />

tato da Giuseppe Baldessarro<br />

su «Repubblica», si aspettavano<br />

una reazione, ma non<br />

quella di centinaia di persone,<br />

che hanno quindi reso particolarmente<br />

rischioso (quattro gli<br />

agenti rimasti feriti) portare a<br />

Voto di scambio,<br />

il reato è al momento dell’accordo<br />

Dall’inchiesta Minotauro, che l’8 giugno 2011 ha portato all’arresto di<br />

oltre 150 affiliati della ’ndrangheta in Piemonte, è emerso che a Rivarolo<br />

Canavese, comune del torinese sciolto per mafia lo scorso maggio, c’è stato<br />

voto di scambio. Con una sentenza depositata il 21 agosto (32820/12), la<br />

Prima sezione penale della Cassazione ha affermato che il reato sussiste<br />

con la semplice «disponibilità a venire a patti con la consorteria» malavitosa,<br />

anche solo nelle forme della “promessa reciproca”. «Il reato di<br />

scambio elettorale politico-mafioso – scrive il relatore della sentenza – si<br />

perfeziona al momento della formulazione delle reciproche promesse, indipendentemente<br />

dalla loro realizzazione».<br />

Non è dunque indispensabile che lo scambio di denaro o il baratto di altra utilità siano<br />

effettivamente avvenuti, come richiesto e spesso ottenuto in passato dai difensori che si districavano<br />

nelle pieghe di una norma (il 41-ter) ritenuta da esperti e commentatori autorevoli<br />

«largamente insufficiente se non addirittura velleitaria».<br />

Antonino Battaglia (nella foto, ndr.) – il segretario comunale accusato, per sostenere la campagna<br />

elettorale alle europee del 2009 del sindaco di Rivarolo Canavese Fabrizio Bertot, di aver preso<br />

accordi con Giuseppe Catalano, capocrimine della ’ndrangheta piemontese suicidatosi lo scorso 19<br />

aprile mentre si trovava ai domiciliari – aveva fatto ricorso in Cassazione chiedendo l’annullamento<br />

della custodia cautelare proprio adducendo la mancata dazione dei 20mila euro pattuiti.<br />

Battaglia, la cui custodia cautelare è confermata, sarà condannato anche al pagamento delle<br />

spese processuali.<br />

a cura di Manuela Mareso<br />

termine l’incarico.<br />

Abbruzzese era detenuto al<br />

41bis quando lo scorso marzo<br />

approfittò di un ricovero in<br />

ospedale per fuggire. La cattura<br />

del 7 agosto è un tassello<br />

importante nel contrasto a<br />

un gruppo malavitoso storico<br />

(negli anni 80 gli Abbruzzese<br />

erano la manovalanza della<br />

potente cosca dei Forastefano,<br />

che poi tradirono andando ad<br />

occuparne gli spazi), poiché le<br />

coperture di cui Abbruzzese ha<br />

goduto nella latitanza lasciano<br />

intravedere un ulteriore rafforzamento<br />

del clan.<br />

Nei giorni successivi all’arresto<br />

i carabinieri del comando<br />

provinciale di Cosenza sono<br />

tornati a Timpone Rosso per una<br />

perquisizione. Il bilancio: 3 pistole<br />

e diverso munizionamento<br />

occultati nell’intercapedine degli<br />

ascensori dei palazzi e 650<br />

grammi di cocaina con bilancini<br />

di precisione e materiale per il<br />

confezionamento della droga.<br />

Omicidio Scopelliti,<br />

riaperte le indagini.<br />

Ma c’è chi dice no.<br />

Nel giorno del ventunesimo<br />

anniversario della morte di<br />

Antonino Scopelliti, «Il Sole-<br />

24Ore» pubblica la notizia secondo<br />

cui la procura di Reggio<br />

avrebbe riaperto le indagini<br />

sull’omicidio del giudice,<br />

freddato a Campo Calabro<br />

nel 1991 con due colpi alla<br />

testa, alla vigilia della sentenza<br />

del maxiprocesso a Cosa<br />

nostra. Nello stesso giorno<br />

Ottavio Sferlazza, procuratore


della Dda reggina, smentisce<br />

con una nota il giornalista<br />

del quotidiano di Confindustria<br />

Roberto Galullo: «Allo<br />

stato nessuna determinazione<br />

formale è stata adottata<br />

dalla Direzione distrettuale<br />

antimafia di Reggio Calabria<br />

in ordine a una eventuale<br />

riapertura delle indagini sul<br />

delitto Scopelliti».<br />

Secondo l’articolo due pentiti<br />

starebbero ricostruendo<br />

i retroscena di un omicidio<br />

che probabilmente vide l’accordo<br />

tra Cosa nostra siciliana<br />

(Scopelliti stava scrivendo il<br />

rigetto dei ricorsi di alcuni<br />

capi mafia) e la ’ndrangheta<br />

calabrese (che aveva bisogno di<br />

un intervento dell’organizzazione<br />

siciliana per un processo<br />

interno di pacificazione). Questa<br />

la pista riemersa – anche<br />

secondo quanto riportato da<br />

altri giornali in date di molto<br />

antecedenti rispetto al «Sole<br />

24 Ore» – nel corso nel processo<br />

“Meta” (che sta facendo<br />

luce sulle attuali fitte trame<br />

reggine), in occasione del quale<br />

il collaboratore Nino Fiume,<br />

interrogato dal pm Giuseppe<br />

Lombardo, ha parlato di una<br />

prima riunione tra le due organizzazioni<br />

criminali a Nicotera<br />

nel 1991.<br />

Aldo Pecora, leader di “Ammazzateci<br />

tutti”, in occasione<br />

della serata di apertura di Legalitalia,<br />

manifestazione antimafia<br />

promossa dal movimento<br />

e dalla Fondazione Scopelliti,<br />

ha replicato alle dichiarazioni<br />

diffuse dal procuratore Sferlazza:<br />

«Forse il reggente Sferlazza<br />

De Mauro ucciso per lo scoop su Mattei<br />

Totò Riina, unico imputato, è stato assolto, ma i giudici del processo<br />

per l’uccisione del giornalista Mauro De Mauro (nella foto, ndr.), 49<br />

anni al momento del rapimento, hanno il merito di aver fatto luce sul<br />

movente della scomparsa del cronista de «L’Ora».<br />

De Mauro avrebbe pagato lo scoop sulla morte del presidente dell’Eni<br />

Enrico Mattei, morto nei pressi di Pavia il 27 ottobre 1962 in un incidente<br />

aereo che il giornalista aveva scoperto essere simulato, essendo<br />

invece stato provocato da una bomba posizionata a bordo.<br />

«La natura e il livello degli interessi in gioco – scrivono i giudici, secondo<br />

quanto riportato da «la Repubblica» – rilanciano l’ipotesi che<br />

gli occulti mandanti del delitto debbano ricercarsi in quegli ambienti politico-affaristicomafiosi<br />

su cui già puntava il dito il professor Tullio De Mauro nel 1970. E fa presumere<br />

che di mandanti si tratti e non di una sola mente criminale».<br />

Tra i mandanti i giudici della Corte d’Assise indicano Graziano Verzotto, ex dirigente<br />

dell’Eni ed ex senatore morto due anni fa. A lui, che per l’omicidio si sarebbe rivolto ai<br />

suoi referenti in Cosa nostra Stefano Bontate e Giuseppe Di Cristina, De Mauro avrebbe<br />

chiesto le conferme che ancora gli mancavano nella raccolta del materiale sul caso Mattei<br />

che stava conducendo per il regista Francesco Rosi.<br />

La pista del fallito golpe borghese viene dunque accantonata.<br />

vuole proteggere il buon esito<br />

delle indagini, mi chiedo soltanto<br />

perché precisarlo alla<br />

stampa proprio nel giorno<br />

del ventunesimo anniversario<br />

dall’uccisione del giudice<br />

Scopelliti e non un mese fa<br />

(quando su diverse testate era<br />

già uscita la notizia della riapertura<br />

delle indagini, nda.),<br />

o tra qualche giorno».<br />

Alla serata ha partecipato il<br />

pm Lombardo che ha definito<br />

«impensabile l’assenza di<br />

verità sul delitto Scopelliti.<br />

Il sangue di Nino Scopelliti –<br />

ha detto Lombardo – è dello<br />

stesso colore di quello di Giovanni<br />

Falcone e Borsellino, e<br />

noi faremo di tutto per far sì<br />

che il suo sacrificio non sia<br />

stato vano».<br />

13 | settembre 2012 | narcomafie<br />

brevi di mafia<br />

Palermo, ennesima devastazione al<br />

centro Padre nostro<br />

Nessuno ha visto, nessuno ha<br />

sentito. E dire che rimuovere<br />

infissi e persiane non è opera<br />

che si riesca a compiere tanto<br />

silenziosamente. Eppure al<br />

centro Padre nostro di Brancaccio,<br />

luogo di aggregazione<br />

fondato da Padre Pino Puglisi<br />

– il sacerdote ucciso nel 1993<br />

per il quale il Papa ha recentemente<br />

disposto il decreto per<br />

la beatificazione – lo scorso<br />

21 agosto è stato commesso<br />

l’ennesimo sfregio senza che<br />

nessuno sia in grado di aiutare<br />

a risalire ai responsabili.<br />

Operatori e volontari da 19 anni<br />

tollerano furti e boicottaggi che<br />

non hanno mai visto l’individuazione<br />

di un colpevole.<br />

Il presidente Maurizio Artale a<br />

«Famiglia Cristiana» si è detto<br />

esasperato: «Qui le case sono<br />

grandi trenta metri quadri e con<br />

il caldo molti dormono sui balconi.<br />

C’è un flusso continuo di<br />

auto, anche di notte. Non sono<br />

ladruncoli, a Brancaccio non si<br />

muove una foglia senza che le<br />

famiglie non vogliano. La voglia<br />

di mollare è tanta, ma per ora<br />

andremo avanti perché crediamo<br />

ancora nelle parole di Paolo<br />

Borsellino che diceva che, prima<br />

o poi, Palermo tornerà ad essere<br />

una città bellissima».


Caracas, arrestato Aldo Micciché<br />

Il 23 luglio scorso un mandato di cattura internazionale spiccato dalla<br />

Dda di Reggio Calabria con la firma dell’ex procuratore Giuseppe Pignatone,<br />

dell’aggiunto Michele Prestipino e del sostituto Roberto Di<br />

Palma ha raggiunto a Caracas Aldo Micciché (nella foto, ndr.), il faccendiere<br />

dal 1991 residente in Venezuela e in contatto con le cosche<br />

della Piana di Gioia Tauro che avrebbe fatto da ponte tra il senatore<br />

Marcello Dell’Utri e la ’ndrangheta, nella persona di Gioacchino Arcidiaco.<br />

Il provvedimento è stato preso nell’ambito dell’inchiesta “Cento<br />

anni di storia” contro la cosca Piromalli. Secondo l’inchiesta, scrive<br />

Lucio Musolino sul «Fatto Quotidiano», la ’ndrangheta avrebbe offerto<br />

di procurare circa 50mila voti truccando le schede bianche degli elettori italiani all’estero,<br />

in cambio di un versamento di 200mila euro, interventi sull’applicazione del 41 bis<br />

e la revisione di alcuni processi.<br />

Micciché, che negli anni 80 era anche stato dirigente della Dc, è stato coinvolto in numerose<br />

inchieste. Ha scritto di lui Francesco Forgione sul «Quotidiano della Calabria»:<br />

«Non siamo di fronte ad uno dei tanti latitanti della ’ndrangheta, e nemmeno di fronte<br />

ad uno dei suoi più feroci boss. E non si tratta neanche di uno di quei narcotrafficanti<br />

internazionali al servizio delle ’ndrine che sono entrati anche con degli aloni di mito<br />

nella pubblicistica degli ultimi anni: uomini come Giorgio Sale o Roberto Pannunzi,<br />

capaci di fare affari con i grandi cartelli colombiani o protagonisti di fughe e beffe alla<br />

giustizia italiana, ma niente di più. Aldo Miccichè rappresenta un’altra e ben più inquietante<br />

storia. [...] Rappresenta una figura di primissimo piano del sistema di potere che la<br />

’ndrangheta è riuscita a costruire in Calabria e nella dimensione internazionale».<br />

Ucciso il camorrista che andò in tv<br />

La sua storia è stata resa nota da<br />

Saviano che ne criticò la presenza<br />

fra il pubblico in una trasmissione<br />

dell’inverno 2010 di Rai2 (“Canzoni<br />

e sfide”, condotta da Lorena<br />

Bianchetti, la presentatrice rimasta<br />

nota per essere intervenuta in difesa<br />

di Berlusconi dopo una battuta<br />

ironica del mago Silvan ospite di<br />

una suo programma), chiedendosi<br />

chi avesse inserito Marino tra gli<br />

ospiti. La figlia cantava dal palco<br />

“Tu sei il papà più bello del mondo”<br />

e lui veniva inquadrato dalle<br />

telecamere della nostra televisione<br />

pubblica sorridente e commosso<br />

in un abbraccio alla bambina al<br />

termine della performance. Gaetano<br />

Terracina, 48 anni, soprannominato<br />

“’o moncherino” per<br />

via dell’amputazione di entrambe<br />

le mani, è stato freddato in pieno<br />

giorno lo scorso 23 agosto mentre<br />

si trovava in spiaggia a Terracina<br />

(Latina): uno scenario da film pulp,<br />

con i due sicari – pare giovanissimi<br />

– che sfrecciano a bordo della motocicletta<br />

e gli scaricano addosso<br />

quindici colpi lasciandolo riverso<br />

tra le grida dei vacanzieri.<br />

Marino è il fratello minore di Gennaro,<br />

in carcere al 416 bis e leader<br />

14 | settembre 2012 | narcomafie<br />

brevi di mafia<br />

degli Scissionisti dopo l’uccisione<br />

del padre nel 2005. Le prime ipotesi<br />

investigative seguono dunque<br />

la possibile scia di una riapertura<br />

della faida che nel 2004-2005 lasciò<br />

decine di morti sull’asfalto.<br />

Il magistrato Raffaele Cantone<br />

ha sottolineato la sfrontatezza<br />

dell’omicidio, eseguito non solo<br />

in pieno giorno, ma in un luogo<br />

particolarmente affollato e fuori<br />

dal proprio territorio. Che i killer<br />

avessere fatto uso di cocaina e<br />

che il controllo della droga a<br />

Secondigliano sia la partita in<br />

gioco è più che un sospetto.<br />

Il vizio di Ciancio<br />

sui necrologi<br />

Quando i familiari di Beppe<br />

Montana, il commissario della<br />

Mobile ucciso da Cosa nostra<br />

nell’agosto del 1985, e quelli<br />

di Giuseppe Fava, fondatore<br />

della storica testata «I Siciliani»,<br />

ucciso l’anno precedente per la<br />

sua attività giornalistica, vollero<br />

pubblicare dei necrologi su «La<br />

Sicilia», quotidiano di Catania,<br />

si videro negare la possibilità.<br />

Il foglio di Mario Ciancio Sanfilippo<br />

– imprenditore catanese<br />

di successo, alla presidenza in<br />

passato anche della Federazione<br />

nazionale degli editori e capace<br />

di tenere per anni in scacco «La<br />

Repubblica» impedendone la<br />

diffusione sul territorio con le<br />

pagine locali – ospita invece<br />

più volentieri lettere (è successo<br />

nel 2008, quando Vincenzo<br />

Santapaola, figlio di Nitto, si<br />

lamentava di essere al 41 bis) e<br />

saluti funebri per i più potenti<br />

boss di Cosa nostra.<br />

Così per Giuseppe Ercolano, 76<br />

anni, cognato di Nitto Santapaola,<br />

capo storico della mafia etnea.<br />

Lo scorso 30 luglio il quotidiano<br />

dà notizia della scomparsa<br />

addirittura con un articolo e tre<br />

necrologi, uno dei quali a firma<br />

del figlio Aldo, in carcere per<br />

l’omicidio di Fava.<br />

Giuseppe Ercolano in passato<br />

aveva fatto irruzione nell’ufficio<br />

di Ciancio lamentandosi di essere<br />

stato definito boss sulle pagine del<br />

giornale; l’editore aveva chiamato<br />

e ripreso pesantemente il giornalista<br />

davanti a lui, intimandogli<br />

di non usare più il termine.


«Ho iniziato a pagare tra il<br />

1993 e il 1995, ho denunciato<br />

i cravattari nel 2005». Adriano<br />

è un imprenditore romano che<br />

per molti anni si è occupato di<br />

edilizia e di movimento terra.<br />

«Quando cammino per Roma,<br />

o vado in qualche posto, mi<br />

piace guardare i ponti, le strade<br />

e tutte quelle cose che ho<br />

contribuito a costruire. Allora<br />

non mi sento inutile. Prima di<br />

denunciare avevo tre società<br />

importanti che funzionavano<br />

bene. Lavoravo con importanti<br />

ditte ed enti».<br />

La sua storia inizia con i primi<br />

albori della crisi. «Lavoravo<br />

spesso con altri imprenditori,<br />

che a un certo punto non mi<br />

hanno più pagato perché avevano<br />

dichiarato il fallimento». La<br />

città eterna è usurata. Il Lazio<br />

è una delle regioni più colpite:<br />

secondo Sos Impresa sono<br />

circa 28 mila (pari al 32%) i<br />

commercianti coinvolti in patti<br />

usurai. Roma, in particolare, è<br />

da decenni il luogo per eccellenza<br />

dell’usura, una pratica<br />

che può essere fatta risalire<br />

agli inizi della sua stessa storia.<br />

Nella capitale si riescono a trovare<br />

tutte le fenomenologie fino<br />

ad oggi note del sistema: dal<br />

singolo (in gergo cravattaro),<br />

pensionato o libero professionista,<br />

alle bande di quartiere,<br />

dalla criminalità organizzata<br />

alle finanziarie apparentemente<br />

legali. Le vecchie reti usuraie,<br />

ripetutamente smantellate dal-<br />

le forze dell’ordine, si ricompongono<br />

in fretta e continuano<br />

a mietere vittime. «Le mie<br />

aziende avevano un fatturato<br />

di 3 miliardi delle vecchie lire.<br />

Avevo 35 dipendenti assunti<br />

regolarmente. Quando mi sono<br />

trovato in difficoltà ho chiesto<br />

aiuto alle banche, ma mi hanno<br />

subito chiuso i rubinetti e<br />

chiesto di rientrare. Ho chiesto<br />

aiuto a un amico e poi è stato<br />

un crescendo di sfruttamento.<br />

Mi è stato imposto un interesse<br />

del 3 per cento al mese, fino ad<br />

arrivare al 20 per cento».<br />

Intanto gli anni passano e<br />

Adriano è stato costretto a vendere<br />

e a cedere le sue case in<br />

Sardegna, la casa di abitazione,<br />

fare firmare assegni in bianco<br />

alla propria famiglia. «Quando<br />

hanno cercato di togliermi la<br />

casa di Santa Marinella – racconta<br />

– ero in uno stato di<br />

confusione tale da non capire<br />

quello che stava accadendo.<br />

Mi propongono di farla portare<br />

via, così loro avrebbero<br />

condizionato l’asta giudiziaria.<br />

L’avrebbero ricomprata per 98<br />

mila euro, la casa ne valeva<br />

400 mila, e poi l’avrei riavuta.<br />

Ma così non è stato. Ho pagato<br />

quasi 140 mila euro e sostenevano<br />

che i miei debiti con<br />

loro non erano ancora finiti.<br />

Così la casa è stata venduta lo<br />

stesso. E io sfrattato. A quel<br />

punto mi sono reso conto che<br />

non avrei più avuto la mia<br />

casa e le mie aziende, che nel<br />

15 | settembre 2012 | narcomafie<br />

Adriano, per<br />

10 anni vittima<br />

della città usurata<br />

frattempo erano andate in crisi.<br />

Così decido di raccontare tutto<br />

alla polizia».<br />

Da quel momento l’imprenditore<br />

romano si ribella. Si rivolge<br />

a uno sportello dove è seguito<br />

da Antonio, che anni prima<br />

era stato vittima di usura in<br />

Calabria e che ora accudisce<br />

gli altri imprenditori vittime<br />

di racket e usura.<br />

«Ho pagato per quasi dieci anni.<br />

Ai miei strozzini ho dato più<br />

di 3 miliardi, 18 case in Sardegna<br />

e anche la mia abitazione<br />

di Santa Marinella alla quale<br />

ero molto legato. Adesso io<br />

e mia moglie viviamo a casa<br />

di mia figlia e stiamo cercando<br />

di ripartire insieme. Passo<br />

dopo passo. Abbiamo messo<br />

su una piccola azienda. Ora c’è<br />

la crisi e l’economia gira male.<br />

È diventato tutto ancora più<br />

complicato di prima. In realtà<br />

io amo lavorare. Penso di farlo<br />

bene e con passione. Certo, se<br />

tornassi indietro non mi rivolgerei<br />

mai agli usurai. Piuttosto<br />

avrei fatto fallire le aziende e<br />

ricominciato. Allora pensavo di<br />

farcela. Malgrado molti amici<br />

mi girassero le spalle. Mi sono<br />

sentito molto solo in questo<br />

maledetto viaggio di usura. La<br />

mia colpa certamente è stata di<br />

essermi rivolto ai cravattari,<br />

forse solo per salvare il nome<br />

della famiglia e ciò che avevo<br />

fatto in questi anni. No, se tornassi<br />

indietro andrei subito a<br />

denunciare».<br />

di Laura Galesi<br />

Storie di chi si ribella ogni giorno<br />

nuoveresistenze resistenze resistenze resistenze resistenze resistenze resistenze


Illegalità e calcio<br />

16 | settembre 2012 | narcomafie<br />

La rete<br />

delle mafie<br />

Il gioco del calcio è lo sport nazionale per antonomasia, ma anche<br />

un business sempre più appetibile per le mafie che da anni sono<br />

scese su questo terreno, consapevoli che grazie ad esso è possibile<br />

coltivare consenso e controllo sociale<br />

di Pierpaolo Romani*


Il calcio ha il potere di fermare<br />

un paese e di distrarlo dai suoi<br />

problemi. Al contrario, non<br />

succede mai che un paese si<br />

fermi a riflettere seriamente<br />

su quello che accade nel<br />

mondo del calcio. Se lo fa,<br />

come avvenuto di recente in<br />

Italia, è quando scoppiano<br />

grossi scandali (Calciopoli o<br />

la più recente Scommessopoli)<br />

o accadono terribili tragedie<br />

dentro e fuori gli stadi (per<br />

esempio, la morte del giovane<br />

calciatore Piermario Morosini<br />

o quella dell’ispettore di Polizia<br />

Filippo Raciti, a Catania il<br />

2 febbraio 2007, al termine del<br />

derby con il Palermo), o quando<br />

si verificano situazioni che<br />

la gente considera impensabili<br />

o scandalose, come lo sciopero<br />

dei calciatori di serie A alla<br />

prima giornata di campionato<br />

2011/2012. Dibattiti televisivi,<br />

prime pagine dei quotidiani,<br />

trasmissioni radiofoniche,<br />

forum su Internet. Per alcuni<br />

giorni non si parla d’altro.<br />

Poi, tutto ritorna come prima.<br />

Silenzio: the show must go<br />

on. La palla deve continuare<br />

a girare sul rettangolo verde,<br />

contesa tra i ventidue uomini<br />

che si sfidano in campo.<br />

Il calcio è un fenomeno di<br />

massa a livello planetario e<br />

mettere le mani su di esso significa<br />

incidere sulla cultura,<br />

sulla politica e sull’economia<br />

di un paese. Per renderci conto<br />

di cosa muove il mondo del<br />

football basti pensare che,<br />

secondo il Big Count Study<br />

della Fifa – l’organizzazione<br />

internazionale che governa il<br />

calcio –, nel 2006 giocavano<br />

attivamente a pallone 265 milioni<br />

di persone, vale a dire<br />

il 4% della popolazione mondiale,<br />

ossia un abitante della<br />

Terra ogni venticinque.<br />

Il pallone è lo sport nazionale<br />

per eccellenza degli italiani.<br />

I dati del ReportCalcio 2011,<br />

ci dicono che il 70% della<br />

popolazione nazionale tra i 15<br />

e i 69 anni – vale a dire oltre<br />

trenta milioni di persone – è<br />

interessato, a vario titolo, al<br />

mondo del football. Cifre ben<br />

lontane da quelle della prima<br />

storica partita di calcio, che<br />

in Italia si è disputata il 6<br />

gennaio 1898, a Ponte Carrega<br />

tra il Genoa e l’International di<br />

Torino, un match a cui hanno<br />

assistito 190 spettatori e che<br />

fruttò agli organizzatori 101,45<br />

lire, come ricorda Gianni Brera<br />

nel suo libro Storia critica del<br />

calcio italiano.<br />

Attirare l’attenzione di più<br />

della metà della popolazione<br />

del nostro Paese significa che<br />

il calcio contribuisce a costruire<br />

e a rappresentare una parte<br />

importante della nostra società,<br />

è un potente strumento di<br />

aggregazione e di integrazione<br />

sociale, di costruzione del<br />

senso di appartenenza e di<br />

identità ad un territorio e ad<br />

una nazione. È uno strumento<br />

che dà riconoscibilità e prestigio<br />

sociale.<br />

Questo non lo hanno capito<br />

solo i marketing manager,<br />

gli imprenditori e i politici.<br />

Ma anche i mafiosi. I boss,<br />

infatti, hanno deciso di investire<br />

una parte delle loro<br />

ingenti risorse finanziarie nel<br />

mondo del calcio – e in una<br />

serie di attività che vi ruotano<br />

intorno – coscienti che la<br />

palla rotonda è uno strumento<br />

fondamentale per acquisire e<br />

manipolare il consenso sociale,<br />

per controllare il territorio,<br />

per riciclare denaro sporco,<br />

per instaurare relazioni con<br />

17 | settembre 2012 | narcomafie<br />

il mondo che conta: quello<br />

della politica, delle istituzioni<br />

e degli affari.<br />

Il calcio, per le mafie, non è<br />

solo uno strumento per impiegare<br />

capitali finanziari illeciti.<br />

È soprattutto un mezzo fondamentale<br />

per accumulare e<br />

mettere a frutto quello che i<br />

sociologi definiscono capitale<br />

sociale, ossia un bagaglio di<br />

relazioni che sono utili e necessarie<br />

per il raggiungimento<br />

di determinati fini.<br />

I boss hanno compreso che<br />

grazie al calcio è possibile coltivare<br />

e controllare il consenso<br />

sociale «elemento fondamentale<br />

del Dna mafioso» come<br />

ha affermato in una recente<br />

intervista Michele Prestipino,<br />

Procuratore aggiunto di Reggio<br />

Calabria. Una risorsa di cui<br />

essi hanno un bisogno assoluto,<br />

come i pesci dell’acqua,<br />

per garantirsi connivenze, collusioni,<br />

complicità, omertà.<br />

Per fare affari con più facilità,<br />

senza ricorrere alla violenza<br />

che, se usata in dosi massicce,<br />

provoca allarme sociale e,<br />

quindi, l’intervento delle forze<br />

dell’ordine e della magistratura.<br />

“Meno pallottole e più<br />

pallone” per i mafiosi significa<br />

ridurre i rischi di arresto, di<br />

sequestro e confisca di beni e,<br />

di conseguenza, rafforzamento<br />

del proprio potere e della<br />

propria impunità.<br />

È il calcio delle serie minori<br />

– Lega Pro e campionati<br />

dilettanti – quello lontano<br />

dai riflettori e dalla ribalta<br />

mediatica, quello più direttamente<br />

legato al territorio,<br />

quello nel quale gli stipendi<br />

sono incommensurabilmente<br />

più bassi rispetto alla serie A<br />

e non sempre vengono pagati<br />

o lo sono con molto ritardo e


Un viaggio nel pallone<br />

di Gianluca Ferraris<br />

e Simone di Meo<br />

Per gentile concessione<br />

degli autori e dell’editore<br />

pubblichiamo<br />

un paragrafo di<br />

Pallone Criminale<br />

(Ponte alle Grazie, 2012)<br />

Le indagini avviate dalle procure<br />

di Cremona e Bari, come quelle<br />

napoletane di cui parleremo tra<br />

poco, faranno il loro corso. Non<br />

ci interessa, e soprattutto non è<br />

compito nostro, determinare quali<br />

siano stati il ruolo e tantomeno le<br />

responsabilità dei calciatori. Ci<br />

interessa invece approfondire il<br />

ruolo della criminalità organizzata<br />

in questo business. Anche perché,<br />

come avremo modo di vedere, non<br />

si tratta certo di un ruolo di secondo<br />

piano. Per questo cercheremo<br />

anche di capire quali cifre muove<br />

il mercato illegale e come funziona,<br />

nel dettaglio, il canale che dagli<br />

stadi di tutto il mondo porta fino<br />

all’Asia.<br />

Il nostro viaggio nel pallone criminale<br />

ricomincia da un bel palazzo<br />

sul Lungotevere, a Roma. Qui ha<br />

sede l’agenzia Agipronews, che dal<br />

2003 monitora tutto quel che succede<br />

nel caotico mondo dell’azzardo<br />

e delle scommesse italiane. Il direttore<br />

Paolo Franci e il vicedirettore<br />

Nicola Tani dovrebbero recitare di<br />

fronte a noi il ruolo degli avvocati<br />

del diavolo. Dovrebbero spiegarci<br />

che questo è un pianeta pulito,<br />

esente dal rischio sistematico di<br />

contagio. Soprattutto da quando,<br />

a partire dai tardi anni Novanta, lo<br />

Stato italiano ha deciso di aprire<br />

e regolamentare il settore dell’offerta<br />

legale di scommesse sportive<br />

(fino a quel momento confinato a<br />

schedina, Totogol e scommesse<br />

ippiche), con l’intento di sottrarre<br />

fette significative di mercato nero<br />

alla criminalità organizzata, conseguendo<br />

contemporaneamente<br />

un guadagno di tipo fiscale. «In<br />

buona parte è andata davvero così,<br />

soprattutto all’inizio», confermano<br />

Franci e Tani, «ma chi gestiva il<br />

totonero, dopo un primo comprensibile<br />

momento di sbandamento, ha<br />

evidentemente saputo adeguarsi al<br />

cambiamento. Per questo il fenomeno<br />

delle scommesse clandestine<br />

oggi resta più forte che mai, nonostante<br />

i controlli ferrei esercitati in<br />

18 | settembre 2012 | narcomafie<br />

Italia sul circuito legale».<br />

I numeri confermano i timori dei<br />

due esperti, evidenziando nel passato<br />

recente una crescita esponenziale<br />

per quanto riguarda le segnalazioni<br />

di operazioni sospette nel settore<br />

dei giochi, connesse ad attività<br />

di riciclaggio. Nel 2011, secondo<br />

il bollettino elaborato dall’Unità<br />

di Informazione Finanziaria di<br />

Bankitalia40 sono state 133, il<br />

27 per cento delle 492 segnalate<br />

da operatori non finanziari: una<br />

crescita del 291 per cento rispetto<br />

alle sole 34 del 2010, secondo i<br />

dati elaborati dalla stessa agenzia<br />

diretta da Franci e Tani. In dettaglio,<br />

le segnalazioni provenienti dagli<br />

operatori di gioco sono state 51<br />

fra gennaio e giugno, 82 fra luglio<br />

e dicembre: non tutte riguardano<br />

le puntate sportive (ci sono, ad<br />

esempio, anche le slot e i casinò),<br />

ma lasciano intravedere chiaramente<br />

come il flusso, nonostante<br />

la maggiore attenzione attirata sul<br />

settore dalle indagini di Cremona,<br />

non si sia affievolito, anzi.<br />

«Il fatto è che il mercato legale e<br />

quello illegale del betting continuano<br />

a essere in qualche modo<br />

complementari» osservano i due<br />

analisti. «Paradossalmente, a un<br />

certo punto, è come se la rigida<br />

regolamentazione del primo avesse<br />

favorito la fuga di porzioni di pubblico<br />

verso il secondo. Pensiamo<br />

ai calciatori professionisti, ai quali<br />

è formalmente vietato scommettere<br />

sulle partite, o al pubblico<br />

in cerca di quote più interessanti<br />

che, magari per scarsa conoscenza,<br />

finisce per rivolgersi a intermediari,<br />

agenzie o siti web non del tutto<br />

trasparenti. Dietro i quali è facile<br />

che spesso si nasconda la criminalità<br />

organizzata, come hanno<br />

mostrato chiaramente i casi di Bari<br />

e Napoli».41 Gli operatori non<br />

autorizzati dai Monopoli di Stato,<br />

per dare un’idea delle dimensioni<br />

assunte dal fenomeno, lo scorso<br />

anno sono stati ben 3.970.<br />

Uscirne, secondo Franci e Tani, sarà<br />

difficile, anche perché le mafie non<br />

hanno fatto altro che insinuarsi in<br />

una situazione già esistente, dettata<br />

soprattutto da fattori ambientali e<br />

culturali: «I risultati accomodati<br />

di fine campionato ci sono sempre<br />

stati, ed è ovvio che gli operatori<br />

autorizzati cerchino di bancarli<br />

il meno possibile o di assegnare<br />

quote basse per evitare bagni di<br />

sangue. Così come l’attitudine,<br />

un’altra peculiarità tutta italiana, a<br />

cercare condizioni più vantaggiose<br />

alle quali scommettere, si tratti di<br />

presunte “informazioni riservate”<br />

o semplicemente di margini più<br />

alti».<br />

Quanto marcio c’è nel calcio? «Parecchio,<br />

ma non da oggi e non, o<br />

non soltanto, per colpa delle scommesse.<br />

Certo, il Bari della stagione<br />

2010-2011 era una bomba biologica<br />

che vagava all’interno del campionato,<br />

e situazioni come questa sono<br />

inaccettabili» concludono i due.<br />

«Però vietare l’azzardo sportivo, al<br />

punto in cui siamo giunti, sarebbe<br />

un rimedio peggiore del male, dato<br />

che si aprirebbero spazi ancora più<br />

invitanti per il gioco clandestino.<br />

Ingiusto anche gettare la croce addosso<br />

ai Monopoli di Stato o alla<br />

Federcalcio: fanno tutto quello<br />

che possono, con i mezzi a disposizione.<br />

Ma non si può chiedere ai<br />

primi di monitorare anche i flussi<br />

che si muovono verso l’estero, né<br />

alla seconda di creare intorno ai<br />

giocatori quel cordone di sicurezza<br />

che dovrebbe renderli inavvicinabili<br />

da certi personaggi».<br />

Eppure le contromisure ci sono:<br />

«La procura federale, nel caso di<br />

Simone Farina [il calciatore del<br />

Gubbio che denunciò un tentativo<br />

di corruzione, dal quale è nata<br />

la seconda tranche dell’inchiesta<br />

cremonese, ndr] ha dimostrato che<br />

le indagini sportive non devono<br />

necessariamente andare a ruota di<br />

quelle penali, ma anzi possono contribuire<br />

a ripulire il panorama. Così<br />

come l’introduzione degli sconti di<br />

pena per chi collabora, di cui sta


facendo largo uso la Figc».<br />

Restiamo a Roma per analizzare<br />

meglio le attività della malavita<br />

italiana nella filiera del gioco.<br />

Attività da sempre intensissima e<br />

rimasta tale fino a oggi nonostante<br />

i tentativi di contrasto, secondo<br />

Raffaele Lauro e Luigi Li Gotti.<br />

Politicamente i due, membri della<br />

Commissione Parlamentare Antimafia,<br />

sono agli antipodi (il primo<br />

milita nel Pdl, il secondo nell’Idv),<br />

ma sulle scommesse e sulle infiltrazioni<br />

della criminalità organizzata<br />

nel settore la pensano allo stesso<br />

modo. Tanto da avere cofirmato<br />

due indagini che evidenziano le<br />

proporzioni enormi del fenomeno e<br />

un disegno di legge, ancora in fase<br />

di discussione, che dovrebbe puntare<br />

a limitarlo. Anche secondo i<br />

due senatori il problema è di antica<br />

estrazione: «Il calcioscommesse è<br />

solo la punta di un iceberg» osserva<br />

Li Gotti. «Da anni tutti coloro che<br />

vengono a deporre in commissione<br />

ci confermano che l’influenza<br />

delle mafie nell’azzardo, grazie al<br />

know-how accumulato, è in forte<br />

crescita e non ha risentito, se<br />

non in fase iniziale, dell’opera<br />

di emersione decisa dallo Stato».<br />

Continua Lauro: «Dove ci sono<br />

lucro, denaro e passione popolare,<br />

c’è anche la criminalità organizzata.<br />

Questa è una premessa da cui non<br />

si sfugge. Ho polemizzato a lungo<br />

con Monopoli e governo proprio<br />

perché sostenevano che liberalizzando<br />

integralmente il settore<br />

dei giochi si sarebbe prosciugato<br />

il bacino d’utenza a disposizione<br />

dei “neristi”. In realtà mercato<br />

lecito e illecito hanno finito per<br />

allargarsi entrambi». Con un’altra<br />

conseguenza, secondo Li Gotti: «La<br />

creazione di un’ampia “zona grigia”<br />

dove diventa difficile, anche per le<br />

forze dell’ordine, distinguere ciò<br />

che è business mafioso da ciò che<br />

non lo è. Perché in questo ambito le<br />

mafie riescono a sfruttare al meglio<br />

le loro tipiche modalità d’azione:<br />

somme da riciclare e capacità co-<br />

ercitiva sul territorio».<br />

La cronaca degli ultimi anni ormai<br />

trabocca di episodi che confermano<br />

i segnali d’allarme giunti da Roma.<br />

Qualche esempio? A Reggio Calabria<br />

Gioacchino Campolo, il re<br />

dei videopoker, aveva investito<br />

nel mattone i proventi milionari<br />

dei suoi traffici illeciti, tanto da<br />

arrivare ad acquistare la palazzina<br />

dov’erano ospitati gli uomini<br />

dell’Antimafia che indagavano su<br />

di lui. A Caserta Renato Grasso,<br />

grazie ai suoi buoni uffici presso i<br />

Casalesi e a un innato senso degli<br />

affari, fino al 2009 è riuscito a<br />

condizionare l’attività di slot<br />

machine e sale Bingo in mezza<br />

Italia. Un po’ ovunque le<br />

famiglie siciliane e calabresi<br />

sono tornate a imporre la<br />

«diaria» nei circoli in cui<br />

si gioca a carte o a dadi,<br />

mentre i loro affiliati più<br />

giovani, cresciuti a pane<br />

e Internet, contendevano<br />

alla mafia slava il business<br />

delle puntate clandestine<br />

on line, la cui raccolta era<br />

ormai più divenuta più<br />

redditizia di quella registrata<br />

nei corridoi degli ippodromi.<br />

Non mancavano<br />

riffe e Gratta&Vinci made<br />

in Napoli (imposti con<br />

la forza ai rivenditori al<br />

posto di quelli autentici)<br />

e naturalmente il poker,<br />

nuova febbre degli italiani<br />

di ogni latitudine.<br />

Dopo anni di declino,<br />

insomma, la malavita<br />

organizzata ha rialzato<br />

la testa sul fronte dei<br />

giochi e delle scommesse.<br />

A dirlo erano già<br />

alcuni anni fa i numeri:<br />

secondo forze dell’ordine,<br />

amministrazione<br />

autonoma dei Monopoli<br />

di Stato e operatori,<br />

nel 2008 il giro<br />

d’affari delle mafie sul<br />

fronte dell’azzardo era<br />

19 | settembre 2012 | narcomafie<br />

tornato a crescere: tra i 4,5 e i 6 miliardi<br />

di euro, contro i 4 scarsi del<br />

2007. Certo, eravamo ancora molto<br />

lontani dai 15-20 miliardi annui di<br />

ricavi che la malavita totalizzava<br />

fino al 2000, prima che il boom di<br />

Superenalotto e Gratta&Vinci e la<br />

liberalizzazione di slot machine e<br />

scommesse sportive creassero dal<br />

nulla alternative legali alle puntate<br />

clandestine da bar. Ma già a partire<br />

dal 2007 l’inversione di tendenza<br />

era stata comunque annotata con<br />

preoccupazione dagli addetti ai<br />

lavori, mentre le informative e le<br />

segnalazioni in materia da parte<br />

della Direzione investigativa anti


mafia, della Polgiochi (il gruppo di<br />

contrasto della Polizia di Stato),<br />

del Reparto Operativo Speciale<br />

dei carabinieri e della guardia<br />

di finanza si erano letteralmente<br />

moltiplicate. E lo stesso andamento,<br />

come vedremo tra poco, ha<br />

riguardato i ricavi illeciti, sia in<br />

Italia che all’estero. Con premesse<br />

come queste era logico che anche<br />

il calcioscommesse non potesse rimanere<br />

fuori dai radar del business<br />

mafioso, soprattutto se si considerano<br />

la sua leadership esercitata<br />

per decenni sul totonero e la sua<br />

capacità di permeare l’humus che<br />

spesso ruota intorno a società e<br />

calciatori, non solo nelle serie<br />

minori e non solo al Sud. «Ci<br />

sono strutture malavitose organiche,<br />

non artigianali, che lavorano<br />

esclusivamente su questo fronte, e<br />

che mischiano l’alto e il basso: gli<br />

esperti informatici con gli spalloni,<br />

i colletti bianchi che parlano quattro<br />

lingue con i faccendieri capaci<br />

di avvicinare giocatori, allenatori e<br />

arbitri» afferma Lauro. «In un Paese<br />

dove la criminalità organizzata fa<br />

affari con chiunque, aggredisce i<br />

settori in difficoltà e penetra con<br />

profitto quelli in salute, pensavate<br />

che il calcio e le scommesse ne<br />

sarebbero rimasti immuni?».<br />

No, non lo pensavamo. La domanda<br />

finale che poniamo a Lauro<br />

e Li Gotti è la stessa di sempre.<br />

C’è un modo per uscirne? «Sul<br />

piano normativo occorre colpire<br />

innanzitutto il riciclaggio, che è<br />

il fattore scatenante dell’interesse<br />

mafioso verso l’azzardo» risponde<br />

Li Gotti. «Abbiamo preparato<br />

un disegno di legge che prevede<br />

l’istituzione di un registro delle<br />

scommesse: chiunque punta in<br />

agenzia dovrà esibire a monte<br />

il documento di identità, e non<br />

solo al momento della riscossione<br />

come accade oggi. E lo dovrà fare<br />

anche per piccoli importi. Certo,<br />

si tratta solo di un argine, che non<br />

impedirà al cliente di rivolgersi<br />

altrove, finendo preda di interme-<br />

20 | settembre 2012 | narcomafie<br />

diari o siti non autorizzati. Ma le<br />

ultime indagini dimostrano che<br />

potrebbe trattarsi comunque di un<br />

deterrente efficace. Soprattutto se<br />

accompagnato da un eventuale<br />

inasprimento delle pene, che da<br />

noi sono più magnanime rispetto<br />

al resto del mondo».<br />

Al resto, secondo Lauro, dovrebbe<br />

pensarci il mondo dello sport:<br />

«Tutti quelli che sottovalutano<br />

gli allarmi odierni mi ricordano i<br />

molti, anche tra gli addetti ai lavori,<br />

che negli anni Ottanta mettevano<br />

la testa sotto la sabbia di fronte<br />

alla recrudescenza del fenomeno.<br />

La verità è che il calcio italiano<br />

necessita ormai di una rifondazione<br />

morale, societaria e organizzativa,<br />

prima che sia troppo tardi e che<br />

qualche altro scandalo “inatteso”<br />

travolga il settore, mortificando,<br />

ancor più, milioni di appassionati<br />

e di sportivi. La proposta di una<br />

convocazione degli stati generali<br />

del calcio, che prepari questa<br />

rifondazione, va sostenuta con<br />

grande determinazione».<br />

Nell’attesa di misure più stringenti<br />

e di una riforma organica<br />

del sistema pallonaro chiesta<br />

ormai da più parti – ammesso e<br />

non concesso che bastino a migliorare<br />

le cose – il cancro delle<br />

puntate clandestine con cabina<br />

di regia asiatica, collegamenti<br />

balcanici e appoggio criminale<br />

made in Italy, diagnosticato ma<br />

non certo estirpato dalle ultime<br />

inchieste penali, ha metastasi<br />

ancora sconosciute. Sia per gli<br />

inquirenti che per i milioni di<br />

appassionati italiani.<br />

Il giro d’affari, complessivo,<br />

del resto, ha proporzioni da far<br />

impallidire. In tal senso, sono<br />

significative le parole di Chris<br />

Eaton, ex capo della sicurezza<br />

della Fifa, che intervenendo lo<br />

scorso anno a un convegno sul<br />

problema delle combine nel mondo<br />

dello sport – e in particolare<br />

nel calcio – ha riportato numeri<br />

sconvolgenti, facendo precisi ri-<br />

ferimenti al mercato italiano e<br />

alle sue particolarità. «Quello del<br />

denaro mosso dalle scommesse<br />

clandestine è un flusso difficile<br />

da quantificare con certezza», ha<br />

spiegato Eaton, «ma è possibile<br />

misurarlo dal punto di vista del<br />

profitto. In Italia, ad esempio, si<br />

registrano scommesse sportive per<br />

4,2 miliardi di euro all’anno, e di<br />

esse il 92 per cento è sul calcio. Di<br />

questa cifra però, secondo quanto<br />

ritengono le autorità italiane, solo<br />

il 30 per cento passa dai canali<br />

autorizzati. Questo significa che<br />

il restante 70 per cento di flussi<br />

di scommesse è indirizzato su<br />

bookmaker non regolamentati o<br />

non registrati, e di conseguenza<br />

il gioco d’azzardo sul calcio, in<br />

Italia, complessivamente muove<br />

circa 12 miliardi all’anno».<br />

Stime che collimano alla perfezione<br />

con quelle elaborate nel<br />

maggio 2012 da Antonio Laudati,<br />

il procuratore di Bari impegnato<br />

in una delle più importanti<br />

inchieste sul calcioscommesse<br />

italiano.<br />

Un affare troppo grosso, lo ripetiamo,<br />

per non stimolare l’appetito<br />

delle organizzazioni criminali<br />

e, purtroppo, la complicità di un<br />

ambiente, quello del calcio, che<br />

più vanno avanti le inchieste più<br />

si dimostra corruttibile. In questo<br />

ambito, però, il calcio italiano<br />

e la criminalità organizzata di<br />

matrice nazionale sono soltanto<br />

il terminale di un mercato,<br />

quello del gioco illegale, che ha<br />

dimensioni planetarie. E che ha<br />

cominciato a interessarsi ai campionati<br />

europei solo a partire dagli<br />

anni Novanta. Ma che, soprattutto<br />

grazie al suo sbarco nel vecchio<br />

continente, oggi totalizza introiti<br />

da capogiro: le stime più prudenti<br />

parlano di 200 miliardi di dollari<br />

l’anno, quelle più pessimistiche<br />

arrivano a 460. Cifre, in ogni caso,<br />

che fanno impallidire i ricavi di<br />

mafia, camorra, ’ndrangheta e<br />

Sacra corona unita.


in nero, quello sul quale le<br />

mafie hanno deciso di puntare<br />

in via prioritaria.<br />

Le serie A e B, tuttavia, non<br />

possono cullarsi sugli allori<br />

e pensare, erroneamente, che<br />

la problematica non possa<br />

riguardarle, soprattutto dopo<br />

quanto sta emergendo con l’inchiesta<br />

Last Bet della Procura<br />

di Cremona e con quelle delle<br />

Procure di Napoli e di Bari.<br />

Le mafie si sono infiltrate anche<br />

nelle tifoserie, un settore<br />

importante e delicato del<br />

mondo del calcio. Nelle curve<br />

o sulle gradinate, insieme al<br />

tifo, si mescolano violenza,<br />

politica e interessi economici<br />

rilevanti legati, ad esempio,<br />

alla gestione dei biglietti delle<br />

partite, al merchandising,<br />

all’organizzazione delle trasferte<br />

e, come hanno dimostrato<br />

i recenti arresti di Bari,<br />

anche sulle scommesse.<br />

Le cosche si sono attrezzate<br />

da tempo per entrare nel business<br />

del gioco e per gestire<br />

sia le scommesse lecite sia<br />

quelle illecite legate al calcio<br />

e ad altri sport. Le Procure di<br />

Napoli e di Bari hanno avviato<br />

delle indagini sotto questo<br />

profilo.<br />

Il mercato è particolarmente<br />

appetibile per tre ragioni: girano<br />

tanti soldi, il denaro che<br />

si muove è liquido, le sanzioni<br />

sono piuttosto deboli.<br />

Da accorti imprenditori, i boss<br />

si sono adeguati alle nuove<br />

leggi che hanno legalizzato<br />

ciò che prima era illegale ed<br />

hanno investito una parte dei<br />

loro capitali nell’acquisto<br />

delle agenzie di scommesse.<br />

Questo è potuto accadere<br />

sia per la possibilità di poter<br />

contare su dei prestanome di<br />

fiducia, sia per la complici-<br />

tà di persone dipendenti di<br />

grandi società che operano<br />

in questo settore. Non solo. I<br />

mafiosi hanno anche investito<br />

nella realizzazione e nella gestione<br />

di siti internet illegali,<br />

agendo direttamente come dei<br />

bookmaker.<br />

«Il calcio ha un ritorno di<br />

immagine incredibile e fatto a<br />

livello aziendale porta posti di<br />

lavoro e guadagni insperati».<br />

Sono le parole di due ’ndranghetisti<br />

arrestati in Calabria<br />

alla fine degli anni Novanta<br />

che hanno trovato conferma<br />

nelle indagini svolte sinora<br />

da diverse procure italiane,<br />

in particolare in Sicilia, Campania,<br />

Calabria, Basilicata,<br />

Puglia, Lazio e Liguria.<br />

I magistrati, insieme al lavoro<br />

di denuncia portato avanti da<br />

associazioni come Libera e da<br />

alcune inchieste giornalistiche,<br />

hanno portato alla luce<br />

l’esistenza di un sistema che<br />

possiamo definire “calcio criminale”,<br />

composto da mafiosi,<br />

faccendieri e sportivi disonesti.<br />

Un sistema che vive e si<br />

alimenta di continui contatti e<br />

scambi con quella che è stata<br />

definita “borghesia mafiosa”,<br />

composta da imprenditori,<br />

professionisti, giornalisti, politici,<br />

amministratori locali<br />

che, pur non facendo parte di<br />

alcuna organizzazione criminale,<br />

in quanto non sono ritualmente<br />

affiliati, ed avendo sovente la<br />

fedina penale pulita – il che li<br />

rende insospettabili – si mettono<br />

a disposizione delle mafie, fornendo<br />

loro una serie di servizi e<br />

di competenze, per ottenerne in<br />

cambio precisi vantaggi, a partire<br />

da quelli di tipo economico.<br />

Un’ulteriore testimonianza di<br />

come la forza delle mafie stia<br />

fuori dalle mafie.<br />

21 | settembre 2012 | narcomafie<br />

*ricercatore e giornalista<br />

pubblicista, attualmente è<br />

Coordinatore nazionale<br />

dell’Associazione Avviso<br />

Pubblico. Enti locali e<br />

Regioni per la formazione<br />

civile contro le mafie<br />

(www.avvisopubblico.it).<br />

È curatore del blog<br />

http://calciocriminale.<br />

wordpress.com


cosenostre<br />

l’antimafiacivile<br />

22 | settembre 2012 | narcomafie<br />

Sulle note<br />

dell’antimafia<br />

di Elisa Latella<br />

La musica, “quella musica”,<br />

chiama. Reggio risponde. L’incontro<br />

che avrebbe potuto essere<br />

intitolato “musica contro<br />

’ndrangheta” nella città dello<br />

Stretto registra il tutto esaurito<br />

con diversi giorni d’anticipo.<br />

La sera del 31 luglio la Piazza<br />

d’armi della Scuola Allievi Carabinieri<br />

è diventata un teatro<br />

in cui alle gremite file di posti a<br />

sedere si sono aggiunte tantissime<br />

persone in piedi. La gente è<br />

venuta da tutta Italia: il maestro<br />

Riccardo Muti dirige un migliaio<br />

di musicisti, componenti<br />

di orchestre di fiati e bande<br />

musicali calabresi: vengono da<br />

29 piccoli comuni calabresi,tra<br />

cui Bianco, Pazzano, Bivongi,<br />

Laureana di Borrello, Giffone,<br />

Seminara, Gioia Tauro, e molti<br />

altri, alcuni a forte rischio<br />

sociale per la presenza della<br />

criminalità organizzata. L’evento<br />

è gratuito, è un omaggio alla<br />

musica e alla cultura della legalità.<br />

Perché chi fa musica non<br />

delinque. «Se si suona insieme<br />

è impossibile fare la guerra, se si<br />

suona insieme non ci si può disinteressare<br />

di quello che suona<br />

il compagno accanto, di ciò che<br />

gli accade». In queste parole di<br />

Muti si legge una bellissima<br />

lezione di educazione musicale<br />

e di educazione alla civiltà. Il<br />

prefetto Vittorio Piscitelli e il<br />

generale Adelmo Lusi, coman-<br />

dante della Legione Carabinieri<br />

Calabria, hanno sottolineato il<br />

ruolo simbolico della cornice<br />

dell’evento: la scuola in cui<br />

si formano le risorse deputate<br />

in prima linea alla tutela della<br />

legalità. Poi il silenzio, c’è<br />

spazio solo per la musica. Per<br />

le note della Fedelissima di<br />

Cirenei, marcia d’ordinanza<br />

dell’Arma dei carabinieri diretta<br />

dal maestro Pasquale Lucà,<br />

per Fanfare and Flourishes di<br />

James Carnoso, nota per essere<br />

la musica che valica i confini<br />

del mondo (colonna sonora<br />

d’apertura delle trasmissioni<br />

in mondovisione) diretta dal<br />

maestro Maurizio Managò, la<br />

marcia sinfonica “Omaggio<br />

a Muti” diretta dal maestro<br />

Roberto Caridi, la Cavalleria<br />

leggera di Franz von Sappè<br />

diretta da Gaetano Pisano ed<br />

infine African Symphony di<br />

Van McCoy, che registra un<br />

lunghissimo applauso, sotto<br />

la direzione di Cettina Nicolosi.<br />

Poi entra in scena lui.<br />

Riccardo Muti ha conosciuto<br />

la Calabria anni fa. Tutto<br />

cominciò quando, nel 2001,<br />

l’entusiasmo di un uomo di<br />

nome Giuseppe Serra diede<br />

vita all’orchestra giovanile<br />

di fiati “Nicola Spadaro” a<br />

Delianuova: un’associazione<br />

per la formazione musicale<br />

capace di rappresentare con<br />

professionalità il centro aspromontano.<br />

Si suona nella terra della ’ndrangheta,<br />

come sta accadendo a<br />

Napoli nel rione Sanità. A Delianuova<br />

due giovani maestri,<br />

Maurizio Managò e Gaetano<br />

Pisano, hanno il compito di


formare i nuovi allievi; sono<br />

quasi un centinaio i giovanissimi<br />

che si iscrivono presto ai<br />

corsi di musica. Tantissimi i<br />

riconoscimenti ottenuti. Si inizia<br />

a parlare di loro sulle testate<br />

nazionali ed il 22 dicembre<br />

2007 Riccardo Muti, ascoltandoli<br />

in un’audizione privata al<br />

Teatro “Cilea” di Reggio Calabria<br />

affermò: «Fate suonare<br />

questi ragazzi ogni domenica<br />

in teatro! Lo meritano! Sono<br />

ambasciatori della positività<br />

calabrese. Sono un esempio<br />

di disciplina musicale. Chi,<br />

come loro, raggiunge l’armonia<br />

in musica, raggiunge anche<br />

l’armonia nella società.<br />

Il vostro modo di suonare, il<br />

vostro modo di essere non è<br />

importante solo per voi, voi<br />

non immaginate quanta influenza<br />

avrà questo modo di<br />

suonare nella società della<br />

vostra regione».<br />

Il 14 giugno 2008 la formazione<br />

si è esibita al Ravenna Festival,<br />

dove lo stesso Muti ha diretto<br />

due brani nel corso della storica<br />

serata che ha avuto come titolo<br />

“Omaggio alle Bande d’Italia”.<br />

Nel corso della serata reggina<br />

Muti ha sottolineato che:<br />

«L’orchestra sinfonica è un<br />

insieme di persone che cercano<br />

insieme l’armonia. Qui la<br />

Calabria sta mostrando la sua<br />

parte migliore, è un esempio per<br />

il resto dell’Italia». “La musica<br />

23 | settembre 2012 | narcomafie<br />

non solo forma, ma salva” era<br />

stato detto all’inizio di questo<br />

progetto. E Muti dirige tre<br />

trascrizioni d’opera per banda<br />

che richiedono ai musicisti<br />

un elevatissimo livello di virtuosismo:<br />

la Sinfonia dalla<br />

“Norma” di Bellini, l’Overture<br />

de “La Forza del destino” e la<br />

Sinfonia dal “Nabucco” di<br />

Verdi. Infine l’inno nazionale,<br />

ripetuto due volte: il bis ha<br />

registrato la partecipazione<br />

del pubblico alzatosi in piedi,<br />

mentre i ragazzi vestiti con le<br />

magliette bianche, rosse e verdi,<br />

all’uscita del maestro alzano in<br />

segno di omaggio gli strumenti.<br />

È ora che in Calabria sia tutta<br />

un’altra musica. Questa.<br />

l’antimafiacivile<br />

cosenostre<br />

cosenostre<br />

cosenostre<br />

cosenostre<br />

cosenostre<br />

cosenostre<br />

cosenostre<br />

cosenostre<br />

cosenostre


Il mercato aurifero<br />

Foto di Jorge Quinteros,<br />

Savior 1980<br />

24 | settembre 2012 | narcomafie<br />

I cacciatori<br />

I cacciatori<br />

dell’oro. Il nero<br />

della criminalità<br />

Riciclaggio di denaro sporco, usura, ricettazione. Determinati<br />

operatori del “Compro oro” hanno approfittato delle norme lacunose<br />

che regolano il settore aurifero per fini criminali. Ecco<br />

perché servono più regole, maggiori controlli, a cominciare dalla<br />

creazione di un albo di categoria<br />

di Ranieri Razzante


Ne abbiamo contati 5 mila in<br />

tutta Italia. Sono 28 mila se si<br />

contano le gioiellerie parzialmente<br />

riconvertite all’acquisto<br />

di oro per sopperire alla flessione<br />

che il mercato registra nelle<br />

vendite da ormai alcuni anni. I<br />

cosiddetti “Compro Oro” hanno<br />

un giro d’affari annuo che copre<br />

dalle 70 alle 80 tonnellate di<br />

metalli preziosi per un indotto<br />

del settore stimato tra gli 8 e i<br />

10 miliardi di euro.<br />

Chi fiuta l’affare? Sono tra le<br />

attività che hanno reagito meglio<br />

alla crisi, sfruttando il lato<br />

oscuro dell’attuale contingenza<br />

economica che porta molta<br />

gente a disfarsi dei preziosi di<br />

famiglia per facilitare le spese<br />

quotidiane. Sono stati di fatto<br />

definiti come forma alternativa<br />

di finanziamento delle famiglie,<br />

quasi a volerne sottolineare la<br />

valenza sociale, in un momento<br />

in cui le banche distribuiscono<br />

più dinieghi che finanziamenti.<br />

Ma allo stesso modo, si sono<br />

tirati addosso le brame di quelle<br />

organizzazioni criminali che,<br />

fiutato l’affare, ne hanno fatto<br />

un punto nevralgico della filiera<br />

illegale, specificamente legata<br />

alla fase di laundering (riciclaggio)<br />

del contante provento<br />

di reato. Immaginiamo infatti<br />

la potenzialità di attività di<br />

questo genere, che, con i bassi<br />

costi di gestione, i limitati<br />

controlli e barriere d’ingresso,<br />

consentono a qualsiasi banda<br />

criminale anche di piccole dimensioni<br />

di dotarsi della propria<br />

personalissima centrale<br />

di riciclaggio sia del denaro,<br />

sia dei preziosi provenienti<br />

dalle rapine. Gli osservatori<br />

territoriali della legalità hanno<br />

più volte fatto menzione della<br />

congiuntura che lega l’aumento<br />

delle rapine, scippi e traffici illeciti<br />

al proporzionale aumento<br />

dei negozi “compro oro” nei<br />

quartieri a maggiore disagio<br />

socio-economico. Non è questo<br />

il modo per denigrare una<br />

categoria; piuttosto è quello di<br />

affrontare un problema. Perché<br />

di questo si tratta. Le operazioni<br />

della Guardia di finanza su base<br />

nazionale dimostrano ancor più<br />

che il “problema” non è legato<br />

a porzioni delimitate di territorio,<br />

ma che si estende a livello<br />

nazionale (ma senza dubbio<br />

anche a livello internazionale,<br />

visto il crescente trend).<br />

L’argomento è stato trattato anche<br />

in sede antimafia, dove la<br />

Commissione parlamentare di<br />

riferimento (di cui ho l’onore di<br />

essere consulente), ha discusso<br />

quello che si riserva alle questioni<br />

importanti. Ancora in<br />

sede istituzionale, importanti<br />

risultano le parole del Ministro<br />

dell’Interno, che, se da un lato<br />

possono apparire rassicuranti,<br />

dall’altro testimoniano con<br />

ancora più forza l’esigenza di<br />

un intervento tempestivo e<br />

convincente sullo status quo.<br />

Risposte innanzitutto di tipo<br />

normativo: noi di Aira, l’Associazione<br />

dei Responsabili<br />

Antiriciclaggio che presiedo,<br />

abbiamo presentato un rapporto<br />

sul settore con allegata una<br />

proposta di legge. Come tale è<br />

stata accolta con favore negli<br />

ambienti istituzionali.<br />

L’obiettivo principale è quello<br />

di far luce su quelle zone d’ombra<br />

che emergono in questo<br />

comparto e che hanno sinora<br />

permesso alla criminalità di<br />

infiltrarsi in maniera capillare<br />

nella gestione di alcune attività,<br />

nonostante gli ingenti sforzi<br />

delle forze di Polizia.<br />

Dalle parole del ministro Can-<br />

25 | settembre 2012 | narcomafie<br />

cellieri si evince inoltre una<br />

necessità di trasparenza che, a<br />

nostro avviso, non può che passare<br />

per un’accurata conoscenza<br />

di chi opera nel settore.<br />

Censire il mercato. Da qui la<br />

necessità di una mappatura<br />

capillare su tutto il territorio<br />

da parte delle questure che rila-<br />

sciano le licenze e l’istituzione<br />

di un albo per i compro oro.<br />

Insieme ad Anopo (Ass. naz.<br />

Operatori professionali in oro)<br />

abbiamo elaborato una nostra<br />

“inchiesta” su tutto il territorio<br />

nazionale che invieremo quanto<br />

prima al Ministero insieme ad<br />

alcune specifiche osservazioni.<br />

Tale inchiesta mira a dimostrare<br />

come l’assenza di un censi-<br />

mento ufficiale da parte delle<br />

Autorità (Ministero per primo)<br />

sia una grave carenza e dimostra<br />

come il settore abbia necessità<br />

di una razionalizzazione che<br />

parta proprio da un’approfondita<br />

conoscenza dello stesso.<br />

La situazione<br />

economica attuale<br />

offre una ghiotta<br />

opportunità per la<br />

criminalità<br />

organizzata per<br />

entrare nel settore e<br />

sfruttarlo ai fini<br />

del riciclaggio<br />

di denaro


“Aira” ha stilato un<br />

vademecum per il<br />

consumatore che<br />

voglia cedere il<br />

proprio oro, al fine<br />

di valutare il miglior<br />

interlocutore<br />

Chi sono.<br />

Il commercio di oro è regolamentato<br />

da un’apposita normativa intitolata<br />

“Nuova disciplina del mercato<br />

dell’oro, anche in attuazione della<br />

direttiva 98/80/CE del Consiglio,<br />

del 12 ottobre 1998”, emanata con<br />

Legge 17 Gennaio 2000, n. 7, pubblicata<br />

nella Gazzetta Ufficiale n.<br />

16 del 21 gennaio 2000, la quale<br />

stabilisce cosa debba intendersi per<br />

oro e quali sono i requisiti richiesti<br />

per effettuare tale commercio in<br />

via professionale.<br />

Operatori professionali in oro sono<br />

i soggetti indicati dal comma 2<br />

dell’art 1 della L 7/2000: «Chiunque<br />

dispone o effettua il trasferimento<br />

di oro da o verso l’estero, ovvero<br />

il commercio di oro nel territorio<br />

nazionale ovvero altra operazione<br />

in oro anche a titolo gratuito»; e<br />

dall’art. 127 del Tulps: i fabbricanti,<br />

i commercianti, i mediatori di<br />

oggetti preziosi, muniti di licenza<br />

rilasciata dal questore.<br />

Cosa fanno.<br />

Sempre l’articolo 1 della L 7/2000<br />

indica quali sono i requisiti necessari<br />

per poter effettuare il commercio<br />

di oro ovvero:<br />

- comma 3: “L’esercizio in via professionale<br />

del commercio di oro,<br />

per conto proprio o per conto di<br />

terzi, può essere svolto da banche<br />

e, previa comunicazione all’Ufficio<br />

L’incoerenza tra i dati riscontrati<br />

nella mappatura “digitale”<br />

e quelli riscontrati dalla ricerca<br />

sul territorio, in particolare in<br />

alcune città, dimostra come<br />

il fenomeno sia sfuggente e a<br />

tratti sommerso. Da questi dati<br />

e dalla diffusione sul territorio,<br />

unito alla mancanza di controlli<br />

stringenti da parte delle autorità<br />

nei confronti dei nuovi operatori<br />

che si affacciano al mercato,<br />

è possibile arrivare alla<br />

conclusione che la situazione<br />

attuale può offrire una ghiotta<br />

italiano dei cambi (ora Uif), da<br />

soggetti in possesso dei seguenti<br />

requisiti:<br />

a) forma giuridica di società per<br />

azioni, o di società in accomandita<br />

per azioni, o di società a responsabilità<br />

limitata, o di società cooperativa,<br />

aventi in ogni caso capitale<br />

sociale interamente versato non<br />

inferiore a quello minimo previsto<br />

per le società per azioni;<br />

b) oggetto sociale che comporti il<br />

commercio di oro;<br />

c) possesso, da parte dei partecipanti<br />

al capitale, degli amministratori e<br />

dei dipendenti investiti di funzioni<br />

di direzione tecnica e commerciale,<br />

dei requisiti di onorabilità previsti<br />

dagli articoli 108, 109 e 161, comma<br />

2, del testo unico delle leggi<br />

in materia bancaria e creditizia,<br />

emanato con decreto legislativo<br />

1° settembre 1993, n. 385”.<br />

- Art. 243 del Regolamento di<br />

attuazione del Tulps: “L’obbligo<br />

di munirsi della licenza stabilita<br />

dall’art. 127 della Legge incombe<br />

ai fabbricanti, ai commercianti, ai<br />

mediatori di oggetti preziosi, tanto<br />

se lavorino o negozino abitualmente,<br />

quanto occasionalmente”.<br />

- Art. 245 del Regolamento di attuazione<br />

del Tulps: “La licenza<br />

è valida per tutti gli esercizi di<br />

vendita di oggetti preziosi, appar-<br />

26 | settembre 2012 | narcomafie<br />

opportunità per la criminalità<br />

organizzata per entrare nel<br />

settore e sfruttarlo ai fini del<br />

riciclaggio di denaro.<br />

Un vademecum per chi cede<br />

oro. Oltre al rilievo “macro”<br />

economico, ce n’è un altro<br />

parallelo e non di minor spessore,<br />

ed è quello in danno al<br />

consumatore finale, vero animatore<br />

del mercato aurifero<br />

degli ultimi anni. La vendita<br />

del proprio oro, già di per sé un<br />

fatto traumatico, poiché molto<br />

tenenti alla medesima persona od<br />

alla medesima ditta, ancorché siti<br />

in località diverse”.<br />

Il legislatore con questi articoli ha<br />

voluto non concedere dubbi sia<br />

su come identificare la natura dei<br />

beni che possono essere qualificati<br />

come oro, sia le caratteristiche<br />

che un azienda deve assumere per<br />

poter esercitare lecitamente tale<br />

commercio. Infatti stabilendo che<br />

le aziende siano configurate come<br />

«società per azioni, o società in<br />

accomandita per azioni, società<br />

a responsabilità limitata, società<br />

cooperativa dotate di un capitale<br />

sociale interamente versato non<br />

inferiore a quello minimo previsto<br />

per le società per azioni» esclude<br />

de facto le ditte individuali.<br />

Altra condizione necessaria per commerciare<br />

in oro è la comunicazione, e<br />

il rilascio di relativa autorizzazione,<br />

da parte della Banca d’Italia (1º gennaio<br />

2008 l’Ufficio Italiano Cambi<br />

è soppresso e le sue funzioni sono<br />

esercitate dalla Banca d’Italia - D.lgs.<br />

21/11/2007 n. 231).<br />

Gli obblighi antiriciclaggio.<br />

L’attuale normativa antiriciclaggio<br />

(Decreto Legislativo n.231 del 2007)<br />

obbliga gli operatori in oro alla sola<br />

Segnalazione di operazioni sospette<br />

(cd. Sos), tuttavia senza l’obbligo<br />

di adeguata verifica e registrazione<br />

spesso la decisione di separarsi<br />

dai propri oggetti d’affetto è<br />

connessa all’esigenza di monetizzazione,<br />

può a sua volta<br />

nascondere insidie, rendendo<br />

ancora più pericolosa la cessione.<br />

Per questo motivo Aira<br />

ha stilato un vademecum per<br />

il consumatore che voglia cedere<br />

il proprio oro, al fine di<br />

valutare il miglior interlocutore.<br />

Innanzitutto, tra i consigli<br />

utili, c’è quello di essere ben<br />

informati sulla quotazione reale<br />

dell’oro. Questa infatti varia in<br />

delle operazioni (art. 10.2).<br />

Le disposizioni contenute nel decreto<br />

231, fatta eccezione per gli<br />

obblighi di identificazione e registrazione<br />

indicati nel Titolo II, Capi<br />

I e II, si applicano altresì a:<br />

1) commercio, comprese l’esportazione<br />

e l’importazione, di oro<br />

per finalità industriali o di investimento,<br />

per il quale è prevista la<br />

dichiarazione di cui all’articolo 1<br />

della legge 17 gennaio 2000, n. 7;<br />

2) fabbricazione, mediazione e commercio,<br />

comprese l’esportazione e<br />

l’importazione di oggetti preziosi,<br />

per il quale è prevista la licenza di<br />

cui all’articolo 127 del Tulps;<br />

Agli stessi è prescritto anche l’obbligo<br />

di comunicazione per le operazioni<br />

di importo pari o superiore<br />

ai 12.500 euro (art. 1 comma 2 della<br />

L 7/2000).<br />

Dal dicembre 2011 è in vigore<br />

il limite all’uso del contante di<br />

mille euro. Alcuni esercenti che<br />

acquistano Oro continuano a pagare<br />

importi oltre la soglia imposta<br />

dalla legge. Questo, oltre a violare<br />

la legge, comporta una sanzione<br />

amministrativa il cui valore può<br />

ammontare fino al 40 per cento<br />

dell’operazione. Per cui, quando<br />

il valore del monile venduto è<br />

superiore a mille euro, l’esercente<br />

dovrà obbligatoriamente pagare<br />

con un mezzo tracciato (assegno,<br />

bonifico, etc.).


ogni momento della giornata ed<br />

è stabilito dal fixing di Londra.<br />

Le quotazioni sono facilmente<br />

reperibili su web e quotidiani.<br />

È importante poi conoscere la<br />

qualità del proprio oro, ossia<br />

la sua purezza. In altre parole,<br />

ogni prezioso si compone di<br />

una quantità di oro puro ed<br />

una (minore) di altri metalli.<br />

La percentuale di oro puro presente<br />

nell’oggetto determinerà<br />

la purezza (e quindi il prezzo<br />

di vendita). Purtroppo molte<br />

pubblicità di Compro oro<br />

spesso appaiono fuorvianti,<br />

perché riferiscono il solo prezzo<br />

dell’Oro puro (24 o 22 k) pur<br />

senza specificarlo mentre nella<br />

maggior parte dei casi, i gioielli<br />

contengono una quantità<br />

inferiore di Oro (18 k, ovvero<br />

composti di 75 parti di oro ed il<br />

restante di altri metalli). È poi<br />

bene conoscere il peso effettivo<br />

dell’oggetto. In molti casi, chi<br />

acquista Oro sfrutta la buona<br />

fede del venditore falsando il<br />

valore dell’offerta con bilance<br />

“truccate”, ossia manomesse in<br />

modo da fornire una valutazione<br />

inferiore rispetto a quella reale.<br />

Per fare tutto questo, è buona<br />

prassi rivolgersi a più esercenti<br />

al fine di confrontare più offerte.<br />

Talvolta il prezzo può variare di<br />

diverse decine di euro. La legge<br />

impone, inoltre, che il Compro<br />

oro debba registrare l’operazione<br />

di acquisto ed i dati identificativi<br />

del cedente sul registro di<br />

pubblica sicurezza. Diffidare<br />

da chi non vi chiede il documento<br />

di identità. Sta violando<br />

la legge.<br />

La proposta di Aira. Nella con-<br />

ferenza stampa tenuta lo scorso<br />

11 aprile, presso la Camera dei<br />

Deputati tenuta , è stata presen-<br />

27 | settembre 2012 | narcomafie<br />

tata un’interessante proposta di<br />

legge sul commercio dell’oro e<br />

dei preziosi, che a nostro avviso<br />

merita di essere vagliata con<br />

attenzione. Già da alcuni mesi,<br />

infatti, Aira aveva presentato in<br />

Commissione antimafia un’analoga<br />

proposta, che in parte<br />

può essere assimilata a quella<br />

dell’On. Donatella Mattesini, e<br />

che richiede alcuni strumenti<br />

ritenuti imprescindibili per<br />

fornire adeguate certezze a chi<br />

opera nel settore. Tra questi vi<br />

è certamente la creazione di un<br />

albo per i compro oro, l’obbligo<br />

del rilascio della ricevuta da<br />

parte di chi acquista per ovvi<br />

motivi di trasparenza, il rispetto<br />

del limite all’uso del contante,<br />

ad oggi ampiamente disatteso<br />

da larga parte della categoria e<br />

l’assoggettamento a tutti i presidi<br />

antiriciclaggio attualmente<br />

previsti dalla legge.<br />

Sono necessari la<br />

creazione di un albo<br />

dei compro oro,<br />

l’obbligo del rilascio<br />

della ricevuta, il<br />

rispetto del limite<br />

all’uso del contante,<br />

ad oggi ampiamente<br />

disatteso da larga<br />

parte della categoria


dialogo tra antimafia virtuale e antimafia reale a cura di Marcello Ravveduto<br />

C’è un non so che di tragicamen<br />

te epico nel blog che ho scovato<br />

navigando nella rete. L’indirizzo<br />

web è di per sé significativo: http://<br />

raffaelecutolo.blogspot.it/. Quando<br />

mi è apparso davanti agli occhi<br />

non potevo credere che qualcuno<br />

avesse il coraggio di intestare un<br />

blog al boss vesuviano. Mi sba<br />

gliavo. L’autore è un tal Antonio<br />

Barracano, un educatore di Casoria,<br />

in provincia di Napoli. Tra le altre<br />

informazioni si può notare che lo<br />

stesso Barracano è autore di altri<br />

tre blog: Cantanti neomelodici na<br />

poletani, Asse mediano Napoli, Il<br />

clan dei casalesi. Insomma sicura<br />

mente un internauta affascinato<br />

dal mondo criminale campano<br />

e dai suoi cantori. Ma torniamo<br />

alle pagine online dedicate a «’o<br />

prufessor ‘e Ottaviano» come recita<br />

il sottotitolo in corsivo. Sottotitolo<br />

che compare sotto il nome del fon<br />

datore della Nco (Nuova camorra<br />

organizzata) accanto a una delle<br />

tante fotografie che lo ritrae dietro<br />

le sbarre. Il blog è stato realizza<br />

to nel giugno 2012 e si possono<br />

contare 26 post pubblicati, con un<br />

totale di circa 1.800 visite (mentre<br />

sto scrivendo il numero di visita<br />

tori sta velocemente crescendo).<br />

Sulla colonna destra appare un<br />

sondaggio: «Secondo voi Cutolo<br />

deve pentirsi?». Per il momento ha<br />

ricevuto solo cinque risposte: 3 sì e<br />

2 no. Subito sotto c’è una galleria<br />

di immagini dei «Personaggi legati<br />

al nome di Raffaele Cutolo». Appaiono<br />

in fila le foto di Vincenzo<br />

Casillo, Pasquale Barra, Giuseppe<br />

Puca, Alfonso Rosanova, Salvatore<br />

Serra, Giovanni Pandico, Pasquale<br />

Scotti, Immacolata Iacone (la moglie).<br />

A ognuno di essi è dedicato<br />

un articolo, un video o un approfondimento<br />

tratto direttamente<br />

dalle fonti documentali presenti in<br />

28 | settembre 2012 | narcomafie<br />

Il blog di don Raffaele<br />

rete. Giusto per correttezza storica<br />

va segnalato che Salvatore Serra<br />

(detto “Cartuccia”), boss del clan<br />

dei paganesi (ovvero di Pagani in<br />

provincia di Salerno), era stato<br />

un avversario storico di Cutolo al<br />

punto da essere definito, proprio da<br />

“’o professore”, un uomo che porta<br />

a spasso il suo cadavere. Nel 1981,<br />

Serra viene trovato “suicidato” nel<br />

carcere di Ascoli Piceno dove era<br />

rinchiuso in una cella molto vicina<br />

a quella del capo della Nco. Tra i<br />

cutoliani menzionati nel blog c’è<br />

anche posto per Salvatore Di Maio<br />

(detto “Tore ‘o guaglione”), capo<br />

zona dell’agro nocerino sarnese<br />

(grossa area metropolitana tra la<br />

provincia di Napoli e di Salerno),<br />

che, con ogni probabilità, era nel<br />

gruppo di fuoco esecutore della<br />

condanna a morte del sindaco di<br />

Pagani Marcello Torre (ucciso l’11<br />

dicembre 1980 e avvocato difensore<br />

di Serra), ma è stato assolto per<br />

insufficienza di prove. Non sempre<br />

la verità storica collima con quella<br />

giudiziaria. Perché un educatore si<br />

è impegnato a realizzare un blog<br />

dedicato a Cutolo? Vuole creare<br />

uno strumento di conoscenza attraverso<br />

il quale stimolare i suoi<br />

discenti ad una riflessione civile<br />

sulla camorra? Scorrendo i post<br />

non mi pare di scorgere un intento<br />

pedagogico. Si tratta piuttosto di<br />

una somma di documenti, scritti<br />

ed audiovisivi, lanciati nella<br />

rete senza nessuna avvertenza.<br />

Ho cercato qualche commento,<br />

qualche osservazione che inducesse<br />

il lettore a comprendere i<br />

danni economici e sociali prodotti<br />

dalla Nco nel contesto campano,<br />

soprattutto dopo il sisma del 1980,<br />

ma non ho trovato nulla. Inoltre,<br />

non c’è nessun riferimento alla<br />

lunga scia di sangue (3.500 morti<br />

in cinque anni) determinata dal<br />

conflitto tra cutoliani e affiliati<br />

alla Nuova Famiglia di Carmine<br />

Alfieri e Antonio Bardellino. Una<br />

guerra conclusasi con la sconfitta<br />

del boss di Ottaviano. Qual è<br />

dunque il motivo che ha spinto<br />

Barracano a realizzare questo blog?<br />

La ragione risiede, almeno mi pare,<br />

in quell’automatismo irriflessivo,<br />

generato dall’immaginario collettivo,<br />

che tende a trasformare<br />

le figure negative in produttori<br />

di miti. Un mito derivato da una<br />

duplice congiunzione: il silenzio<br />

di Cutolo, che si dichiara “convertito”<br />

(alle regole del Vangelo) e<br />

non “pentito” (secondo le norme<br />

dello Stato) quindi – per chi ci<br />

crede – ancora uomo d’onore, e<br />

il malsano eroismo indotto dalla<br />

trasposizione filmica di Giuseppe<br />

Tornatore. Sinceramente credo<br />

che l’autore del blog sia caduto<br />

inconsapevolmente nella trappola<br />

di glorificare Cutolo innalzandolo<br />

al ruolo di unico capo carismatico<br />

della camorra novecentesca. Il fascino<br />

di don Raffaele, pur lontano<br />

ormai da anni dal clamore dei media,<br />

ambisce a divenire, per mano<br />

di “smemorati educatori”, vero e<br />

proprio culto della personalità.<br />

Del resto né è cosciente lo stesso<br />

Tornatore: «Quando giravo il film<br />

ero consapevole del rischio che si<br />

sarebbero potuti mitizzare eroi negativi,<br />

per questo nella sceneggiatura<br />

avevo inserito una svalutazione<br />

drammaturgica dell’eroe… Se “Il<br />

camorrista” è diventato un simbolo<br />

lo è solo perché quel mondo a cui<br />

mi sono ispirato era molto più identificabile<br />

rispetto a quello odierno<br />

che è molto più sfuggente e privo<br />

di quella teatralità che lo rendeva,<br />

appunto, identificabile». Come a<br />

dire che l’italica vulgata, “si stava<br />

meglio quando si stava peggio”,<br />

vale anche per la camorra.


29 | settembre 2012 | narcomafie<br />

Sacra<br />

inchiesta<br />

corona<br />

unita<br />

Nata come costola della ’ndrangheta, la criminalità pugliese<br />

assume nel tempo connotazioni specifiche e indipendenti.<br />

Meno appesantita dal fardello della “tradizione”, la Sacra<br />

corona unita ha imparato a modernizzarsi facendosi liquida,<br />

decentrata, imprenditoriale<br />

Foto di Elizabeth Thomsen, Tim Regan, Giuseppe Campanelli, Nicola since 1972, Just Janette


Sacra corona unita<br />

La mafia giovane<br />

«La mafia in Puglia non ha avuto<br />

presa nella società. La società<br />

è sana». Così il procuratore<br />

capo di Bari, Antonio Laudati,<br />

ha dichiarato alla stampa nel<br />

luglio scorso. «La Scu oggi? È la<br />

mafia “sociale”, cerca consenso,<br />

trova lavoro e presta denaro<br />

a fondo perduto». L’allarme<br />

è stato lanciato a più riprese<br />

nell’ultimo anno dal procuratore<br />

capo della Dda di Lecce<br />

Cataldo Motta. Capire che cosa<br />

ci sia in mezzo tra queste due<br />

affermazioni opposte, eppure<br />

allo stesso modo autorevoli, è<br />

lo sforzo che faremo in questa<br />

sede, cucendo tra loro scenari<br />

apparentemente lontani, per<br />

cogliere in maniera inedita gli<br />

sviluppi che la “quarta mafia”,<br />

la Sacra corona unita salentina,<br />

è riuscita ad alimentare, dopo<br />

la “stagione dei fuochi” degli<br />

anni Ottanta e la sucessiva controffensiva<br />

della magistratura<br />

e delle forze dell’ordine.<br />

La nascita della Scu. Si stima<br />

che la Sacra corona unita<br />

abbia un giro d’affari di circa<br />

due miliardi e mezzo l’anno.<br />

Gli inquirenti hanno censito<br />

81 clan sparsi su tutto il territorio<br />

regionale: il gruppo<br />

più numeroso, circa 30 clan,<br />

30 | settembre 2012 | narcomafie<br />

La presenza della Scu in Puglia divide le procure di Bari e Lecce,<br />

tra negazionismi e verità accertate. La quarta mafia, pur essendo<br />

nata negli anni Ottanta, è ben radicata. E anche qui non manca<br />

chi mitizza i capi clan<br />

di Maria Luisa Mastrogiovanni<br />

è attivo tra Bari e Foggia; 17<br />

operano a Taranto ed altri 6<br />

e 3 rispettivamente nelle città<br />

di Lecce e di Brindisi.<br />

Il numero complessivo censito<br />

degli affiliati supera abbondantemente<br />

le tremila unità,<br />

con punte rilevate nelle province<br />

di Bari e di Foggia di<br />

circa un migliaio ciascuno,<br />

ma se si pensa che Foggia ha<br />

una popolazione pari a meno<br />

della metà di Bari, si può<br />

avere subito l’idea dell’alta<br />

densità mafiosa del territorio<br />

dauno. I fiancheggiatori sono<br />

circa diecimila. Un numero<br />

ingente per una mafia relativamente<br />

giovane.<br />

La “quarta mafia” è la più giovane,<br />

l’ultima nata in Italia.<br />

È stata fondata da Giuseppe<br />

Rogoli nel carcere di Trani la<br />

notte di Natale del 1981. Una<br />

data scelta per rivestire di<br />

simbologia religiosa l’origine<br />

di quella che era una costola<br />

della ’ndrangheta, dandole<br />

così maggiore forza e autorevolezza<br />

rispetto alle altre<br />

organizzazioni che tentavano<br />

di colonizzare la Puglia. Raffaele<br />

Cutolo infatti, capo della<br />

Nuova camorra organizzata,<br />

aveva mire espansionistiche e<br />

vedeva la vicina Puglia come<br />

una terra di conquista. Fonda<br />

così la Nuova camorra<br />

pugliese, che si insedia soprattutto<br />

nel foggiano. L’arrivo<br />

della camorra è malvisto<br />

dalla malavita locale che, per<br />

contrastare Cutolo, dà vita<br />

ad un’altra organizzazione<br />

criminale. Rogoli, già affiliato<br />

alla ’ndrangheta, chiede<br />

il permesso al capobastone<br />

Umberto Bellocco di formare<br />

una ’ndrina pugliese, che<br />

diventa appunto la Sacra<br />

corona unita. Unica nel panorama<br />

mafioso per la sua<br />

caratteristica di avere, come<br />

riferimento, il suo fondatore<br />

ancora in vita (attualmente<br />

detenuto nel carcere di Viterbo),<br />

il quale, per acquisire<br />

autorevolezza, utilizza nei<br />

rituali di fondazione della Scu<br />

e poi di affiliazione, una serie<br />

di simbologie religiose proprie<br />

delle mafie storiche. Nel 1987<br />

nasce anche la ’ndrina La<br />

Rosa nel sud barese, mentre<br />

la Scu conta ormai le famiglie<br />

più in vista della provincia di<br />

Brindisi e Lecce.<br />

L’ultimo saluto al boss. È il 9<br />

settembre 2008. Quel giorno a<br />

Gallipoli centinaia di persone<br />

si presentarono sul sagrato


della chiesa di Sant’Antonio<br />

da Padova. Un silenzio irreale.<br />

Due lunghissimi minuti:<br />

fu l’omaggio reso ad uno dei<br />

più sanguinari e spietati capi<br />

storici della Sacra corona,<br />

Salvatore Padovano detto<br />

“Nino bomba”, ucciso davanti<br />

a decine di testimoni con 4<br />

colpi di pistola da un sicario<br />

a volto scoperto. Il killer, reo<br />

confesso, era Salvatore Mendolìa,<br />

ora collaboratore di<br />

giustizia, che l’aveva ucciso<br />

su commissione dello stesso<br />

fratello di “Nino bomba”, Rosario,<br />

ora in carcere.<br />

Consideriamo il giorno del funerale<br />

di “Nino bomba” come<br />

spartiacque tra la prima stagione<br />

della Scu, quella degli<br />

anni Ottanta e Novanta, e le<br />

mutazioni della Sacra corona di<br />

oggi. Capiremo dopo perché.<br />

Il parroco, don Salvatore<br />

Leopizzi, aveva scelto brani<br />

dal Vangelo di Matteo,<br />

spingendosi ad accostare la<br />

figura del Cristo morente a<br />

quella del boss, riverso per<br />

strada, davanti alla pescheria<br />

di famiglia, in una pozza di<br />

sangue. «Mio Dio, mio Dio,<br />

perché mi hai abbandonato»,<br />

le parole e il sentimento che,<br />

secondo il prete, avrebbero accomunato<br />

Padovano a Gesù.<br />

«Ricordiamo Salvatore con<br />

affetto e senza covare rancore»,<br />

aveva detto il parroco,<br />

guardando negli occhi la<br />

moglie Anna, il figlio Angelo,<br />

allora studente di liceo e la<br />

figlia Paola, ricordando con<br />

tono accorato la seconda vita<br />

del boss che, scarcerato dopo<br />

20 anni, aveva scritto un libro<br />

di poesie e teneva conferenze<br />

in università.<br />

In prima fila, sul sagrato e al<br />

corteo funebre, diversi politi-<br />

ci con fascia tricolore, tra cui<br />

personaggi di primo piano a<br />

livello nazionale, come l’allora<br />

presidente della provincia<br />

di Lecce, il senatore Giovanni<br />

Pellegrino (Pd), già presidente<br />

della Commissione parlamentare<br />

d’inchiesta sulle stragi, il<br />

sindaco di Gallipoli Giuseppe<br />

Venneri (centro destra), l’assessore<br />

provinciale ai lavori<br />

pubblici, Flavio Fasano (Pd), il<br />

senatore di Gallipoli, Vincenzo<br />

Barba (Pdl), l’ex sindaco di<br />

Neviano, Antonio Megha.<br />

Il corteo, con in testa i politici<br />

e centinaia di persone, sfilò<br />

composto e silenzioso, tra<br />

due ali di folla, dopo essere<br />

esploso in un lungo applauso<br />

all’uscita del feretro dalla<br />

chiesa, davanti alle saracinesche<br />

che i commercianti<br />

avevano abbassato in segno<br />

di rispetto, alcuni affiggendo<br />

anche il biglietto listato di<br />

nero con la scritta “lutto”.<br />

Cordoglio unanime. Contro<br />

quei politici, che avevano dichiarato<br />

di essere presenti ai<br />

funerali “a titolo personale”,<br />

il giorno dopo si scaglierà il<br />

sottosegretario agli Interni,<br />

Alfredo Mantovano (Pdl):<br />

«Come ha insegnato la storia<br />

del contrasto alla criminalità<br />

va eliminata qualsiasi<br />

anche simbolica vicinanza<br />

tra il mondo della criminalità<br />

organizzata e la società»,<br />

stigmatizzando anche la<br />

vicinanza di alcuni docenti<br />

dell’Università del Salento e<br />

di alcuni giornalisti delle tv<br />

locali che, all’indomani della<br />

pubblicazione del libro del<br />

boss “Da Ciano all’8 settembre”,<br />

avevano fatto passare<br />

sugli organi di informazione<br />

locale l’idea di una sorta di<br />

31 | settembre 2012 | narcomafie<br />

ravvedimento del mafioso,<br />

dando interpretazioni fuorvianti<br />

sulla «nuova identità»<br />

civica che Padovano tentava<br />

di costruire di sé. Ma Padovano,<br />

al contrario di quanto<br />

si cercava di far passare<br />

nell’opinione pubblica attraverso<br />

giornali e tv poco attenti,<br />

non aveva vissuto “catarsi”<br />

in carcere. La sua identità<br />

criminale aveva resistito anche<br />

al 41 bis, «ed egli – diceva<br />

il sottosegretario agli Interni<br />

– era ritenuto fondamentale<br />

nel tessuto criminale locale,<br />

nonostante i suoi sforzi di<br />

mimetizzazione che tendevano<br />

ad accreditarlo come una<br />

persona ormai lontana dai<br />

contesti delittuosi attraverso<br />

la sua attività culturale».<br />

Da quell’omicidio presero il<br />

via le indagini della Dda di<br />

Lecce: l’operazione “Galatea”,<br />

che sfocerà poi in diversi rivoli<br />

e in altrettanti fascicoli<br />

in cui è stato tratteggiato il<br />

nuovo volto della Scu, capace<br />

di incunearsi in tutti gli<br />

strati sociali, di avvicinare<br />

uomini chiave delle istituzioni,<br />

delle classi dirigenti<br />

della pubblica amministrazione<br />

e dell’imprenditoria.<br />

Una capacità mimetica e di<br />

creazione del consenso che è<br />

la più importante mutazione<br />

della nuova generazione della<br />

mafia salentina. In effetti,<br />

dopo 4 anni dall’omicidio di<br />

Salvatore Padovano, è chiaro<br />

che quella presenza massiccia<br />

e silenziosa di persone rappresentava<br />

la consacrazione<br />

di un vero e proprio passaggio<br />

di consegne da Salvatore ad<br />

Angelo, suo figlio, proprio<br />

lì, sul sagrato, sotto l’occhio<br />

benevolo della Chiesa e (distratto?)<br />

della politica.<br />

Sacra corona unita


Sacra corona unita<br />

32 | settembre 2012 | narcomafie<br />

La pax mafiosa<br />

e la ricerca<br />

del consenso<br />

Da oltre vent’anni controlla il territorio e i traffici,<br />

modernizzandosi e facendosi “fluida”, imparando a<br />

costruirsi il consenso tra la popolazione. Ecco come la<br />

regione più orientale d’Italia è controllata dai clan<br />

di Maria Luisa Mastrogiovanni


Puglia, novembre 2010. Dall’audizione<br />

della Commissione parlamentare<br />

d’inchiesta antimafia,<br />

per la prima volta si traccia un<br />

quadro unitario della criminalità<br />

organizzata di stampo camorristico-mafioso<br />

nel tacco d’Italia,<br />

senza fare distinzioni tra le varie<br />

definizioni di Sacra corona o<br />

“Rosa” di Bari o “Società” foggiana.<br />

Si guarda cioè alla mafia<br />

pugliese come un unicum, pur<br />

nelle diverse specificità delle<br />

organizzazioni e dei territori.<br />

Infatti la Commissione evidenzia<br />

la frammentarietà delle organizzazioni<br />

sul territorio pugliese, ma<br />

riconosce nella “quarta mafia”, la<br />

Scu, una unitarietà, flessibilità e<br />

capacità di tessere relazioni che<br />

ne costituiscono la pericolosità<br />

sociale: «Quanto alla valenza<br />

strutturale e funzionale della<br />

criminalità organizzata pugliese,<br />

le informazioni raccolte ribadiscono<br />

– unanimemente – che<br />

trattasi di una realtà espressiva<br />

di un modello organizzativo di<br />

tipo clanico e per ciò stesso composita,<br />

frazionata, disomogenea e<br />

certamente non riconducibile ad<br />

un corpus unitario: essa, inoltre,<br />

risulta certamente priva di stabili<br />

programmatiche criminali e così<br />

pure di un raccordo centrale e<br />

sovraordinato rispetto alle singole<br />

realtà locali».<br />

Per converso, la cosiddetta quarta<br />

mafia si presenta dotata di straordinarie<br />

flessibilità e modernizzazione<br />

e di un’elevata capacità<br />

di adattamento della struttura<br />

operativa – essa è capace cioè di<br />

trasformare rapidamente i suoi<br />

business, rinnovando il personale<br />

operativo e i rapporti di alleanza,<br />

specie con le consorterie malavitose<br />

transnazionali (mafia albanese<br />

in misura preponderante,<br />

ma anche quella cinese, serba e<br />

nigeriana), di cui si è segnalata<br />

una forte presenza ed operatività<br />

sul territorio – il che la munisce<br />

di una significativa pericolosità<br />

e potenzialità espansiva».<br />

Bisogna perciò andare ad indagare<br />

nelle varie attività della<br />

Scu degli ultimi anni, alla ricerca<br />

delle manifestazioni di tali<br />

caratteristiche di “flessibilità”,<br />

“modernizzazione”, “adattamento<br />

della struttura operativa”,<br />

“pericolosità” per tratteggiare la<br />

“potenzialità espansiva” dell’organizzazione<br />

attuale e futura. Ed<br />

è quello che faremo qui.<br />

Nell’ultima relazione annuale<br />

del capo della Dda della procura<br />

di Lecce, Cataldo Motta, viene<br />

descritto il passaggio di consegne<br />

alle nuove leve della mafia del<br />

tacco d’Italia. Sono i nipoti dei<br />

fondatori, quelli che nel 1981<br />

furono protagonisti della nascita<br />

della Sacra corona come costola<br />

autonomista della ’ndrangheta,<br />

autorizzata più di 30 anni fa ad<br />

organizzarsi sul territorio pugliese<br />

dal capobastone Roberto<br />

Bellocchio.<br />

La geografia della Scu, secondo<br />

Motta, non è mutata. I centri da<br />

cui si dipana l’organizzazione<br />

sono quelli degli anni Ottanta:<br />

in provincia di Lecce sono<br />

Monteroni, Gallipoli, Squinzano,<br />

Matino, Parabita, Casarano, Taurisano,<br />

Ugento, Lecce, Martano.<br />

In provincia di Brindisi: Tuturano<br />

e Mesagne. Ma dimenticate la<br />

tradizionale suddivisione che<br />

fa coincidere i clan con altrettante<br />

aree d’influenza e traffici<br />

illeciti.<br />

Oggi i confini tra le famiglie, i<br />

territori e gli affari sono molto<br />

più “fluidi” e flessibili: gli affari<br />

sono affari e l’atmosfera è molto<br />

collaborativa, sia sul territorio nazionale<br />

sia con i gruppi criminali<br />

esteri. Si stanno costruendo vere e<br />

proprie reti criminali internazio-<br />

33 | settembre 2012 | narcomafie<br />

nali che vedono la Sacra corona<br />

protagonista di affari criminali al<br />

fianco della camorra e delle mafie<br />

albanese, montenegrina, romena,<br />

russa, turca e greca.<br />

A Gallipoli, secondo la relazione<br />

di Motta, l’erede del padre Salvatore,<br />

“Nino bomba” ucciso nel<br />

2008, sarebbe proprio Angelo, 22<br />

anni, a cui tutta la città di Gallipoli<br />

rese omaggio il giorno del funerale<br />

del padre: eredità mafiosa<br />

raccolta pienamente dopo l’arresto<br />

dello zio, Rosario, mandante<br />

dell’omicidio e reo confesso.<br />

Angelo, chiamato a testimoniare<br />

nel processo sull’omicidio del<br />

padre, il 27 ottobre scorso fu<br />

richiamato dal presidente della<br />

Corte d’assise, Roberto Tanisi, per<br />

il suo fare sbruffone e reticente<br />

al limite dell’accusa di falsa testimonianza.<br />

A Monteroni il clan dei fratelli<br />

Mario e Angelo Tornese è adesso<br />

guidato dai figli di Mario, Ivan e<br />

Mariolino. Il primo, già arrestato<br />

nel 2005, a giugno dell’anno scorso<br />

è stato condannato per mafia<br />

con l’accusa di essersi occupato<br />

del mantenimento delle famiglie<br />

dei detenuti in carcere.<br />

La Scu, nella sua seconda vita,<br />

agisce quindi proprio come un’organizzazione<br />

mafiosa complessa,<br />

come un antistato, occupandosi<br />

della cura e mantenimento dei<br />

parenti dei mafiosi in carcere.<br />

Rimanendo nel nord Salento, a<br />

Squinzano, raccoglie la staffetta<br />

di Francesco Pellegrino, all’ergastolo,<br />

il figlio Antonio, 38 anni,<br />

che ha già trascorso 16 anni in<br />

carcere per due omicidi di mafia<br />

e per estorsione.<br />

Il Salento nord-orientale invece,<br />

è sotto l’influenza di Gabriele e<br />

Stefano Rizzo, nipoti del boss<br />

leccese Totò Rizzo, che avrebbero<br />

già ricevuto l’investitura dallo<br />

zio ergastolano.<br />

Sacra corona unita


Sacra corona unita<br />

Nel sud Salento, a Casarano, Parabita<br />

e Matino, c’è oggi Marco<br />

Giannelli, figlio del boss Luigi.<br />

Corsi e ricorsi storici. Per Motta<br />

infatti si tratta di una riorganizzazione<br />

che oggi come ieri ricalca lo<br />

storico gruppo mafioso degli anni<br />

Ottanta, cioè il “triumvirato” Mario<br />

Tornese, Salvatore Padovano e<br />

Luigi Giannelli, che si dividevano<br />

il Salento sud-occidentale e che<br />

oggi, attraverso i figli, si sarebbe<br />

riassociato.<br />

A Tuturano, in provincia di Brindisi,<br />

l’erede è Angelo Buccarella,<br />

figlio di Salvatore: «Agisce<br />

d’intesa con la madre Antonia<br />

Caliandro», dice Motta, che<br />

con toni agli antipodi rispetto<br />

a quelli usati da Laudati, commenta:<br />

«Questa situazione non<br />

autorizza alcun ottimismo sul<br />

possibile ridimensionamento ed<br />

indebolimento dell’associazione<br />

mafiosa».<br />

Il passaggio di consegne dalla<br />

vecchia alla nuova generazione<br />

ha sancito anche una pax interna<br />

nella nuova Sacra corona unita.<br />

L’alto magistrato parla di vero e<br />

proprio “inabissamento”, una<br />

sorta di strategia di mimetizzazione<br />

della Scu con la parte “sana”<br />

della società, in modo tale che<br />

i confini tra il lecito e l’illecito<br />

diventino sempre più sfumati e<br />

la mafia in questo modo ancor<br />

più inafferrabile. Per rendere più<br />

efficace la mimetizzazione, la Scu<br />

si è liberata, secondo le dichiarazioni<br />

del pentito Ercole Penna, di<br />

tutti i rituali di affiliazione, così<br />

che gli accordi con imprenditori<br />

e professionisti avvengono nel<br />

corso di “normali” riunioni d’affari.<br />

La pax interna ha l’obiettivo<br />

di spartirsi i territori e gli affari<br />

in maniera collaborativa senza<br />

attirare l’attenzione degli inquirenti.<br />

Da una parte dunque si<br />

struttura come antistato nei con-<br />

34 | settembre 2012 | narcomafie<br />

fronti degli affiliati garantendo il<br />

sostentamento, la protezione e la<br />

pensione ai familiari dei mafiosi<br />

in carcere, allo stesso tempo cerca<br />

il contatto e la mimetizzazione<br />

con la società, proponendosi<br />

come una vera e propria società<br />

di servizi, anche finanziari, prestando<br />

denaro, all’inizio senza<br />

interessi, e riscuotendo crediti<br />

per conto dei semplici cittadini e<br />

di imprenditori, che si rivolgono<br />

ai mafiosi spontaneamente.<br />

La capacità mimetica della Scu<br />

raggiunge poi i livelli più profondi<br />

e pericolosi attraverso la<br />

sponsorizzazione di squadre di<br />

calcio, anche di pulcini. Sono<br />

ben otto le squadre di calcio che<br />

secondo le indagini della Dda di<br />

Lecce, hanno come dirigenti o<br />

proprietari personaggi collusi o<br />

direttamente riconducibili alla<br />

Scu. Ricordiamo qui il dato più<br />

recente: il 17 luglio scorso la<br />

Finanza di Lecce ha sequestrato<br />

beni per un milione e 300 mila<br />

euro a Lucio Riotti, di Lecce, già<br />

condannato con sentenza definitiva<br />

per associazione mafiosa<br />

e fino allo scorso anno direttore<br />

sportivo del Racale calcio (reddito<br />

dichiarato: 14mila euro). Una<br />

contiguità negli affari tra i territori<br />

di Lecce e Racale (sud Salento),<br />

che nella prima stagione della<br />

Scu era impensabile.<br />

La collaborazione, come detto,<br />

non è solo tra i clan, ma anche<br />

tra i cittadini e l’organizzazione<br />

mafiosa. Tanto che numerose volte<br />

gli inquirenti hanno assistito<br />

sgomenti al ritorno dei criminali<br />

in paese, dopo la scarcerazione<br />

per indulto o dopo aver scontato<br />

la pena, accolti con fuochi d’artificio<br />

e applausi. Ercole Penna,<br />

capo della Scu di Mesagne, ora<br />

collaboratore di giustizia (poco<br />

prima della bomba alla scuola<br />

“Morvillo Falcone” di Brindisi<br />

la Dda di Lecce mise a segno una<br />

grande operazione antimafia,<br />

con l’arresto di decine di boss,<br />

proprio grazie alla sua collaborazione),<br />

riguardo alla ricerca<br />

del consenso della nuova Scu,<br />

ha messo a verbale: «La gente<br />

ha sempre paura della forza di<br />

intimidazione del nostro gruppo.<br />

I comportamenti degli affiliati<br />

sono sempre in qualche modo<br />

legati alle sollecitazioni che<br />

provengono dalla gente comune<br />

che fa affidamento su di noi.<br />

Siamo sempre disponibili nei<br />

confronti della gente anche per<br />

i problemi economici per i quali<br />

si rivolge a noi. E siamo pronti<br />

a risolverli anche dando denaro<br />

a fondo perduto».<br />

Cercare il consenso di più strati<br />

della società e raggiungere una<br />

pax mafiosa hanno l’obiettivo di<br />

continuare a svolgere le attività<br />

criminali senza attirare l’attenzione<br />

degli inquirenti. Scrive Motta:<br />

«I due aspetti della ricerca del<br />

consenso e della pacificazione<br />

tra i vari clan possono sembrare<br />

differenti, ma, in realtà, sono<br />

riconducibili a finalità analoghe<br />

e mirano ad un unico risultato,<br />

quello della possibilità di<br />

svolgere le attività proprie di<br />

un’associazione mafiosa, da un<br />

canto, dopo essersi assicurato<br />

il consenso sociale e, dall’altro,<br />

avendo drasticamente ridotti i<br />

rischi di interventi repressivi<br />

per la scomparsa di ogni atto<br />

evidente di violenza, intimidazione,<br />

danneggiamento».<br />

Oltre all’episodio del funerale<br />

di Padovano, a Gallipoli, si<br />

possono citare numerosi esempi<br />

a dimostrazione del consenso<br />

riscosso da parte dei mafiosi:<br />

quando venne arrestato alle tre<br />

del mattino nel febbraio di due<br />

anni fa, molte persone uscirono<br />

nel cuore della notte per dare la


loro solidarietà al boss mesagnese<br />

Massimo Pasimeni e a sua moglie,<br />

urlando mentre erano in corso le<br />

operazioni d’arresto: «Massimo<br />

torna presto, vi vogliamo bene.<br />

Gioconda, al tuo cagnolino ci<br />

pensiamo noi. Ci mancherete».<br />

Da ricordare il momento in cui<br />

fu messo in libertà Antonio<br />

Pellegrino, che aveva scontato<br />

16 anni in carcere accusato di<br />

due omicidi di mafia commessi<br />

quando era minorenne e per<br />

estorsione. Antonio Pellegrino,<br />

figlio dell’ergastolano Francesco,<br />

e che come detto rappresenta<br />

uno degli esponenti della seconda<br />

generazione della Scu, fu<br />

accolto a Squinzano con i fuochi<br />

d’artificio. Stessi fuochi a Vernole<br />

per Andrea Leo, nel settembre<br />

2011, dopo aver trascorso nove<br />

anni in carcere. Quando, dopo<br />

un mese, fu arrestato nell’ambito<br />

dell’operazione “Augusta”<br />

negò i contrasti tra il suo gruppo<br />

di Vernole, Melendugno e<br />

Calimera (il cosiddetto gruppo<br />

dei Vernel per l’assonanza con<br />

il detersivo) e quello capeggiato<br />

da Ivan Firenze, nel business del<br />

narcotraffico, perché i contrasti<br />

erano “tempi passati”. «Non ci<br />

facciamo più la guerra», dichiarò<br />

Leo nell’ottobre scorso, quando<br />

fu arrestato alla chiusura delle<br />

indagini dell’operazione “Augusta”,<br />

sancendo definitivamente<br />

l’esistenza di una vera e propria<br />

“pax mafiosa”.<br />

La mafia imprenditoriale. Andrea<br />

Leo, che ha sancito l’esistenza<br />

di una vera e propria “pax<br />

mafiosa”, è tra i nomi eccellenti<br />

tra i 67 arresti dell’operazione<br />

“Augusta”. Un’indagine durata<br />

anni e conclusa nell’ottobre<br />

scorso. All’indomani dell’arresto<br />

di Leo a Vernole, la sua città,<br />

comparve la scritta “Motta in-<br />

fame”. Il procuratore usò toni<br />

tranquillizzanti, smentendo il<br />

collegamento tra l’atto intimidatorio<br />

e l’arresto del boss, ma<br />

lanciò anche l’appello a «non<br />

abbassare la guardia e a contrastare<br />

la criminalità organizzata<br />

in ogni sua forma».<br />

Il riferimento alle mille forme del<br />

crimine non è casuale.<br />

Le operazioni “Augusta”, “Poker2”<br />

e “Domino” hanno tratteggiato<br />

il profilo di una nuova<br />

mafia definita da Motta “mafia<br />

imprenditoriale”, perché le indagini<br />

degli ultimi anni dimostrano<br />

come i gruppi criminali,<br />

anche collaborando tra loro,<br />

hanno come obiettivo quello<br />

di incunearsi in tutti gli strati<br />

sociali della società e in tutti i<br />

settori economici “sani”, per<br />

trarre guadagno da attività apparentemente<br />

lecite. A queste<br />

attività affiancano poi i business<br />

tradizionali.<br />

Che la Scu cerchi di reinvestire<br />

in attività imprenditoriali non<br />

35 | settembre 2012 | narcomafie<br />

è una novità. Ma i tentativi di<br />

dieci anni fa appaiono ingenui<br />

esperimenti rispetto alle<br />

sofisticate operazioni finanziarie<br />

di oggi e alla capacità<br />

di travalicare i confini delle<br />

organizzazioni mafiose locali<br />

e delle nazioni. Oggi, infatti,<br />

la mafia in Puglia, oltre ad<br />

occuparsi degli affari tradizionali<br />

(narcotraffico, traffico di<br />

armi, contrabbando di sigarette,<br />

estorsione, usura), sta esplorando<br />

nuovi settori: il traffico<br />

di persone e il “contrabbando”<br />

di persone per lo sfruttamento<br />

lavorativo e della prostituzione;<br />

le speculazioni nel settore<br />

energetico (soprattutto eolico e<br />

fotovoltaico); il mercato della<br />

contraffazione dei marchi; le<br />

scommesse clandestine. Oltre<br />

a investire in aziende apparentemente<br />

“sane”, come nel caso<br />

del settore della raccolta e dello<br />

smaltimento dei rifiuti e nel<br />

settore edile, partecipando a<br />

bandi pubblici e vincendoli.<br />

Sacra corona unita


Sacra corona unita<br />

Giochi sporchi<br />

Tra gli interessi della Sacra corona unita rientra anche il gioco<br />

d’azzardo: un modo per riciclare denaro sporco attraverso<br />

una rete che arriva fino oltre Manica. Le operazioni “Poker 2”<br />

e “Domino” hanno portato alla luce un business da milioni<br />

di euro e le immancabili sponde politiche<br />

di M. L. M.<br />

36 | settembre 2012 | narcomafie


La Guardia di finanza di Lecce<br />

(in particolare il Gico, Gruppo<br />

d’investigazione sulla criminalità<br />

organizzata) ha appurato<br />

come proprio il Salento sia<br />

l’epicentro di una complessa<br />

organizzazione criminale che<br />

travalica i confini nazionali e<br />

spesso sfugge ai controlli perché<br />

veloce, flessibile e appoggiata<br />

da insospettabili professionisti<br />

compiacenti.<br />

Con l’operazione “Poker 2” sono<br />

addirittura novanta le Procure al<br />

lavoro sui vari stralci dell’inchiesta:<br />

un giro d’affari di centinaia<br />

di milioni di euro che riguarda le<br />

scommesse clandestine, portato<br />

alla luce dalle Fiamme gialle che<br />

non escludono ulteriori sviluppi<br />

che possano definire nuovi<br />

scenari criminali a livello internazionale,<br />

mentre l’operazione<br />

“Domino” della Dda di Bari ha<br />

permesso di stabilire il coinvolgimento<br />

della Sacra corona<br />

unita nel giro delle agenzie di<br />

scommesse sportive abusive.<br />

Il settore del gioco pubblico<br />

e delle scommesse “lecite” è<br />

tra i settori che in Italia non<br />

conoscono la crisi.<br />

Il 2010 si è chiuso con una<br />

crescita della raccolta online<br />

del 40%: le scommesse sono<br />

aumentate del 17%, gli skillgames<br />

(letteralmente “giochi<br />

di abilità”) del 51%, tutti gli<br />

altri giochi del 54%. Una crescita<br />

che ha portato alla raccolta<br />

complessiva di cinquemila<br />

miliardi di euro. In due anni il<br />

giro d’affari è più che triplicato.<br />

Nello stesso anno il numero dei<br />

conti di gioco aperti sul web<br />

da utenti italiani è aumentato<br />

del 70% rispetto all’anno precedente,<br />

tagliando il traguardo<br />

dei 5 milioni.<br />

È naturale che la mafia s’interessi<br />

a questo nuovo business.<br />

Con l’operazione “Poker2” le<br />

Fiamme gialle salentine hanno<br />

scoperto un giro di scommesse<br />

clandestine da centinaia di milioni<br />

di euro, esteso su tutto il<br />

territorio nazionale attraverso<br />

500 agenzie. Un mare di denaro<br />

che avrebbe accolto, per riciclarlo,<br />

anche il guadagno di attività<br />

illecite riconducibili ad organizzazioni<br />

criminali e mafiose.<br />

L’inchiesta, coordinata dalla<br />

Direzione distrettuale antimafia<br />

di Lecce, è iniziata nel 2008: i<br />

finanzieri hanno cominciato a<br />

passare al setaccio tutti i centri<br />

di raccolta di scommesse presenti<br />

nella provincia. Così hanno<br />

scoperto la presenza di una<br />

società di capitali austriaca, con<br />

sede legale a Innsbruck: la GoldBet.<br />

Questa, pur essendo priva<br />

delle concessioni del monopolio<br />

di Stato, avrebbe promosso e<br />

organizzato su tutto il territorio<br />

italiano un meccanismo illegale<br />

di raccolta di scommesse online<br />

su eventi sportivi, utilizzando<br />

una fitta rete di agenzie. Si tratta<br />

di un sistema piramidale che,<br />

partendo dall’Austria, si estende<br />

attraverso livelli intermedi<br />

in ambito regionale (master) e<br />

provinciale, con le cosiddette<br />

“super agenzie”, che nel leccese<br />

raccoglievano una cinquantina<br />

di sedi. Una vera e propria<br />

centrale delle scommesse clandestine,<br />

strutturata come una<br />

holding.<br />

L’organizzazione criminale si<br />

estendeva in Abruzzo, Calabria,<br />

Campania, Emilia Romagna,<br />

Lazio, Liguria, Lombardia, Toscana,<br />

Puglia e Sicilia.<br />

Gli interessi della Scu. L’inchiesta,<br />

nonostante l’enorme<br />

mole di lavoro, d’informazioni e<br />

di interconnessioni che è riuscita<br />

a svelare, a livello nazionale e<br />

37 | settembre 2012 | narcomafie<br />

internazionale, potrebbe richiedere<br />

molto tempo per fornire un<br />

quadro definitivo degli interessi<br />

della criminalità organizzata di<br />

stampo mafioso nel business<br />

delle scommesse.<br />

Gli inquirenti sono riusciti finora<br />

a svelare i gangli criminali nel<br />

Salento: secondo la Dda di Lecce<br />

ad amministrare il mercato delle<br />

scommesse illegali nel leccese<br />

Lecce e in altre due regioni,<br />

era Saulle Politi, 38 anni, di<br />

Monteroni, nome storico della<br />

Sacra corona unita, affiliato al<br />

clan Tornese e già condannato<br />

per associazione per delinquere<br />

di stampo mafioso. A lui facevano<br />

capo ben 50 agenzie di<br />

scommesse, gestite in maniera<br />

unitaria, tanto da costituire una<br />

vera e propria “Rete”. La Guardia<br />

di finanza ha sequestrato<br />

beni riconducibili a Politi, ma<br />

intestati ai familiari, per un valore<br />

di oltre quattro milioni di<br />

euro. Oltre a locali da gioco,<br />

i soldi erano stati investiti in<br />

immobili e supermercati.<br />

Dall’inchiesta principale è<br />

scaturito poi un filone secondario,<br />

che ha svelato come le<br />

scommesse clandestine venissero<br />

raccolte attraverso le<br />

più diverse tipologie aziendali<br />

o associative: dagli internet<br />

point ai pub, dalle sale da gioco<br />

ai supermercati, agli esercizi<br />

commerciali fino ad arrivare<br />

alle associazioni culturali.<br />

Una rete difficile da sbrogliare,<br />

estesa sull’intera provincia di<br />

Lecce, dal capoluogo all’hinterland<br />

(Cavallino, Lizzanello,<br />

San Cesario), fino ad arrivare<br />

nel sud Salento (Gallipoli,<br />

Tricase), a Martano, Veglie,<br />

Guagnano ed in molti altri<br />

comuni. Un mare di denaro<br />

sporco che veniva raccolto<br />

dalla società estera GoldBet<br />

Sacra corona unita


Sacra corona unita<br />

Il mercato di<br />

riferimento del riciclaggio<br />

intervista a<br />

Vito Straziota<br />

comandante<br />

provinciale<br />

della Guardia<br />

di finanza<br />

di Bari<br />

Generale Straziota, quali sono<br />

gli strumenti in mano alle forze<br />

dell’ordine per combattere il<br />

riciclaggio?<br />

Il reato del riciclaggio è un reato<br />

giovane; la normativa di riferimento<br />

risale infatti al 1978. Ma 30<br />

anni sono passati velocemente e<br />

gli strumenti di contrasto hanno<br />

inseguito il reato più che anticiparlo,<br />

in alcuni casi. Non a caso<br />

dal ’78 la prima formulazione del<br />

reato di riciclaggio è stata riconsiderata<br />

con una serie di integrazioni<br />

posteriori per arrivare ad un<br />

inserimento tardivo nell’ipotesi<br />

del terrorismo. Gli strumenti sono<br />

in fase evolutiva. Del resto questo<br />

tipo di approccio giuridico è<br />

comprensibile proprio in virtù di<br />

una consistente evoluzione della<br />

materia finanziaria.<br />

È un fenomeno in crescita?<br />

I dati relativi al riciclaggio, di<br />

cui oggi siamo in possesso, non<br />

riescono a quantificare ragionevolmente<br />

il settore. Siamo infatti<br />

nella condizione di confrontarci<br />

con un bacino di utenza enorme. La<br />

globalizzazione economica porta<br />

nel mercato mondiale un flusso<br />

di capitali che è l’interfaccia di<br />

strutture criminali internazionali.<br />

Prima il fenomeno era localizzato.<br />

La mafia e la ’ndrangheta oggi si<br />

interfacciano tranquillamente con<br />

i narcotrafficanti colombiani, con<br />

le organizzazioni dei Paesi dell’Est,<br />

con la vicina ex Jugoslavia. Questo<br />

comporta una sorta di evoluzione<br />

dei mercati criminali che conduce,<br />

tramite i cosiddetti whitecollars,<br />

alla individuazione della formula<br />

migliore per poter collocare,<br />

lavare e poi inserire nel circuito<br />

economico queste ingenti risorse<br />

che sono solo una quota parte<br />

del budget criminale. Dobbiamo<br />

essere consapevoli del fatto che<br />

l’investitore criminale, colui il<br />

quale con metodi abbastanza spicci<br />

è riuscito ad approvvigionarsi di<br />

sostanze stupefacenti, a collocarle<br />

38 | settembre 2012 | narcomafie<br />

ad averne una sorta di utile, è molto<br />

attento alla collocazione finale non<br />

tradizionale di una parte di utile<br />

che ha introitato.<br />

Che cosa intende per “non tradizionale”?<br />

Normalmente il profilo di investimento<br />

conosciuto è del tipo<br />

“acquisto di sostanza stupefacente-rivendita-riacquisto<br />

sempre in<br />

sostanze stupefacenti”. Si tratta<br />

di metodologie e canali ormai<br />

conosciuti. In questa economia<br />

l’affidamento di capitali a terzi<br />

non è visto con fiducia perché<br />

viene a mancare il controllo<br />

diretto sulla somma che viene<br />

investita. Ecco perché nel budget<br />

criminale non tutto ciò che viene<br />

dal flusso illecito viene riciclato.<br />

La consorteria criminale affida<br />

soltanto parte dei suoi proventi<br />

illeciti a terzi, nel tentativo<br />

di una ripulitura delle somme,<br />

proprio perché nutre una certa<br />

diffidenza nei confronti di questo<br />

tipo di operazioni. Altro discorso è<br />

quello che riguarda il lavoro nero,<br />

il sommerso, l’evasione fiscale che<br />

naturalmente utilizza dei passaggi<br />

obbligati negli stessi circuiti.<br />

Qual è la zona d’Italia in cui<br />

si manifesta maggiormente il<br />

fenomeno del riciclaggio?<br />

Non c’è una zona in particolare; il<br />

mercato su cui insiste il riciclaggio<br />

è ormai globalizzato.<br />

Ma c’è una consequenzialità tra<br />

la ricchezza di un territorio e<br />

la diffusione del fenomeno del<br />

riciclaggio?<br />

I mercati economici principali<br />

non sono localizzati in aree tradizionalmente<br />

ad aggressione<br />

mafiosa. Le operazioni di polizia<br />

giudiziaria condotte nel nord Italia<br />

testimoniano proprio questo: i<br />

mercati economici importanti sono<br />

in Lombardia, nella capitale, nei<br />

paesi dove è più facile immettere<br />

denaro contante. I capitali vengono<br />

immessi dove sono presenti risorse<br />

appetibili dove è possibile ottenere<br />

un tasso di redditività degli<br />

impieghi piuttosto alto, come ad<br />

esempio nel settore dell’edilizia,<br />

degli appalti pubblici, o in forme<br />

innovative come la contraffazione,<br />

dove si investe per avere un ritorno<br />

maggiore. E poi ci sono i circuiti<br />

finanziari, borsistici.<br />

Il reato si esplica laddove avviene<br />

l’investimento o altrove, ad<br />

esempio al Sud, dove è maggiormente<br />

presente l’organizzazione<br />

mafiosa?<br />

Il reato è nel mondo. La sua collocazione<br />

è nel mercato, è sulla<br />

piazza finanziaria dove sono presenti<br />

le migliori opportunità e<br />

dove, magari, il riciclatore riesce<br />

meglio a negoziare.<br />

Ci fa un esempio di un’operazione<br />

importante condotta in Puglia?<br />

In Puglia è un classico l’operazione<br />

“Domino”, dove c’è stato il<br />

tentativo da parte della famiglia<br />

Parisi di alzare la testa e cercare,<br />

con una strategia imprenditoriale<br />

molto aggressiva, importanti<br />

posizioni nel campo degli investimenti<br />

immobiliari, attraverso<br />

la realizzazione di strutture che<br />

avrebbero visto attratti anche<br />

capitali pubblici. I membri della<br />

holding stavano cioè ponendo<br />

in essere una raffinata attività<br />

di riciclaggio attraverso un riciclatore<br />

che poi, per loro sfortuna,<br />

è deceduto. Egli era un<br />

ex bancarottiere ed era pertanto<br />

notoriamente addentrato in certe<br />

dinamiche criminali. Quest’uomo,<br />

attraverso i suoi agganci, i<br />

suoi tentativi anche sui circuiti<br />

bancari, aveva portato avanti<br />

un’ipotesi di realizzazione di un<br />

famoso campus universitario che<br />

avrebbe attratto capitali anche<br />

pubblici. Il campus non si è mai<br />

realizzato perché l’operazione si<br />

è conclusa con successo e si è<br />

riusciti a bloccarne la nascita.


senza che questa avesse alcuna<br />

autorizzazione ministeriale.<br />

Nuovi scenari. «L’operazione<br />

“Poker 2” – ha dichiarato il procuratore<br />

capo di Lecce Cataldo<br />

Motta – è una delle indagini più<br />

importanti svolte dalla Procura<br />

poiché traccia nuove frontiere e<br />

nuovi assetti del crimine organizzato<br />

e delle sue propaggini<br />

economiche».<br />

Anche il sostituto procuratore<br />

nazionale antimafia, competente<br />

per il Salento, Francesco Mandoi<br />

ha evidenziato che «quello delle<br />

scommesse, è uno dei settori di<br />

investimento privilegiati dalle<br />

organizzazioni criminali. L’inchiesta<br />

della Guardia di finanza<br />

di Lecce ha tracciato un nuovo<br />

fronte e un nuovo scenario nella<br />

lotta alla criminalità e ai patrimoni<br />

ad essa legati». L’analisi dei<br />

tessuti connettivi che legano la<br />

quarta mafia al mondo imprenditoriale<br />

e dei grossi investimenti<br />

economico finanziari è la prossima<br />

sfida per le procure pugliesi.<br />

Un primo successo è stato messo<br />

a segno con l’operazione “Domino”,<br />

che ancora oggi svela<br />

rapporti finora impensabili tra<br />

la mafia, la politica e il mondo<br />

imprenditoriale pugliese.<br />

Domino, una tessera dopo<br />

l’altra. Nel 2009 il filo rosso<br />

delle scommesse clandestine<br />

parte dal capoluogo pugliese<br />

e arriva nel cuore della city<br />

londinese. “Follow the money”,<br />

diceva Falcone: ed è così che il<br />

Gico della Guardia di finanza<br />

di Bari scopre che gli interessi<br />

finanziari e imprenditoriali del<br />

clan Parisi hanno attraversato il<br />

canale della Manica.<br />

Il blitz delle Fiamme gialle scatta<br />

all’alba del primo dicembre di<br />

tre anni fa. È il 2009. Con il<br />

supporto del Servizio centrale<br />

investigazioni sulla criminalità<br />

organizzata (Scico), e l’impiego<br />

di oltre mille uomini in servizio<br />

in Puglia, i finanzieri del Gico<br />

di Bari eseguono 83 ordinanze<br />

di custodia cautelare.<br />

Il patrimonio sequestrato agli<br />

esponenti del clan Parisi è valutato<br />

in 220 milioni di euro: 227<br />

immobili tra ville e appartamenti<br />

tra Bari e Montecatini Terme;<br />

capannoni industriali presso il<br />

Baricentro di Casamassima e a<br />

Mantova; quasi 700 conti correnti<br />

bancari; 61 auto di lusso; quote<br />

sociali di aziende con fatturati<br />

di diversi milioni, tra cui la<br />

“Sport&More”, società leader a<br />

livello nazionale nel commercio<br />

di abbigliamento sportivo, con<br />

sede in molte città.<br />

Ma la vera sorpresa è stato scoprire<br />

che una delle più importanti<br />

società inglesi nel settore<br />

delle scommesse on line, la ParadiseBet,<br />

detta anche Bet 1128,<br />

è in realtà di Vito Martiradonna,<br />

condannato per mafia in via<br />

definitiva e già cassiere del clan<br />

Capriati di Bari Vecchia, tra l’altro<br />

accusato, ma poi assolto, per<br />

l’incendio del Teatro Petruzzelli.<br />

La società viene così sequestrata<br />

con rogatoria internazionale<br />

perché attraverso la ParadiseBet<br />

il clan Parisi avrebbe “lavato”<br />

dieci milioni di euro.<br />

L’indagine, coordinata dalla Dda<br />

di Bari, durata tre anni, è una<br />

delle più importanti mai condotte<br />

nella regione e ridisegna<br />

nuovi scenari nella mappatura<br />

degli interessi dei clan nel barese,<br />

definiti dalla Commissione<br />

parlamentare d’inchiesta (sulla<br />

base della relazione di Laudati)<br />

appena sei mesi prima: «poco<br />

strutturati», ma in realtà capaci<br />

di tessere relazioni internazionali<br />

fittissime, coinvolgendo<br />

39 | settembre 2012 | narcomafie<br />

il sistema imprenditoriale e<br />

politico.<br />

Al centro delle indagini il ruolo<br />

carismatico ricoperto da Savino<br />

Parisi, detto “Savinuccio”, 48<br />

anni, secondo gli inquirenti a<br />

capo dell’organizzazione mafiosa<br />

del quartiere Japigia di Bari.<br />

Dopo aver scontato 14 anni in<br />

carcere per mafia, “Savinuccio”<br />

riprende le redini del clan. I<br />

suoi uomini di fiducia: Battista<br />

Lovreglio, Giuseppe Sciancalepore,<br />

Cosimo Fortunato, tutti<br />

pregiudicati per mafia, ora in<br />

carcere con lui.<br />

Il riciclaggio. I dieci milioni<br />

“lavati” a Londra attraverso la<br />

Bet 1128 arrivavano dal “tradizionale”<br />

traffico di cocaina: un<br />

business portato a segno grazie<br />

alla collaborazione di una cellula<br />

di trafficanti italo-serba.<br />

Gli altri interessi del clan sono<br />

l’usura con l’applicazione di<br />

tassi di interesse del 300%, le<br />

rapine ai tir con sequestro di<br />

persona e la turbativa delle aste<br />

giudiziarie.<br />

Poiché l’accumulo di denaro<br />

era poderoso, oltre al riciclaggio<br />

oltremanica il clan Parisi aveva<br />

progettato una monumentale<br />

operazione edilizia: la costruzione<br />

di una cittadella universitaria<br />

tra le più grandi d’Italia,<br />

capace di dare ospitalità a oltre<br />

di 3.500 studenti. Un centro servizi,<br />

comprensivo di dormitori,<br />

mensa, biblioteche, dotato di<br />

strumentazioni avveniristiche.<br />

Il clan aveva già ottenuto le<br />

concessioni edilizie da parte<br />

del comune di Valenzano: i finanzieri<br />

hanno così sequestrato<br />

i lotti su cui si sarebbe dovuta<br />

edificare la cittadella, stimati<br />

in 30 milioni di euro.<br />

L’indagine ha smascherato la<br />

commistione della mafia con i<br />

Sacra corona unita


Sacra corona unita<br />

“colletti bianchi” che avevano<br />

collaborato con il clan nel portare<br />

a termine la speculazione:<br />

insospettabili professionisti e<br />

politici quali l’ex vicesindaco<br />

di Valenzano, Donato Amoruso,<br />

e l’assessore Vitantonio Leuzzi,<br />

accusati di corruzione. Secondo<br />

gli inquirenti si erano dati<br />

40 | settembre 2012 | narcomafie<br />

da fare per agevolare l’iter di<br />

approvazione della concessione<br />

edilizia, dietro la promessa<br />

di utili derivanti dalla vendita<br />

della cittadella.<br />

L’imprenditore Antonio Perilli<br />

poi, vicinissimo a Stramaglia,<br />

secondo le indagini era stato<br />

eletto consigliere comunale a<br />

Valenzano proprio grazie all’appoggio<br />

dei mafiosi di Parisi ed<br />

era considerato l’uomo chiave<br />

piazzato nella pubblica amministrazione<br />

da attivare all’occorrenza.<br />

Il processo di secondo grado,<br />

avviato con il rito abbreviato, si è<br />

concluso il 20 giugno scorso con<br />

14 assoluzioni e 14 condanne.<br />

Il processo ordinario invece è<br />

in corso.<br />

Colletti bianchi o politica<br />

sporca. Ma la parte delle indagini<br />

ancor più sorprendente,<br />

e volta a scandagliare la zona<br />

grigia di sovrapposizione della<br />

mafia con il mondo politicoimprenditoriale,<br />

riguarda la parte<br />

dell’inchiesta (“Domino 2”)<br />

stralciata e affidata alla sostituta<br />

procuratrice di Bari, Francesca<br />

Romana Pirrelli.<br />

Tra coloro che hanno ricevuto<br />

l’avviso di conclusione delle<br />

indagini (del 14 maggio 2012)<br />

vi sono gli avvocati baresi<br />

Gianni Di Cagno, ex componente<br />

laico del Csm, Onofrio<br />

Sisto, Giacomo Porcelli, ex<br />

vicepresidente della Provincia<br />

di Bari, il notaio Francesco<br />

Mazza, l’ex vicesindaco di<br />

Valenzano Donato Amoruso<br />

e l’ex assessore ai Lavori Pubblici,<br />

Vitantonio Leuzzi, oltre<br />

a sei direttori di filiali di banca.<br />

Il clan, scrive il pubblico<br />

ministero, «aveva ben capito<br />

che doveva investire il denaro<br />

provento dell’attività delittuosa,<br />

creando legami che con il<br />

tempo si sono consolidati col<br />

mondo delle imprenditorie;<br />

delle professioni; delle banche;<br />

della Pubblica amministrazione».<br />

Secondo l’accusa «la<br />

mafia barese e pugliese, non è<br />

più una questione tra gruppi<br />

malavitosi, ma una questione


Il mare di Capilungo, frazione di<br />

Alliste, nel basso Salento, è uno dei<br />

più belli della costa ionica. Gli scogli<br />

bassi permettono l’accesso alle<br />

acque verdi, cristalline, freschissime,<br />

perché quella è una zona di<br />

sorgenti sotterranee d’acqua dolce,<br />

che emergono dalle profondità marine<br />

in un gioco di correnti e di colori<br />

mozzafiato. È una zona tranquilla,<br />

frequentata solo da famiglie del<br />

luogo, proprietarie di villette fronte<br />

mare, lontana dalle chiassose mete<br />

della movida salentina.<br />

Un ristoro irresistibile, in quel 6<br />

luglio rovente, per il boss che amava<br />

il mare.<br />

Pasquale Bringanti detto “Maurizio”,<br />

appena 43 anni, ma considerato<br />

“storico” boss, è stato arrestato<br />

così, quest’anno, mentre come un<br />

turista qualsiasi trascorreva un tranquillo<br />

venerdì in famiglia.<br />

Con lui, a fare il bagno, la figlia della<br />

convivente e alcuni amici.<br />

Non aveva tentato neanche di camuffare<br />

i propri tratti somatici:<br />

non i capelli, non la barba. Così, in<br />

maniera sfrontata e grazie ad una<br />

fitte rete di appoggi e coperture, se<br />

ne andava in giro per tutta la Puglia<br />

dal 24 gennaio scorso, quando<br />

l’operazione “Cinemastore” con 49<br />

ordinanze di custodia cautelare,<br />

diede scacco matto all’organizzazione<br />

mafiosa salentina che gestiva<br />

le scommesse clandestine e il gioco<br />

d’azzardo, nella quale Briganti ricopriva<br />

un ruolo di primo piano.<br />

Quello fu sì un bel colpo per la procura<br />

leccese, ma un colpo altrettanto<br />

duro fu costretta ad incassarlo.<br />

I capi dell’organizzazione mafiosa<br />

che gestivano il narcotraffico, le<br />

scommesse clandestine e il gioco<br />

d’azzardo a Lecce e nell’hinterland,<br />

collaborando anche con la Scu brindisina,<br />

riuscirono a fuggire.Ben<br />

sette. Motta confidò in conferenza<br />

stampa, davanti alle telecamere e<br />

ai registratori, per poi ritirare le dichiarazioni<br />

il giorno dopo, che c’era<br />

stata una fuga di notizie in ambienti<br />

investigativi o giudiziari.<br />

Una dichiarazione gravissima che,<br />

nonostante la smentita, rimase ben<br />

salda nella mente dei giornalisti e<br />

dei cittadini e che faceva pensare<br />

non solo alle infiltrazioni della Scu<br />

tra le forze dell’ordine (non era un<br />

fatto nuovo, in Salento), ma anche<br />

all’esistenza di una rete di connivenze<br />

e complicità che rendevano<br />

possibile la latitanza.<br />

In effetti l’arresto di Briganti ha<br />

dimostrato proprio questo: la disponibilità<br />

di ingenti patrimoni<br />

che permettevano una copertura<br />

certamente dispendiosa, fatta di<br />

cambi di appartamenti e città e<br />

l’esistenza di una rete sociale vicinissima<br />

agli ambienti della Scu,<br />

tanto da rendere impossibile per le<br />

forze dell’ordine rintracciare per sei<br />

mesi il capo di un’organizzazione<br />

mafiosa emergente. Associazione<br />

per delinquere di stampo mafioso,<br />

spaccio di droga, estorsione, le<br />

accuse per i 49 arrestati (tra cui un<br />

ex vigile del fuoco) appartenenti<br />

al gruppo di Briganti, che veniva<br />

affiancato dai fratelli Giuseppe e<br />

Roberto Nisi, capaci di coordinare<br />

un’organizzazione estesa dal capo<br />

di Leuca a Brindisi, che si occupava<br />

non solo di “importare” la droga,<br />

ma anche di produrla.<br />

Secondo le indagini durate tre anni,<br />

il gruppo di Briganti si è fatto largo<br />

nell’ambiente criminale per la forza<br />

d’intimidazione e per la condizione<br />

di assoggettamento e di omertà<br />

capace di mantenere all’interno del<br />

gruppo e all’esterno di esso, tra la<br />

larga fascia di complicità che sono<br />

state riscontrate in vari strati sociali.<br />

Il gruppo mafioso emergente non<br />

appartiene alla seconda generazione<br />

della Scu, protagonista della “pax<br />

mafiosa”, alla quale è tra gli ultimi<br />

gruppi ad aderire. Ed infatti le indagini<br />

sono partite proprio da un<br />

omicidio e una bomba in una grande<br />

videoteca leccese. Intimidazioni che<br />

negli ultimi anni la Scu “tradizionale”<br />

ha abbandonato perché poco<br />

convenienti. Tuttavia si tratta di<br />

un gruppo affiliato alla Scu, in cui<br />

41 | settembre 2012 | narcomafie<br />

Briganti avrebbe assunto, su Lecce<br />

e dintorni, il ruolo di responsabile<br />

della risoluzione delle controversie<br />

tra gli affiliati e del rispetto delle<br />

regole imposte dall’essere affiliati.<br />

I fratelli Nisi con Briganti, si occupavano<br />

della gestione del gioco<br />

d’azzardo, della riscossione forzata<br />

dei crediti, delle estorsioni e di tutte<br />

le fasi del narcotraffico, compresa la<br />

riscossione del cosiddetto “punto”,<br />

cioè la tangente sul commercio della<br />

droga gestito da soggetti non inseriti<br />

nell’organizzazione ma assoggettati<br />

al pagamento della tassa all’organizzazione<br />

dominante.<br />

L’organizzazione di Brigante e dei<br />

fratelli Nisi agiva come un’organizzazione<br />

mafiosa complessa, strutturata<br />

secondo ruoli e mansioni<br />

in maniera gerarchica, impegnata<br />

a garantire agli affiliati servizi di<br />

mutuo soccorso e assistenza; mentre<br />

Roberto Nisi era in carcere il fratello<br />

Giuseppe lo sostituiva nell’organizzazione,<br />

collaborando con Briganti<br />

in un contesto di mutua assistenza<br />

con gli altri gruppi.<br />

Nella nuova Scu poi, le donne si<br />

stanno ritagliando un ruolo di primo<br />

piano, sebbene sempre in affiancamento<br />

agli uomini.<br />

Carmela Merlo, per esempio, moglie<br />

di Roberto Nisi, oltre ad essere<br />

la referente dell’organizzazione<br />

mentre il marito era in carcere, si<br />

occupava di incassare il punto per<br />

conto del marito provvedendo poi<br />

personalmente al mantenimento<br />

degli affiliati detenuti attraverso il<br />

versamento di somme di denaro ai<br />

loro familiari.<br />

Tutte le attività, dal narcotraffico alla<br />

gestione delle bische clandestine,<br />

venivano svolte di comune accordo<br />

e coordinandosi con gruppi mafiosi<br />

storici: tra cui Patrizio Pellegrino,<br />

di Squinzano, e il brindisino Ercole<br />

Penna, poi divenuto collaboratore<br />

di giustizia.<br />

In particolare per l’acquisto e lo<br />

smercio di droga è stata dimostrata<br />

la collaborazione del gruppo di<br />

Briganti-Nisi con fornitori della<br />

Bische clandestine e gioco<br />

d’azzardo in Salento<br />

di<br />

M. L. M.<br />

provincia di Brindisi (Gianluca<br />

Saponaro, poi deceduto, Raffaele<br />

Renna e Domenico D’Agnano, di<br />

Torchiarolo, i fratelli Daniele e<br />

Saverio Rizzo, a Cellino San Marco),<br />

e di Bari (Vincenzo Zonno).<br />

Fino ad stringere accordi d’affari<br />

con la camorra. Perché la nuova<br />

Scu ha capito che collaborare<br />

conviene a tutti.<br />

Sacra corona unita


Sacra corona unita<br />

che coinvolge tutti noi e che<br />

deve farci interrogare su quello<br />

che possiamo e dobbiamo<br />

fare, salvo diventare complici<br />

se non tecnicamente almeno<br />

moralmente».<br />

E chissà se l’imprenditore Lello<br />

Degennaro e il politico Nicola<br />

Latorre (Pd) si ponevano queste<br />

domande. Sono due dei nomi<br />

eccellenti di “colletti bianchi”<br />

contenuti nell’informativa della<br />

Guardia di finanza allegata<br />

all’avviso della conclusione<br />

delle indagini “Domino 2”.<br />

Secondo l’informativa Michele<br />

Labellarte, imprenditorericiclatore-bancarottiere<br />

del<br />

clan Parisi, aveva relazioni<br />

con entrambi.<br />

Labellarte avrebbe avuto con<br />

Degennaro, dominus del Baricentro<br />

e rettore della Lum, indagato<br />

con l’accusa di concorso<br />

in riciclaggio con l’aggravante<br />

di aver favorito un’associazine<br />

mafiosa, rapporti esclusivamente<br />

economici. Con Latorre,<br />

senatore Pd e dalemiano di<br />

ferro, avrebbe avuto rapporti<br />

politici, sostenendone l’elezione.<br />

«Vedrai, quello che sto spendendo<br />

mi ritornerà con tutti<br />

gli interessi”: così affermava<br />

Michele Labellarte, nelle intercettazioni,<br />

riferendosi al suo<br />

appoggio a Latorre, per il quale<br />

nel 2005 organizza un comitato<br />

elettorale a Valenzano.<br />

«Non è dato sapere se l’attività<br />

elettorale “sponsorizzata” da<br />

Labellarte nel 2005 a favore<br />

di Latorre – scrive la guardia<br />

di finanza – fosse stata una<br />

propria iniziativa o un’attività<br />

“sollecitata” dai due professionisti<br />

(cioè gli avvocati Onofrio<br />

Sisto e Gianni Di Cagno che<br />

assistevano Labellarte, ora<br />

indagati); gli stessi partecipa-<br />

42 | settembre 2012 | narcomafie<br />

rono ad alcune manifestazioni<br />

elettorali e/o cene organizzate e<br />

pagate dall’amico Labellarte in<br />

sostegno di Latorre che apparteneva<br />

allo stesso schieramento<br />

politico dei due avvocati».<br />

Il comandante della stazione<br />

dei carabinieri di Valenzano,<br />

Canio Mancusi, mette a verbale<br />

che «Labellarte aveva appena<br />

finito gli arresti domiciliari<br />

per una bancarotta, aveva lui a<br />

sue spese allestito un comitato<br />

elettorale, aveva preso in fitto<br />

un ufficio di fronte alle poste.<br />

Io vedevo sempre lui là dentro<br />

in tanti giorni».<br />

Labellarte è spesso a cena con<br />

Latorre e D’Alema, il deputato<br />

di Gallipoli. Lo mette a verbale<br />

il vice sindaco di Valenzano<br />

Donato Amoruso (Pdl): «Quindi<br />

questa figura (Labellarte,<br />

nda) mi suscitava un pochino<br />

di curiosità, vista anche l’importanza».<br />

«Labellarte – si legge nell’informativa<br />

– aveva organizzato<br />

a proprie spese manifestazioni<br />

elettorali, rinfreschi e/o cene a<br />

cui avevano partecipato, oltre<br />

al candidato Nicola Latorre, anche<br />

esponenti politici nazionali,<br />

l’onorevole Massimo D’Alema<br />

e l’onorevole Piero Fassino<br />

(non indagati, nda)».<br />

Anche Mancusi, il comandante<br />

dei carabinieri, lo conferma:<br />

«Che ci siano state cene a me<br />

risulta almeno per due occasioni.<br />

Il parcheggiatore della Villa<br />

Florida, la sala ricevimento a<br />

Valenzano, aveva riferito alla<br />

mia pattuglia: “Poco fa sono<br />

andati via D’Alema e Latorre”.<br />

Labellarte lo disse a me,<br />

si vantava che quelle cene le<br />

pagava lui». E aggiunge: «Labellarte<br />

era un megalomane,<br />

mi invitò a cena per andare<br />

insieme a Fassino, mi disse:<br />

“Maresciallo, venga anche lei”,<br />

io gli dissi “non vengo con te<br />

a cena”».<br />

«Labellarte – scrive la Finanza<br />

– avrebbe finanziato non ufficialmente<br />

Lello Degennaro (su<br />

cui le indagini proseguono):<br />

così da divenirne socio occulto<br />

ed effettuare un’operazione immobiliare<br />

presso il Baricentro<br />

(verosimilmente la realizzazione<br />

di alcuni capannoni e<br />

una torre)». Quindi, secondo<br />

le Fiamme gialle Labellarte<br />

investiva grandi somme di<br />

denaro, in nero, in società in<br />

difficoltà, diventandone proprietario<br />

occulto.<br />

Secondo gli inquirenti avrebbe<br />

prestato circa 3,5 milioni al<br />

gruppo Degennaro nel 2003<br />

quando la società era in difficoltà.<br />

Al momento della richiesta<br />

di restituzione dei soldi poi,<br />

non avendo una tale somma a<br />

disposizione, l’imprenditore<br />

Degennaro avrebbe offerto un<br />

immobile di pregio, di proprietà<br />

della moglie. Ma Labellarte<br />

propone un altro escamotage<br />

per riciclare denaro, per la<br />

precisione tre milioni: due<br />

finti preliminari di acquisto<br />

sottoscritti tra la Sec srl, società<br />

del gruppo Degennaro, e<br />

Vincenzo Lagioia, prestanome<br />

di Labellarte, per la finta compravendita<br />

di due immobili.<br />

La tecnica è proprio questa:<br />

non perfezionare l’acquisto e<br />

trattenere i soldi come risarcimento<br />

del danno.<br />

L’operazione di riciclaggio<br />

andò a buon fine, ma Degennaro,<br />

interrogato dai finanzieri,<br />

ha negato di essere a<br />

conoscenza di legami o interessamento<br />

di Labellarte nella<br />

compravendita, avvenuta,<br />

secondo Degennaro, tramite<br />

studi commercialisti.


L’affare rifiuti<br />

e la metamorfosi<br />

genetica della Scu<br />

Un carosello di ditte locali per aggiudicarsi “l’affare d’oro”,<br />

cercando appigli anche nel nord Italia. La Sacra corona unita<br />

non disdegna di seguire anche questa nuova, appetibile,<br />

strada per accumulare ricchezze<br />

di M. L. M.<br />

43 | settembre 2012 | narcomafie<br />

Sacra Corona Unita


Sacra corona unita<br />

C’è una storia che, nell’analisi<br />

dell’attuale metamorfosi genetica<br />

della Scu, è esemplare perché<br />

testimonia tutte le tendenze in<br />

atto: la mimetizzazione e l’inabissamento;<br />

il passaggio di consegne<br />

alle seconde generazioni;<br />

la ricerca del consenso; la diversificazione<br />

degli investimenti;<br />

l’estendersi degli interessi al<br />

Nord e con aziende apparentemente<br />

“sane”; l’incunearsi nella<br />

pubblica amministrazione; l’utilizzo<br />

dei “colletti bianchi”.<br />

Per raccontare questa storia<br />

è stato necessario essere pazienti,<br />

raccogliere le carte, le<br />

prove, studiare, attendere gli<br />

esiti processuali.<br />

Poi ad un certo punto improvvisamente<br />

il quadro è stato chiaro.<br />

E ora si può raccontare. Questo<br />

è l’affresco, probabilmente<br />

non esaustivo, della galassia<br />

societaria Rosafio-Scarlino (un<br />

puzzle ricostruito da «www.<br />

iltaccoditalia.info», mese dopo<br />

mese e anno dopo anno), la<br />

famiglia della Scu che ha gestito<br />

in Salento, in regime di<br />

monopolio, dal 2000 al 2005, il<br />

traffico illecito di rifiuti tossici e<br />

pericolosi, smaltendoli oltre che<br />

per le aziende locali anche per<br />

aziende del Nord, e poi dal 2005<br />

ad oggi, gestendo la raccolta e<br />

lo smaltimento dei rifiuti solidi<br />

urbani per molti comuni.<br />

Raccontiamo a ritroso, partendo<br />

dall’aprile di quest’anno,<br />

quando è stato chiaro, grazie ad<br />

un’ordinanza del Tar di Lecce,<br />

che nella società Cogea srl (sede<br />

operativa a Casarano, Lecce)<br />

c’era il rischio d’infiltrazioni<br />

mafiose. Per questo il Comune di<br />

Casarano ha revocato l’appalto<br />

per il servizio di raccolta rifiuti,<br />

affidato in via provvisoria proprio<br />

alla Cogea e successivamente<br />

in via definitiva alla Igeco,<br />

44 | settembre 2012 | narcomafie<br />

arrivata seconda nel bando per<br />

l’affidamento del servizio.<br />

Il rischio c’è, e per questo il Tar<br />

ha rigettato il ricorso avanzato<br />

dalla Cogea perché azienda riconducibile<br />

all’universo societario<br />

della famiglia del boss del Scu,<br />

Giuseppe Scarlino, detto Pippi<br />

Calamita, all’ergastolo.<br />

L’ha rigettato però, dopo aver concesso<br />

alla Cogea, in prima battuta,<br />

una sospensiva (tecnicamente<br />

si chiama “decreto cautelare”)<br />

contro la revoca dell’aggiudicazione<br />

provvisoria del servizio di<br />

raccolta di rifiuti; revoca emessa<br />

dal comune di Casarano sulla<br />

scorta di un’informativa antimafia.<br />

Per questa sospensiva favorevole<br />

alla Cogea Antonio Cavallari,<br />

presidente del Tar di Lecce, da<br />

poche settimane è indagato per<br />

abuso d’ufficio direttamente dal<br />

Procuratore antimafia Cataldo<br />

Motta. Il Tar, nell’ordinanza successiva<br />

al decreto cautelativo<br />

contestato dalla Procura, cita tre<br />

diverse informative di Guardia<br />

di finanza e carabinieri, ben tre,<br />

che costituiscono le basi su cui<br />

le prefetture di Lecce e Roma<br />

hanno “cementificato” l’informativa<br />

antimafia.<br />

«Ero fermamente convinta di<br />

quello che facevo – ha dichiarato<br />

Erminia Ocello, la commissaria<br />

prefettizia di Casarano, al<br />

«Tacco d’Italia» –. All’inizio<br />

nessuno voleva venirmi dietro.<br />

Pensavano fossi pazza. Invece<br />

quando si lavora con alto senso<br />

delle istituzioni, le cose possono<br />

cambiare davvero».<br />

Perché pensavano che la commissaria<br />

prefettizia di Casarano<br />

fosse pazza e chi? Innanzitutto<br />

perché la Cogea, che aveva<br />

partecipato all’appalto, era<br />

una società apparentemente<br />

“pulita”, perché neo costituita,<br />

e poi perché la Geotec, la<br />

società riconducibile al boss<br />

di Taurisano-Casarano-Parabita-<br />

Matino (sud-Salento) Giuseppe<br />

Scarlino detto “Pippi Calamita”,<br />

di cui la Cogea era di fatto<br />

un’emanazione, aveva gestito<br />

per anni il servizio di raccolta e<br />

smaltimento rifiuti in molti paesi<br />

del sud Salento. Rappresentando<br />

per la politica un bacino<br />

di voti non indifferente, sulla<br />

Geotec l’amministrazione comunale<br />

(un papocchio tra destra<br />

e sinistra) che aveva preceduto<br />

la gestione commissariale aveva<br />

sempre chiuso un occhio, tanto<br />

che è stata necessaria una guerra<br />

ininterrotta di 48 ore – fatta di<br />

una raffica di determine e atti<br />

commissariali “appoggiati” su<br />

due interdittive antimafia – per<br />

liberarsene..<br />

I rapporti tra la Geotec e la<br />

Cogea sono tessuti su una ragnatela<br />

fittissima di intersezioni<br />

societarie.<br />

E portano lontano, al Nord, nella<br />

rossa Emilia, dove si innestano in<br />

due colossi capaci di trasformare<br />

la monnezza in oro: il Cns, il<br />

Consorzio nazionale servizi di<br />

Bologna, e la Lombardi ecologia<br />

di Conversano, per arrivare al sud<br />

del sud, a Botrugno, Gallipoli,<br />

Morciano di Leuca, dove è il<br />

cuore nascosto dei loro affari.<br />

Come si può tessere una tela così<br />

estesa e quindi inafferrabile?<br />

L’anello di congiunzione tra la<br />

Geotec e la Cogea è l’Anci ambiente,<br />

con sede in via Pedone<br />

6 a Gallipoli fino all’8 aprile del<br />

2011, quando viene trasferita in<br />

un paesino di 7.000 anime in provincia<br />

di Bologna, Pieve di Cento,<br />

in piazza Partecipanza 23.<br />

L’“Anci ambiente” è partecipata<br />

da Demetra ambiente coop (legale<br />

rappresentante Vito D’amico, di<br />

Morciano di Leuca) che è al 100%<br />

partecipata da Geotec. All’inter-


no della compagine troviamo<br />

anche “Geco ambiente”, di cui<br />

è proprietario Gianluigi Rosafio,<br />

genero del boss Pippi Calamita,<br />

perché ne ha sposato la figlia,<br />

Luce Scarlino. L’anno scorso il<br />

genero del boss cancella l’azienda<br />

dalla Camera di commercio di<br />

Lecce e la trasferisce a Bologna,<br />

dove, con la stessa partita iva,<br />

cambia nome in “Formula servizi”.<br />

A questo punto l’incastro<br />

diventa ancor più fitto: della “Formula<br />

servizi” è proprietario e<br />

amministratore delegato il solito<br />

Gianluigi Rosafio e l’Anci ambiente<br />

compra anche quote della<br />

“Formula servizi”, che dunque fa<br />

parte della compagine di Anci e<br />

ne è a sua volta partecipata.<br />

Di Anci ambiente fanno parte alcune<br />

aziende ora in liquidazione:<br />

Antares (legale rappresentante<br />

Marilena Muci); Allservices; e<br />

“Progetto ambiente menhir”. Tenete<br />

a mente quest’ultimo nome<br />

perché tornerà nel racconto per<br />

vie inaspettate.<br />

Anci ambiente porta in giro per<br />

l’Italia il pesante fardello di siffatta<br />

compagine societaria. Dalla<br />

Camera di commercio di Lecce<br />

l’11 aprile dell’anno scorso si<br />

trasferisce in quella di Bologna;<br />

sta lì buona e ferma tre mesi e<br />

poi il 14 luglio si trasferisce<br />

alla Camera di commercio di<br />

Foggia e qui, voilà, cambia nome<br />

in Cogea. Legale rappresentante<br />

tal Fabio Manni di Soleto e<br />

direttore tecnico tal Grecolini,<br />

compaesano di Manni.<br />

Gianfranco Grecolini è un blasonato<br />

consulente in tema di<br />

smaltimento rifiuti. È lo stesso<br />

che lavora per la Geotec, che<br />

nel frattempo ha trasferito la sua<br />

sede a Roma e che prima ancora<br />

lavorava per la ditta Rosafio,<br />

e che ha dei trascorsi pesanti<br />

nel Salento: nel 2005 è stato<br />

condannato in secondo grado<br />

a 4 mesi per danneggiamento<br />

aggravato perché era direttore<br />

tecnico della ditta di Rocco e<br />

Gianluigi Rosafio quando nel<br />

2000 furono abbandonati all’interno<br />

di cave dismesse, per le<br />

campagne del Salento e anche<br />

all’interno della discarica di<br />

Burgesi (la più grande della<br />

provincia), 200 fusti contenenti<br />

pcb, uno dei 10 rifiuti più pericolosi<br />

al mondo.Quei rifiuti<br />

provenivano dalla Sea Marconi<br />

di Torino, incaricata di smaltire<br />

i liquidi tossici contenuti nelle<br />

centraline Enel poi smaltiti illecitamente<br />

nelle campagne da<br />

Rosafio &co, condannati a due<br />

anni e cinque mesi di reclusione<br />

perché Rocco era rappresentante<br />

legale e Gianluigi il gestore<br />

della società di trasporto rifiuti<br />

ritenuta responsabile del reato<br />

(infatti sono stati condannati in<br />

secondo grado anche Graziella<br />

Gardini di Galatone e Vander<br />

Tumiatti di Rosta, in provincia<br />

di Torino, amministratore unico<br />

e socio-consigliere della Sea<br />

Marconi Envirotech con stabilimento<br />

a Seclì). Nella Cogea<br />

dunque, la società che aveva<br />

vinto con un ribasso eccezionale<br />

il bando per la gestione rifiuti<br />

a Casarano, vanno a confluire<br />

competenze, capitali, risorse<br />

umane della Geotec, tramite<br />

l’Anci ambiente.<br />

Non solo: assistiamo alla trasformazione<br />

di una mafia che<br />

fino al 2000 si propone come<br />

una organizzazione “al servizio”<br />

di aziende “sane”, sia<br />

del nord sia locali, alle quali<br />

presta il proprio servizio per<br />

lo svolgimento di lavori “sporchi”<br />

– vedi lo smaltimento dei<br />

fusti di pcb della Sea Marconi<br />

– e poi dal 2000 in poi investe<br />

direttamente i propri capitali<br />

45 | settembre 2012 | narcomafie<br />

negli affari e nelle imprese che<br />

gestisce direttamente.<br />

La mafia dunque, come ha detto<br />

Motta, diventa impresa. E<br />

le prime imprese che gestisce<br />

sono proprio quelle nel settore<br />

dei rifiuti.<br />

Torniamo all’Anci ambiente:<br />

l’azienda si trasferisce al Nord,<br />

compra un ramo d’azienda della<br />

Lombardi ecologica per 400mila<br />

euro. Contratto che poi risulta<br />

annullato.<br />

Ma perché questo ripensamento?<br />

Non lo sappiamo ma possiamo<br />

fare un’ipotesi. I rapporti tra<br />

la Lombardi ecologia e l’Anci e<br />

dunque per la proprietà transitiva<br />

con la Cogea e la Geotec e<br />

i Rosafio, e giù giù fino al clan<br />

Scarlino, sono molto più stretti<br />

di quel che si pensi.<br />

E non solo per legami di “sangue”,<br />

perché Luce Tiziana Scarlino,<br />

la figlia del boss della Scu<br />

Pippi Calamita, all’ergastolo, ha<br />

sposato Gianluigi, ma perché almeno<br />

per un certo periodo, finché<br />

è possibile provarlo, hanno condiviso<br />

il business dell’appalto da<br />

60 milioni di euro per il servizio<br />

di gestione rifiuti dell’Ato 2 della<br />

provincia di Lecce.<br />

Il periodo è quello in cui Anci è<br />

a Bologna, associata con la lega<br />

delle cooperative. Insomma,<br />

è una cooperativa “rossa”. La<br />

Lombardi ecologia invece è una<br />

delle più grosse aziende che<br />

in Puglia gestiscono i rifiuti,<br />

e che ha vinto grandi appalti<br />

in Lombardia, a Mantova ed<br />

è in diversi appalti socia della<br />

Marcegaglia. L’appalto da 60<br />

milioni dell’Ato2, presieduta<br />

dal rampante Silvano Macculi<br />

(Pdl, assessore al Bilancio<br />

della Provincia di Lecce) se l’è<br />

aggiudicato in Ati con la Cns,<br />

il Consorzio nazionale servizi,<br />

una cooperativa rossa con sede<br />

Sacra corona unita


Sacra corona unita<br />

La Lecce<br />

“bene” trema<br />

di M.L.M.<br />

a Bologna che mette insieme,<br />

leggiamo sul sito aziendale,<br />

oltre 230 imprese. L’associazione<br />

temporanea d’impresa<br />

Cns+Lombardi ecologia gestisce<br />

l’appalto attraverso una società<br />

partecipata da entrambi, la “Progetto<br />

ambiente menhir” (ecco<br />

il nome che vi dicevamo di<br />

tenere a mente), delegando parte<br />

del lavoro ad una cooperativa<br />

locale, la Supernova.<br />

Dopo poco la Menhir assume<br />

come dirigenti che gestiscono<br />

di fatto l’intero affair guarda<br />

caso proprio GialuigiRosafio<br />

e sua moglie Luce Scarlino, la<br />

figlia del boss. In quel periodo<br />

i due coniugi presenziano alle<br />

riunioni anche sindacali, non<br />

è un mistero, così come non è<br />

La “pax mafiosa” a Lecce fa sì che<br />

non solo i clan si riorganizzino,<br />

affidando alle nuove leve i floridi affari,<br />

anche transfrontalieri, ma che i<br />

mafiosi non vengano percepiti dalla<br />

società per la loro effettiva pericolosità.<br />

Il confine tra lecito e illecito<br />

diventa sempre più sfumato e la<br />

mafia fornisce la Lecce “bene” non<br />

solo di grandi quantità di cocaina,<br />

ma anche di servizi di sicurezza e<br />

guardianìa, di cui usufruisce anche<br />

il Comune di Lecce.<br />

Lo scenario diventa paradossale,<br />

ma non inedito: accade anche nel<br />

settore dei rifiuti che la pubblica<br />

amministrazione si serva di aziende<br />

mafiose per la raccolta e smaltimento<br />

dei rifiuti solidi urbani. Ma<br />

lo vedremo più avanti.<br />

Quando dopo quattro anni d’indagini<br />

scattarono le ordinanze di<br />

custodia cautelare per 49 persone<br />

legate alla Sacra corona unita tra<br />

i politici e i professionisti leccesi<br />

scattò il panico.<br />

Uno dei clan storici della Scu, quello<br />

di Salvatore Rizzo, in carcere,<br />

federato alla Sacra corona unita,<br />

egemone nel capoluogo leccese e<br />

46 | settembre 2012 | narcomafie<br />

un mistero che Luce Scarlino,<br />

insieme a Simonetta Primiceri,<br />

amministratore delegato di<br />

Geotec, si presentino ai tavoli<br />

provinciali per le concertazioni<br />

sindacali. Poi, quando la<br />

riunione si fa a porte chiuse<br />

e devono presenziare solo gli<br />

aventi delega, Scarlino esce. I<br />

testimoni di questi numerosi<br />

episodi sono tanti. Ma torniamo<br />

alla Supernova e alla Menhir<br />

che sono tra loro collegate, e ai<br />

loro dirigenti d’eccezione.<br />

La Supernova per questa sua<br />

vicinanza con la famiglia Rosafio-Scarlino<br />

viene raggiunta<br />

dall’interdittiva antimafia della<br />

prefettura di Lecce e la Menhir<br />

dopo poco viene messa in<br />

liquidazione.<br />

nei centri limitrofi, in particolare<br />

nei comuni di Cavallino, Lizzanello,<br />

San Cesario, Martano e Calimera,<br />

si era organizzato sotto la guida<br />

del pregiudicato Ivan Firenze, già<br />

affiliato al clan della Scu capeggiato<br />

dal defunto boss Giuseppe<br />

Lezzi. Firenze ha ricoperto un ruolo<br />

centrale nel traffico di stupefacenti<br />

nel capoluogo salentino ed in altri<br />

comuni della provincia. È lui che,<br />

al suo arresto, nel 2008 sancisce<br />

con le sue dichiarazioni l’esistenza<br />

concreta di una vera e propria “pax<br />

mafiosa”. Firenze, che ha raccolto<br />

la staffetta da Rizzo, gestiva dal<br />

carcere gli affari del clan.<br />

Non solo droga, soprattutto cocaina,<br />

ma anche imprese apparentemente<br />

lecite, che Firenze, di concerto con<br />

Rizzo, gestiva grazie anche alla<br />

capacità di tessere relazioni con<br />

gli ambienti mafiosi in altre regioni<br />

e oltralpe.<br />

I principali canali di approvvigionamento<br />

della cocaina infatti<br />

erano il Lazio e l’Olanda: il primo<br />

canale riconducibile al gruppo criminale<br />

diretto da Carmine Fasciani,<br />

storicamente attivo nell’area del<br />

Ma fa in tempo ad attraversare<br />

come una meteora la storia<br />

aziendale dell’Anci ambiente,<br />

cioè la futura Cogea, cioè Geotec,<br />

lasciando traccia di una<br />

partecipazione all’interno degli<br />

incastri societari dell’Anci,<br />

appena trasferitasi a Bologna<br />

e ripulita grazie a questa sua<br />

nuova carta d’identità.<br />

L’Ati Cns-Lombardi, che vuole<br />

prendere le distanze dalla<br />

Supernova, marchiata a fuoco<br />

dall’interdittiva antimafia e<br />

che per questo non può più<br />

lavorare con gli enti pubblici,<br />

dà incarico di fare quello che<br />

faceva la Supernova proprio<br />

all’Anci ambiente, cioè Geotec,<br />

futura Cogea. E l’ombra della<br />

Sacra corona unita che era stata<br />

litorale romano; il secondo a “canali<br />

olandesi” creati dallo stesso Lezzi.<br />

A seguito dell’arresto di Firenze,<br />

avvenuto nel gennaio 2008, la gestione<br />

delle attività illecite del sodalizio<br />

era stata affidata a Nicolino<br />

Maci che, attraverso le cosiddette<br />

“sfoglie”, riceveva dal carcere le<br />

disposizioni di Firenze. Le attività<br />

d’indagine nei confronti di Maci<br />

hanno evidenziato, tra l’altro, come<br />

fosse stata costituita una “cassa<br />

comune” per le esigenze complessive<br />

dell’organizzazione (acquisto<br />

di telefonini, schede, autovetture,<br />

moto, ecc.), oltre al il sostegno legale<br />

agli affiliati. È stato accertato anche<br />

il coinvolgimento del clan nel controllo,<br />

in regime pressoché monopolistico,<br />

dei servizi di guardianìa<br />

agli esercizi pubblici, realizzato<br />

mediante le attività dell’agenzia<br />

“Iron Service”, con sede a Lecce,<br />

riconducibile a Firenze e a Salvatore<br />

Rizzo. Le indagini hanno<br />

evidenziato come il clan leccese<br />

avesse trovato un’intesa con quello<br />

di Vernole-Melendugno, anch’esso<br />

gestito dalla seconda generazione<br />

della Scu: Rizzo, con Alessandro


scaraventata fuori dalla porta<br />

rientra dalla finestra. Ma nessuno<br />

sembra avvedersene.<br />

Quanto è consapevole di questo<br />

legame l’AtiCns+Lombardi<br />

ecologia?<br />

Pensiamo che lo sia molto, almeno<br />

quanto il peso di quel<br />

contratto del 29 marzo 2011 con<br />

cui l’Anci ambiente compra per<br />

400mila euro un ramo d’azienda<br />

della Lombardi ecologia<br />

(contratto poi annullato).<br />

Polverizzata in decine di partecipazioni<br />

societarie, l’interdittiva<br />

antimafia che è a carico della<br />

Geotec sembra disfarsi, perdersi.<br />

Geotec diventa inafferrabile<br />

e i suoi capitali frammentati in<br />

innumerevoli partecipazioni.<br />

I legami tra Lombardi ecologia,<br />

Verardi infatti, ha recentemente<br />

costituito un nuovo gruppo dedito<br />

al narcotraffico, capeggiato dallo<br />

stesso Verardi e da Andrea Leo,<br />

chiamato Vernel, monopolizzando<br />

lo spaccio di stupefacenti in diversi<br />

comuni della provincia salentina.<br />

L’organizzazione coagulata attorno<br />

al clan Rizzo-Vernel poi, si serviva<br />

di altri piccoli gruppi criminali<br />

per lo spaccio al dettaglio e aveva<br />

trovato il modo di collaborare anche<br />

con il clan di Tuturano (Brindisi), il<br />

più noto clan “Buccarella”, federato<br />

alla frangia rogoliana, fondatrice<br />

della Scu.<br />

Per gestire in tutto il territorio di<br />

Brindisi e Lecce il narcotraffico dunque,<br />

i principali clan della seconda<br />

generazione della Scu collaborano<br />

tra loro.<br />

L’indagine “Augusta” ha confermato<br />

non solo i rapporti tra i principali<br />

clan mafiosi, funzionali soprattutto<br />

al controllo del traffico di stupefacenti,<br />

delle estorsioni e dei servizi<br />

di sicurezza nei locali e pubblici<br />

spettacoli, ma ha anche evidenziato<br />

come la Scu leccese tenti di rimodulare<br />

le proprie strategie, indivi-<br />

Cns e l’universo societario dei<br />

Rosafio diventano impalpabili.<br />

Rosafio è stato condannato in<br />

secondo grado per “condotta<br />

mafiosa” in un altro processo,<br />

diverso da quello per l’abbandono<br />

dei fusti di pcb. La condanna<br />

per “condotta mafiosa” riguarda<br />

lo sversamento di liquami e<br />

rifiuti speciali nelle campagne e<br />

nei depuratori del basso Salento,<br />

monopolizzando il mercato<br />

con minacce e metodi mafiosi<br />

verso i concorrenti.<br />

Quel processo dovrà però essere<br />

ricelebrato in corte d’appello<br />

a Lecce. Così ha stabilito la<br />

Suprema Corte.<br />

Ma questo, ha stabilito recentemente<br />

il Tar, è ininfluente<br />

rispetto all’interdittiva anti-<br />

duando in attività imprenditoriali<br />

apparentemente lecite, nuove e<br />

remunerative fonti di guadagno e<br />

di controllo del territorio.<br />

Infine, è stato appurato che la cocaina,<br />

“piazzata” sul mercato della<br />

“Lecce bene”, era destinata a politici,<br />

avvocati, imprenditori: una<br />

vicinanza della “parte sana” della<br />

società con la Sacra corona su cui<br />

ancora non è stata fatta chiarezza.<br />

Sulla vicenda la deputata Teresa<br />

Bellanova (Pd) ha presentato un’interrogazione<br />

parlamentare, finora<br />

senza risposta.<br />

Dalle intercettazioni vengono fuori<br />

una serie di conversazioni tra i<br />

mafiosi e personaggi pubblici, politici,<br />

avvocati e imprenditori, nelle<br />

quali si fa riferimento a “occhiali” o<br />

“biglietti per lo stadio”. Si tratta di<br />

alcuni dei nomi in codice utilizzati<br />

dai clan per far riferimento alle partite<br />

di droga. Il polverone che ne è<br />

scaturito subito dopo, con i politici<br />

che si alternavano in excusatio non<br />

petita, dichiarandosi disponibili a<br />

sottoporsi ad analisi del capello, ha<br />

spinto il procuratore Motta a mettere<br />

nero su bianco in un comunicato<br />

47 | settembre 2012 | narcomafie<br />

mafia che nel frattempo hanno<br />

ricevuto Cogea e Geotec e che<br />

quindi rimane in piedi.<br />

Così come rimangono circolanti<br />

sul mercato gli imponenti<br />

capitali dell’impero occulto<br />

dei Rosafio: solo la Cogea ha<br />

un capitale da un milione e<br />

600mila euro.<br />

Pronti per essere spostati, reinvestiti,<br />

trasferiti su altri lucrosi<br />

business.<br />

Un esempio? Il 16 agosto scorso<br />

sul Bollettino ufficiale della<br />

Regione Puglia è comparsa la<br />

richiesta della Geco ambiente,<br />

di Gianluigi Rosafio, per la realizzazione<br />

di un impianto di<br />

compostaggio a Casarano. I cittadini<br />

hanno 45 giorni di tempo<br />

per presentare osservazioni.<br />

stampa che le conversazioni intercettate<br />

avevano come oggetto solo<br />

argomenti leciti. Scrive Motta: «Non<br />

è stata intercettata e non c’è negli<br />

atti delle indagini alcuna conversazione<br />

telefonica o tra presenti e<br />

non è risultato – neanche durante<br />

i servizi di osservazione – alcun<br />

contatto dal quale possa ritenersi,<br />

ricavarsi o comunque desumersi che<br />

alcun politico […] avesse acquistato,<br />

acquistasse o dovesse acquistare<br />

qualsivoglia tipo di droga ovvero<br />

ne avesse fatto, ne facesse o dovesse<br />

farne uso. Le uniche conversazioni<br />

cui partecipino esponenti della<br />

politica o nelle quali a loro si faccia<br />

riferimento trattano esplicitamente<br />

di argomenti leciti».<br />

I nomi in codice utilizzati dai clan<br />

per parlare di cocaina, secondo l’informativa<br />

dei Ros, sono: “Telefoni,<br />

caricabatteria, moto, biglietti, documentazione,<br />

matrimoniale, pesce,<br />

appartamenti, occhiali, teglie”.<br />

I politici parlavano con i mafiosi<br />

di “occhiali” e “biglietti”.<br />

La dimostrazione, stando a quello<br />

che dice il procuratore, che il sillogismo<br />

è un costrutto imperfetto.<br />

Sacra corona unita


Sacra corona unita<br />

Galatea,<br />

la Scu rinasce<br />

di M.L.M.<br />

Galatea, una delle Nereidi,<br />

“colei che ha la pelle biancolatte”<br />

è il simbolo di Gallipoli,<br />

la città bella.<br />

Da qui siamo partiti per capire i<br />

nuovi sviluppi della Sacra corona<br />

unita. Trovando nell’episodio<br />

del funerale di “Nino bomba”,<br />

l’espressione di un consenso<br />

popolare sempre più ricercato,<br />

con successo, dalla Scu.<br />

“Galatea” è una delle indagini<br />

più importanti degli ultimi<br />

anni, perché oltre a far luce<br />

sulla riorganizzazione dei<br />

clan, svela i confini sempre<br />

più fluidi tra i clan mafiosi,<br />

il mondo delle professioni e<br />

dell’imprenditoria.<br />

Il clan Padovano di Gallipoli è<br />

uno di quelli storici della Scu<br />

della metà degli anni 80.<br />

Collegato a Luigi Giannelli<br />

(della zona Matino, Parabita<br />

Casarano, Taurisano), conserva<br />

una certa autonomia rispetto<br />

anche al più potente Antonio<br />

Dodaro. Dopo la morte di<br />

Dodaro e la contrapposizione tra<br />

i gruppi De Tommasi e Tornese,<br />

i gruppi Padovano-Giannelli, la<br />

cosiddetta “Stagione dei fuochi”,<br />

per i numerosi episodi violenti<br />

che caratterizzarono la guerra tra<br />

i clan, – continuarono ad intrattenere<br />

rapporti con il solo gruppo<br />

Tornese.<br />

Nel 1989, a seguito dell’arresto di<br />

Salvatore Padovano, detto “Nino<br />

bomba” la leadership del gruppo<br />

venne esercitata dal fratello minore<br />

Pompeo Rosario Padovano che<br />

riuscì a rafforzarne l’influenza,<br />

fino al suo arresto e del gruppo a<br />

lui riconducibile. A quel punto il<br />

mantenimento del potere del clan<br />

sul territorio di Gallipoli venne<br />

garantito da clan Tornese, a cui<br />

erano affiliati i Padovano.<br />

Nello stesso periodo, però si acuirono<br />

i contrasti tra i due fratelli,<br />

Salvatore e Rosario, per il predominio<br />

sul clan.<br />

Tutto ciò emerse chiaramente nel<br />

2006, quando, nel giro di pochi<br />

mesi, Salvatore e Pompeo Rosario<br />

tornano in libertà.<br />

Da quel momento, tenuti sotto controllo<br />

e intercettati dai Ros, furono<br />

chiari gli interessi economici: oltre<br />

ai tradizionali settori d’interesse<br />

delle organizzazioni mafiose, i<br />

Padovano gestivano in regime di<br />

monopolio l’intero settore ittico<br />

di Gallipoli, uno dei più floridi<br />

della Puglia e del Mezzogiorno<br />

d’Italia.<br />

La gestione di tali attività economiche<br />

era oggetto di controversie tra i<br />

due fratelli, che comunque avevano<br />

apparentemente raggiunto un accordo<br />

per una equa distribuzione<br />

dei guadagni. Tuttavia se Pompeo<br />

Rosario era per una gestione più<br />

tradizionale delle attività mafiose,<br />

Salvatore cercava di rafforzare la<br />

sua leadership cercando un consenso<br />

popolare, anche attraverso un<br />

inedito e spregiudicato utilizzo dei<br />

media. Aveva pubblicato un libro e<br />

teneva conferenze in università, riuscendo<br />

ad accreditarsi all’opinione<br />

48 | settembre 2012 | narcomafie<br />

pubblica come “redento”.<br />

Il periodo successivo ha rinsaldato<br />

ulteriormente i contatti tra Pompeo<br />

Rosario Padovano ed il resto degli<br />

affiliati, così come contestualmente<br />

si è documentato che i familiari che<br />

gestivano le attività economiche del<br />

clan si erano aggregati attorno alla<br />

sua posizione, isolando il fratello<br />

Salvatore che non perdeva occasione<br />

per rivendicare le proprie<br />

spettanze, ritenendole non adeguate<br />

al suo “rango”. Inoltre, Pompeo<br />

Rosario era riuscito ad investire i<br />

guadagni derivanti dai tradizionali<br />

affari mafiosi, in aziende per la commercializzazione<br />

dei prodotti ittici,<br />

che servivano il mercato milanese,<br />

e per la commercializzazione di<br />

abbigliamento e moto.<br />

Un segnale evidente dello stato<br />

di contrapposizione tra i due fratelli<br />

è emerso anche da alcune<br />

conversazioni intercettate tra il<br />

giugno e luglio 2008 all’interno<br />

dello studio del commercialista<br />

Giancarlo Carrino (consulente nelle<br />

attività economiche di Pompeo<br />

Rosario). Nei dialoghi tra Pompeo<br />

Rosario Padovano, il cugino Giorgio<br />

Pianoforte e lo stesso Giancarlo<br />

Carrino, si faceva infatti riferimento<br />

all’astio profondo nei confronti di<br />

Salvatore, tanto da rivelare propositi,<br />

poi posti in essere, di una sua<br />

“eliminazione”.<br />

Nelle stesse conversazioni intercettate<br />

nello studio di Carrino è<br />

emerso un altro elemento fortemente<br />

caratterizzante l’associazione<br />

mafiosa, ossia la capacità, attraverso<br />

persone insospettabili – in quel<br />

caso proprio Carrino – di venire a<br />

conoscenza e quindi di eludere le<br />

attività investigative condotte nei<br />

confronti del clan.<br />

Dopo l’uccisione di “Nino bomba”<br />

di fronte alla pescheria di famiglia,<br />

il fratello rosario, non solo ha continuato<br />

ad alimentarne gli affari, ma<br />

anche a garantire un sostentamento<br />

alla famiglia del fratello che lui stesso<br />

aveva fatto uccidere (da Carmelo<br />

Mendolìa, reo confesso).<br />

Non solo, prima del suo arresto,<br />

aveva rafforzato gli affari costituendo<br />

una cooperativa per la<br />

commercializzazione del pesce<br />

a Milano, investendo anche nel<br />

settore alberghiero e balneare.<br />

Dalle intercettazioni uscirono fuori<br />

contatti molto stretti tra Padovano<br />

e altri professionisti della zona,<br />

quali ad esempio Flavio Fasano,<br />

noto avvocato del foro leccese, già<br />

sindaco (pd) di Gallipoli e assessore<br />

provinciale ai lavori pubblici. Era,<br />

Flavio Fasano, al fianco di Giovanni<br />

Pellegrino, presidente (Pd) della<br />

provincia di Lecce, già senatore<br />

presidente della Commissione<br />

stragi, in prima fila al funerale di<br />

“Nino bomba”.<br />

Nello stralcio dell’inchiesta “Galatea<br />

2”, è stata scandagliata non<br />

solo la natura dei rapporti tra Fasano<br />

e Padovano, ma anche approfondite<br />

altre vicende relative<br />

ad appalti pubblici poco chiari<br />

se non pilotati, che hanno coinvolto<br />

alcuni imprenditori, tra cui<br />

Giovanni Lagioia, già presidente<br />

della sezione comunicazione di<br />

Confindustria-Lecce e cugino del<br />

ministro Raffaele Fitto (Pdl); Gino<br />

Siciliano, presidente della “Lupiae<br />

servizi”, società in house del Comune<br />

di Lecce ed altri imprenditori e<br />

amministratori pubblici accusati,<br />

in concorso, di turbativa d’asta,<br />

violazione del segreto d’ufficio,<br />

falso e corruzione. Il processo è<br />

in corso: per la difesa di Fasano i<br />

rapporti con “Nino bomba” erano<br />

puramente professionali, da avvocato<br />

(Fasano) a cliente (Padovano),<br />

ma dalle intercettazioni risulta un<br />

rapporto strettissimo tra i due, fatto<br />

di confidenze e consigli al limite<br />

del “pilotaggio” della condotta<br />

del mafioso.<br />

Su questo limite tra lecito e illecito e<br />

sulla capacità di sfumarne i confini<br />

fino a renderli indistinguibili (tanto<br />

che due procuratori antimafia su<br />

questo hanno opinioni opposte)la<br />

Sacra corona unita si sta giocando la<br />

scommessa della sua rinascita.


Dai pescherecci<br />

alla movida<br />

I proventi della criminalità organizzata pugliese sono a tutto<br />

tondo: dall’estorsione al pizzo, fino al settore dell’edilizia e<br />

dell’imprenditoria<br />

di Mara Chiarelli<br />

49 | settembre 2012 | narcomafie<br />

Sacra Corona Unita


Sacra corona unita<br />

«Inizialmente già dagli anni ’88-<br />

’89 si prendevano le estorsioni<br />

sui pescherecci […]. Venivano<br />

contattati e per evitare danneggiamenti<br />

sulle imbarcazioni<br />

pagavano 500 mila lire al mese<br />

per ogni barca, erano sulle 20<br />

barche più o meno».<br />

La storia delle estorsioni,<br />

raccontata agli inquirenti dai<br />

numerosi pentiti della Sacra<br />

corona unita, in questo caso<br />

Fabio Fornaro, parte da lì, per<br />

poi evolversi in forme molto<br />

più organizzate e, se si vuole,<br />

originali. Quella del racket,<br />

infatti, resta una delle attività<br />

illecite più praticate dall’associazione<br />

mafiosa, con numeri<br />

di emersione troppo risicati<br />

per poter essere indicativi del<br />

fenomeno. La mancata denuncia<br />

da parte delle vittime,<br />

piuttosto, è il segno di una<br />

omertà generalizzata, pilastro<br />

sul quale si poggia la natura<br />

mafiosa dell’organizzazione.<br />

E quasi sempre l’estorsione si<br />

lega indissolubilmente a un<br />

altro reato, molto frequente in<br />

Salento come in tutte le altre<br />

province pugliesi, e cioè quello<br />

dell’usura: «Per quanto la crisi<br />

economica non incida in maniera<br />

rilevante – spiega il procuratore<br />

capo di Lecce, Cataldo<br />

Motta – i cittadini vivono molte<br />

difficoltà e talvolta le affrontano<br />

ricorrendo agli usurai».<br />

Credito usuraio. Nell’ultimo<br />

anno, dalla procura di Lecce<br />

sono stati aperti 41 procedimenti<br />

per usura, il doppio dell’anno<br />

precedente, ma ancora una<br />

goccia nel mare dell’illecito.<br />

«Un aspetto preoccupante – lo<br />

definisce Motta – perché quelli<br />

tra usuraio e usurato sono<br />

rapporti che si stabilizzano,<br />

e sono alterati dal fatto che la<br />

50 | settembre 2012 | narcomafie<br />

vittima si rivolge all’usuraio<br />

considerandolo un benefattore».<br />

E lo spiega bene nella<br />

relazione redatta per l’inaugurazione<br />

dell’anno giudiziario<br />

2011 a Lecce: «La perdurante<br />

crisi economica – che tra l’altro<br />

ha reso certamente più difficile<br />

la riscossione dei crediti – ha<br />

contribuito, in certo qual modo,<br />

ad enfatizzare il ruolo della<br />

criminalità organizzata e ad<br />

aprire nuovi spazi di intervento<br />

in questo specifico settore, con<br />

il ricorso, da parte dei creditori,<br />

ad ambienti della criminalità<br />

organizzata locale per il recupero<br />

del proprio credito, con<br />

la ovvia consapevolezza del<br />

metodo mafioso, intimidatorio<br />

e violento cui il debitore sarebbe<br />

stato sottoposto. Ciò che<br />

maggiormente allarma nell’iniziativa,<br />

piuttosto diffusa, degli<br />

stessi creditori di rivolgersi a<br />

tali ambienti, è proprio l’accettazione<br />

e la condivisione di<br />

logiche criminali e mafiose, la<br />

legittimazione che ne consegue<br />

per i clan mafiosi, un abbassamento<br />

della soglia di legalità e,<br />

nella sostanza, il riconoscimento<br />

di un loro ruolo nel regolare<br />

i rapporti nella società civile in<br />

una prospettiva di definitiva<br />

sostituzione dei clan mafiosi<br />

agli organi istituzionali dello<br />

Stato».<br />

E non deve sorprendere se si<br />

considera che a livello nazionale,<br />

usura ed estorsione rappresentano<br />

le fonti di guadagno<br />

illecito più rilevanti dopo il<br />

traffico di droga e quello di<br />

rifiuti. Per la Commissione nazionale<br />

antimafia «non si tratta<br />

più di attività finalizzate al puro<br />

sostentamento delle cosche sul<br />

territorio, ma si tratta di attività<br />

destinate a costituire uno dei<br />

pilastri dell’organizzazione<br />

mafiosa nel suo complesso.<br />

L’usura non è più riconducibile<br />

a personaggi locali, ma costituisce<br />

un terreno privilegiato di<br />

reinvestimento per le mafie,<br />

tanto che nelle regioni nelle<br />

quali è maggiore la pervasività<br />

della criminalità organizzata<br />

si assiste ad un minor numero<br />

di denunce per usura, fatto<br />

certamente legato alle capacità<br />

intimidatorie di chi esercita tale<br />

attività illecita».<br />

Scrive a tal proposito Motta:<br />

«La stessa situazione di crisi<br />

ha contribuito altresì a spostare<br />

il ricorso al credito da<br />

quello bancario a quello delle<br />

imprese finanziarie e dell’usura<br />

(spesso praticata dalle stesse finanziarie,<br />

talvolta non estranee<br />

all’ambiente della criminalità<br />

organizzata), soluzione che,<br />

per le medesime menzionate<br />

motivazioni, deve essere considerata<br />

particolarmente grave<br />

sul piano dell’accettazione di<br />

regole illegali».<br />

Tangenti al molo. Negli ultimi<br />

anni, anche in Puglia si sono<br />

susseguite numerose operazioni<br />

finalizzate a smontare il pervicace<br />

meccanismo, portando<br />

alla luce insospettabili rapporti<br />

fra professionisti e personaggi<br />

legati ai clan: strozzini che<br />

prestavano denaro con tassi di<br />

interesse annui elevatissimi.<br />

La più importante di queste,<br />

chiamata “Shylock”, condotta<br />

dai carabinieri e per cui sono già<br />

arrivate le prime pesanti condanne,<br />

ha annientato un’organizzazione<br />

di usurai legati alla<br />

Scu che si muoveva dal Salento<br />

per allargarsi sulle province di<br />

Foggia e Bologna: 19 arresti e 6<br />

denunciati a piede libero. L’indagine,<br />

nata nel febbraio 2009<br />

dalla denuncia di un impren-


ditore di Trepuzzi (Lecce) che<br />

vende apparecchiature informatiche<br />

e fornisce consulenze,<br />

ha scoperto l’esistenza di ben<br />

sei canali usurai, gestiti dalla<br />

Sacra corona unita.<br />

Si legge nel XIII Rapporto di Sos<br />

Impresa: «L’attenzione degli<br />

investigatori si è concentrata<br />

su uno dei proprietari della<br />

finanziaria Fin.Co. di Nardò che<br />

metteva a disposizione la sua<br />

struttura per fornire il denaro<br />

da prestare alle vittime. Una<br />

decina in tutto le vittime accertate,<br />

soprattutto imprenditori<br />

alle prese con la crisi economica<br />

e ridotte letteralmente<br />

sul lastrico, costrette dall’organizzazione<br />

a sottoscrivere dei<br />

prestiti da società finanziarie<br />

con il meccanismo della truffa<br />

attraverso la comunicazione di<br />

dati falsi. Denaro che serviva<br />

poi a pagare gli usurai. Per chi<br />

si rifiutava o non era in grado<br />

di saldare i debiti contratti, le<br />

strategie adottate erano quelle<br />

delle minacce e dell’intimidazione.<br />

Due delle vittime, che<br />

hanno confermato le accuse,<br />

sono assistite dall’associazione<br />

contro la cultura sociomafiosa<br />

di Trepuzzi, che si è<br />

anche costituita parte civile<br />

nel processo, proprio per la<br />

pericolosità di alcuni dei presunti<br />

usurai, personaggi già<br />

condannati per associazione<br />

mafiosa e conosciuti nel<br />

territorio come appartenenti<br />

alla Scu, in particolare al clan<br />

Cerfeda. Un ruolo determinante,<br />

in questo senso, l’avrebbe<br />

avuto anche Alessio Perrone,<br />

pluripregiudicato figlio di Antonio,<br />

noto boss della Scu.<br />

Sono stati poi sequestrati beni<br />

mobili ed immobili, nonché<br />

conti correnti bancari, per un<br />

valore complessivo di circa<br />

un milione di euro».<br />

Il 30 novembre 2011 sono arrivate<br />

le prime condanne per i<br />

sei che hanno chiesto di essere<br />

giudicati con il rito abbreviato:<br />

complessivamente oltre un<br />

quarto di secolo.<br />

Chi prende denaro “a strozzo”,<br />

dunque, deve rifondere con gli<br />

interessi che lievitano esponenzialmente,<br />

al punto da rendere<br />

impossibile il saldo finale. La<br />

conseguenza ormai scontata<br />

è l’estorsione, praticata con<br />

modalità così spaventose da<br />

indurre la vittima a indebitarsi<br />

con altri usurai. E il business<br />

continua. In alternativa, i commercianti<br />

cedono gradualmente<br />

le loro attività, che vengono<br />

acquisite dai clan per trasformarle<br />

in “lavatrici” del denaro<br />

sporco. Poche, ovviamente le<br />

denunce: 60 nell’ultimo anno i<br />

fascicoli aperti dalla Direzione<br />

distrettuale antimafia salentina,<br />

seppur in aumento rispetto<br />

all’anno precedente quando<br />

se ne contavano solo 25. Ma,<br />

si torna ad evidenziarlo, poco<br />

indicative delle modalità di<br />

commissione del reato: «Usura<br />

ed estorsione – ribadisce<br />

il procuratore Motta – sono<br />

gli unici due reati sui quali<br />

non è possibile trarre elementi<br />

statistici».<br />

Una strada maestra, quindi,<br />

quella sulla quale si muovono<br />

da un ventennio gli affiliati<br />

alla Sacra corona unita, con<br />

numerose varianti sul tema.<br />

Tralasciando gli evergreen,<br />

come appunto il racket sui<br />

negozi, per avere un’idea della<br />

metamorfosi vissuta dalla<br />

quarta mafia si deve partire<br />

dalla fine degli anni 80, quando<br />

a pagare il pizzo erano appunto<br />

i proprietari dei pescherecci,<br />

come conferma anche un altro<br />

51 | settembre 2012 | narcomafie<br />

pentito fuoriuscito dal clan<br />

Brandi, Fabio Luperti: «Giovanni<br />

e Raffaele Brandi si stavano<br />

occupando delle estorsioni ai<br />

pescherecci. [...] Sandro Carrisi<br />

aveva formato una società<br />

per non creare problemi per<br />

quanto riguarda le estorsioni,<br />

per lavorare più pulito diciamo.<br />

[…] Siccome ci stava tanto<br />

casino a Brindisi, perché chi<br />

più voleva prendere i soldi<br />

delle estorsioni dentro Brindisi,<br />

Carrisi, per non avere problemi<br />

anche con la stessa polizia,<br />

aveva formato una cooperativa.<br />

[…] Era una società di vigilanza<br />

che si chiama Guardiano, che<br />

guardava i pescherecci perché<br />

non succedesse niente ai locali<br />

giù al porto. […] Praticamente<br />

l’estorsione ai pescherecci<br />

era un provento abbastanza<br />

“guadagnoso”. Si guadagnava<br />

dai dodici ai quindici milioni<br />

al mese e quindi era una cosa<br />

che faceva gola».<br />

Per chiarire meglio il concetto:<br />

«Questa è una cosa che poi ad<br />

ogni porto che si va in Puglia<br />

tutti pagano la tangente, hanno<br />

copiato, i brindisini hanno<br />

copiato al porto di Monopoli<br />

che anche là hanno fatto una<br />

cooperativa, che guardava i<br />

pescherecci si sono aggiornati<br />

anche i brindisini, hanno fatto<br />

questa cooperativa. [...] Anche<br />

le pescherie, le paninoteche,<br />

quando fanno delle feste patronali.<br />

Un po’ di tutto».<br />

Sotto schiaffo del clan anche i<br />

luna park: «Le giostre a Brindisi<br />

le estorsioni le hanno sempre<br />

pagate. A volte le pagavano a<br />

Tonino Luperti, le hanno sempre<br />

pagate le estorsioni i giostrai<br />

ed hanno sempre dato biglietti<br />

a chi era responsabile in quel<br />

periodo, pure Tonino Luperti<br />

quante volte c’aveva un sacco<br />

Sacra corona unita


Sacra corona unita<br />

di biglietti, ci dava i biglietti<br />

e prendeva le estorsioni. Ora,<br />

altre persone non ricordo però<br />

i giostrai hanno sempre pagato<br />

l’estorsione».<br />

Edilizia estorta. E, se da un<br />

lato le tecniche estorsive si<br />

sono affinate, i bersagli sono<br />

sempre rimasti gli stessi, con<br />

l’aggiunta, di recente memoria,<br />

dei proprietari di discoteche<br />

e locali della movida leccese.<br />

Sempre gettonati i cantieri edili,<br />

i cui titolari e responsabili sono<br />

stati messi nelle condizioni di<br />

pagare, magari ricavandone<br />

anche qualche vantaggio personale.<br />

È la tecnica inventata<br />

dai fratelli Brandi, che secondo<br />

la Dda di Lecce avrebbero<br />

costituito con l’insospettabile<br />

Andrea Zingarello, che poi ha<br />

patteggiato una condanna a<br />

due anni di reclusione, una<br />

società, la Icost, specializzata<br />

nel fornire guardiania alle<br />

imprese, in maniera apparentemente<br />

lecita: si promuoveva<br />

come «servizi garantiti pronto<br />

intervento, guardiania e pulizia<br />

dal 1978». Agli imprenditori, in<br />

sostanza, veniva consigliato di<br />

rivolgersi alla Icost che, dietro<br />

pagamento con regolare rilascio<br />

di fattura, avrebbe garantito loro<br />

la tranquilla prosecuzione dei<br />

lavori. Lo racconta il pentito<br />

Fabio Fornaro: «Il contratto di<br />

guardiania era un escamotage<br />

per avvicinarsi alle imprese<br />

edili, giustamente anche lo stesso<br />

imprenditore sa che chi si<br />

avvicina per fare una proposta<br />

di guardiania è per stare tranquillo,<br />

per non subire dei furti,<br />

per non subire degli attentati,<br />

diciamo è sottinteso».<br />

Secondo quanto emerge dalle<br />

indagini, tra i clienti della Icost<br />

c’erano anche grosse imprese,<br />

52 | settembre 2012 | narcomafie<br />

come il consorzio San Teodoro<br />

che, per conto di Alisette,<br />

ha realizzato a Brindisi una<br />

grossa struttura, poi venduta a<br />

Carrefour e diventata in seguito<br />

Ipercoop. Un vice commissario,<br />

ascoltato in udienza il 24<br />

maggio 2010, ha raccontato dei<br />

numerosi servizi di osservazione<br />

all’interno del cantiere, che<br />

hanno fatto scoprire i rapporti<br />

fra il consorzio, Zingarello e i<br />

fratelli Brandi.<br />

Ma cosa i mafiosi intendano<br />

per “guardiania” e perché ha<br />

sostituito l’estorsione più tradizionale<br />

è spiegato bene da<br />

Ercole Penna, ultimo pentito<br />

della Sacra corona unita, ex personaggio<br />

di spicco della frangia<br />

brindisina e tra i fondatori del<br />

gruppo dei mesagnesi.<br />

Ascoltato in videoconferenza<br />

durante il processo al clan Brandi,<br />

risponde così alle domande<br />

del pm Santacatterina: «Di solito<br />

viene attuata quando ci sono<br />

dei cantieri nelle zone e nei<br />

paesi, cioè si impone a chi sta<br />

costruendo, a chi ha l’appalto<br />

o il subappalto che lo ha vinto<br />

e lo ha preso in qualche modo<br />

si impone, invece di dare una<br />

cifra, non lo so, stanno facendo<br />

10 appartamenti – faccio<br />

un esempio per essere chiaro<br />

– stanno facendo 10 appartamenti,<br />

invece di andare a chiedere<br />

20 o 30 mila euro, questo<br />

lavoro quanto può durare? Un<br />

anno, due anni? Io ti impongo<br />

di assumere un ragazzo a me<br />

vicino, una persona del gruppo,<br />

e gli dài lo stipendio. Così cosa<br />

succede? Eviti la denuncia da<br />

parte dei costruttori o di chi<br />

comunque sta svolgendo il lavoro<br />

– facendo questo tipo di<br />

discorso – e non pesi in modo<br />

pesante sulla ditta. Ecco perché<br />

si usa ormai, ormai è usanza<br />

muoversi in questo modo per<br />

evitare proprio le denunce, così<br />

rimangono tutti contenti e per<br />

lo più non ci sono danni nei<br />

cantieri. Io le posso dire che la<br />

guardianeria non la usa Brandi,<br />

cioè la usiamo tutti, su Brindisi<br />

noi abbiamo altri affiliati o<br />

altre persone a noi vicine che<br />

usano questo metodo, quindi<br />

è facile dire: “Ma guarda che<br />

io sono andato là a chiedere<br />

lavoro, non c’è l’estorsione”,<br />

ma è normale, si usa questo<br />

metodo proprio per evitare la<br />

denuncia, l’estorsione e quindi<br />

andare in carcere e non opprimere<br />

le vittime».<br />

Il salto di qualità, tuttavia, va<br />

riconosciuto al gruppo di Salvatore<br />

Rizzo. Egli, rinato dalle<br />

ceneri ma forse in realtà mai<br />

tramontato, dal carcere aveva<br />

messo in piedi un nuovo gruppo<br />

di criminali, che trafficavano<br />

grosse quantità di droga e mettevano<br />

sotto assedio i proprietari<br />

di pub, discoteche, bar e pizzerie:<br />

un’isola felice, all’interno<br />

della movida leccese, che finora<br />

non aveva conosciuto il giogo<br />

del malaffare. Secondo quanto<br />

ricostruito nell’indagine “Augusta”,<br />

condotta dai carabinieri<br />

del Ros e del comando provinciale<br />

di Lecce e conclusasi il 4<br />

ottobre 2011 con 49 arresti (ci<br />

sono altri 20 indagati), il clan,<br />

così riorganizzatosi, avrebbe<br />

terrorizzato i commercianti,<br />

imponendo loro le prestazioni<br />

di una fantomatica agenzia di<br />

sicurezza e guardiania, la “Iron<br />

Service”, con sede a Lecce e<br />

intestata a Stefano Rizzo, nipote<br />

di Totò. Il metodo utilizzato,<br />

avvalendosi della forza di intimidazione<br />

proveniente dall’appartenenza<br />

a un’associazione<br />

mafiosa, prevedeva tre lettere<br />

inviate per posta alla vittima


di turno, firmate da “Agenzia<br />

Iron Service di Lecce”.<br />

Diversi i toni usati: nella prima<br />

si offriva una “protezione<br />

sicura e professionale” a tutela<br />

del locale e dei suoi clienti. La<br />

missiva si concludeva con la<br />

garanzia: «Ve lo assicuriamo…<br />

soddisfatti o rimborsati e tutti<br />

vivranno felici e contenti… e<br />

sarà meglio per tutti».<br />

La seconda, nel caso il commerciante<br />

non avesse tempestivamente<br />

approfittato dell’offerta,<br />

aveva toni più urgenti: «Ultimo<br />

avvertimento, un guardiano<br />

dell’Iron Service risolve i tuoi<br />

problemi». La terza e ultima,<br />

niente più che un semplice<br />

foglietto di carta, era molto più<br />

minacciosa: «Faremo male ai<br />

vostri figli».<br />

Spaventati da tale inquietante<br />

avvertimento, i gestori dei<br />

locali non potevano evitare di<br />

contattare la Iron Service per<br />

affidare il servizio. La denuncia<br />

di tre di loro, uno dei quali è<br />

il titolare di una nota discoteca<br />

della provincia di Lecce, è<br />

stata integrata da un esposto<br />

anonimo nel quale si raccontava<br />

che spesso il titolare della<br />

ditta si presentava nei locali,<br />

in compagnia di altre cinque<br />

o sei persone, minacciando i<br />

dipendenti e disturbando gli<br />

avventori.<br />

Le indagini hanno anche accertato<br />

che Stefano Rizzo e 15 suoi<br />

dipendenti erano stati denunciati<br />

dalla divisione di polizia<br />

amministrativa della questura<br />

di Lecce per aver svolto, senza<br />

avere la licenza prefettizia, un<br />

servizio di vigilanza all’interno<br />

dello stadio di Lecce in occasione<br />

del concerto del cantante<br />

Tiziano Ferro. Tra i dipendenti<br />

denunciati, anche uno che, durante<br />

il concerto dei Negramaro,<br />

munito di auricolare, era stato<br />

notato mentre dirigeva i numerosi<br />

addetti messi a guardiania<br />

delle diverse entrate.<br />

Un concorrente della Iron<br />

Service, titolare di una ditta<br />

che svolge in maniera lecita<br />

la stessa attività di sicurezza,<br />

accompagnamento e portierato,<br />

ascoltato dagli investigatori, ha<br />

spiegato: «I gestori sono intimiditi<br />

da tale agenzia poiché sia<br />

Rizzo che Centonze, quando<br />

si presentano fanno il nome<br />

di Totò Rizzo, evocando così<br />

stretti legami con la criminalità<br />

organizzata».<br />

E se non bastasse l’inventiva<br />

del clan Rizzo, si può ancora<br />

53 | settembre 2012 | narcomafie<br />

parlare di Giovanni Buccarella,<br />

padre di Salvatore, che a 80<br />

anni e con la complicità di Cosimo<br />

Giardino Fai, nel giugno<br />

del 2010 ha tentato di imporre<br />

il pizzo anche sul fotovoltaico,<br />

estorcendo 1.500 euro a un imprenditore<br />

siciliano, Sebastiano<br />

Buglisi, che stava realizzando<br />

un grosso impianto a Tuturano,<br />

in Salento. Il tentativo, però,<br />

è mal riuscito perché Buglisi<br />

ha denunciato l’estorsione,<br />

facendo arrestare in flagranza<br />

i due: ora devono rispondere<br />

di tentata estorsione, aggravata<br />

del metodo mafioso prevista<br />

dall’ex articolo 7 della legge<br />

203/91.<br />

Sacra corona unita


Sacra corona unita<br />

Le casse della<br />

mafia pugliese<br />

Non si può comprendere la fenomenologia criminale della Scu<br />

astraendone l’aspetto più importante: quello criminal-economico.<br />

Lo status nascendi dell’organizzazione rivela forme di un capitalismo<br />

duro e spietato, violento e profittevole ad ogni costo,<br />

evidente espressione di uno sferzante e frontale attacco all’ordine<br />

pubblico di un’intera regione<br />

di Andrea Apollonio<br />

54 | settembre 2012 | narcomafie


Sul finire degli anni Sessanta<br />

del secolo scorso un noto<br />

criminologo statunitense, Donald<br />

Cressey, teorizzò il modello<br />

gestionale applicabile<br />

alla criminalità organizzata,<br />

concependola come struttura<br />

formalizzata e gerarchizzata,<br />

avente scopi e finalità ben definiti<br />

e al cui vertice si incasella<br />

una leadership indiscussa. Una<br />

struttura rigida, basata su di un<br />

modello imprenditoriale forte,<br />

capace di articolare e ripartire<br />

la propria gestione criminale<br />

con strutture ad essa simili per<br />

una più efficiente realizzazione<br />

delle attività illegali pianificate.<br />

Questo modello idealtipico,<br />

elaborato in tempi e contesti<br />

del tutto diversi da quelli che<br />

ci troviamo adesso a esaminare,<br />

resta tuttavia pienamente valido<br />

e condivisibile, a riprova<br />

dell’estrema rigidità dei modelli<br />

delle organizzazioni criminali,<br />

cui di contro si pone l’estrema<br />

duttilità dei contenuti e delle<br />

modalità dell’azione delinquenziale,<br />

questa in continua<br />

e necessaria evoluzione. E una<br />

sfumatura è necessario che sia<br />

colta, anche se nella forma più<br />

superficiale: il modello imprenditoriale<br />

sopra accennato<br />

presuppone vi siano obiettivi<br />

“mercatistici”, e che le esigenze<br />

di questo siano esigenze di<br />

profitto.<br />

In altre parole, ogni forma criminale<br />

organizzata opera sulla<br />

base delle dinamiche di domanda-offerta<br />

che la società stessa<br />

esprime, soddisfacendo interessi<br />

di mercato cui è impossibile<br />

rispondere mediante tipologie<br />

lecite di azione imprenditoriale,<br />

monopolizzando interi settori<br />

che esprimono rilevanti opportunità<br />

affaristiche.<br />

Questo approccio economico,<br />

che sostituisce all’eziologia del<br />

deficit (che pone come base<br />

sociologica al fenomeno delle<br />

organizzazioni criminali l’esclusione<br />

sociale dei suoi aderenti)<br />

l’eziologia dell’eccesso di opportunità<br />

(che di contro argomenta<br />

vi siano interessi di tipo<br />

strettamente economico a fare<br />

da collante all’associazionismo<br />

criminale), torna estremamente<br />

utile per meglio contestualizzare<br />

le origini di quella che è stata<br />

comunemente ribattezzata la<br />

“quarta mafia”, di quel crimine<br />

organizzato suggestivamente<br />

stigmatizzato come «declinato<br />

al peggio e in accelerazione costante»,<br />

cioè della Sacra corona<br />

unita, sviluppatasi in Puglia<br />

negli anni Ottanta. L’eccesso di<br />

opportunità non può che essere<br />

individuato, in questo caso,<br />

nella strategica posizione geografica<br />

e nella giustapposizione<br />

di forti e stabili rapporti con la<br />

criminalità di regioni limitrofe,<br />

che ivi condensa enormi prospettive<br />

di illeciti guadagni.<br />

I decenni in cui la Puglia è stata<br />

un campo aperto a infiltrazioni<br />

mafiose di ogni tipo e genere,<br />

non solo di quella campana, ma<br />

anche di ’ndrangheta e mafia<br />

siciliana, hanno di fatto rappresentato<br />

fertile humus per<br />

la costituzione di una mafia<br />

molto più avanzata e pericolosa<br />

delle altre, perché innervata da<br />

mentalità mafiose eterogenee,<br />

culturalmente e storicamente<br />

differenti, determinandone<br />

l’imprinting genetico.<br />

Una delle caratteristiche strutturali<br />

della criminalità organizzata<br />

mafiosa è quella di operare<br />

come una sorta di intellettuale<br />

collettivo, in grado di analizzare<br />

in breve tempo i propri punti<br />

deboli, di imparare dai propri<br />

errori, di apprendere le meto-<br />

55 | settembre 2012 | narcomafie<br />

dologie delle nuove tecniche<br />

d’indagine, di apprestare le adeguate<br />

contromisure e, infine, di<br />

socializzare progressivamente<br />

all’interno dell’organizzazione<br />

il nuovo sapere.<br />

Sinergie criminali. Questo reset<br />

operativo si è materializzato<br />

concretamente in questa nuova<br />

struttura criminale, forte di ibride<br />

esperienze criminose e capace<br />

di metabolizzare in breve<br />

tempo le modalità di condotta<br />

più adeguate alle nuove prospettive<br />

di repressione e contrasto,<br />

per questo esponenzialmente<br />

più pericolosa. Il cultural lag,<br />

il ritardo culturale con cui tutte<br />

le mafie più antiche e tradizionali<br />

hanno dovuto fare i conti<br />

allorquando hanno iniziato a<br />

investire energie sempre maggiori<br />

in intraprese economiche<br />

al solo scopo di massimizzare i<br />

profitti, quando hanno cioè assunto<br />

connotazioni di impresa,<br />

scontrandosi in tal modo con<br />

una base che guardava all’appartenenza<br />

mafiosa come a una<br />

mera questione di onore e di rispettabilità,<br />

soffrendo appunto<br />

di un intrinseco ritardo culturale<br />

(si pensi alla più “tradizionale”<br />

mafia siciliana o quella<br />

calabrese, e alla mentalità che<br />

è espressione di queste), viene<br />

fondamentalmente azzerato nel<br />

caso della nascente criminalità<br />

salentina. Questa ha origine e si<br />

struttura fin dal principio come<br />

forma di criminalità-impresa, e<br />

l’appartenenza mafiosa diviene<br />

solo un mezzo di rapida ascesa<br />

economica, forzata da una valutazione<br />

utilitaristica dei costi<br />

e dei benefici, vera e propria<br />

«intermediazione parassitaria<br />

imposta con mezzi di violenza<br />

fra le proprietà ed il lavoro, tra<br />

la produzione ed il consumo,<br />

Sacra corona unita


Sacra corona unita<br />

tra il cittadino e lo Stato».<br />

Questa nuova organizzazione<br />

criminale, almeno in un primo<br />

momento, venne di fatto<br />

subordinata al controllo della<br />

camorra campana, da sempre<br />

dedita al contrabbando e particolarmente<br />

interessata ai profitti<br />

di questa attività; quando<br />

i contrabbandieri napoletani<br />

percepirono che la “via adriatica”<br />

fosse certamente da preferire<br />

a quella tirrenica per lo<br />

sbarco delle sigarette, anche in<br />

virtù del fatto che negli anni<br />

Ottanta le multinazionali del<br />

tabacco avevano strategicamente<br />

trasferito i depositi nei porti<br />

olandesi e jugoslavi, tentarono<br />

di costituire una struttura criminale<br />

a carattere regionale<br />

posta sotto la diretta influenza<br />

della camorra napoletana, tanto<br />

da essere battezzata “Nuova<br />

camorra organizzata”.<br />

Da questa nuova criminalità pugliese,<br />

strutturalmente dedita al<br />

contrabbando di tabacchi e costola<br />

operativa di altre organizzazioni,<br />

nasce, da un impulso<br />

reattivo alla presenza massiccia<br />

in Puglia della criminalità campana,<br />

la Sacra corona unita, che<br />

assume connotazioni specifiche<br />

e indipendenti e costituisce<br />

forme organizzative originali<br />

e inusitate, «rappresentando<br />

un fenomeno innovativo in<br />

un contesto precedentemente<br />

caratterizzato dalla frammentarietà<br />

dei singoli episodi criminali».<br />

A differenza di altre<br />

mafie, appesantite e ingombrate<br />

nell’agire mafioso da un eccessivo<br />

centralismo, qui piuttosto<br />

si riscontra un inestricabile intreccio<br />

di relazioni tra famiglie,<br />

un mosaico variegato di clan tra<br />

loro autonomi, eppure coagulati<br />

in un’appartenenza comune.<br />

Si passa dalla metafora della<br />

56 | settembre 2012 | narcomafie<br />

cupola a quella del network, in<br />

cui più entità criminali operano<br />

collaborando tra di loro.<br />

Le competenze acquisite sul<br />

campo nella gestione dei traffici<br />

del contrabbando vengono<br />

progressivamente mutuate<br />

dalla criminalità campana ed<br />

assimilate all’interno dell’organizzazione,<br />

tanto che il contrabbando<br />

diviene il filo conduttore<br />

dell’intera strategia criminosa<br />

della Scu, economicamente imperniata<br />

sugli enormi profitti<br />

di questo. Avere il controllo<br />

delle rotte del contrabbando<br />

garantisce infatti anche il monopolio<br />

del commercio di armi<br />

e sostanze stupefacenti, che<br />

sfrutta quasi esclusivamente<br />

le rotte adriatiche, e consente<br />

inoltre all’organizzazione di<br />

conseguire un ampio consenso<br />

sociale, essendo il contrabbando<br />

attività oramai permeata nel<br />

tessuto economico, in particolar<br />

modo in alcune zone del<br />

Salento.<br />

Il fenomeno del contrabbando.<br />

«Brindisi capitale d’Italia<br />

ridotta alle miserie di una<br />

Marlboro City», ha scritto Rosario<br />

Tornesello, sociologo e<br />

giornalista salentino, autore di<br />

Tacco e tabacco (Besa 2009),<br />

e lo stigma “Marlboro City”<br />

pennella efficacemente ciò che<br />

il contrabbando ha determinato<br />

in tutto il Mezzogiorno<br />

d’Italia. Brindisi in primis: la<br />

porta d’accesso attraverso cui<br />

la piccola e grande criminalità<br />

è sbarcata nel Salento, terra violentata<br />

dalla Sacra corona unita.<br />

Ecco allora il punto d’inizio.<br />

Il contrabbando condensa in<br />

sé l’incipit di una storia criminale,<br />

di una localizzazione<br />

territoriale in cui convergono<br />

all’unisono interessi e violenze<br />

di mafie diverse, dove potere e<br />

ricchezza vengono dal mare, da<br />

rotte preziose da tutelare.<br />

Anche se, chiaramente, il contrabbando<br />

non assorbe l’intero<br />

operato criminale. Vi sono infatti<br />

tutte quelle attività, quali<br />

la gestione di bische clandestine,<br />

il traffico di stupefacenti,<br />

l’estorsione, l’usura, le rapine,<br />

che erano già presenti nel complesso<br />

di un crimine salentino<br />

atavico e privo di una struttura<br />

efficiente, ma realizzate in maniera<br />

frammentaria e disorganizzata.<br />

La strutturazione di<br />

alleanze tra bande criminali,<br />

la formazione, in altri termini,<br />

della Scu, ha delineato piuttosto<br />

una maggiore reattività e un<br />

modello di tipo imprenditoriale,<br />

tipico, come visto, di ogni organizzazione<br />

criminale moderna.<br />

Si capisce bene dunque quanto<br />

sia difficile comprendere e<br />

determinare la fenomenologia<br />

criminale che costituisce l’essenza<br />

di questa particolarissima<br />

consorteria criminale astraendone<br />

l’aspetto più importante,<br />

quello criminal-economico;<br />

lo status nascendi dell’organizzazione<br />

rivela forme di un<br />

capitalismo duro e spietato,<br />

violento e profittevole ad ogni<br />

costo, evidente espressione di<br />

uno sferzante e frontale attacco<br />

all’ordine pubblico di un’intera<br />

regione. Nei primi anni Novanta,<br />

anni di radicamento sul<br />

territorio, di crescita criminosa<br />

esponenziale e di monopolio<br />

delle attività illecite, seguirà<br />

poi con parossistica inversione<br />

un lento ma inesorabile declino,<br />

definitivamente realizzatosi una<br />

volta venuto meno l’eccezionale<br />

serbatoio di ricchezza rappresentato<br />

dal contrabbando lungo<br />

le coste salentine, a seguito di<br />

un’incisiva attività di contrasto


da parte dello Stato. Come il<br />

contrabbando ha segnato per<br />

la Sacra corona unita l’apice<br />

di un fermento criminale senza<br />

precedenti, la fine di questo ne<br />

determinerà il punto più basso<br />

della parabola.<br />

Prosciugata la linfa vitale, cessati<br />

i flussi di sigarette e capitali<br />

dall’altra sponda dell’Adriatico,<br />

la struttura gerarchico-mafiosa<br />

si inaridì a tal punto da polverizzarsi,<br />

dando luogo ad una<br />

corsa al pentitismo senza precedenti<br />

nella storia giudiziaria<br />

italiana. Con immagine icastica,<br />

e secondo una logica di vasi<br />

comunicanti, al restringimento<br />

operativo dell’“industria del<br />

contrabbando” seguì una dilatazione<br />

della conflittualità<br />

intestina tra i vari clan. Quel<br />

vincolo associativo, basato<br />

esclusivamente sulla condivisione<br />

degli utili, si sgretolò<br />

con la stessa velocità con cui<br />

vennero meno le risorse finanziarie,<br />

e la concomitante ascesa<br />

della potente mafia albanese<br />

nella seconda decade degli anni<br />

Novanta, tanto potente da poter<br />

bypassare la mafia locale per<br />

rapportarsi direttamente con<br />

quella siciliana o calabrese, fece<br />

il resto.<br />

Fu terra bruciata attorno ai clan,<br />

l’ideale granitico ontologicamente<br />

connesso all’esistenza<br />

stessa della Scu, il vincolo di<br />

solidarietà e segretezza, si dissolse<br />

repentinamente con la<br />

cessazione delle attività contrabbandiere,<br />

trasformando la<br />

“quarta mafia” in un amalgama<br />

disomogeneo e dalla scarsa carica<br />

criminogena.<br />

La rotta delle bionde. Seppur<br />

smussata dall’alto livello<br />

di guardia delle procure, la<br />

patologica persistenza di un<br />

associazionismo malavitoso pugliese,<br />

ma più specificamente<br />

salentino, sciolto dai laccioli<br />

del crimine organizzato, resta<br />

un problema irrisolto e denso<br />

di problematiche. I sodalizi,<br />

che prima erano parte del tessuto<br />

“familistico” costitutivo<br />

della Scu, sembrano piuttosto<br />

essersi atomizzati e riallineati<br />

sulle frontiere dell’illecito arricchimento,<br />

pronti ad operare<br />

e gestire traffici in posizione<br />

diversa, di netto vantaggio si<br />

direbbe, proprio perché non<br />

più inclini a spartizioni di<br />

profitti o radicamenti territoriali<br />

decisi altrove. Anche se<br />

apparentemente bonificata dai<br />

vorticosi arricchimenti illeciti<br />

di un tempo, la terra di Puglia<br />

vede (meglio, rivede) ataviche<br />

forme di criminalità esplicarsi<br />

con sempre maggior forza,<br />

come se il ritirarsi del fenomeno<br />

mafioso propriamente inteso<br />

lasciasse margini di operatività<br />

a tutto ciò che non può dirsi<br />

mafia. O almeno, non in un<br />

primo momento. Questo sembra<br />

delinearsi con le più recenti<br />

operazioni investigative. Tra<br />

le quali spicca, per rilevanza<br />

di contenuti ai fini di questa<br />

trattazione, quella che è stata<br />

definita “Decima primavera”,<br />

perché non dissimile da quella<br />

scattata esattamente dieci anni<br />

prima, l’“Operazione primavera”<br />

che ha segnato il punto di<br />

non ritorno dai vasti territori<br />

del contrabbando di tabacchi.<br />

E se i traffici di sigarette continuano<br />

ad essere appetibili,<br />

diverse sono le modalità di<br />

intervento.<br />

L’inchiesta gestita dalla Direzione<br />

distrettuale antimafia di<br />

Lecce, che nel febbraio 2010 ha<br />

sgominato un’organizzazione<br />

criminale composta da vecchie<br />

57 | settembre 2012 | narcomafie<br />

e nuove leve del contrabbando,<br />

dimostra quanto la distanza con<br />

il passato non sia siderale e si<br />

misuri soltanto sul tipo di rotte<br />

percorse dai carichi di sigarette;<br />

niente più scafi e kalashnikov,<br />

il traffico di bionde segue adesso<br />

dinamiche intraispettive,<br />

che sottotraccia spostano in<br />

silenzio capitali più ingenti<br />

di quanto lo fossero prima. I<br />

carichi provenienti dai paesi<br />

dell’Est, stipati nei sottofondi di<br />

camion dall’apparenza innocua<br />

e depositati poi in capannoni<br />

industriali in attesa dell’immissione<br />

sul mercato, costituivano<br />

per l’organizzazione appena<br />

disarticolata il capitale sociale<br />

da far fruttare, e il crinale sottile<br />

che nel traffico di bionde<br />

corre tra il lecito e l’illecito era<br />

percorso, ancora una volta, da<br />

vecchie glorie del contrabbando.<br />

«Come ai vecchi tempi»,<br />

scrivono i cronisti locali.<br />

Questa sorta di amarcord al<br />

contrario, che ciclicamente si<br />

ripropone in una terra ancora<br />

pericolosamente inclinata verso<br />

un baratro di ricchezze intrise<br />

di fumo e sangue, conferma<br />

come sia notevole “lo sforzo<br />

di diversi gruppi criminali di<br />

ricostituire intorno a personaggi<br />

carismatici dai notevoli trascorsi<br />

delinquenziali, anche di natura<br />

associativa, sodalizi fondati<br />

su schemi mafiosi”, anche a<br />

seguito di recenti scarcerazioni<br />

di molti degli esponenti di rilievo<br />

dei vecchi clan malavitosi.<br />

Intere famiglie sembrano percepire<br />

ancora l’onnipotenza di<br />

un tempo, e di fatto continuano<br />

a generare pericolose metastasi<br />

sociali, nel brindisino in particolar<br />

modo.<br />

In provincia, il gruppo dei<br />

Mesagnesi continuerebbe ad<br />

operare secondo gli assetti ri-<br />

Sacra corona unita


Sacra corona unita<br />

levati negli ultimi anni, dopo<br />

le scarcerazioni nel 2006 a<br />

seguito delle quali il vecchio<br />

clan ha diviso di buon accordo<br />

il territorio di influenza sul<br />

quale svolgere separatamente<br />

le proprie attività criminali,<br />

essenzialmente nei settori delle<br />

estorsioni e del traffico delle<br />

sostanze stupefacenti.<br />

Questo spaccato inquietante<br />

ma coevo dimostra come le<br />

vecchie logiche ben si adattano<br />

a nuove dinamiche, lì dove il<br />

tessuto sociale è ancora troppo<br />

permeabile e poroso.<br />

Dunque, oltre la Scu non può<br />

tracciarsi un confine tra ciò che<br />

mafia era e ciò che mafia si può<br />

intendere.<br />

L’immagine incisiva di una “vasta<br />

area grigia in cui lentamente<br />

si era sprofondati” ritrova nelle<br />

ambigue sfumature di colore<br />

saldi appigli con il presente;<br />

oltre la Sacra corona unita non<br />

può che esserci lo spettro di<br />

questa, a tratti vivido e terso, a<br />

tratti quasi impercettibile.<br />

I gruppi criminali storici sono<br />

«influenzati da ricambi generazionali<br />

e spesso in fase di<br />

riorganizzazione», e l’illusorietà<br />

di una pax mafiosa duratura non<br />

può che rivelarsi tale. Lo sforzo<br />

investigativo deve dunque<br />

persistere, riallinearsi su nuove<br />

trincee, affinché il fardello<br />

di una criminalità sistemica e<br />

cruenta possa non essere eredità<br />

indesiderata per le future<br />

generazioni. Per non restare<br />

immobili a metà del guado.<br />

Follow the money. La Sacra<br />

corona unita è stata in grado di<br />

attuare efficienti meccanismi<br />

di riciclaggio. Un elemento di<br />

species che merita di essere<br />

affrontato, rispetto al genus appena<br />

visto per le organizzazioni<br />

58 | settembre 2012 | narcomafie<br />

criminali (anche se soltanto per<br />

grandi linee), è certamente il<br />

grande flusso di denaro reinvestito<br />

negli anni del contrabbando<br />

in determinate aree, in<br />

particolar modo in quei paesi<br />

dell’Est (Albania, Romania,<br />

Montenegro) in cui la capacità<br />

di gestione delle risorse e di<br />

infiltrazione in mercati particolarmente<br />

lucrosi risulta essere<br />

facilitata dallo scarso controllo<br />

della provenienza del denaro;<br />

la caduta dei regimi totalitari<br />

in questi paesi ha determinato<br />

una massiccia e ingombrante<br />

presenza economica della<br />

Scu negli anni Novanta, che<br />

ha investito massicciamente in<br />

immobili, attività economiche<br />

e finanziarie. Basti qui ricordare<br />

lo spaventoso crack delle<br />

“finanziarie a piramide”, che<br />

ha colpito e pericolosamente<br />

minato gli assetti economicofinanziari<br />

dell’Albania nel 1997,<br />

una frode colossale attraverso la<br />

quale migliaia di risparmiatori<br />

albanesi vennero truffati, e sulla<br />

cui gestione pesa il ruolo svolto<br />

dalle organizzazioni criminali<br />

italiane, prima fra tutte la<br />

Sacra corona unita. Ma la più<br />

cospicua attività di riciclaggio<br />

è stata rivolta senza dubbio,<br />

in quegli anni come adesso, a<br />

forme di investimento pubblico,<br />

«all’interno di un meccanismo<br />

che vede la criminalità organizzata<br />

parassitaria dell’intervento<br />

pubblico in aree depresse<br />

del Mezzogiorno, attraverso<br />

la capacità di […] influire sul<br />

processo di attribuzione degli<br />

appalti pubblici». Meccanismi<br />

perversi, che vanno ad alimentare<br />

con l’ausilio economico<br />

dello stesso Stato la criminalità<br />

organizzata, e che taluni hanno<br />

causalmente ricondotto ad un<br />

più generale contesto di “mo-<br />

dernità distorta”.<br />

Gli ingenti flussi finanziari innestati<br />

nell’economia meridionale<br />

sono in tal modo rapacemente<br />

intercettati dalle organizzazioni<br />

criminali più evolute, non facendone<br />

certo eccezione il crimine<br />

imprenditoriale pugliese,<br />

che articola e sviluppa tuttora la<br />

sua attività di riciclaggio in settori<br />

caratterizzati da una bassa<br />

componente tecnologica, in cui<br />

l’intervento pubblico si manifesta<br />

in maniera più costante tramite<br />

l’assegnazione di appalti,<br />

qual è il settore edilizio. Questo<br />

fin dagli anni Novanta, anni<br />

di grossi guadagni derivanti<br />

dal contrabbando che necessitavano<br />

di essere reinvestiti, e<br />

che furono infatti caratterizzati<br />

dalla presenza pulviscolare<br />

nella società pugliese di ditte<br />

edili (e non solo) che nascondevano<br />

in sé capitali della Scu<br />

e monopolizzavano gli appalti<br />

pubblici in interi settori.<br />

Un inserimento diretto, quasi<br />

preferenziale, dei capitali<br />

illeciti nell’economia legale,<br />

secondo schemi del tutto analoghi<br />

a quelli fatti propri da<br />

tempo dalle altre mafie meridionali<br />

e che non si è esitato ad<br />

assimilare. Anche perché non<br />

mancano le collusioni con il<br />

mondo bancario e finanziario<br />

nazionale, come dimostrato da<br />

efficaci operazioni investigative,<br />

che hanno coinvolto allo<br />

stesso modo clan sanguinari<br />

della Sacra corona e direttori<br />

di filiali di importanti istituti<br />

di credito. Mediante l’acquisto<br />

di certificati di deposito al portatore<br />

da parte di prestanome,<br />

e con il necessario apporto di<br />

compiacenti dirigenti bancari,<br />

le organizzazioni contrabbandiere<br />

riuscivano a immettere<br />

nel circuito economico “enormi


quantità di denaro in contante<br />

e in titoli al portatore, in violazione<br />

costante della normativa<br />

antiriciclaggio”. Falle aperte<br />

anche nel sistema bancario<br />

dunque, attraverso cui poter<br />

riversare incalcolabili profitti<br />

di svariate attività illecite,<br />

con la diretta collaborazione<br />

dei “colletti bianchi”. E questa<br />

commistione legale-illegale, di<br />

capitali illeciti e finanziamento<br />

pubblico, ha prodotto economie<br />

ibride sulle quali lo Stato<br />

stesso fonda la sua solidità<br />

economica.<br />

Il massiccio e accertato investimento<br />

delle organizzazioni<br />

criminali, non solo di quella<br />

pugliese, in Buoni del Tesoro,<br />

certamente idonei a cancellare<br />

la provenienza illecita dell’investimento,<br />

delinea sequenze<br />

paradossali che partono da<br />

attività criminali i cui profitti<br />

vanno poi a finanziare il debito<br />

pubblico dello Stato, le cui<br />

risorse economiche sono, si è<br />

visto, di importanza strategica<br />

per la sopravvivenza stessa<br />

delle consorterie criminali più<br />

evolute.<br />

Analisi di una sconcertante<br />

lucidità, quasi a sottolineare,<br />

ancora una volta, «l’impossibilità<br />

in una terra mafiosa di<br />

separare l’economia legale da<br />

quella illegale».<br />

Se pochi sono i profili di specialità<br />

nell’attività di riciclaggio<br />

riguardante la Sacra corona<br />

unita rispetto a quanto generalmente<br />

riscontrato per le altre<br />

organizzazioni criminali, un<br />

approfondimento merita, però,<br />

lo stretto rapporto che intercorre<br />

tra attività di contrabbando<br />

prima, “ripulitura” di capitali<br />

illeciti poi, prestando particolare<br />

attenzione alle specificità<br />

dell’ambito spazio-temporale<br />

in cui la Scu si è trovata (e si<br />

trova tuttora) ad operare.<br />

Che il contrabbando e la criminalità<br />

organizzata mostrino<br />

reciproci e organici collegamenti<br />

è oramai stato detto più<br />

volte, così come è stato detto<br />

che i tipici canali (geografici e<br />

finanziari) percorsi dai contrabbandieri<br />

sono allo stesso modo<br />

utilizzati per il compimento di<br />

altre attività illecite (traffico di<br />

droga, armi, immigrazione clandestina),<br />

rendendo dunque par<br />

ticolarmente appetibile l’attività<br />

di contrabbando. Postulato di<br />

non poco conto, a cui occorre<br />

aggiungere la considerazione,<br />

anch’essa già precedentemente<br />

espressa, che ogni forma<br />

di associazionismo criminale<br />

che abbia una certa capacità<br />

operativo-gestionale sia legata<br />

a stretto filo con i profili patrimoniali<br />

della gestione stessa, e<br />

necessiti di un’attività finanziaria<br />

che permetta di estinguere<br />

l’origine illecita dei capitali,<br />

rendendoli nuovamente spendibili<br />

all’interno del circuito<br />

economico. Ben si comprende<br />

allora, ed è questa la riflessione<br />

che pervade l’intera trattazione,<br />

come sia difficile porre su piani<br />

diversi le due attività illecite,<br />

il contrabbando e il riciclaggio,<br />

astrarre l’una dall’altra in<br />

maniera asettica e artificiosa,<br />

e non ricondurle piuttosto ad<br />

uno stesso trail criminale, in<br />

particolar modo con riferimento<br />

ai disegni criminosi della Scu<br />

nei decenni scorsi.<br />

Un irrefrenabile e spasmodico<br />

movimento di tabacchi e capitali,<br />

tanto che distinguere gli<br />

uni dagli altri non è quasi mai<br />

possibile. Troppo rapida è la<br />

concretizzazione capitalistica<br />

dell’attività di contrabbando,<br />

e quasi gli stessi sono i canali<br />

59 | settembre 2012 | narcomafie<br />

per i quali si muovono prima<br />

le “bionde”, un attimo dopo<br />

gli ingenti profitti, subito fagocitati<br />

nei circuiti economici<br />

e reinvestiti.<br />

Ne risulta di fatto un continuum<br />

tra attività che dogmaticamente<br />

(e su un piano necessariamente<br />

sistematico) sono classificate<br />

in termini giuridicamente diversi,<br />

e che nella realtà delle<br />

organizzazioni criminali più<br />

complesse, almeno quelle dedite<br />

(anche) al contrabbando,<br />

sono riconducibili al medesimo<br />

piano, globale e unitario<br />

allo stesso tempo. Consorterie<br />

criminose, traffico di “bionde”<br />

e riciclaggio di denaro sporco<br />

rappresentano paradigmi e regole<br />

di uno stesso gioco perverso<br />

e inarrestabile, capace di capitalizzare<br />

all’infinito i sempre<br />

crescenti guadagni dell’indotto<br />

del contrabbando.<br />

Al centro di questo vortice,<br />

definito da alcuni «capitalismo<br />

d’azzardo», troviamo una<br />

sola protagonista, incontrastata:<br />

la Sacra corona unita, assurta<br />

per anni a un grado di “pari<br />

dignità” rispetto alle altre e<br />

più temibili mafie regionali,<br />

divenuta con il contrabbando<br />

vera “multinazionale” del<br />

crimine. Il Salento, ma in particolar<br />

modo la provincia di<br />

Brindisi, diviene lo stigma più<br />

evidente dell’attacco all’economia<br />

legale sferrato dalla stessa<br />

criminalità salentina con la<br />

compravendita frenetica di<br />

sigarette di contrabbando, una<br />

terra che si intinge di illecito<br />

fin nelle viscere più profonde,<br />

nell’economia anche più<br />

modesta; ancora oggi, le ultime<br />

statistiche rilevano come<br />

l’economia della Provincia di<br />

Brindisi sia tra le più permeate<br />

dalla criminalità organizzata.<br />

Sacra corona unita


altarisoluzione<br />

Rap<br />

anticamorra<br />

Nei territori della provincia a nord di Napoli<br />

in particolare tra Casoria e Casavatore<br />

si sommano quasi centomila abitanti. In<br />

piena estate da queste parti, verso la fine<br />

di giugno, si è consumato l’ennesimo<br />

omicidio di camorra, vittima il titolare di<br />

un bar a largo San Mauro, zona del centro<br />

storico. Il barista, incensurato, è finito<br />

per errore sotto i colpi dei sicari. Dopo<br />

quest’episodio c’è stata una fiaccolata, a<br />

cui hanno partecipato centinaia di persone;<br />

in zona sono inoltre aumentati i controlli<br />

e i posti di blocco da parte dei carabinieri.<br />

Da questi territori provengono Vincenzo e<br />

Marcello, due ragazzi di 16 anni, entrambi<br />

con la stessa passione: la musica rap, una<br />

cultura che da queste parti ti aiuta a crescere<br />

diversamente e con determinati valori<br />

nonché a stare fuori da certi meccanismi<br />

come la microcriminalità e la delinquenza<br />

giovanile. A proposito dell’appartenenza<br />

al territorio ecco come esordisce uno dei<br />

due ragazzi: «Per me vivere in questi<br />

territori vuol dire ogni giorno affrontare<br />

mille situazioni, positive o negative che<br />

siano. Vivere nella periferia di una città,<br />

significa doversi impegnare già da piccoli<br />

per costruire il proprio futuro».<br />

Vincenzo, il primo dei due ragazzi, nasce<br />

Foto e testo di Gaetano Massa<br />

60 | lsettembre 2012 | narcomafie


61 | lsettembre 2012 | narcomafie


altarisoluzione<br />

come breaker, ogni domenica si allena<br />

sotto i portici della villa comunale.<br />

Successivamente si dedica anche alla<br />

produzione di beat e a scrivere rime, tra le<br />

sue collaborazioni possiamo menzionare<br />

quella con alcuni artisti del Bronx e un<br />

album con il suo gruppo “Trust Back”, con<br />

il quale hanno già partecipato a diversi<br />

concerti anticamorra. «Suonare ad un<br />

concerto anticamorra è una bellissima<br />

esperienza perché ti fa sentire parte di<br />

un movimento che lotta per una giusta<br />

causa e in tal modo si possono svegliare le<br />

coscienze di qualcuno stanco ormai della<br />

sudditanza all’organizzazione». Marcello<br />

invece nasce come grafico, attualmente fa<br />

parte del team del rapper americano del<br />

Queens: Kool G Rap, nel settore promo/<br />

marketing. Inoltre ha curato la cover<br />

dell’album ufficiale “H.N.I.C. 3” di un altro<br />

pezzo grosso statunitense proveniente dal<br />

Queensbridge, Prodigy dei Mobb Deep,<br />

ufficialmente in vendita dal 3 luglio, distribuito<br />

dalla Sony. Attualmente i ragazzi<br />

sono impegnati come volontari in campi<br />

scuola estivi organizzati dall’oratorio nei<br />

quali si organizzano giochi, attività sportive,<br />

questionari e dibattiti sulla legalità.<br />

«L’educazione alla legalità è una cosa<br />

importantissima perché fornisce alternative<br />

ai ragazzi, talvolta provenienti<br />

da situazioni disagiate, spiegando loro<br />

che esistono vie alternative e migliori<br />

della criminalità».<br />

62 | settembre 2012 | narcomafie


63 | settembre 2012 | narcomafie


a cura di Stefania Bizzarri<br />

rassegna stampa internazionale<br />

Mafia o<br />

non mafia?<br />

Marsiglia Nelle ultime setti-<br />

mane, nella città portuale più<br />

importante della Francia si<br />

sono moltiplicati i regolamen<br />

ti di conti tra membri della<br />

malavita. Sedici gli agguati<br />

mortali dall’inizio dell’anno.<br />

Una violenza regolare, le cui<br />

cifre (33 omicidi nel 2011;<br />

32 nel 2010) sgretolano lo<br />

stereotipo dell’eterna recrude<br />

scenza e gettano interrogativi<br />

sulla reale natura criminale<br />

di Marsiglia. L’ultimo caso,<br />

agli inizi di agosto, quello di<br />

un uomo di 25 anni, ucciso<br />

da una raffica di kalashnikov<br />

nelle strade del sobborgo po<br />

polare di Lauriers. La vitti<br />

ma era considerata un sodale<br />

della nascente generazione<br />

dei caïds de cités, cosiddetti<br />

“capi quartiere”, che secondo<br />

64 | settembre 2012 | narcomafie<br />

gli inquirenti sono a capo del<br />

narcotraffico nell’area. La capitale<br />

del Sud – così è definita<br />

Marsiglia – è da sempre il<br />

crocevia tra Spagna e Italia<br />

per i traffici di stupefacenti.<br />

Le droghe entrano nella penisola<br />

iberica e rimontano via<br />

camion per essere distribuite<br />

a Marsiglia. Da lì proseguono<br />

sull’asse del Rodano o verso<br />

Milano, «capitale del mercato<br />

di droga in Europa».<br />

Il processo<br />

del secolo<br />

Brasilia «Un processo non ha<br />

razza, non ha colore, né partito<br />

politico. Ha prove o non<br />

le ha, e questo non le ha». È<br />

quanto ha sostenuto José Luis<br />

de Oliveira, difensore dell’ex<br />

ministro della “Casa Civil”<br />

(sorta di sottosegretariato alla<br />

presidenza del Consiglio dei<br />

ministri, ndr) José Dirceu, di<br />

fronte al Supremo tribunale<br />

federale di Brasilia durante<br />

quello che è già stato definito<br />

il “processo del secolo”, vale<br />

a dire il più grave scandalo di<br />

corruzione politica della storia<br />

recente del Brasile. Dirceu,<br />

tra gli uomini più influenti del<br />

primo mandato del governo di<br />

Luiz Inácio Lula da Silva, di<br />

cui fu stretto collaboratore, è<br />

accusato di essere il “capo” di<br />

una banda criminale che ha<br />

dirottato ingenti somme dalle<br />

casse dello Stato per finanziare<br />

la campagna del Partito dei


lavoratori (Pt, al potere da<br />

un decennio) e corrompere<br />

decine di parlamentari per<br />

ottenerne il voto su progetti<br />

di legge promossi dall’esecutivo.<br />

Secondo de Oliveira,<br />

le accuse a carico dell’ex ministro<br />

– solo uno dei 38 imputati<br />

chiamati a rispondere<br />

per lo stesso scandalo – non<br />

avrebbero fondamento. Per<br />

l’avvocato non ci sarebbe mai<br />

stata una “compravendita di<br />

voti”. L’intervento della difesa<br />

segue quello del procuratore<br />

generale Roberto Gurgel<br />

che ha aperto il processo denunciando<br />

il «più audace e<br />

scandaloso caso di corruzione<br />

e di dirottamento dei fondi<br />

pubblici scoperto in Brasile».<br />

Gurgel ha chiesto per 36 dei<br />

38 imputati – primo fra tutti<br />

Dirceu – «una pena proporzionale<br />

all’enorme gravità dei<br />

reati», risparmiando solo l’ex<br />

ministro dell’Informazione<br />

Luiz Gushiken e l’ex dirigente<br />

del disciolto Partito Liberale,<br />

Antonio Lamas, per mancanza<br />

di prove.<br />

Il fallimento<br />

della “mano<br />

dura”<br />

Tegucigalpa La cosiddetta politica<br />

della “mano dura”, adottata<br />

da tempo contro la criminalità<br />

in diversi paesi dell’America<br />

Latina, non ha fatto altro che<br />

aumentare la violenza, limitando<br />

di fatto i piani di prevenzione<br />

e favorendo la nascita<br />

di “squadroni della morte”. Lo<br />

denunciano due rapporti stilati<br />

dalle Nazioni Unite e dall’Organizzazione<br />

degli Stati ameri-<br />

cani (Osa), che documentano il<br />

fallimento di misure repressive<br />

come l’abbassamento dell’età<br />

minima per la punibilità di alcuni<br />

reati o la militarizzazione<br />

del territorio.<br />

«La mancanza di un’adeguata<br />

risposta dello Stato di fronte<br />

alla violenza e al crimine ha<br />

portato alla stigmatizzazione<br />

di persone o gruppi favorendo<br />

l’apparizione di gruppi di “pulizia<br />

sociale” come squadroni<br />

della morte o paramilitari», si<br />

legge nel documento dell’Onu<br />

dal titolo “Sicurezza cittadina e<br />

diritti umani”. Presentando gli<br />

studi a Tegucigalpa, la relatrice<br />

per i diritti dell’infanzia della<br />

Commissione interamericana<br />

dei diritti umani, la paraguayana<br />

Rosa María Ortiz, ha deplorato<br />

il fatto che la regione, e<br />

in particolare il triangolo nord<br />

del Centroamerica (Honduras,<br />

El Salvador e Guatemala) «registra<br />

gli indici di criminalità<br />

più alti del mondo». Mentre la<br />

media mondiale di omicidi è<br />

pari a 8 ogni 100mila abitanti,<br />

ha ricordato, in America Latina<br />

oscilla fra 20 e 30 e «in sette casi<br />

su dieci le vittime di omicidi<br />

sono i giovani». «La violenza –<br />

ha aggiunto Ortiz – può e deve<br />

essere invertita cominciando<br />

con il garantire gli standard<br />

di protezione che richiedono<br />

le categorie di persone in stato<br />

di particolare vulnerabilità,<br />

come i bambini e gli adolescenti».<br />

La “mano dura” ha<br />

“aggravato il problema” con<br />

l’aumento dell’intolleranza e<br />

le restrizioni alle libertà individuali,<br />

ha insistito da parte sua<br />

il consigliere per i diritti umani<br />

dell’Onu in Honduras, Antonio<br />

Maldonado, sottolineando la<br />

«necessità urgente» di puntare<br />

sulla prevenzione.<br />

65 | settembre 2012 | narcomafie<br />

Una nuova<br />

Bolivia?<br />

La Paz Un milione di boliviani<br />

è uscito dalla povertà<br />

dal gennaio 2006 a oggi grazie<br />

alle politiche sociali promosse<br />

dal governo del presidente Evo<br />

Morales: un successo che il<br />

presidente di origini indigene<br />

ha rivendicato nella Giornata<br />

dedicata alla “rivoluzione<br />

agraria e comunitaria” parlando<br />

dalla capitale legalislativa<br />

Sucre (sud-est della capitale<br />

La Paz).<br />

Morales ha detto che 600mila<br />

boliviani residenti nelle aree<br />

rurali sono usciti dalla condizione<br />

di “povertà estrema”<br />

e altri 400mila che versavano<br />

in “povertà moderata” hanno<br />

migliorato la loro situazione<br />

economica. In termini globali,<br />

dall’inizio del mandato di<br />

Morales, nel 2006, al 2011, la<br />

povertà si è ridotta passando dal<br />

62 al 43%. «Questo processo è<br />

un cammino senza ritorno, ma<br />

continuiamo ad avere una gran-<br />

de responsabilità con i settori<br />

più emarginati» ha aggiunto il<br />

presidente, la cui popolarità attraversa<br />

un momento difficile a<br />

causa di numerosi e persistenti<br />

conflitti sociali.<br />

Il governo attribuisce parte<br />

del merito alla nuova politica<br />

agraria entrata in vigore nel<br />

2006 che riconosce i territori<br />

indigeni e i diritti dei nativi a<br />

utilizzarli per le coltivazioni e<br />

la produzione di alimenti.<br />

Il ministro dell’Economia e<br />

delle Finanze, Luis Arce, ha<br />

citato i programmi mirati a ridurre<br />

l’abbandono scolastico, a<br />

sradicare la mortalità materna e<br />

i sussidi destinati agli anziani.<br />

«Ci manca ancora molto da<br />

fare – ha dichiarato Arce – per<br />

quello continueremo a portare<br />

avanti politiche che mostrano<br />

risultati positivi».<br />

Ad attribuire meriti alla presidenza<br />

Morales anche un sondaggio,<br />

pubblicato lo scorso 22<br />

agosto, che evidenzia come il<br />

45% degli interrogati ritenga<br />

che l’attuale classe dirigente<br />

politica sia la meno corrotta<br />

del Paese rispetto a quelle anteriori.


Nigeria, sale<br />

il consumo<br />

Lagos Da nazione strategica<br />

per lo smistamento della droga<br />

proveniente dal Sud America e<br />

destinata alle nazioni europee, la<br />

Nigeria si sta trasformando sempre<br />

di più velocemente in paese<br />

di consumatori di stupefacenti.<br />

Lo denuncia l’Agenzia nazionale<br />

per il contrasto al narcotraffico<br />

(Ndlea), affermando di aver<br />

sequestrato nei primi sei mesi<br />

del 2012 circa 1,3 tonnellate di<br />

marijuana, 17 quintali di cocaina,<br />

nove quintali di eroina, tutti<br />

destinati al consumo interno per<br />

un valore complessivo di oltre<br />

60 milioni di euro. Nel primo<br />

semestre dell’anno sono stati<br />

arrestati quasi 10mila trafficanti<br />

di droga: «Prima il consumo di<br />

stupefacenti era molto basso in<br />

Nigeria, ma adesso sta diventando<br />

una vera e propria epidemia»,<br />

hanno detto i responsabili della<br />

Ndlea commentando i dati.<br />

Albania,<br />

les jeux<br />

sont faits<br />

Tirana I giochi sono fatti: la lotteria<br />

nazionale albanese è stata privatizzata.<br />

Il vincitore è l’austriaca<br />

Osterreichische Lotterien, ma le<br />

recriminazioni nel Paese delle<br />

Aquile crescono. Direttamente<br />

messo in causa il ministro delle<br />

Finanze, Ridvan Bode, sospettato<br />

di non aver rispettato il mercato<br />

della concorrenza e di intrattenere<br />

legami “poco trasparenti”<br />

con il gruppo di imprenditori<br />

di giochi e scomesse viennese.<br />

Due soltanto i candidati ammessi<br />

alla gara: un consorzio composto<br />

da Lottomatica (Italia), Gtech<br />

(Chypro) e Synot (Rep. Ceca)<br />

e la vincitrice austrica. Scartate<br />

la compagnia greca Intralot<br />

e la turca Inteltek, accusatrici,<br />

ora, del governo. A loro detta il<br />

vincitore era già scelto in partenza,<br />

perché tra i criteri di scelta<br />

richiesti – sorprendentemente<br />

– non compariva il prezzo della<br />

prestazione.<br />

Anche l’opposizione politica ha<br />

chiesto l’apertura di un’inchesta<br />

sulle procedure seguite, chiamando<br />

direttamente in causa il<br />

ministro delle Finanze albanese<br />

accusato di voler privilegiare i<br />

“suoi clienti”. Lo scorso agosto,<br />

Edi Rama, capo del partito socialista,<br />

ha scritto al cancelliere<br />

austriaco, Werner Fayman, per<br />

denunciare che le modalità con<br />

cui Osterreichische Lotterien ha<br />

risposto all’offerta erano irregolari.<br />

Il ministro Bode, per pacificare<br />

gli animi di chi dichiarava che da<br />

questa privatizzazione gli albanesi<br />

non avrebbero tratto alcun beneficio,<br />

ha risposto all’opposizione<br />

che la compagnia verserà allo<br />

Stato il 10% dei profitti, oltre alla<br />

normale tassazione e alle imposte<br />

che le saranno richieste annualmente.<br />

Secondo gli esperti fiscali<br />

dell’opposizione è un inganno:<br />

negli altri paesi, lo Stato recupera<br />

fino all’80% dei guadagni generati<br />

dal gioco d’azzardo.<br />

66 | settembre 2012 | narcomafie<br />

Londra, sola<br />

andata per<br />

la schiavitù<br />

Budapest «Origo», testata ungherese,<br />

ha documentato la<br />

storia di alcuni connazionali<br />

riusciti a scappare dopo anni di<br />

segregazione dal giogo di una<br />

famiglia di mafiosi anch’essa<br />

ungherese. La vicenda è avvenuta<br />

nel Regno Unito, dove la rete<br />

dei criminali è radicata ed in<br />

grado di reclutare connazionali,<br />

allettati da promesse di lavoro.<br />

L’obiettivo è, invece, quello di<br />

sottrarre loro documenti per<br />

costringerli al lavoro forzato<br />

e nel contempo acquisirne<br />

l’identità per far aprire linee<br />

di credito con banche e prelevare<br />

redditi e assegni sociali.<br />

«La polizia non arriverà mai<br />

ai vertici della filiera. Questa<br />

famiglia è potente e i capi sono<br />

truffatori di grosso calibro», ha<br />

affermato una vittima, scappata<br />

da Londra. «Origo» ha potuto<br />

parlare con 5 persone che hanno<br />

vissuto in diverse città inglesi<br />

sotto controllo della famiglia<br />

ungherese. Tutti hanno raccontato<br />

che i reclutatori operano in<br />

patria e si rivolgono a soggetti<br />

deboli, in prevalenza “senza<br />

tetto”. L’ampiezza dell’affare è<br />

considerevole: ogni mese nel<br />

Regno Unito farebbero arrivare<br />

gruppi di 10-15 persone. Le<br />

vittime hanno paragonato la<br />

rete a una tela di ragno, in cui<br />

il capo è conosciuto solo con<br />

un soprannome. «Una decina<br />

di membri della famiglia è sufficiente<br />

per dirigere il sistema.<br />

Crediamo siano a Londra da<br />

parecchio tempo perché i più<br />

giovani parlano meglio inglese<br />

dell’ungherese», hanno aggiunto.<br />

Dopo il 2004, con l’adesione<br />

dell’Ungheria all’Ue, il mercato<br />

del lavoro britannico si è aperto<br />

per i cittadini dell’Est Europa.<br />

Da allora, ottenendo la National<br />

Insurance Card (tessera di<br />

assicurazione sociale) sotto determinate<br />

condizioni, questi<br />

ultimi hanno diritto alle stesse<br />

prestazioni degli inglesi (casa e<br />

assegno disoccupazione).<br />

Le vittime hanno affermato<br />

che le attività della rete non si<br />

limitano solo al Regno Unito,<br />

ma che la banda ha contatti in<br />

Francia, Belgio e Spagna.<br />

Come è possibile che la polizia<br />

di “Sua Maestà” non si sia<br />

accorta di nulla? Interrogati<br />

sul fatto, due ex ufficiali della<br />

Metropolitan Police hanno affermato<br />

che nei casi di tratta di<br />

esseri umani è molto difficile<br />

condurre le indagini perché senza<br />

testimonianze delle vittime,<br />

non si riesce ad avere elementi<br />

oggettivi. «E spesso queste<br />

testimonianze sono lacunose.<br />

Inoltre la cooperazione con gli<br />

Stati interessati è molto complicata.<br />

Spesso gli investigatori<br />

investono anni di indagini non<br />

coronate dal successo. Ecco<br />

perché la polizia non c’investe»,<br />

ha ammesso Bernie Gravett,<br />

che non esita a nascondere che:<br />

«La tratta umana non figura al<br />

momento tra le priorità della<br />

polizia britannica».


Scontri tra esercito e Farc<br />

Foto di Simone Bruno<br />

67 | settembre 2012 | narcomafie<br />

È ancora<br />

guerra<br />

Un conflitto invisibile, dimenticato e ignorato dagli stessi<br />

colombiani. Solo eventi eccezionali come la prigionia di un<br />

giornalista francese ricordano che la narcoguerriglia tra governo,<br />

rivoluzionari e contrabbandieri miete vittime oggi come<br />

in passato. La sola differenza è la certezza del fallimento della<br />

guerra contro la droga<br />

di Guido Piccoli


Nonostante il<br />

dolore, il reporter<br />

continua a filmare<br />

mentre i guerriglieri<br />

avanzano metro<br />

dopo metro.<br />

Poi, decide<br />

di togliersi<br />

casco e giubbotto<br />

antiproiettile<br />

e di consegnarsi<br />

a loro<br />

Ci voleva la cattura e la conseguente<br />

prigionia per qualche<br />

settimana di un giornalista straniero<br />

per ricordare al mondo che<br />

in Colombia continuano due<br />

fenomeni che l’hanno marcata<br />

a fuoco nel recente passato, il<br />

conflitto interno e il narcotraffico<br />

internazionale. Il primo vede le<br />

forze armate istituzionali (più di<br />

mezzo milione tra militari, professionisti<br />

e di leva, e poliziotti:<br />

un record per l’America Latina)<br />

combattere poco più di diecimila<br />

guerriglieri delle due formazioni<br />

sopravvissute nei decenni (le<br />

Farc e in minima parte l’Eln, di<br />

cui si avverte l’esistenza solo<br />

quando, di tanto in tanto, viene<br />

eliminato, grazie alla tecnologia<br />

messa a disposizione dalle varie<br />

basi Usa dislocate nel paese,<br />

qualche leader ribelle): la notizia<br />

dei combattimenti quotidiani,<br />

così come le carneficine o le<br />

esecuzioni lontano dai campi<br />

di battaglia, travalicano di rado<br />

i confini regionali, conquistando<br />

appena qualche trafiletto nei<br />

giornali della capitale Bogotà e<br />

non meritando mai una diffusione<br />

internazionale. Il narcotraffico<br />

colombiano invece – morti o<br />

sepolti in carcere i grandi capi e<br />

tramontati i loro sogni di carriera<br />

politica – ha generato una sorta<br />

di tacita rassegnazione per il<br />

suo intatto potere commerciale,<br />

mentre per ciò che riguarda il suo<br />

aspetto spettacolare è stato soppiantato<br />

dall’orrore e la potenza<br />

dimostrati dai narcos messicani.<br />

Sono solo loro, degni eredi di<br />

Pablo Escobar, a fare notizia.<br />

Comincia la battaglia. Nei giorni<br />

del vertice dei paesi americani<br />

a Cartagena, due freelance, uno<br />

francese e l’altro italiano, propongono<br />

di realizzare un video di<br />

pochi minuti per il telegiornale<br />

68 | settembre 2012 | narcomafie<br />

di «France 24» sulla realtà della<br />

guerra alla droga. Per renderlo<br />

più efficace, chiedono ed ottengono<br />

dai vertici dell’esercito<br />

nazionale di partecipare<br />

a un operativo in una zona di<br />

guerra, di coltivazioni di coca<br />

e di laboratori di cocaina, nella<br />

regione amazzonica del Caquetà.<br />

L’attesa si prolunga oltre le previsioni.<br />

Uno dei due, l’italiano,<br />

per impegni di lavoro torna a<br />

Bogotà. All’alba del giorno dopo,<br />

dà l’ok il comando della brigata<br />

anti-narcos con base a Larandia,<br />

vicino a Florencia. Il giornalista<br />

francese s’imbarca su un elicottero<br />

da combattimento, che dopo<br />

qualche decina di minuti di volo<br />

radente sulla foresta atterra in<br />

prossimità di una baracca che<br />

si sospetta serva come laboratorio<br />

di raffinazione della coca. I<br />

soldati vi trovano un contadino<br />

con la sua famiglia, ci sono taniche<br />

di acetone e benzina: è un<br />

laboratorio di coca da bruciare. Il<br />

materiale filmato basterebbe per<br />

il video di «France 24». Ma c’è<br />

un altro obiettivo da raggiungere.<br />

L’elicottero riscende per imbarcare<br />

un’altra volta il gruppo. In<br />

zona più a ovest, nei pressi della<br />

località Peneya, non tutti sono<br />

concordi col buon esito della<br />

missione e il tranquillo lavoro<br />

del reporter. Appena sbarcati<br />

dall’elicottero, comincia la sparatoria.<br />

Dopo una breve pausa,<br />

il gruppo di soldati è circondato<br />

dai guerriglieri. La battaglia riprende<br />

per ore fino a terminare<br />

con un bilancio pesante: diciannove<br />

soldati uccisi secondo la<br />

guerriglia, quindici secondo<br />

una dichiarazione a caldo del<br />

comandante dell’esercito Alejandro<br />

Navas, cinque secondo il<br />

definitivo comunicato ufficiale.<br />

Anche il giornalista francese<br />

viene ferito ad un braccio. Se<br />

la pallottola gli fosse entrata<br />

qualche centimetro a destra gli<br />

avrebbe spaccato il cuore, com’è<br />

capitato qualche attimo prima<br />

ad uno dei due militari che gli<br />

stava vicino, il sergente Cortés.<br />

Nonostante il dolore, il reporter<br />

continua a filmare mentre i<br />

guerriglieri avanzano metro dopo<br />

metro. Poi, decide di togliersi il<br />

casco e il giubbotto antiproiettile,<br />

di rannicchiarsi dietro un<br />

cespuglio e di consegnarsi ai<br />

guerriglieri. Quelli che sarebbero<br />

dovuti essere due-tre minuti per<br />

il tg di «France 24» diventano<br />

un’eccezionale testimonianza<br />

della guerra in Colombia.<br />

Una giornata particolare. I<br />

tre quarti d’ora del reportage<br />

realizzato da Romeo Langlois,<br />

che raccontano meglio e più di<br />

qualunque altro saggio o reportage<br />

la realtà della guerra e del<br />

narcotraffico in Colombia sono<br />

visibili, in una prima versione,<br />

all’indirizzo http://www.france24.com/en/romeo-langloiscolombia-farc-caught-crossfire.<br />

La “giornata particolare” del<br />

giornalista francese comincia<br />

quand’è ancora buio. I soldati,<br />

armati ed equipaggiati, fanno<br />

la fila per salire su uno dei due<br />

elicotteri che li porteranno sugli<br />

obiettivi. «Capitano, correremo<br />

dei pericoli?» chiede Romeo.<br />

«Abbastanza, perché la zona è<br />

controllata dal 15° fronte delle<br />

Farc. Possiamo diventare bersaglio<br />

dei terroristi» risponde il<br />

giovane capitano Gomez, visibilmente<br />

emozionato: non deve avere<br />

molta esperienza di battaglie.<br />

Con una quarantina di soldati<br />

viaggia un cane anti-droga, l’unico<br />

che appare felice. «Arrivando<br />

all’alba cerchiamo di prenderli<br />

di sorpresa. L’obiettivo generale<br />

è quello di tagliare le fonti di


finanziamento dei terroristi»,<br />

spiega il capitano Gomez. Alle<br />

5.52 lo sbarco. Il cielo è indaco.<br />

L’ultimo militare fa appena in<br />

tempo a buttarsi sull’erba che<br />

l’elicottero riprende quota: è un<br />

bersaglio facile e straordinario<br />

per i ribelli. Il presunto laboratorio<br />

è a meno di cento metri. I<br />

soldati gli si avvicinano correndo<br />

a zig-zag e con i mitra pronti a<br />

sparare. «Uscite!» grida concitato<br />

il capitano. Dalla baracca<br />

appare un uomo giovane, che<br />

si stropiccia gli occhi. Non è un<br />

bel risveglio per lui. «Siamo del<br />

primo battaglione anti-narcotici.<br />

Ci permette una perquisizione?»,<br />

chiede Gomez. La consapevolezza<br />

di essere ripreso rende i suoi<br />

modi sicuramente più gentili.<br />

Lui, come gli altri soldati, ha il<br />

fiatone, non solo per la corsa.<br />

Quando dalla baracca esce una<br />

donna con vari figlioletti, l’atmosfera<br />

si fa più rilassata. In un<br />

attimo il cane individua i fusti<br />

con le foglie di coca macerate.<br />

«Quando sono venuti i banditi<br />

l’ultima volta?». L’uomo dice<br />

di non sapere niente. «A chi<br />

vende la pasta di coca?». Ormai<br />

rassegnato, l’uomo ammette di<br />

portarla al mercato di San Isidro,<br />

lontano chilometri, dove abbondano<br />

gli acquirenti. Il capitano<br />

spiega a Romeo che la pasta di<br />

coca trasformata in cocaina viene<br />

venduta, attraverso le Farc, ai<br />

trafficanti dell’interno del paese<br />

o della costa pacifica. «Perché fai<br />

questo lavoro?», chiede Romeo<br />

al contadino. «La “coquita” – risponde<br />

il contadino, usando un<br />

vezzeggiativo – è l’unico prodotto<br />

che posso vendere. La strada<br />

è pessima e non riesco a portare<br />

al mercato la yucca, le banane<br />

o le altre cose che coltivo». Poi<br />

rivolge la disperata preghiera<br />

al capitano di non bruciare la<br />

baracca. Niente da fare. Il cielo,<br />

dove stanno filtrando tra le<br />

nuvole i primi raggi del sole,<br />

s’illumina al rogo del laboratorio<br />

artigianale. Il capitano si mette<br />

al telefono per richiamare gli elicotteri.<br />

«Ce ne andiamo subito?»<br />

chiede Romeo. «È preferibile per<br />

ragioni di sicurezza» gli risponde<br />

il sergente Cortés. Un soldato<br />

lancia una bomba segnalatrice:<br />

la nuvola blu indica il posto dove<br />

gli elicotteri possono atterrare.<br />

I soldati vi salgono di corsa. Al<br />

contadino è stata probabilmente<br />

sequestrata la carta d’identità.<br />

Ma quello che più gli costa è<br />

che, in pochi minuti, ha perso la<br />

casa, per sé e la famiglia, e l’unica<br />

attività che, pure se illegale,<br />

gli permetteva di campare. «Il<br />

secondo obiettivo è più complicato»<br />

annuncia il capitano.<br />

Le immagini dall’elicottero con<br />

la canna della mitragliatrice in<br />

primo piano ricordano il Vietnam.<br />

All’interno la cinepresa<br />

si ferma sul volto del sergente<br />

Gomez. La voce fuori campo<br />

anticipa che quello sarà il suo<br />

ultimo giorno di vita. Appena<br />

scesi sul secondo obiettivo –<br />

alcune baracche che, secondo<br />

le informazioni in possesso del<br />

capitano, formerebbero un laboratorio<br />

di raffinazione della coca<br />

– iniziano le raffiche. Romeo si<br />

butta a terra come gli altri soldati.<br />

Il capitano Gomez, sempre più<br />

agitato, annuncia l’inizio del<br />

combattimento ai piloti degli elicotteri,<br />

che hanno già decollato,<br />

e al suo superiore, un colonnello<br />

della base di Larandia. La pattuglia<br />

si rifugia nella boscaglia.<br />

«Ci possono essere delle mine,<br />

capitano?» chiede Romeo. «Si,<br />

perciò passiamo tutti sullo stesso<br />

sentiero» risponde Gomez. Il<br />

primo soldato del drappello non<br />

dev’essere molto felice di fare<br />

69 | settembre 2012 | narcomafie<br />

da apripista. Gli spari cessano.<br />

La prima baracca è un presunto<br />

vecchio laboratorio. Nella seconda<br />

appaiono una donna e vari<br />

bambini. «Per la sicurezza sua e<br />

dei suoi figli non uscite di casa»,<br />

capitan Gomez sembra recitare<br />

un copione. Poi, sulla stradina ar<br />

riva gente su moto e camioncini.<br />

Vengono tutti perquisiti sotto tiro<br />

di vari mitra. Nessuno dà notizie<br />

della guerriglia. Al telefono suggeriscono<br />

al capitano di offrire<br />

loro dei soldi. Ma non c’è tempo<br />

per iniziare le trattative. Dalla<br />

boscaglia ricominciano a spara-<br />

re. E stavolta non smettono.«Ci<br />

stanno circondando», grida il<br />

capitano, che ordina per telefono<br />

di non rispondere al fuoco per<br />

evitare di essere individuati.<br />

Il gruppo spera nell’appoggio<br />

aereo, ma le nuvole e soprattutto<br />

l’intensità del fuoco guerrigliero<br />

impedisce ai due elicotteri di<br />

abbassarsi. Romeo rimane con<br />

il sergente Cortes e qualche altro<br />

soldato. Gli spari da parte dei<br />

ribelli sono sempre più intensi.<br />

Il giornalista trova il tempo per<br />

chiedere al sergente che cosa<br />

pensa del suo lavoro. «È come<br />

tutti gli altri». Il giornalista gli<br />

chiede se la pensi così anche la<br />

sua famiglia. «Ovviamente no.<br />

A loro non piace, per i rischi che<br />

corro», gli risponde tranquillo.<br />

Gli spari aumentano ancora e<br />

si fanno sempre più vicini. Il<br />

sergente comunica per telefono<br />

al capitano di essere circondato.<br />

«Chiedo rinforzi, si stanno<br />

avvicinando, arrivano da tutti i<br />

lati». Poi raccomanda a Romeo di<br />

ripararsi in una fossa del terreno.<br />

I guerriglieri sono ormai a una<br />

cinquantina di metri. Alcune<br />

raffiche prendono in pieno i militari.<br />

Il sergente Cortés crolla<br />

senza un grido. Chi non può fare<br />

a meno di urlare è Romeo, colpito<br />

Nel parlamento<br />

colombiano<br />

si discute<br />

un progetto<br />

di legge teso<br />

a depenalizzare<br />

la coltivazione<br />

delle piantagioni<br />

base per gli<br />

stupefacenti


«La guerra contro<br />

la droga ha fallito.<br />

L’America Latina<br />

continua ad essere<br />

orfana di una<br />

strategia regionale<br />

riguardo<br />

l’economia illegale<br />

delle droghe»<br />

ad un braccio. L’obiettivo della<br />

videocamera rimane fisso a pochi<br />

centimetri dalla ferita che sanguina<br />

abbondantemente. Romeo<br />

prende il telefono del sergente,<br />

dice al capitano Gomez di essere<br />

ferito, chiede aiuto. Il capitano gli<br />

risponde dicendo di essere sotto<br />

attacco. La videocamera riprende<br />

a inquadrare il terreno. Si vede il<br />

corpo del sergente, poi un altro<br />

soldato che grida a Romeo di<br />

prendere il mitra di Cortés e di<br />

sparare. «No, fratello. Non sono<br />

fatto per la guerra» gli risponde<br />

il giornalista. Il soldato, per farsi<br />

coraggio, tira una granata. Romeo<br />

decide di tentare il tutto per tutto.<br />

«Fratello, io mi allontano. Se ti<br />

sto vicino divento un bersaglio.<br />

Ok?» dice Romeo. Il soldato,<br />

rassegnato, non risponde. Prima<br />

di strisciare verso un cespuglio,<br />

dove nascondersi in attesa del<br />

momento di consegnarsi ai guer<br />

riglieri, il giornalista estrae la<br />

memoria dalla videocamera. Il<br />

video finisce qui. Romeo Langlois<br />

l’ha dedicato a Cortés e a<br />

tutte le vittime del conflitto. A<br />

Bogotà, dopo la sua liberazione<br />

e l’affollata conferenza stampa<br />

all’ambasciata francese, il giornalista<br />

ha voluto incontrare la<br />

madre e il fratello del sergente<br />

Cortés.<br />

Un’alternativa al proibizioni-<br />

smo. Dai tempi degli hippies fino<br />

ai giorni nostri sono passati più di<br />

quarant’anni. Di droga, da quella<br />

che si chiamava leggera fino alla<br />

cosiddetta pesante, in Colombia<br />

se ne è prodotta e venduta<br />

sempre molta e sempre di più,<br />

nonostante il rimbombare dei<br />

proclami governativi e l’aumento<br />

esponenziale delle spese militari<br />

indirizzate presumibilmente al<br />

suo contrasto. L’unica differenza<br />

con i decenni passati sta nella<br />

70 | settembre 2012 | narcomafie<br />

percezione del fenomeno. Finita<br />

l’epoca dei grandi cartelli della<br />

droga, eliminato Pablo Escobar,<br />

incarcerati gli altri boss, più o<br />

meno compromessi con la politica,<br />

dai Rodriguez Orejuela di Cali<br />

al paramilitare di origine italiana<br />

Salvatore Mancuso, l’attenzione<br />

dei media sul fenomeno si è via<br />

via affievolita. Dopo tanto gridare<br />

“al lupo, al lupo!” riguardo al<br />

narcotraffico, non solo colombiano,<br />

nessuno sembra farvi più<br />

molto caso. I sostenitori della<br />

cosiddetta “linea dura”, a cominciare<br />

dagli Usa, appaiono sempre<br />

meno convinti e convincenti e<br />

tra coloro che hanno pagato le<br />

conseguenze di questa strategia,<br />

senza trarne alcun beneficio, si<br />

fanno strada proposte, fino ad<br />

alcuni anni fa, inimmaginabili.<br />

Nel parlamento colombiano, ad<br />

esempio, procede, nonostante<br />

la formale opposizione del governo,<br />

un progetto di legge teso<br />

a depenalizzare la coltivazione<br />

delle piantagioni base per gli<br />

stupefacenti. «Serve ad aprire un<br />

dibattito nazionale sulla droga<br />

nel paese» ha affermato un deputato<br />

del partito conservatore,<br />

promotore con i liberali di questo<br />

progetto. Questa iniziativa politica<br />

segue la depenalizzazione<br />

della cosiddetta “dose minima”<br />

dei consumatori, decisa nei mesi<br />

scorsi dalla Corte costituzionale<br />

colombiana. E soprattutto avviene<br />

qualche settimana dopo<br />

l’ennesimo vertice degli stati<br />

americani svoltosi in aprile a<br />

Cartagena, durante il quale per<br />

la prima volta alcuni presidenti,<br />

come il colombiano Juan Manuel<br />

Santos e il guatemalteco Otto<br />

Peréz Molina (entrambi ideologicamente<br />

conservatori) hanno<br />

proposto di valutare le possibili<br />

alternative al proibizionismo imposto<br />

da sempre da Washington.<br />

La ragione è semplice: l’ammissione<br />

del fallimento di questa<br />

strategia e la conferma degli effetti<br />

devastanti del crescente narcotraffico<br />

nell’emisfero americano.<br />

Nonostante il benvenuto bagno<br />

di realismo a livello governativo,<br />

le prospettive rimangono fosche.<br />

Per dirla con le parole del sociologo<br />

colombiano Ricardo Vargas<br />

Meza, uno dei maggiori esperti<br />

del tema droga, «la guerra contro<br />

la droga ha fallito. L’America Latina<br />

continua ad essere orfana di<br />

una strategia regionale riguardo<br />

l’economia illegale delle droghe.<br />

Per ora nel continente prevalgono<br />

iniziative isolate, incoerenti, contraddittorie<br />

e prive di appoggio».<br />

Se, al di là delle dichiarazioni<br />

ufficiali, riguardo alla “lotta al<br />

narcotraffico” spiccano delusione<br />

e incredulità, testimoniate anche<br />

dalla diminuzione dei cosiddetti<br />

finanziamenti stranieri, degli Usa<br />

e soprattutto dell’Europa (a causa<br />

della crisi economica), la stessa<br />

si confonde sempre di più, quasi<br />

annullandosi o sovrapponendosi,<br />

con la cosiddetta guerra “contrainsurgente”.<br />

E questo avviene<br />

ancora e per lo più in Colombia,<br />

visto che, ad esempio, la teoria<br />

della “narcoguerriglia” è parsa<br />

priva di fondamento se riferita<br />

agli zapatisti del Chiapas e più<br />

congrua rispetto ai peruviani<br />

di Sendero Luminoso, che al<br />

momento rappresentano però,<br />

dalla cattura del loro capo Abimael<br />

Guzmán vent’anni fa, un<br />

problema politico-militare infinitamente<br />

più ridotto di quanto<br />

possano rappresentare le Farc<br />

e, più in generale, la guerriglia<br />

colombiana.<br />

Uguali? Neppure da morti. «Se<br />

si vuole raccontare questo conflitto,<br />

non esiste altro da fare che<br />

viverlo da vicino. Quello che è


capitato a Romeo è molto grave,<br />

ma potrebbe almeno ricordare<br />

che in Colombia è in atto una<br />

guerra fratricida e magari, anche<br />

se in minima parte, avvicinare<br />

una soluzione pacifica» sostiene<br />

Simone Bruno, quarantenne<br />

romano residente a Bogotà. Nel<br />

paese che lo ospita ormai da<br />

una dozzina d’anni, Simone<br />

insegna giornalismo nelle università<br />

Javeriana e Central, fa<br />

il corrispondente per qualche<br />

testata informativa, dalle francesi<br />

«Radio France International»<br />

e «France 24» alla brasiliana<br />

«Opera Mundi» e soprattutto<br />

realizza video, spesso con lo stesso<br />

Romeo: il più conosciuto dei<br />

suoi lavori (fatto però con Dado<br />

Carrillo, operatore che lavorava<br />

per la sede Rai di New York) è<br />

il pluripremiato documentario<br />

“Falsos Positivos”, sulla barbara<br />

pratica dell’esercito colombiano<br />

di assassinare giovani innocenti<br />

in finti combattimenti, spacciar<br />

li per guerriglieri e ricavarne<br />

onori e taglie. «A far continuare<br />

un conflitto che dura da più di<br />

mezzo secolo è anche la sua<br />

invisibilità, la lontananza dalle<br />

grandi città, come Bogotà, dove<br />

la popolazione lo vive come se<br />

fosse un problema di un altro<br />

mondo. Visto che a morire sono,<br />

da una parte e dall’altra, nella<br />

guerriglia come nell’esercito,<br />

dei ragazzi degli strati più poveri<br />

della società, le statistiche dei<br />

morti rimangono numeri che<br />

non impressionano e commuovono<br />

nessuno. Ed è anche per<br />

questa indifferenza se troppo<br />

pochi colombiani si mobilitano<br />

per obbligare il governo ad impegnarsi<br />

per un reale accordo<br />

di pace. Anzi, spesso chi più<br />

lavora in questo senso, come ad<br />

esempio l’ex senatrice liberale<br />

Piedad Córdoba, viene tacciato<br />

di essere un fiancheggiatore della<br />

guerriglia e per questo vilipeso<br />

e minacciato» dice Simone. I<br />

colombiani non sono uguali da<br />

vivi e tanto meno da morti. Simone<br />

ricorda che, ad esempio,<br />

ci sia voluta l’uccisione di una<br />

coppia di ragazzi della borghesia<br />

bogotana sulla spiaggia di San<br />

Bernardo del Viento, sulla costa<br />

caraibica, da parte di un gruppo<br />

di narco-paramilitari per rendersi<br />

conto della barbarie della guerra<br />

anche in quel luogo di vacanza<br />

e per indurre il presidente Juan<br />

Manuel Santos a mettere una<br />

speciale taglia sugli assassini.<br />

E lo stesso discorso vale per<br />

Romeo. «Se non fosse stato un<br />

giornalista straniero, e ancora<br />

di più di un paese europeo, i<br />

media non gli avrebbero dedicato<br />

nessuna attenzione» afferma<br />

Simone, che sottolinea come i<br />

riflettori siano comunque sempre<br />

meno puntati sul conflitto<br />

armato così come sulla violenza<br />

che riguarda il narcotraffico.<br />

Parlando di quanto è successo a<br />

Romeo, Simone ricorda tutte le<br />

difficoltà del giornalista in una<br />

zona di conflitto. «Innanzitutto<br />

non è possibile viaggiare in<br />

certe regioni da soli, al di fuori<br />

dei centri urbani: si può essere<br />

scambiati per delle spie così<br />

come si può cadere in un campo<br />

minato. Senza che questo significhi<br />

minimamente parteggiare<br />

per gli uni o per gli altri, è quasi<br />

obbligatorio organizzarsi con<br />

una delle parti, l’esercito o la<br />

guerriglia. Il fatto di stare con un<br />

gruppo o l’altro può comportare<br />

dei rischi ma, secondo il Diritto<br />

Internazionale Umanitario, non<br />

significa la perdita dello stato di<br />

non-combattente» dice Simone.<br />

Il mini-reportage che avrebbero<br />

dovuto fare per «France 24»<br />

sarebbe servito a rimarcare lo<br />

71 | settembre 2012 | narcomafie<br />

stanco rituale della guerra, che<br />

ha indotto lo stesso presidente<br />

colombiano a suggerire, durante<br />

il vertice americano di Cartagena,<br />

un cambio di strategia della lotta<br />

al narcotraffico. Poi il caso, le<br />

disposizioni militari così come<br />

le variabili condizioni atmosfe-<br />

riche, hanno fatto sì che il solo<br />

Romeo partecipasse alla spedi-<br />

zione. Tornato libero, Romeo ha<br />

deciso di rientrare in Francia per<br />

curarsi il braccio, ricostruito con<br />

l’innesto di otto chiodi, e per<br />

riprendersi da un’avventura tre-<br />

menda, sebbene affrontata quasi<br />

sempre con serenità e leggerezza.<br />

A Bogotà rimane Simone che,<br />

come primo atto, ha ridato vita<br />

all’associazione della stampa<br />

straniera: ai tempi di Escobar si<br />

chiamava Ape (Asociación de<br />

Prensa extranjera), adesso si chiamerà<br />

Apic (Asociación de Prensa<br />

Internacional de Colombia).<br />

L’obiettivo dichiarato è quello di<br />

assicurare la massima sicurezza<br />

agli associati nella copertura<br />

informativa sul conflitto. «Non<br />

raccontare quello che succede<br />

è come nascondere la sporcizia<br />

sotto il tappeto. Rendere visibile<br />

il conflitto anche alla gente che<br />

vive nelle città contribuisce a far<br />

finire la guerra realmente e non<br />

solo sui giornali o in televisione»,<br />

dice Simone.<br />

«A far continuare<br />

un conflitto che<br />

dura da più<br />

di mezzo secolo<br />

è anche la sua<br />

invisibilità,<br />

la lontananza<br />

dalle grandi città,<br />

dove la popolazione<br />

lo vive come se<br />

fosse un problema<br />

di un altro mondo»


cronachesommerse<br />

di Andrea Giordano<br />

criminalità e dintorni<br />

72 | settembre 2012 | narcomafie<br />

Dopo Al Assad<br />

Se in Siria la reale presenza di<br />

Al Qaeda o di gruppi ad essa<br />

affiliati è ancora tutta da valutare<br />

con precisione, non lascia<br />

dubbi il fatto che sul terreno<br />

di guerra si sia intensificata<br />

l’attività dei jihadisti antigover<br />

nativi, nei cui ranghi combatte<br />

un numero sempre crescente di<br />

islamisti stranieri.<br />

Proprio la valenza religioso- religioso-<br />

estremista di molti proclami e<br />

rivendicazioni – messi in rete da<br />

gruppi prima sconosciuti, oggi<br />

attivi sul fronte ribelle – fa capire<br />

come la liberazione della Siria<br />

dall’attuale governo rappresenti<br />

per questi jihadisti il più urgente,<br />

ma certo non l’unico, obiettivo<br />

del conflitto.<br />

Lo stesso vale – per motivi diffe-<br />

renti – per i Paesi che assecondano<br />

l’attività dei ribelli in funzione<br />

antiregime ed antiiraniana (stati<br />

del Golfo come Arabia Saudita,<br />

Qatar, Emirati Arabi Uniti, accanto<br />

alla Turchia e agli Stati Uniti) o<br />

per quelli che invece difendono,<br />

per propri fini geostrategici, la so-<br />

pravvivenza dell’attuale governo<br />

siriano (Iran e Russia).<br />

La posta in gioco, insomma, è il<br />

disegno del nuovo Medio Oriente<br />

nell’era del dopo al Assad: uno<br />

scenario forse assai più prossimo<br />

di quanto si possa immaginare.<br />

Gli alleati del regime hanno scar- scar<br />

so margine d’azione: i russi, che<br />

in Siria hanno a Tartous una<br />

base navale, non dispongono del<br />

potenziale militare necessario<br />

– a parte le forniture di armi al<br />

governo di Damasco – per agire<br />

sullo scenario siriano, e restano<br />

quindi attivi sul fronte politicodiplomatico.<br />

Anche l’Iran non<br />

ha potuto fare molto: l’invio in<br />

Siria di sparute unità scelte delle<br />

Forze Quds iraniane non si è<br />

rivelato decisivo per le sorti del<br />

conflitto. L’Esercito siriano libero<br />

(Esl, principale forza paramilitare<br />

antigovernativa composta da<br />

disertori delle truppe regolari<br />

e da ribelli civili) ha tra l’altro<br />

annunciato quest’estate di aver<br />

catturato cinquanta presunte<br />

spie iraniane. Assai dubbio e<br />

non supportato da valide prove<br />

è invece il presunto intervento<br />

armato, nei mesi scorsi, dei miliziani<br />

sciiti libanesi di Hezbollah<br />

a fianco del regime siriano, e da<br />

Beirut i vertici del “Partito di<br />

Dio” lo hanno sempre smentito.<br />

Si amplia comunque la matrice<br />

confessionale degli scontri in<br />

Siria. I jihadisti sunniti salafiti<br />

non prendono solo di mira le<br />

minoranze locali – specie alawite<br />

e sciite – ma anche gli stranieri<br />

sciiti sospetti, e ciò ha già dato<br />

vita a violenze interconfessionali<br />

anche in Libano.<br />

Contro le truppe fedeli ad al Assad<br />

combattono i miliziani delle<br />

Kataeb Ahrar al Sham (Brigate<br />

libere della grande Siria), gruppo<br />

legato al più noto Jabhat al Nusra<br />

(Fronte per l’aiuto al popolo del<br />

Levante): a quest’ultimo, che<br />

si proclama nemico degli Stati<br />

Uniti e di Israele, vengono attribuiti<br />

attentati contro obiettivi<br />

governativi. In competizione con<br />

questa formazione armata sono<br />

attive in Siria le brigate Abdullah<br />

Azzam, gruppo panjihadista<br />

affiliato ad Al Qaeda ed attivo<br />

dal 2009 in Libano e penisola<br />

arabica. Anche militanti siriani<br />

recatisi in passato a combattere<br />

in Iraq sembrano avere riattraversato<br />

il confine per unirsi ai<br />

compatrioti ribelli. Questi ultimi,<br />

intanto, concentrano i loro sforzi<br />

sulla conquista dei territori settentrionali<br />

della Siria, per poter<br />

ricevere dalla Turchia aiuti e<br />

armi, finanziate in larga parte dal<br />

Qatar e dall’Arabia Saudita. Agli<br />

americani – che ufficialmente<br />

forniscono oggi ai membri “più<br />

accreditati” dell’opposizione solo<br />

sistemi di comunicazione “sicura”<br />

(tranne che per le orecchie<br />

della Cia) ed appoggio logistico<br />

– spetta il difficile compito di<br />

determinare quali gruppi ribelli<br />

siriani siano sufficientemente<br />

“affidabili” da ricevere armi. Gli<br />

Stati Uniti stanno anche valutando<br />

se aiutare l’opposizione a<br />

crearsi un servizio di intelligence,<br />

forse al fine di tenerla in qualche<br />

modo sotto controllo.<br />

Anche le potenze militari europee<br />

svolgono azioni di contrasto del<br />

regime: i francesi hanno inviato<br />

agenti dei servizi segreti (almeno<br />

alcune decine di essi sarebbero<br />

già stati catturati dall’esercito<br />

siriano) ed esperti militari. I<br />

tedeschi spiano, con speciali<br />

apparecchiature, i movimenti<br />

delle truppe lealiste in Siria da<br />

navi presenti al largo delle coste,<br />

i britannici dalle loro due basi<br />

a Cipro. Nessuno vuole restare<br />

fuori dai giochi nella prossima<br />

era del dopo al Assad. Con la<br />

speranza che la fase attuale – tra<br />

le tante vittime e profughi creati<br />

dal conflitto, e tutti i rischi legati<br />

all’attività estremista islamista,<br />

alla presenza di armi chimiche<br />

in Siria e persino alla catastrofica<br />

eventualità di un’estensione<br />

del conflitto – si riveli meno<br />

lunga ed insidiosa di quanto si<br />

potrebbe temere.


73 | settembre 2012 | narcomafie<br />

Scena criminis:<br />

violenza criminale<br />

e cinema fra<br />

Aurora e Venezia<br />

di Francesco Strazzari<br />

Correva il 1996, e in un cinema<br />

di Torrance, California, un<br />

uomo venne ucciso e due teenagers<br />

feriti durante la proiezione<br />

di Set it off, storia di una gang<br />

femminile che si dà alle rapine<br />

a mano armata. La sparatoria<br />

aveva tutta l’aria di essere una<br />

resa dei conti fra gang rivali,<br />

e per prevenire ritorsioni in<br />

tutte le sale in cui si mostrava<br />

la pellicola venne piazzata una<br />

security armata.<br />

Da sempre la strada e lo schermo<br />

si inseguono, e il cinema riflette<br />

le inquietudini che innervano<br />

l’ordine sociale e morale<br />

di un luogo e di un tempo, i<br />

fondamenti di cosa sia bene e<br />

cosa sia male. L’idea che i mass<br />

media – e il cinema fra gli altri<br />

– alimentino livelli ingiustificati<br />

di paura e allarme attorno al<br />

diffondersi della criminalità,<br />

condizionando le risposte di<br />

società e politica (e gonfiando<br />

i conti della home security industry)<br />

è probabilmente vecchia<br />

quanto i mass media stessi. Nel<br />

rispecchiarsi di immagini con<br />

immagini e di storie con storie, i<br />

film riflettono idee correnti e al<br />

tempo stesso danno loro forma,<br />

in un gioco infinito di sguardi e<br />

rimandi, fra arte e realtà.<br />

Storicamente il genere crime<br />

movie – se di un solo genere si<br />

può parlare, contandosi ormai<br />

circa 10.000 titoli – si è nutrito<br />

di un doppio movimento,<br />

cullando una sorta di larvale<br />

ipocrisia: da una parte esponeva<br />

sul grande schermo la critica<br />

di alcuni aspetti della società,<br />

spesso portando lo spettatore<br />

a identificarsi con il “cattivo<br />

buono” che li sfida. Al tempo<br />

stesso, in un susseguirsi di<br />

vicende adrenaliniche in cui<br />

sublimare il thrill tenuto sempre<br />

più lontano dalle poltrone<br />

di casa, la narrazione portava<br />

per mano verso un epilogo che<br />

immancabilmente segnava il<br />

ritorno all’ordine morale, anche<br />

se questo spesso significava<br />

assistere alla sacrificio del “criminale”.<br />

A partire dagli anni 70<br />

arrivarono però film assai meno<br />

rassicuranti, storie in cui non<br />

è data salvezza per nessuno, e<br />

in cui il meglio assomigliava<br />

al peggio: la nozione di eroe<br />

sfumava, l’identificazione del<br />

criminale si rivelava dubbia,<br />

la redenzione impossibile.<br />

Dall’Arancia Meccanica di<br />

Kubrick ai Crimini Invisibili<br />

di Wenders, fino a Mystic River<br />

di Eastwood – l’indagine sulle<br />

origini e sulle conseguenze della<br />

violenza criminale puntava a<br />

toccare le corde più profonde.<br />

Oggi si potrebbe pensare che<br />

la violenza andata in scena lo<br />

scorso 20 luglio nel cinema<br />

Aurora, in Colorado, mentre<br />

sullo schermo scorrevano le<br />

immagini di The Dark Knight<br />

Rises (12 morti e 58 feriti per<br />

mano di un giovane travestito<br />

da nemico di Batman), riporti gli<br />

studios a interrogarsi sul nesso<br />

che esiste fra rappresentazione<br />

e violenza, e a chiedersi fino a<br />

che punto, in tempi segnati da<br />

“guerra al terrore” e recessione<br />

economica, la cultura popolarcommerciale<br />

risulti desensibilizzata<br />

rispetto alle implicazioni<br />

della violenza.<br />

Le immagini proiettate da Hollywood<br />

oggi sono ben diverse<br />

da quelle che accompagnarono<br />

la Grande Depressione, quando<br />

l’industria cinematografica<br />

americana era impegnata a spandere<br />

a piene mani ottimismo<br />

e lieti fini. Del resto è un fatto<br />

che sino agli anni 50 il Motion<br />

Picture Production Code proibiva<br />

la rappresentazione nei<br />

Segnali


Segnali<br />

film di traffico e uso di droga,<br />

nonché di “tratta delle bianche”<br />

– precursore illustre del<br />

women trafficking odierno nel<br />

tracciare le linee dell’allarme<br />

sociale. Fu l’avvento della civiltà<br />

televisiva di massa che<br />

spinse il cinema a infrangere<br />

il codice di autocensura per<br />

sottrarre pubblico giovane alle<br />

poltrone di casa. Nel 1967 il sorprendente<br />

successo di incassi<br />

della ribellione armata e del<br />

“martirio” di Warren Beatty e<br />

Faye Dunaway in Bonnie and<br />

Clyde segnarono un momento<br />

in cui il crime movie palesava<br />

una crescente insofferenza per<br />

autorità, tradizione e controllo<br />

sociale.<br />

È in qualche modo significativo<br />

che il film su Batman interrotto<br />

nel sangue ad Aurora è stato<br />

preceduto e accompagnato da<br />

un martellante battage pubblicitario<br />

che ha seguito i canoni<br />

del noir virato verso l’horror.<br />

Nel clima di sgomento che segue<br />

il massacro la Warner Bros<br />

decide di posticipare l’uscita di<br />

Gangster Squad, attesa pellicola<br />

che riunisce un cast di grande<br />

richiamo (Ryan Gosling, Sean<br />

Penn, Nick Nolte ed Emma Stone)<br />

attorno alla storia vera di<br />

Mickey Cohen: ancora una volta<br />

un criminale di spicco dei tempi<br />

del proibizionismo, ritratto nei<br />

racconti di Paul Lieberman sul<br />

«Los Angeles Times». Il film ha<br />

un problema piuttosto evidente<br />

per il pubblico del 2012: mostra<br />

una sparatoria in un cinema.<br />

Diventerà dunque un titolo di<br />

punta per il 2013.<br />

L’episodio non deve trarre in<br />

inganno: a un livello più profondo<br />

e meno sintomatico, la<br />

deriva non si arresta. La 69ª<br />

edizione del Festival di Venezia<br />

da poco conclusasi, proponen-<br />

74 | settembre 2012 | narcomafie<br />

dosi come vetrina della stagione<br />

cinematografica a venire, oltre<br />

che come passarella di stili e<br />

gusti, ne ha dato una conferma,<br />

proponendo crime movies che<br />

in qualche modo rinfocolano il<br />

dibattito.<br />

The Iceman, di Avrel Vromel,<br />

solleva la domanda di quanto<br />

ancora possa un paese dove ormai<br />

si contano decine di episodi<br />

di sparatorie indiscriminate,<br />

tributare alla violenza in serie<br />

un po’ il meglio del proprio<br />

cinema di appeal commerciale<br />

e popolare, proponendo<br />

rappresentazioni formalmente<br />

impeccabili e filmicamente avvincenti.<br />

Vi si racconta la vita<br />

di Richard Kuklinski, gunman<br />

al soldo di varie famiglie del<br />

crimine organizzato newyorkese,<br />

morto nel 2006 in carcere<br />

con più di 100 esecuzioni a<br />

sangue freddo sulla coscienza.<br />

Accanto a Michael Shannon, nel<br />

ruolo del mastodontico killer, e<br />

Winona Ryder, nel ruolo della<br />

esile mogliettina ignara, The<br />

Iceman ha riportato a Venezia<br />

un Ray Liotta comprimario di<br />

lusso, dopo l’indimenticato Goodfellas.<br />

Solo che mentre in<br />

Goodfellas lo spettatore restava<br />

sospeso fra l’ilare e l’orribile,<br />

in The Iceman è l’orribile a<br />

venire normalizzato: Kuklinski<br />

ammazza impunemente e senza<br />

timore, congela i cadaveri e li<br />

taglia metodicamente a pezzi<br />

per renderli irriconoscibili,<br />

ma – e qui sta la chiave della<br />

normalizzazione – non uccide<br />

per principio donne e bambini,<br />

oltre ad essere un marito<br />

modello e un padre premuroso<br />

dentro le mura di casa. Anzi<br />

la macelleria umana di cui si<br />

macchia è quasi l’insostenibile<br />

prezzo che paga per consentire<br />

un’esistenza agiata e borghese<br />

a moglie e figlie. Del resto aveva<br />

avuto un’infanzia difficile,<br />

crescendo a suon di botte – e<br />

questo, in una cultura che preferisce<br />

glissare sul tema della<br />

scelta, in qualche modo spiega,<br />

attenua e induce comprensione:<br />

prima ancora che esca il film la<br />

figura di Kuklinski impazza su<br />

youtube. A volerla dire tutta, in<br />

fondo è rappresentato come uno<br />

che fa il suo mestiere, professionalmente,<br />

senza falsi rimorsi<br />

e – fin che può – senza perdere<br />

il controllo. Nel film la polizia si<br />

vede una sola volta, sull’ultima<br />

scena, quando viene arrestato<br />

mentre sale in macchina davanti<br />

alla moglie esterrefatta.<br />

Con Outrage Beyond, la cui<br />

lavorazione e uscita sono state<br />

ritardate dalla catastrofe di<br />

Fukushima, Takeshi Kitano è<br />

invece tornato a scandagliare<br />

le imprevedibilità del gioco di<br />

sponda e protezione fra polizia<br />

e mafia, partendo letteralmente<br />

dall’assunto – nemmeno troppo<br />

provocatorio – che la yakuza<br />

controlli “la politica”, e che<br />

quest’ultima non sia che una<br />

risorsa fra le altre, nemmeno<br />

meritevole della manciata di<br />

secondi di riprese in cui solitamente<br />

un qualche altro quadro<br />

da dietro una scrivania striglia il<br />

commissario di turno sul volere<br />

di qualche governatore incalzato<br />

dall’opinione pubblica.<br />

L’unico ministro che si vede<br />

appare in una foto fra le altre che<br />

lo ritrae in una posa di coppia<br />

decisamente imbarazzante, e<br />

lo spettatore non legge nulla di<br />

irrealistico in questa nota grottesca.<br />

A parte un giovane ispettore<br />

tanto pedante nel richiamare<br />

leggi e procedure quanto<br />

irrilevante, gli uomini dello<br />

stato stanno lì a manipolare i<br />

complessi equilibri fra territori


e le famiglie mafiose dei Sanno<br />

e degli Hanabishi a proprio<br />

beneficio di carriera. Il film ha<br />

il merito di scomporre il gioco<br />

in un caleidoscopio di alleanze:<br />

non c’è organizzazione che non<br />

sia divisa, non c’è acquisizione<br />

che non sia precaria. Sullo<br />

sfondo c’è, certo, l’eterno tema<br />

dello scontro fra codici d’onore<br />

e lealtà mutevoli secondo le<br />

opportunità: fra inchini servili<br />

e punizioni orribili, Kitano ha<br />

il merito di mostrare una surreale<br />

riunione dei Sanno in cui<br />

la cordata rampante annuncia<br />

l’avvento di un’era in cui sarà<br />

il solo criterio meritocratico<br />

della valutazione della produttività<br />

a guidare il management<br />

della yakuza nel taglio dei rami<br />

criminali secchi. Come dire<br />

“basta con clientelismo e nepotismo<br />

che piaga il successo del<br />

crimine organizzato”. Peccato<br />

che il fondamento del potere<br />

sia sempre il tradimento, e in<br />

fondo l’uccisione del padre:<br />

sarà lo stesso Kitano a vestire<br />

i panni di un integro veterano<br />

criminale che rifiuta l’ordito<br />

criminale dell’antimafia a ristabilire<br />

un po’ d’ordine, quasi<br />

controvoglia, a furia di colpi di<br />

teste trapanate e colli spezzati,<br />

fino ad arrivare, senza degnarla<br />

nemmeno di un climax o di<br />

un inseguimento, all’origine<br />

del problema, il commissario<br />

che gioca al criminale senza<br />

pagare dazio.<br />

Se ci si allontana dalle immagini<br />

in movimento e si prova<br />

a guardare a cinema e crimine<br />

in una prospettiva di analisi<br />

storica della narrazione culturale,<br />

per quanto il traboccare<br />

di sezioni noir nelle librerie<br />

potrebbe suggerire il contrario,<br />

appare che in realtà la crescita<br />

numerica di crime movies non<br />

è particolarmente significativa.<br />

Sui grandi numeri ciò che<br />

invece cambia – come è stato<br />

illuminato da chi ha svolto<br />

con sistematicità l’analisi dei<br />

contenuti – è piuttosto la rappresentazione<br />

che viene data<br />

di crimine e ordine sociale.<br />

Nei film è la natura del crimine<br />

che muta, mentre la violenza e<br />

il livello di minaccia crescono,<br />

e così anche la sofferenza che<br />

viene inflitta alle vittime. Soprattutto,<br />

per combattere questo<br />

trend la polizia assume sempre<br />

più spesso connotati da cliché<br />

eroico, e con esso è legittimata<br />

nell’uso di metodi sempre<br />

meno ortodossi, dipinti dapprima<br />

come concessioni tattiche,<br />

pratiche borderline per ottenere<br />

risultati legittimamente attesi<br />

nella guerra contro crimini<br />

ripugnanti, e poi sempre più<br />

senz’altro controllo che la certezza<br />

di essere dalla parte del<br />

bene, fino a prendere il largo.<br />

Diminuisce la probabilità che in<br />

un film il criminal offender sia<br />

assicurato alla giustizia. La storia<br />

tipicamente si dipana negli<br />

interstizi dell’extralegalità, fra<br />

le maglie di ciò che dovrebbe<br />

essere la procedura di legge<br />

uguale per tutti.<br />

La televisione non fa eccezione,<br />

prendendo sempre più temi e<br />

modi dal cinema. Se in Italia<br />

ha avuto successo il torbido<br />

e tormentato Felice Maniero<br />

televisivo di Faccia d’Angelo,<br />

e negli Stati Uniti orfani dei<br />

Sopranos impazza Boardwalk<br />

Empire, in Francia i record di<br />

ascolto sono superati da Braquo<br />

(termine gergale per braquage,<br />

o rapina a mano armata), serie<br />

a tinte scure firmata dalla mano<br />

abile di Olivier Marchal (già<br />

regista, fra gli altri, del nerissimo<br />

poliziesco di 36 Quai des<br />

75 | settembre 2012 | narcomafie<br />

Orfèvres). Forse eccessiva per<br />

il prime time italiano, la serie<br />

è passata dalle frequenze di<br />

Fox Crime e Rai4: siamo nel dipartimento<br />

di polizia dell’Alta<br />

Senna, fra sbirri cattivi tormentati<br />

dal dilemma, una squadra<br />

d’assalto che affonda, precipitando<br />

in una spirale di malinteso<br />

senso di giustizia personale,<br />

invischiandosi – di necessità in<br />

necessità, di ricatto in ricatto,<br />

di trappola in trappola – in ogni<br />

affare sordido, dal pagamento<br />

con droga fino all’esecuzione<br />

extra-giudiziaria. Figure complesse,<br />

mai pienamente negative,<br />

che – pur braccate dalle<br />

indagini di una Disciplinare<br />

interna che non lesina abusi<br />

di ogni sorta per incastrarle<br />

– oltrepassano la linea gialla<br />

per avere l’ultima parola sui<br />

criminali efferati che sono sfuggiti<br />

ai loro metodi di controllo.<br />

Braquo è una contorta catena di<br />

scorrettezze e omicidi. Si dipana<br />

lungo continue invenzioni<br />

di sceneggiatura che portano<br />

uomini sempre più disperati<br />

in un terreno che conoscono<br />

sempre meno, senza avere altro<br />

che la propria presunta buona<br />

fede. Il tutto fotografato a tinte<br />

scure, con le pause dove vanno<br />

messe le pause, a suggerire che<br />

in fondo non c’è né salvezza né<br />

speranza. Di questa rappresentazione<br />

senza illusione lo spettatore<br />

avverte tangibile un alto<br />

grado di aderenza alla “realtà”.<br />

In qualche misura, il successo<br />

di queste motion pictures del<br />

mondo sospeso dove trascolorano<br />

legge e crimine, bene e<br />

male, impone di interrogarsi su<br />

quale realtà finisce, di film in<br />

film, per essere comunemente<br />

accettata come non problematica,<br />

e su quali miti e ideologie<br />

vi trovino alimento.<br />

Segnali


Luca Scornaienchi<br />

Monica Catalano<br />

LoLLÒ cartisano<br />

L’u L Ltima L Foto<br />

aLLa ‘ndrangheta<br />

Round Robin<br />

pagine 116<br />

euro 15,00<br />

Foto ricordo<br />

di Elisa Latella<br />

Un attimo di passato che ridiventa<br />

presente, proprio come<br />

accade guardando le fotografie.<br />

È questo Lollò Cartisano<br />

l’ultima foto alla ’ndrangheta,<br />

romanzo a fumetti realizzato<br />

a quattro mani da Luca Scornaienchi<br />

e Monica Catalano,<br />

pubblicato nel 2011 dalla casa<br />

editrice Round Robin. I fumetti<br />

sono l’inizio, il modo per<br />

raccontare “a chi allora non<br />

c’era”, la storia del diciottesimo<br />

sequestro della ’ndrangheta a<br />

Bovalino, avvenuto il 22 luglio<br />

del 1993. Il rapimento di un<br />

fotografo, Adolfo Cartisano,<br />

detto Lollò, che aveva ritratto<br />

i paesaggi più belli, i matrimoni<br />

più felici di Bovalino,<br />

ma che si era sempre categoricamente<br />

rifiutato di pagare<br />

il pizzo, chiamando la polizia<br />

di fronte a qualsiasi richiesta<br />

di estorsione. E così, a partire<br />

dal titolo, Lollò Cartisano diventa<br />

il simbolo del coraggio<br />

che guarda le cose in faccia, le<br />

chiama per nome, le “fotografa”.<br />

Sì, perché la ’ndrangheta<br />

ama i sottintesi, il non detto,<br />

i “ci siamo capiti”.<br />

Le fotografie invece non mentono.<br />

Parlano chiaro, non ingentiliscono<br />

una realtà che<br />

gentile non è. E Lollò Cartisano<br />

diventa quindi una foto alla<br />

’ndrangheta, l’ultima, la sua<br />

storia racconta ciò che il crimine<br />

organizzato è stato, ed è,<br />

a Bovalino, nella Locride.<br />

Attraverso il viaggio di un protagonista<br />

di fantasia, il reporter<br />

Gino Durante, le tavole dei<br />

fumetti che occupano le prime<br />

76 | settembre 2012 | narcomafie<br />

ottanta pagine ripercorrono gli<br />

itinerari e le strade che portano<br />

alla montagna di Pietra Cappa.<br />

Uno dei luoghi più suggestivi di<br />

tutta la Calabria, un luogo che<br />

Cartisano amava fotografare:<br />

oggi è la meta della marcia<br />

omonima, organizzata da Libera<br />

per tenere viva la memoria di<br />

questa persona e delle altre<br />

vittime innocenti di mafia,<br />

attraverso un momento di riflessione<br />

collettiva. Perché in<br />

quella stessa montagna il corpo<br />

del fotografo venne ritrovato<br />

dopo lunghi anni di ricerche. E<br />

il libro edito dalla Round Robin<br />

diventa a sua volta un viaggio<br />

all’interno di una terra dove le<br />

cosche sembrano condizionare<br />

tutto; ma finché c’è qualcuno<br />

che decide di resistere, non<br />

tutto è perduto.<br />

E sembra apparire spontaneamente<br />

tra le pagine,<br />

nei disegni, nelle<br />

frasi del fumetto,<br />

Bovalino: ma in realtà<br />

è una Bovalino<br />

osservata, studiata,<br />

“fotografata” da<br />

Luca Scornaienchi<br />

che afferma: «Ho<br />

sentito un peso<br />

enorme nel dover<br />

raccontare la storia<br />

e la tragedia di un<br />

uomo, e la storia e<br />

la tragedia di una<br />

famiglia, che hanno<br />

pagato un prezzo<br />

troppo alto, il più<br />

alto possibile per<br />

avere avuto il coraggio<br />

di opporsi<br />

alla malavita. Per tanto tempo<br />

ho camminato, con agendine e<br />

pennarelli, che ho riempito di<br />

schizzi e d’idee. Non c’è stata<br />

una sola città, bar, caffetteria o<br />

puzzolente vagone di treno in<br />

cui non abbia annotato almeno<br />

una frase… di questo piccolo<br />

romanzo illustrato».<br />

Un racconto ironico e tragico,<br />

che è la cronaca di un passato<br />

unita alla riflessione sul presente.<br />

È l’immaginario Gino Durante,<br />

che insieme ai personaggi<br />

che incontra nel suo viaggio<br />

verso Pietro Cappa ricostruisce<br />

attraverso i loro racconti – e<br />

attraverso i loro silenzi – l’intera<br />

tragedia del rapimento: il<br />

sequestro, la mobilitazione e<br />

la nascita del comitato “Bovalino<br />

libera”, l’arrivo del capo<br />

della polizia Vincenzo Parisi,<br />

gli appelli di Giovanni Paolo II


per chiedere la liberazione dei<br />

sequestrati fino al ritrovamento<br />

del corpo. Quando finisce<br />

il fumetto, con il severissimo<br />

monito “Però forse non te ne<br />

sei accorto, ma qui è già notte<br />

da un pezzo” comincia il dietro<br />

le quinte. Vale a dire, quando<br />

finisce una notizia, è lì che inizia<br />

la storia, con la volontà di<br />

raccontare storie dimenticate,<br />

di diffondere l’impegno contro<br />

le mafie, obiettivo della collana<br />

“Libeccio” in cui la Round Robin<br />

ha collocato questo libro,<br />

nome del vento che soffia dal<br />

Sud, simbolo di un cambiamento<br />

endogeno.<br />

E se il fumetto è un modo nuovo<br />

per raccontare un passato ancora<br />

troppo recente, le pagine che<br />

impreziosiscono notevolmente<br />

il libro sono quelle che ritroviamo<br />

al termine del fumetto.<br />

Si tratta della testimonianza<br />

della figlia Deborah, tornata<br />

in Calabria dopo alcuni anni<br />

trascorsi all’estero che ricorda<br />

come il padre spesso ripeteva:<br />

«Ma se andiamo tutti via,<br />

chi rimane qui?» e mostrava<br />

orgogliosamente «agli amici<br />

del Nord» la maestosa montagna<br />

di Pietra Cappa, senza<br />

sapere che avrebbe trascorso lì<br />

gli ultimi mesi della sua vita.<br />

Il vescovo Giancarlo Maria<br />

Bregantini racconta invece di<br />

aver ricevuto nell’estate del<br />

2003 la stessa lettera recapitata<br />

contemporaneamente ai<br />

familiari di Lollò: scritta in<br />

dialetto stretto da un carceriere<br />

pentito che spiega dov’è<br />

sepolto il corpo, a Pietra Cappa.<br />

E ancora: Lucetta Sanguinetti<br />

che idealmente scrive a Lollò,<br />

18 anni dopo il suo sequestro,<br />

una lettera che lui non potrà<br />

mai leggere e in cui racconta<br />

la lotta iniziata con Deborah<br />

perché non calasse il silenzio<br />

su quella tragedia: lettere<br />

ad amministratori, richieste a<br />

magistrati, ad avvocati specializzati<br />

in sequestri, l’incontro<br />

con la madre di Cesare Casella,<br />

quello con don Luigi Ciotti, gli<br />

interventi sulla stampa.<br />

Lo Stato da solo non riesce<br />

a dare una risposta a quelle<br />

domande disperate, domande<br />

che però arrivano all’anima di<br />

un innominato carceriere, forse<br />

addirittura un conoscente del<br />

fotografo (in paese bene o male<br />

ci si conosce tutti), il quale un<br />

giorno, un giorno strano, scrive<br />

alla signora Mimma (anche lei<br />

sequestrata insieme al marito,<br />

ma liberata dopo poche ore)<br />

“la lettera”.<br />

Una lettera con cui finisce la<br />

storia del sequestro e inizia<br />

un’altra disperata ricerca: quella<br />

del perdono.<br />

La logica del perdono è inversa<br />

a quella della vendetta,<br />

e, fermi restando i percorsi di<br />

giustizia, può essere l’inizio<br />

nella Locride di una cultura<br />

della non violenza. E della<br />

libertà. Libertà di informare,<br />

come racconta Luigi Politano,<br />

di «rivistaonline.com». Libertà<br />

di raccontare ciò che è stato<br />

con fedeltà, come avviene nel<br />

contributo “Sequestratori e sequestrati”<br />

di Danilo Chirico e<br />

Alessio Magro, che ripercorre<br />

il contesto degli anni in cui si<br />

verifica il sequestro del fotografo,<br />

i cortei in piazza per la<br />

liberazione, la Bovalino migliore<br />

che protesta, il ministro<br />

dell’Interno Nicola Mancino<br />

che non si fa vedere e manda<br />

il sottosegretario, le indagini<br />

a rilento, il pagamento del riscatto<br />

di nascosto da parte della<br />

famiglia esasperata, pagamento<br />

che non porta a nulla.<br />

77 | settembre 2012 | narcomafie<br />

Dal ritrovamento sembra che<br />

Lollò Cartisano sia morto tra il<br />

27 dicembre 1993 ed il 7 gennaio<br />

1994. L’11 gennaio 1994<br />

i magistrati di Reggio Calabria<br />

dispongono un blitz contro le<br />

famiglie Modafferi, Morabito<br />

e Gligora.<br />

Seguono il processo, le condanne.<br />

Il fotografo comunque non<br />

tornerà più a casa. I funerali si<br />

celebrano il 3 agosto 2003. Una<br />

croce si trova nel posto in cui è<br />

stato ritrovato e le pietre vicine<br />

sono state colorate. Quello è<br />

diventato il luogo di un nuovo<br />

inizio, di un nuovo cammino<br />

nell’Aspromonte dei sequestri,<br />

la meta di una marcia di<br />

meditazione a cui partecipano<br />

anche i familiari di altre vittime<br />

della ’ndrangheta. Storie che si<br />

confrontano: ci sono orfani, vedove,<br />

persone che hanno perso<br />

fratelli. Quando scompare una<br />

persona così vicina a noi, in un<br />

certo senso è la vita trascorsa<br />

insieme che si interrompe. Ne<br />

comincia un’altra, diversa. Una<br />

vita in cui i Cartisano vivono<br />

ancora a Bovalino, hanno ancora<br />

il negozio di foto davanti<br />

al quale quel carceriere pentito<br />

sarà passato tante volte, una vita<br />

in cui Deborah Cartisano lavora<br />

per Libera e la signora Mimma<br />

collabora con l’associazione<br />

don Milani di Gioiosa Ionica.


del mese a cura di Marika Demaria<br />

SHARE<br />

SHAREle segnalazioni<br />

libri<br />

Rosario Esposito La Rossa,<br />

Sotto le ali dell’airone,<br />

Marotta e Cafiero<br />

Casal di Principe, 18 febbraio<br />

2002. Alla vigilia di un’impor-<br />

tante udienza del processo che<br />

vede alla sbarra il clan La Torre,<br />

Federico Del Prete viene ucciso<br />

nella sede del Sindacato nazionale<br />

autonomo ambulanti, da lui fondato<br />

a Casal di Principe. Il giorno<br />

dopo, il sindacalista avrebbe dovuto<br />

deporre a quel processo, dando<br />

voce alle numerose denunce da<br />

lui compiute.<br />

Paolo Miggiano racconta gli ultimi<br />

anni di vita dell’uomo che<br />

“A testa alta” ha portato avanti<br />

78 | settembre 2012 | narcomafie<br />

Lo sport<br />

come riscatto<br />

“Ogni bambino ha il diritto di non<br />

essere un campione”, cioè ha il<br />

diritto di condurre una vita nor<br />

male. Anche in quartieri difficili<br />

come la periferia nord di Napoli.<br />

A prendere per mano cinque<br />

cento bambini che lì abitano ci<br />

ha pensato Rosario Esposito La<br />

Rossa, giovane scrittore e attore<br />

teatrale, già autore di Al di là della<br />

neve e direttore della “Marotta<br />

e Cafiero”, storica casa editrice<br />

rilevata insieme all’artista e compagna<br />

Maddalena Stornaiuolo . Il<br />

Ricordando Paolo Miggiano<br />

associazionismo<br />

Cultura itinerante<br />

Daniele Biacchessi è il presidente<br />

della neonata associazione “Ponti<br />

di memoria”, composta da artisti<br />

di ogni genere (musicale, teatrale,<br />

letterario). Nel proprio Dna, «la<br />

diffusione e la promozione della<br />

cultura della memoria italiana<br />

attraverso festival di musica,<br />

cinema, teatro, arti visive, wor-<br />

la sua lotta all’estorsione e al<br />

racket, nonostante le minacce<br />

e le intimidazioni ricevute. Il<br />

libro vanta la prefazione del<br />

magistrato Raffaele Cantone ed<br />

è stato scritto con la collaborazione<br />

di Gennaro Del Prete,<br />

figlio della vittima di camorra a<br />

cui oggi è anche intitolata una<br />

sede antiracket a Mondragone.<br />

Il libro è dedicato ai parenti delle<br />

vittime innocenti; i proventi<br />

delle vendite saranno destinati<br />

al finanziamento di borse studio<br />

sui temi della legalità.<br />

kshop didattici, rassegne letterarie,<br />

iniziative editoriali».<br />

L’associazione “Ponti di memo-<br />

ria” esporterà inoltre in tutta<br />

Italia il format “La città dei nar-<br />

ratori”: una carovana viaggiante<br />

incentrata tanto sui concerti di<br />

musica d’autore quanto su pièces<br />

di teatro civile.<br />

23enne di Scampia ha percorso<br />

l’Italia raccontando anche la sua<br />

esperienza di familiare di vittima<br />

di mafia: suo cugino Antonio Landieri<br />

fu ucciso a 25 anni durante<br />

la faida di Scampia: scambiato<br />

per uno spacciatore del rione,<br />

a causa della sua disabilità non<br />

riuscì a scappare e fu raggiunto<br />

dai proiettili.<br />

Con il suo ultimo libro, Rosario<br />

Esposito La Rossa regala ai lettori<br />

la storia di bambini considerati<br />

“di frontiera”, ai margini, che<br />

si riscattano grazie al gioco del<br />

calcio, imparando a rispettare le<br />

regole dello sport e della vita.<br />

Paolo Miggiano,<br />

A testa alta,<br />

Di Girolamo Editore<br />

Per seguire le iniziative<br />

promosse dall’associazione:<br />

http://www.facebook.com/<br />

AssociazionePontidimemoria


eventi<br />

Nord e Sud, insieme<br />

Promuovere le esperienze di rete<br />

e il protagonismo dei giovani,<br />

attraverso progetti avviati nel<br />

Mezzogiorno. Questo l’obiettivo<br />

principale della Fondazione con<br />

il Sud, organizzatrice della due<br />

giorni “A Torino, con il Sud”.<br />

L’iniziativa si svolgerà il 28 e<br />

il 29 settembre sulla piazza dei<br />

Mestieri del capoluogo piemontese:<br />

circa 600 i partecipanti<br />

attesi da tutta Italia per trattare<br />

temi quali classe dirigente e<br />

fuoricatalogo<br />

formazione del terzo settore,<br />

la scuola, la legalità e i beni<br />

confiscati alle mafie, nel corso<br />

della giornata d’apertura. Le<br />

“buone prassi” che si sono rivelate<br />

vincenti al Sud e che per<br />

questo potrebbero essere mutuate<br />

anche al Nord saranno invece<br />

al centro della seconda giornata<br />

di lavori, alla quale prenderà<br />

parte anche il Presidente della<br />

Repubblica Giorgio Napolitano.<br />

(foto di Gianpaolo Sarlo)<br />

79 | settembre 2012 | narcomafie<br />

bando di concorso<br />

Ciak, si gira<br />

Anche quest’anno Sos Impresa<br />

promuove il bando “Giovani<br />

reporter contro il racket<br />

e l’usura”, rivolto ai giovani<br />

di età compresa tra i 14 e i<br />

29 anni (divisi in due categorie,<br />

studenti fino ai 18 anni e<br />

giovani autori). Gli aspiranti<br />

vincitori, entro il 15 ottobre,<br />

dovranno presentare articoli,<br />

video o fotoinchieste che abbiano<br />

come tema centrale il<br />

racket, l’usura e le relazioni<br />

tra la criminalità e l’economia.<br />

La premiazione avverrà il 21<br />

novembre a Roma nell’ambito<br />

del “No usura day”; la giuria<br />

sarà composta da Lorenzo Diana,<br />

Giovanni Tizian, Marcello<br />

Ravveduto, Emiliano Mancuso<br />

e presieduta da Alberto Neraz-<br />

All’origine della “domanda di mafia”<br />

Il bisogno di mafia. Oggi se ne parla e straparla in libri, articoli e convegni. Il concetto è ormai noto al grande pubblico e spesso<br />

utilizzato per spiegare l’avanzata delle organizzazioni mafiose fuori dai territori d’origine. L’espressione però non è saltata<br />

fuori dal nulla. Ha un’origine precisa, che merita di essere conosciuta poiché costituisce uno spartiacque nell’orizzonte di interpretazioni<br />

del fenomeno criminale e dunque anche dei metodi per contrastarlo.<br />

Era il 1992 quando il sociologo Diego Gambetta scriveva “La mafia siciliana. Un’industria della protezione privata” e nell’introduzione<br />

spiegava: «Il fatto che mentre alcuni cadono vittime di estorsione, molti altri sono clienti volontari dei mafiosi è<br />

emerso sin dal secolo scorso, ma le sue implicazioni non sono mai state indagate a fondo».<br />

Secondo Gambetta la mafia è un’industria che «produce, promuove e vende protezione privata» rispondendo ad un deficit di<br />

fiducia presente in alcuni mercati. La “domanda di servizi mafiosi” può provenire dalla politica (che in cambio può fornire impunità<br />

e possibilità di fare affari), ma può derivare anche dall’inefficienza della giustizia civile, dalla corruzione – la protezione<br />

mafiosa garantirebbe gli accordi – e dall’esistenza di traffici illeciti, che non potrebbero servirsi di altre protezioni se non di<br />

quelle collocate fuori dalla legalità. La mafia funziona dove lo Stato è assente, magari anche a minor costo e con migliori risultati.<br />

“La riluttanza” a sposare questa interpretazione, scrive però Gambetta, «è forse spiegabile con la difficoltà di conciliare<br />

l’idea che la mafia offra un vero e proprio servizio con quella che essa sia un male sociale da combattersi», perciò ci si rifugia<br />

(ancora oggi) nella lettura che vuole i mafiosi semplici estorsori e descrive una falsa, netta contrapposizione tra società legale<br />

e mafia. La disponibilità di servizi mafiosi, secondo il sociologo, spiegherebbe invece anche perché nel rapporto tra Stato e<br />

mafia si sia registrata spesso «la predilezione per contrattare con la mafia piuttosto che combatterla».<br />

La prima edizione del libro risale al 1992. Da allora l’analisi sulla mafia si è ulteriormente evoluta e arricchita, ma il testo di<br />

Gambetta rimane una pietra miliare, un contributo fondamentale per non cadere, ancora oggi, nella tentazione di interpretazioni<br />

più rassicuranti. Perciò ve lo raccomandiamo.<br />

Diego Gambetta, La mafia siciliana. Un’industria della protezione privata, Einaudi 1992<br />

zini. L’anno scorso erano stati<br />

visionati 29 reportage, provenienti<br />

da undici regioni.<br />

Per ulteriori informazioni:<br />

http://tinyurl.com/<br />

sosimpresa-Bando<br />

a cura di Elena Ciccarello


Le banche<br />

nel mirino<br />

dei narcos<br />

Gran parte del denaro sporco proviene<br />

dal traffico delle droghe che,<br />

nella graduatoria mondiale, occupa,<br />

da decenni, il secondo posto,<br />

subito dopo il petrolio e prima<br />

del commercio di armi. In Italia<br />

fonti autorevoli indicano in oltre<br />

400 milioni di euro la “produzione”<br />

giornaliera dell’industria<br />

del riciclaggio. La Banca d’Italia<br />

valutava (ottobre 2011) al 10%<br />

del Pil nazionale il quantitativo<br />

di denaro “ripulito”, indicando<br />

la cifra di oltre 150 miliardi di<br />

euro, mentre stime Eurispes e<br />

dell’Osservatorio Confesercenti<br />

(giugno 2011) lo fissavano a 110<br />

miliardi di euro.<br />

A livello mondiale, secondo il<br />

Fondo monetario internazionale<br />

(Fmi), il riciclaggio si attesterebbe<br />

intorno al 5% del Pil. Negli Stati<br />

Uniti, i traffici di droga producono<br />

tra i 150 e i 200 miliardi di<br />

dollari. Con la sola cocaina, nel<br />

mondo, si movimentano circa 350<br />

miliardi di dollari. In Italia, il<br />

mercato del suddetto stupefacente<br />

frutta, ogni anno, oltre 20 miliardi<br />

di euro, un terzo dei 60 miliardi<br />

riguardanti il commercio di tutte<br />

le droghe (Eurispes 2011) e dei<br />

170 miliardi dell’economia illegale<br />

in genere. Se a quest’ultima<br />

“montagna” di denaro sporco si<br />

sommano i circa 250 miliardi di<br />

euro prodotti dall’economia sommersa<br />

(di cui 100 miliardi di tasse<br />

evase), il bilancio delle “attività<br />

fuorilegge” in Italia è davvero<br />

stratosferico. La (pia) illusione<br />

che qualcosa possa cambiare con<br />

la prevenzione, l’inasprimento di<br />

sanzioni penali, o con la cooperazione<br />

internazionale di polizia<br />

e di magistratura, si scontra, ogni<br />

giorno, con una realtà criminalemafiosa-finanziaria<br />

che appare<br />

pressoché invincibile, perché<br />

saldata con pezzi delle istituzioni<br />

e della politica. Che il mercato<br />

italiano delle droghe vada a gonfie<br />

vele lo conferma il numero dei<br />

sequestri operati nel 2011 (trentanove<br />

tonnellate di droghe) e nel<br />

primo semestre del 2012 (circa<br />

venti tonnellate di stupefacenti,<br />

ossia circa il 15% in più dello<br />

stesso periodo del 2011) dalle<br />

forze di polizia e dalle dogane<br />

su tutto il territorio nazionale.<br />

Un mercato, dunque, che non<br />

conosce affatto la crisi di altri<br />

settori, e che si intreccia sempre<br />

più con un sistema di finanza<br />

internazionale sporca (mafiosa),<br />

che ha intaccato inesorabilmente<br />

le basi di istituzioni bancarie in<br />

molti paesi, in alcuni casi determinandone<br />

il fallimento. Emble-<br />

80 | settembre 2012 | narcomafie<br />

di Piero Innocenti<br />

matica, a riguardo, la “boccata<br />

di ossigeno” di circa 350 miliardi<br />

di narcodollari ricevuta dalla poderosa<br />

Lehmam Brothers dopo il<br />

crac, a fine 2008. A tal proposito,<br />

l’ultima denuncia è contenuta in<br />

un rapporto presentato dal Congresso<br />

americano il 17 luglio 2012<br />

contro la banca britannica Hsbc,<br />

le cui filiali avrebbero “ricevuto”,<br />

nel biennio 2007-2008, dai cartelli<br />

dei narcos messicani, circa<br />

sette miliardi di dollari. L’accusa<br />

contenuta nel rapporto è che la<br />

banca, pur sapendo della pericolosità<br />

dei clienti, ha consentito<br />

loro investimenti, estesi persino<br />

a istituzioni finanziarie saudite<br />

collegate ad Al Qaeda. Ma – è<br />

arcinoto – in qualsiasi latitudine<br />

pecunia non olet e servono a ben<br />

poco gli accordi e le convenzioni<br />

internazionali contro il lavaggio<br />

del denaro, soprattutto quando,<br />

come in questi anni, c’è un gran<br />

bisogno di liquidità.<br />

Con il denaro del narcotraffico,<br />

dunque, sono state salvate diverse<br />

importanti banche negli ultimi<br />

anni. La recessione mondiale, la<br />

crisi del dollaro e dell’euro, l’inquietante<br />

e perdurante situazione<br />

finanziaria, fanno del nostro paese,<br />

dell’Europa intera, un mercato<br />

di forte richiamo per le grandi<br />

operazioni di riciclaggio e c’è<br />

il serissimo pericolo che poteri<br />

finanziari mafiosi si stiano impadronendo<br />

(lo hanno già fatto?) di<br />

vitali settori dell’economia, dalle<br />

banche a grandi aziende. Continuare<br />

a non affrontare seriamente<br />

il problema del narcotraffico e<br />

del riciclaggio di denaro a livello<br />

internazionale (la Convenzione<br />

europea sul riciclaggio del maggio<br />

2005 deve ancora essere ratificata<br />

dal nostro paese, ma anche da<br />

Francia, Germania, Gran Bretagna)<br />

significa correre il rischio di<br />

assistere alla nascita e al consolidamento<br />

di veri e propri “narcostati”.<br />

È quello che stanno già<br />

drammaticamente vivendo paesi<br />

come il Messico, la Colombia,<br />

il Perù, la Bolivia e del Sud-est<br />

asiatico, dove l’incidenza della<br />

produzione, del traffico di droghe<br />

e del riciclaggio sull’economia,<br />

oscilla, mediamente, tra il 40%<br />

(Messico) e il 30% nei restanti<br />

paesi. Senza contare che, anche<br />

negli Stati Uniti, si sostiene che se<br />

il narcotraffico venisse debellato<br />

l’economia americana subirebbe<br />

perdite di oltre il 20%. Insomma,<br />

si vive una situazione paradossale<br />

in cui la liquidità proveniente<br />

dall’economia illegale (e da quella<br />

sommersa) è fondamentale alla<br />

sopravvivenza dell’establishment<br />

di interi paesi.<br />

Nel 1997 Amado Carrillo Fuentes,<br />

storico capo del cartello di narcotrafficanti<br />

di Juarez, ricercato<br />

dalla polizia federale, propose<br />

al governo messicano del tempo<br />

la sua disponibilità a risanare,<br />

con il proprio denaro, il debito<br />

nazionale purché fosse “lasciato<br />

in pace”. Dobbiamo aspettarci<br />

qualcosa del genere anche in Italia<br />

e in Europa da qualche esponente<br />

della ’ndrangheta?


numero 9 | 2012<br />

numero 9 | 2012 | 3 euro<br />

Mensile | Anno XX | Poste italiane S.p.A | SPED. IN A.P. D.L. 353/2003 (conv. in L.27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 1 DCB | To. ISSN 1127-9117<br />

EVOLUZIONI E NUOVI AFFARI<br />

DELLA SACRA CORONA UNITA<br />

PUGLIA, DIETRO<br />

LA PAX MAFIOSA


SOMMARIO3 |<br />

L’EDITORIALE<br />

La Trattativa<br />

e l’ombra dei servizi<br />

di Livio Pepino<br />

6 | CANTIERI A PALERMO<br />

La metro che verrà<br />

di Manlio Melluso<br />

9 | ANNIVERSARI<br />

«L’omicidio politico» del<br />

generale Carlo Alberto dalla Chiesa<br />

di Marika Demaria<br />

12 | I GIORNI DELLA CIVETTA<br />

Brevi di mafia<br />

a cura di Manuela Mareso<br />

15 | NUOVE RESISTENZE<br />

Adriano, per 10 anni<br />

vittima della città usurata<br />

di Laura Galesi<br />

16 | ILLEGALITÀ E CALCIO<br />

La rete delle mafie<br />

di Pierpaolo Romani<br />

22 | COSE NOSTRE<br />

Sulle note dell’antimafia<br />

di Elisa Latella<br />

24 | IL MERCATO AURIFERO<br />

I cacciatori dell’oro.<br />

Il nero della criminalità<br />

di Ranieri Razzante<br />

28 | STROZZATECI TUTTI<br />

Il blog di don Raffaele<br />

di Marcello Ravveduto<br />

29 | SACRA CORONA UNITA<br />

La mafia giovane<br />

di Maria Luisa Mastrogiovanni<br />

La pax mafiosa<br />

e la ricerca del consenso<br />

di M.L.M.<br />

Giochi sporchi<br />

di M.L.M.<br />

L’affare rifiuti e la metamorfosi<br />

genetica della Scu<br />

di M.L.M.<br />

Dai pescherecci alla movida<br />

di Mara Chiarelli<br />

Le casse della mafia pugliese<br />

di Andrea Apollonio<br />

60| ALTARISOLUZIONE<br />

Rap anticamorra<br />

testo e foto di Gaetano Massa<br />

64 | OCCIDENTI<br />

Rassegna stampa internazionale<br />

a cura di Stefania Bizzarri<br />

67 | SCONTRI TRA ESERCITO E FARC<br />

È ancora guerra<br />

di Guido Piccoli<br />

72 | CRONACHE SOMMERSE<br />

Dopo Al Assad<br />

di Andrea Giordano<br />

73 | SEGNALI<br />

Scena criminis: violenza criminale<br />

e cinema tra Aurora e Venezia<br />

di Francesco Strazzari<br />

76 | SEGNALIBRO<br />

Foto ricordo<br />

di Elisa Latella<br />

78 | SHARE<br />

Le segnalazioni del mese<br />

a cura di Marika Demaria<br />

80 | L’OPINIONE<br />

Le banche nel mirino dei narcos<br />

di Piero Innocenti

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!