Narcomafie - Liberanet
Narcomafie - Liberanet
Narcomafie - Liberanet
You also want an ePaper? Increase the reach of your titles
YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.
Il trentennale<br />
dell’omicidio<br />
dalla Chiesa<br />
9<br />
1 | settembre 2012 | narcomafie<br />
29<br />
Dossier<br />
Sacra<br />
corona<br />
unita<br />
67<br />
Colombia, il vero volto<br />
della narcoguerriglia<br />
60Casoria, rap anticamorra
numero 9 | settembre 2012<br />
Il giornale è dedicato a Gian carlo Siani<br />
simbolo dei giornalisti uccisi dalle mafie<br />
Fondatore Luigi Ciotti<br />
Direzione Manuela Mareso (direttore responsabile)<br />
Livio Pepino (condirettore)<br />
Redazione<br />
Stefania Bizzarri, Marika Demaria, Davide Pati (Roma), Matteo Zola<br />
Comitato scientifico<br />
Enzo Ciconte, Mirta Da Pra, Nando dalla Chiesa, Daniela De Crescenzo,<br />
Alessandra Dino, Sandro Donati, Lorenzo Frigerio, Tano Grasso,<br />
Leopoldo Grosso, Monica Massari, Diego Novelli, Stefania Pellegrini<br />
Collaboratori<br />
Fabio Anibaldi, Pierpaolo Bollani, Ferdinando Brizzi, Maurizio Campisi,<br />
Gian Carlo Caselli, Stefano Caselli, Elena Ciccarello, Rinaldo Del Sordo,<br />
Stefano Fantino, Jole Garuti, Andrea Giordano, Gianluca Iazzolino,<br />
Piero Innocenti, Alison Jamieson, Alain Labrousse, Bianca La Rocca,<br />
Davide Mazzesi, Giovanna Montanaro, Marco Nebiolo, Dino Paternostro,<br />
Davide Pecorelli, Antonio Pergolizzi, Osvaldo Pettenati, Guido<br />
Piccoli, Francesca Rispoli, Lillo Rizzo, Pierpaolo Romani, Adriana<br />
Rossi, Peppe Ruggiero, Paolo Siccardi, Elisa Speretta, Lucia Vastano,<br />
Monica Zornetta<br />
Progetto grafico<br />
Avenida grafica e pubblicità (Mo)<br />
Impaginazione<br />
Acmos adv<br />
In copertina<br />
Foto di Lua (laboratoriourbanoaperto.wordpress.com)<br />
Fotolito e stampa<br />
Giunti Industrie Grafiche S.p.A. Stabilimento di Prato - Tel. 0574 6291<br />
Direzione, Redazione<br />
corso Trapani 91, 10141 Torino, tel. 011/3841074<br />
fax 011/3841047, redazione@narcomafie.it, www.narcomafie.it<br />
Registrazione al Tribunale di Torino il 18.12.1992 n. 4544<br />
Abbonamenti<br />
Spedizione in abbonamento postale<br />
30 euro (estero 49), 50 euro abbonamento sostenitore<br />
Bollettino postale: ccp n. 155101 intestato a Gruppo Abele periodici,<br />
Corso Trapani 95, 10141 Torino<br />
Bonifico bancario: Banca Popolare Etica - Padova<br />
IBAN: IT21S0501801000000000001803<br />
intestato ad Associazione Gruppo Abele Onlus<br />
Online: con carta di credito (Visa-Mastercard-American Express-Aura-Postepay),<br />
tramite il servizio Paypal<br />
Ufficio Abbonamenti<br />
tel. 011/3841046 - fax 011/3841047 abbonamenti@gruppoabele.org<br />
Reclamo arretrati<br />
Chi non ha ricevuto un numero della rivista ha 30 giorni di tempo dal<br />
ricevimento del numero successivo per richiederlo gratuitamente,<br />
oltre dovrà acquistarlo a prezzo di copertina<br />
Informazione per gli abbonati: i dati personali sono trattati elettro-<br />
nicamente e utilizzati esclusivamente dall’Associazione Gruppo Abele<br />
Onlus per l’invio di informazioni sulle proprie iniziative. Ai sensi<br />
dell’art. 13, L.675/96 sarà possibile esercitare i relativi diritti, fra cui<br />
consultare, modificare e far cancellare i dati personali scrivendo a:<br />
Associazione Gruppo Abele, Responsabile Dati, c.so Trapani 95, 10141<br />
Torino<br />
Questo numero è stato chiuso in redazione il 18/09/2012<br />
L’elenco delle librerie in cui è possibile acquistare narcomafie<br />
è disponibile alla pagina web www.narcomafie.it/librerie.htm<br />
www.narcomafie.it<br />
2 | settembre 2012 | narcomafie
La<br />
Trattativa<br />
e l’ombra<br />
dei servizi<br />
C’è, di nuovo, polemica intorno<br />
alla magistratura, alle sue competenze,<br />
alle sue asserite esorbitanze,<br />
ai suoi presunti eccessi.<br />
Questa volta la polemica è esplosa<br />
a seguito degli sviluppi delle<br />
indagini palermitane sulla cosiddetta<br />
trattativa, intercorsa nei<br />
primi anni Novanta tra lo Stato<br />
e Cosa nostra, e del conflitto,<br />
sollevato dal Capo dello Stato di<br />
fronte alla Corte costituzionale<br />
in merito al trattamento da riservare<br />
a sue conversazioni telefoniche<br />
captate nel corso di intercettazioni<br />
disposte nei confronti<br />
di altri (nella specie il senatore<br />
Nicola Mancino).<br />
La polemica interviene in un<br />
momento delicatissimo e rischia<br />
di far passare in secondo piano<br />
due scadenze giudiziarie che<br />
propongono una rilettura di pagine<br />
consistenti del grande libro<br />
degli intrecci tra mafie e potere<br />
e dell’intervento giudiziario al<br />
riguardo: la nuova indagine<br />
sull’omicidio di Paolo Borsellino<br />
e sulla strage di via D’Amelio e<br />
la chiusura delle indagini per la<br />
citata trattativa (con le omissioni<br />
e le compromissioni che l’hanno<br />
caratterizzata).<br />
Il processo per l’omicidio del<br />
dottor Paolo Borsellino (quello<br />
sviluppatosi nei cosiddetti Borsellino<br />
e Borsellino bis) è stato<br />
– possiamo dirlo con tranquilla<br />
certezza pur in attesa del giudizio<br />
di revisione – un processo truccato.<br />
Lo afferma la Procura generale<br />
di Caltanissetta nella richiesta,<br />
inoltrata il 13 ottobre<br />
2011 alla Corte di appello di<br />
Catania, diretta a ottenere la revisione<br />
del processo per undici<br />
condannati come autori materiali<br />
o partecipi della strage; lo avvalorano<br />
le conseguenti scarcerazioni<br />
disposte dalla Corte di<br />
appello di Catania il successivo<br />
28 ottobre (in attesa dei necessari<br />
seguiti processuali); lo documentano<br />
la memoria della Direzione<br />
distrettuale antimafia di<br />
Caltanissetta allegata alla richiesta<br />
(riepilogativa di tre anni di<br />
indagini), i fatti ivi ricostruiti e<br />
le dichiarazioni riportate, anche<br />
autoaccusatorie, del collaboratore<br />
di giustizia Gaspare Spatuzza;<br />
lo conferma l’emissione da parte<br />
del Gip di Caltanissetta di<br />
ordinanza di custodia cautelare<br />
in carcere, eseguita l’8 marzo<br />
2012, per quattro nuovi imputati<br />
di strage: il boss Salvatore Madonia<br />
e, con lui, Gaspare Spatuzza,<br />
Vittorio Tutino e Salvatore<br />
Vitale (in precedenza mai<br />
3 | settembre 2012 | narcomafie<br />
di Livio Pepino<br />
lambito dalle indagini seppur<br />
notoriamente legato a Cosa nostra<br />
e residente nel condominio di<br />
via D’Amelio dove abitava la<br />
madre del dottor Borsellino...);<br />
e, ancor più, lo dimostra l’inconsistenza<br />
– alla luce di una analisi<br />
spassionata – della costruzione<br />
accusatoria edificata sulle<br />
dichiarazioni dei (falsi) pentiti<br />
Vincenzo Scarantino e Salvatore<br />
Candura, con la regia del dottor<br />
Arnaldo La Barbera (il superpoliziotto<br />
incaricato dal capo della<br />
Polizia di coordinare le indagini<br />
sulle stragi e ben incardinato – ora<br />
lo sappiamo – nel Sisde) e con<br />
la successiva ratifica di ben sei<br />
collegi giudicanti. Se tutto questo<br />
sia accaduto per superficialità,<br />
per eccesso di zelo nel trovare<br />
(comunque e presto) dei colpevoli<br />
o per fini inconfessabili<br />
(comprensivi anche della copertura<br />
di responsabilità nell’omicidio<br />
estranee a Cosa nostra,<br />
come adombrato nella memoria<br />
della Dda di Caltanissetta) non<br />
è dato oggi sapere.<br />
È qui che si inserisce – intrecciandosi<br />
con le anomalie del processo<br />
per la strage – la vicenda della<br />
trattativa intercorsa tra lo Stato e<br />
Cosa nostra nei primi anni Novanta:<br />
forse per interrompere la<br />
strategia stragista (che inizia non<br />
già, come talora si dice, nel 1993<br />
ma l’antivigilia di Natale del 1984<br />
con l’attentato al treno rapido 904<br />
in viaggio da Napoli a Milano),<br />
forse per propiziare la cattura di<br />
alcuni capi latitanti da decenni,<br />
forse per ridisegnare i rapporti tra<br />
mafia e politica, forse per ambizioni<br />
e concorrenza di apparati.<br />
Anche qui non è dato sapere. Ma<br />
quel che è certo è che trattativa<br />
c’è stata (come accertato sin dalla<br />
sentenza 6 giugno 1998 della<br />
Corte di assise di Firenze, secondo<br />
cui i colloqui tra gli ufficiali<br />
dei carabinieri Mori e De Donno<br />
e l’ex sindaco mafioso di Palermo<br />
Vito Ciancimino «avevano tutte<br />
le caratteristiche per apparire come<br />
una “trattativa” e l’effetto sui<br />
capi mafiosi fu quello di convincerli,<br />
definitivamente, che la strage<br />
[di via dei Georgofili, ndr] era<br />
idonea a portare vantaggi all’organizzazione);<br />
che in essa si inserirono<br />
vicende inquietanti (come<br />
quella della mancata perquisizione<br />
del covo di Riina dopo il<br />
suo arresto); che essa vedeva la<br />
ferma e intransigente opposizione<br />
di Paolo Borsellino.<br />
Si tratta di vicende per le quali<br />
occorre attendere le verifiche<br />
giudiziarie, nella speranza che<br />
siano rapide e rigorose. Nell’attesa,<br />
peraltro, è difficile non<br />
condividere un’amara considerazione<br />
svolta da Enrico Deaglio<br />
nel recente Il vile agguato. Chi<br />
ha ucciso Paolo Borsellino. Una<br />
storia di orrore e di menzogna<br />
(Feltrinelli, 2012): «In realtà, più<br />
che i mafiosi stessi o i politici<br />
corrotti, sono gli onnipotenti<br />
servizi i protagonisti dell’ultima<br />
stagione di narrazione della mafia.<br />
Sono i depositari di una verità<br />
che, ovviamente, non si saprà<br />
mai, perché i mafiosi si pentono,<br />
crollano, parlano (il problema,<br />
casomai, è fermare la loro loquela,<br />
prima che facciano danno),<br />
i politici si spaventano, i<br />
banchieri vengono ammazzati,<br />
ma la baracca la tengono in piedi<br />
loro, i Servizi».
Cantieri a Palermo<br />
Foto di Yoann Brieux<br />
La metro<br />
che verrà<br />
È l’opera pubblica più importante della Sicilia da almeno due<br />
decenni. Un’interdittiva prefettizia nel 2011 ne riscontra i tentativi<br />
di infiltrazione mafiosa: forniture di calcestruzzi.<br />
Eppure la realizzazione della metropolitana prosegue<br />
di Manlio Melluso<br />
6 | settembre 2012 | narcomafie
Che cosa succede se, a Palermo,<br />
all’interno del cantiere per la<br />
realizzazione della metropolitana<br />
sono evidenti i tentativi<br />
di infiltrazione mafiosa? Si va<br />
avanti lo stesso, anche deliberando<br />
un recesso parziale. Il<br />
motivo? Interrompere i lavori<br />
non sarebbe conveniente: si<br />
perderebbero i fondi europei,<br />
si dovrebbero mettere in sicurezza<br />
i cantieri già avviati,<br />
i disagi per i residenti si prolungherebbero.<br />
Ancora: i costi<br />
dovrebbero essere rivalutati e<br />
non si potrebbe chiedere conto<br />
alle nuove imprese appaltatrici<br />
dei ritardi nella realizzazione<br />
dell’opera.<br />
Così scrisse “il barone”. Sono<br />
queste le motivazioni avanzate<br />
da Rfi, Rete ferroviaria italiana,<br />
in una delibera datata 27 marzo<br />
2012 e firmata dall’ingegner<br />
Andrea Cucinotta, responsabile<br />
del progetto per la società. Insomma,<br />
si continua a lavorare<br />
con le imprese in odore di mafia<br />
perché non farlo costa troppo.<br />
Ubi maior minor cessat. Ma<br />
chi era interessato, all’interno<br />
di Cosa nostra, alla realizzazione<br />
del raddoppio del passante<br />
ferroviario? L’affare è di quelli<br />
che fanno gola. Per questo i boss<br />
più importanti della mafia siciliana<br />
si erano mossi per tempo.<br />
Tra questi c’erano padrini del<br />
calibro di Bernardo Provenzano<br />
e Salvatore Lo Piccolo. Quando<br />
l’11 aprile del 2006 “Binnu<br />
u tratturi” fu arrestato nel<br />
covo di Montagna dei Cavalli,<br />
a una manciata di chilometri<br />
dalla sua Corleone, gli agenti<br />
che lo catturarono trovarono<br />
all’interno della masseria un<br />
“pizzino” in cui si parlava<br />
di appalti: «Zio, la informo<br />
che siccome in breve (forse<br />
in aprile) dovrebbe iniziare la<br />
metropolitana, che è un grosso<br />
lavoro, volevo chiedere se le<br />
interessa qualche calcestruzzi<br />
da fare lavorare. Se c’è qualche<br />
calcestruzzi che le interessa, me<br />
lo faccia sapere che la inserisco<br />
nel consorziato che sto facendo<br />
con Andrea Impastato. In<br />
merito attendo sue notizie. Poi<br />
inoltre mi sto interessando per<br />
fargli lavorare qualche mezzo a<br />
Luca». Il mittente era Salvatore<br />
Lo Piccolo, detto “il barone”,<br />
capomandamento di San Lorenzo,<br />
destinato a prendere il<br />
comando dell’associazione criminale<br />
a Palermo proprio dopo<br />
l’arresto del boss corleonese.<br />
Anche lui, come Provenzano,<br />
finirà in manette insieme al<br />
figlio Sandro il 5 novembre del<br />
2007, catturato in una villa di<br />
Giardinello. Cosa nostra era<br />
dunque interessata ai lavori<br />
per la realizzazione del raddoppio<br />
del passante ferroviario di<br />
Palermo, un affare da oltre seicento<br />
milioni di euro. Di fronte<br />
a questi indizi e visto il rango<br />
criminale dei nomi coinvolti,<br />
gli investigatori si sono messi<br />
all’opera e hanno cercato di<br />
capire di più su quanto stava<br />
succedendo intorno al cantiere<br />
affidato da Rete ferroviaria<br />
italiana alla Nodo di Palermo,<br />
l’associazione temporanea di<br />
imprese costituita dalla capofila<br />
Sis spa (consorzio a sua volta<br />
creato dalle torinesi Inc General<br />
Contractor spa e Sipal spa<br />
e dalla spagnola Sacyr), dalla<br />
Sintagma spa di Perugia e la<br />
Geodata di Torino. Il quadro<br />
emerso è di quelli che fanno<br />
tremare i polsi.<br />
Andiamo con ordine. Il 30<br />
maggio 2011 l’imprenditore<br />
che veniva citato nel “pizzino”<br />
inviato da Lo Piccolo a<br />
7 | settembre 2012 | narcomafie<br />
Provenzano, Andrea Impastato<br />
– già condannato per mafia e<br />
sospettato di essere in affari<br />
con Pino Lipari, il “ragioniere”<br />
di Bernardo Provenzano<br />
– viene arrestato dagli uomini<br />
della direzione investigativa<br />
antimafia di Palermo. L’inchiesta,<br />
coordinata dal procuratore<br />
aggiunto Antonio Ingroia e dai<br />
sostituti Gaetano Paci e Francesco<br />
Del Bene, porta alla luce i<br />
rapporti tra l’imprenditore, che<br />
avrebbe gestito alcune imprese<br />
nell’interesse di Cosa nostra, e<br />
l’associazione criminale, che<br />
si sarebbe prodigata affinché<br />
Impastato si aggiudicasse grossi<br />
appalti nella provincia di Palermo.<br />
Tra gli altri, appunto,<br />
anche quello per la fornitura<br />
del cemento per il cantiere della<br />
linea metropolitana.<br />
Di padre in figlio. I lavori per<br />
la realizzazione del raddoppio<br />
del passante ferroviario, che<br />
servirà a collegare alcune zone<br />
della città di Palermo con l’aeroporto<br />
“Falcone Borsellino” di<br />
Punta Raisi, a Cinisi, distante 30<br />
chilometri dal centro cittadino,<br />
sono iniziati ufficialmente il 22<br />
febbraio del 2008. I legami con<br />
una delle ditte di Impastato<br />
erano, però, risalenti al 2006,<br />
anno in cui la Sis aveva già<br />
cominciato a lavorare al cantiere<br />
nel quartiere Brancaccio.<br />
Le forniture di calcestruzzo<br />
erano state affidate, infatti,<br />
alla “Prime Iniziative”, il cui<br />
titolare era, appunto, Impastato.<br />
Viste le contestazioni<br />
arrivate dalla prefettura di<br />
Palermo, però, la Sis prende<br />
precauzioni e gira l’appalto<br />
alla “Medi Tour”. Ma chi sono<br />
i titolari di questa impresa?<br />
Ebbene, i figli di Impastato,<br />
Francesco e Luigi.<br />
L’imprenditore<br />
citato nel<br />
“pizzino” inviato<br />
da Lo Piccolo<br />
a Provenzano è<br />
Andrea Impastato,<br />
già condannato per<br />
mafia e sospettato<br />
di essere in affari<br />
con Pino Lipari,<br />
il “ragioniere”<br />
di Bernardo<br />
Provenzano
Viste le<br />
contestazioni<br />
della prefettura<br />
di Palermo, la Sis<br />
prende precauzioni<br />
e gira l’appalto alla<br />
“Medi Tour”. Ma<br />
chi sono i titolari<br />
di questa impresa?<br />
I figli<br />
di Impastato,<br />
Francesco e Luigi<br />
Lo stop della prefettura. Il 30<br />
novembre 2011 la Prefettura<br />
di Torino (competente perché<br />
la Sis ha sede legale nel capoluogo<br />
piemontese) trasmette a<br />
Italferr, società incaricata da<br />
Rfi, un’informativa antimafia,<br />
pervenuta il 16 dicembre, in<br />
cui si riportano tentativi di infiltrazione<br />
mafiosa all’interno<br />
della Sis e si fa riferimento al<br />
direttore tecnico, l’ingegner Giuseppe<br />
Galluzzo, e al direttore di<br />
produzione dell’associazione di<br />
imprese, il geometra Roberto<br />
Russo. A seguito dell’informati<br />
va la Sis corre ai ripari: Galluzzo,<br />
che non è iscritto nel registro<br />
degli indagati e non è oggetto<br />
di alcun provvedimento giu<br />
diziario (il suo legale dopo sei<br />
mesi dall’informativa non era<br />
neanche riuscito a recuperare la<br />
documentazione richiesta alla<br />
prefettura di Torino) viene licen<br />
ziato in tronco; Russo è allonta<br />
nato da Palermo e richiamato in<br />
sede a Torino. Successivamente,<br />
da Italferr viene richiesta una<br />
nuova certificazione antimafia<br />
alla prefettura di Palermo, che il<br />
3 febbraio di quest’anno comu<br />
nica di avere girato la domanda<br />
all’omologo organismo di Tori<br />
no e sollecita contestualmente<br />
Italferr a «far conoscere quali<br />
decisioni intenda assumere in<br />
ordine al rapporto con il general<br />
contractor dei lavori Nodo<br />
di Palermo s.c.p.a.»: evidentemente<br />
i provvedimenti messi<br />
in atto dalla capofila Sis non<br />
sono sufficienti. Nel frattempo<br />
la stampa locale comincia a<br />
interessarsi al caso, tanto che il<br />
19 aprile Rete ferroviaria italiana<br />
decide di diffondere un comunicato<br />
stampa: «(…) relativamente<br />
all’appalto per la progettazione<br />
esecutiva e realizzazione del<br />
raddoppio della tratta Palermo-<br />
8 | settembre 2012 | narcomafie<br />
Carini, nell’ambito del “Progetto<br />
Nodo di Palermo” e ai tentativi<br />
di infiltrazione mafiosa nei<br />
confronti del contraente generale,<br />
Rete ferroviaria italiana<br />
precisa che lo scorso dicembre<br />
aveva chiesto e ottenuto dal<br />
contraente generale l’allontanamento<br />
del direttore tecnico<br />
e del direttore di produzione e<br />
la loro immediata sostituzione<br />
con persone non segnalate dalla<br />
prefettura. Al momento della<br />
segnalazione prefettizia, su un<br />
totale di 706 milioni di euro di<br />
valore complessivo dell’opera,<br />
rimanevano da realizzare lavori<br />
per 394 milioni. Per far fronte ai<br />
rischi segnalati dalle autorità, si<br />
è provveduto alla risoluzione di<br />
contratti per 257 milioni. Si è<br />
altresì responsabilmente deciso<br />
di portare avanti e completare i<br />
lavori relativi ai restanti 137 milioni<br />
per assicurare un adeguato<br />
livello di sicurezza dei cantieri e<br />
consentire di mitigare i disagi per<br />
la cittadinanza nelle aree più densamente<br />
urbanizzate. Tutte queste<br />
azioni, sono state comunicate<br />
preventivamente alla prefettura<br />
di Palermo e gli altri enti istituzionali<br />
e territoriali interessati.<br />
(…) È da precisare che avverso<br />
il provvedimento adottato dalla<br />
prefettura di Torino il contraente<br />
generale ha presentato ricorso al<br />
Tar Piemonte per l’annullamento<br />
del provvedimento».<br />
I dubbi di Addiopizzo e Libero<br />
futuro. I lavori, insomma, secondo<br />
Rfi, non vanno interrotti<br />
del tutto, ma solo parzialmente:<br />
una questione di opportunità<br />
e non di opportunismo. Nel<br />
frattempo il ricorso al Tar contro<br />
il provvedimento della Prefettura<br />
di Torino, che ha ritenuto<br />
insufficiente l’allontanamento<br />
di Galluzzo e Russo è stato re-<br />
spinto, ma la Sis ha adito il Consiglio<br />
di Stato, che deve ancora<br />
pronunciarsi. Sis ha incassato<br />
il sostegno di due importanti<br />
associazioni antimafia, come<br />
Addiopizzo e Libero Futuro:<br />
«La società Sis, che sta realizzando<br />
a Palermo il raddoppio<br />
del passante ferroviario, la più<br />
importante opera pubblica degli<br />
ultimi vent’anni – si legge in un<br />
comunicato stampa congiunto –<br />
ha avuto rescisso parzialmente<br />
il contratto d’appalto a seguito<br />
di un provvedimento interdittivo<br />
della Prefettura di Torino.<br />
Nel caso della Sis va rilevato<br />
che ad oggi non vi è notizia di<br />
alcuna indagine o procedimento<br />
giudiziario in corso. Inoltre,<br />
contrariamente a quanto emerso<br />
su alcuni articoli di stampa, la<br />
società Sis si è rivolta per alcune<br />
forniture all’azienda Impastato<br />
solo dopo che quest’ultima è<br />
stata sequestrata e assegnata<br />
ad un amministratore giudiziario.<br />
Addiopizzo e Libero<br />
Futuro hanno avuto modo di<br />
approfondire la questione ed<br />
hanno maturato dei dubbi sul<br />
provvedimento della Prefettura<br />
di Torino che appare abnorme<br />
e che sarà oggetto di richiesta<br />
di riesame affinché possano<br />
essere revisionati i provvedimenti<br />
adottati. Confidando in<br />
un esito positivo del procedimento<br />
le nostre associazioni e<br />
la Sis predisporranno anche un<br />
protocollo finalizzato a porre<br />
in essere attività di tutoraggio<br />
e assistenza».<br />
La metropolitana di Palermo<br />
servirà a snellire la circolazione<br />
nelle strade della città,<br />
pazienza se si userà il cemento<br />
della mafia. D’altronde lo diceva<br />
anche Johnny Stecchino<br />
che il problema di Palermo è<br />
il traffico.
Anniversari<br />
9 | settembre 2012 | narcomafie<br />
«L’omicidio politico»<br />
«L’omicidio politico»<br />
del generale Carlo<br />
Alberto dalla Chiesa<br />
Il 3 settembre 1982 alle 21.10, la mafia uccideva il prefetto<br />
di Palermo Carlo Alberto dalla Chiesa, il piemontese di<br />
Saluzzo tornato in Sicilia per combattere Cosa nostra ma<br />
con i poteri “del prefetto di Forlì”. Quattro mesi di insidie,<br />
veleni, isolamento che preannunciarono il tragico epilogo.<br />
A distanza di trent’anni, il ricordo del figlio Nando<br />
di Marika Demaria
«Tre cose ti avevo promesso<br />
dentro di me il pomeriggio<br />
di quel 5 settembre a Parma,<br />
mentre ti sottraevano per sempre<br />
al sole: che avrei gridato<br />
al mondo il nome dei tuoi<br />
assassini; che avrei difeso la<br />
tua memoria dagli assalti degli<br />
sciacalli; che avrei cercato<br />
di tenere vivi gli ideali per i<br />
quali eri caduto. Per quello<br />
che potevo, quella promessa<br />
l’ho rispettata».<br />
Il destinatario di quelle promesse<br />
era il Generale Carlo<br />
Alberto dalla Chiesa, ucciso<br />
il 3 settembre 1982 insieme<br />
alla moglie Emmanuela Setti<br />
Carraro; l’agente di scorta<br />
Domenico Russo, che coraggiosamente<br />
tentò di salvarli<br />
dal fuoco dei kalashnikov con<br />
la sua pistola d’ordinanza,<br />
entrò in coma e morì dodici<br />
giorni dopo. Il figlio Nando<br />
si rivolse con quelle parole al<br />
padre dalle pagine di Delitto<br />
imperfetto, pubblicato nel<br />
1984 dapprima in Francia,<br />
poiché in Italia non trovò<br />
subito spazio editoriale. La<br />
spiegazione di un simile atteggiamento<br />
è da ricercarsi<br />
nella denuncia che emerge<br />
dallo scritto: il delitto dalla<br />
Chiesa fu un omicidio politico.<br />
Un’affermazione che i figli<br />
Rita, Nando e Simona hanno<br />
urlato per trent’anni e che<br />
hanno ribadito proprio il giorno<br />
in cui l’Italia si è fermata<br />
per ricordare la strage di via<br />
Isidoro Carini.<br />
«Tre decenni fa dissi di andare<br />
a cercare i mandanti nella<br />
Dc. Oggi lo confermo».<br />
Dopo tutti questi anni c’è<br />
dunque ancora chi crede (o<br />
vuole credere) che ad ucci-<br />
10 | settembre 2012 | narcomafie<br />
dere il prefetto di Palermo<br />
fu solo la mafia?<br />
«All’indomani delle celebrazioni<br />
per il trentennale<br />
dell’omicidio – risponde Nando<br />
dalla Chiesa – mi è stato<br />
chiesto di fare i nomi delle<br />
persone della Dc che ritenevo<br />
coinvolte....sì, nonostante<br />
tutto c’è ancora chi nega ciò<br />
che era sotto gli occhi di tutti.<br />
Io stesso credevo che non si<br />
sarebbero spinti a tanto, che<br />
non avrebbero ucciso mio<br />
padre perché ciò che accadde<br />
in quei quattro mesi a Palermo<br />
era così evidente, squassante,<br />
che colpirlo a morte significava<br />
firmare quell’omicidio.<br />
Purtroppo mi sbagliavo. Persone<br />
come i Salvo, Andreotti<br />
e i vertici della Cupola hanno<br />
formato un grumo di potere<br />
fortissimo, un sistema di potere<br />
che ha eliminato tutte le<br />
persone che potevano dare<br />
fastidio. Basti pensare a Pio<br />
La Torre, ucciso il 30 aprile<br />
1982: aveva dichiarato che i<br />
mafiosi bisognava colpirli al<br />
cuore sottraendo loro le ricchezze,<br />
i patrimoni. Quando<br />
il Generale dalla Chiesa giunse<br />
a Palermo, proprio il giorno<br />
dei funerali del sindacalista,<br />
affermò chiaramente che non<br />
avrebbe fatto sconti a nessuno<br />
e che il potere, quel certo<br />
tipo di potere, sarebbe stato<br />
smantellato. Fu calunniato,<br />
lasciato solo, addirittura c’è<br />
chi insinuò che cercava visibilità<br />
per diventare ministro<br />
dell’Interno.<br />
Il reato ascritto all’articolo<br />
416 bis del codice di procedura<br />
penale si ebbe solo il<br />
13 settembre di quello stesso<br />
anno: l’Italia dunque dovette<br />
pagare un tributo di sangue<br />
altissimo prima di ottenere<br />
uno strumento efficace per il<br />
contrasto alle mafie».<br />
1982-2012: cosa è cambiato<br />
in questo ambito?<br />
«Innanzitutto bisogna avere<br />
rispetto per la memoria. Non<br />
basta ricordare il sacrificio<br />
delle vittime delle mafie in<br />
occasione degli anniversari,<br />
specie quelli tondi. La memoria<br />
degli eroi deve essere<br />
continua, costante e non deve<br />
essere umiliata. Ognuno deve<br />
fare la propria parte: dalla<br />
cultura in senso generale al<br />
rifiuto della mafiosità, che<br />
deve essere spiegata all’interno<br />
delle scuole, bisogna<br />
che lo Stato si organizzi in<br />
maniera strutturata ed organica,<br />
difendendo i magistrati<br />
che della lotta alla mafia<br />
hanno fatto la loro ragione<br />
di vita e condannando i mafiosi<br />
anziché assolverli per<br />
insufficienza di prove (come<br />
accadde a Luciano Liggio,<br />
accusato dell’assassinio di<br />
Placido Rizzotto dall’allora<br />
capitano dei Carabinieri<br />
Carlo Alberto dalla Chiesa,<br />
nda). Anche l’antimafia deve<br />
essere un movimento stabile,<br />
non basta commuoversi agli<br />
incontri pubblici per poi dimenticare<br />
gli insegnamenti<br />
delle persone che si sono<br />
appena celebrate».<br />
Nando dalla Chiesa sottolinea<br />
che, nella generosa eredità<br />
di ideali e valori lasciata da<br />
suo padre, ci sono due insegnamenti<br />
che dovrebbero<br />
costituire il dogma per una<br />
società sana: i cittadini devono<br />
avere come diritti ciò<br />
che la mafia garantisce loro<br />
sotto forma di doveri e che<br />
finché una tessera di partito
conterà più dello Stato non<br />
riusciremo mai a sconfiggere<br />
la mafia.<br />
C’è una frase del Generale<br />
che suona come una sorta<br />
di testamento morale: «Ci<br />
sono cose che non si fanno<br />
per coraggio. Si fanno per<br />
potere continuare a guardare<br />
serenamente negli occhi i<br />
propri figli e i figli dei propri<br />
figli. C’è troppa gente onesta,<br />
tanta gente qualunque,<br />
che ha fiducia in me. Non<br />
posso deluderla». Professor<br />
dalla Chiesa, a distanza di<br />
trent’anni, che cosa vorrebbe<br />
dire a suo padre?<br />
«Vorrei dirgli che capisco appieno<br />
il significato di quella<br />
frase che mi ha cambiato la<br />
vita. Mio padre, come carabiniere<br />
prima e prefetto poi,<br />
ha trasmesso dei valori giusti.<br />
Noi dobbiamo continuare a<br />
portarli avanti».<br />
Il 3 settembre a Milano, nella<br />
sala comunale Alessi moltissima<br />
gente ha potuto guardare<br />
negli occhi i figli e i nipoti<br />
del Generale Carlo Alberto<br />
dalla Chiesa. Il Comune ha<br />
voluto ricordare il sacrificio<br />
del prefetto dei cento giorni<br />
proiettando il documentario<br />
“Generale” diretto da Lorenzo<br />
Rossi Espagnet, nel quale Dora<br />
dalla Chiesa, figlia di Nando<br />
e nata quattro mesi dopo la<br />
strage di via Carini, ha raccontato<br />
la figura del nonno.<br />
Un lavoro artistico realizzato<br />
grazie all’impegno dal basso<br />
di cittadini onesti e di alcune<br />
associazioni, poiché il ministero<br />
per i Beni e le Attività<br />
Culturali non lo ha ritenuto di<br />
interesse. «Non ricordo come<br />
ho scoperto che fosse morto.<br />
L’ho sempre saputo e basta.<br />
Solo che fino a una certa età<br />
lo immaginavo a combattere<br />
in Vietnam; verso gli undici<br />
anni, forse, ho capito che tipo<br />
di guerra era andato a combattere»,<br />
racconta la giovane<br />
donna, guardando alcune foto<br />
di famiglia.<br />
Dagli episodi raccontati dai figli<br />
del Generale si comprende<br />
che il militare è stato sempre<br />
consapevole dei rischi a cui<br />
andava incontro. «Avevo dodici<br />
anni quando mio padre si<br />
raccomandò che non uscissi<br />
sempre alla stessa ora per<br />
portare fuori il cane e che non<br />
percorressi sempre lo stesso<br />
tragitto» ricorda Nando,<br />
mentre Rita ammette: «Prima<br />
di andare a trovare un’amica<br />
bisognava sapere chi questa<br />
fosse e in quale stabile abitasse;<br />
se per mio padre lì vi erano<br />
persone poco raccomandabili<br />
o sospettabili, non ci potevo<br />
andare». Simona ricorda invece<br />
che i funerali della loro<br />
madre, Dora Fabbo, stroncata<br />
da un infarto nel 1978 («La<br />
vittima più silenziosa del terrorismo»<br />
la definì il prete<br />
durante l’omelia), furono<br />
blindati poiché si temeva<br />
per la loro stessa incolumità.<br />
«Poco dopo accettai<br />
l’invito di una mia amica<br />
che mi disse di lasciare la<br />
casa dove abitavo con la mia<br />
famiglia a Torino per andarla<br />
a trovare, per cambiare aria.<br />
Il giorno dopo il nostro arrivo,<br />
la mia amica ricevette<br />
una telefonata con la quale<br />
l’interlocutore l’avvisava<br />
che era a conoscenza della<br />
nostra presenza e di dove sua<br />
figlia andasse all’asilo. Così<br />
partimmo subito per Roma,<br />
ospitati da Rita».<br />
11 | settembre 2012 | narcomafie<br />
I tre figli ricordano con<br />
immutato dolore quel 3<br />
settembre 1982 e i giorni<br />
successivi. La gente furente<br />
di Palermo che lanciò le<br />
monetine all’indirizzo dei<br />
politici, la corona del Presidente<br />
della Regione Sicilia<br />
che fu rispedita al mittente<br />
perché «negli omicidi di<br />
mafia la prima corona che arriva<br />
è quella del mandante»<br />
come ricordava il Generale<br />
dalla Chiesa, il procuratore<br />
capo Pajno che esortò Nando<br />
dalla Chiesa a «darsi un<br />
contegno», la signora che<br />
si affacciò all’interno del<br />
taxi dove i figli del Generale<br />
erano saliti subito dopo i<br />
funerali per urlare, piangendo,<br />
«la Sicilia non c’entra, a<br />
Roma l’hanno voluto».<br />
I cittadini onesti urlano la loro<br />
rabbia, il loro dispiacere, riassunto<br />
lì, in quella scritta “Qui è<br />
morta la speranza dei siciliani<br />
onesti” apposta su un foglio<br />
all’indomani del 3 settembre,<br />
sul quel cordolo di marciapiede<br />
addosso al quale finì la sua<br />
corsa la “A112” bianca dei<br />
coniugi dalla Chiesa. Un’altra<br />
mano gentile ha chiesto<br />
di recente di non depositare i<br />
rifiuti nel luogo in cui è stato<br />
ucciso il Generale, in risposta<br />
all’ennesimo sfregio alla memoria<br />
di Carlo Alberto dalla<br />
Chiesa. Come la targa in frantumi<br />
ritrovata da Rita dalla<br />
Chiesa proprio il 3 settembre<br />
a Palermo, come la scritta “W<br />
la mafia” che campeggia su un<br />
muro che costeggia la spiaggia<br />
di Mondello. Molto, moltissimo<br />
è stato fatto, ma molto<br />
c’è ancora da fare. Affinché le<br />
celebrazioni, gli anniversari<br />
delle stragi, non siano solo un<br />
inno alla retorica.
‘Ndrangheta<br />
al nord, killer di<br />
Novella si pente<br />
Vuole raccontare un ventennio di<br />
’ndrangheta, da quando nel 1993<br />
venne affiliato nel carcere di Locri.<br />
Nato a Stoccarda, ma operativo tra<br />
Milano e la Calabria, si chiama<br />
Michael Panaja il secondo pentito<br />
dall’operazione “Infinito” del 13<br />
luglio 2010 della Dda di Milano,<br />
che contestualmente all’operazione<br />
“Crimine” della Dda di Reggio<br />
Calabria ha portato all’arresto di<br />
oltre 300 persone tra la Lombardia<br />
e la Calabria.<br />
Il killer di Carmelo Novella – il<br />
boss che tentò l’indipendenza della<br />
’ndrangheta lombarda, assassinato<br />
nel 2008 – ha 38 anni e si trova<br />
in carcere dall’aprile del 2011 a<br />
seguito delle dichiarazioni di Antonino<br />
Belnome, il primo pentito,<br />
anch’egli assassino di Novella, che<br />
sta raccontando i retroscena delle<br />
cosche milanesi.<br />
Panaja ha contribuito con le sue<br />
dichiarazioni all’operazione “Faida<br />
dei boschi”, portata a termine lo<br />
scorso 8 agosto da polizia e carabinieri<br />
con l’arresto di 16 persone del<br />
sodalizio Leuzzi-Ruga-Vallelonga<br />
di Monasterace, Stilo, Riace e Stignano<br />
e della Locale di Caulonia;<br />
e all’operazione “Ulisse” dell’11<br />
settembre, che ha evidenziato per<br />
l’ennesima volta i profondi intrecci<br />
tra ’ndrangheta e mondo imprenditoriale:<br />
tra i 37 arresti anche quelli<br />
di Orlando e Antonio Demasi, imprenditori<br />
incensurati.<br />
12 | settembre 2012 | narcomafie<br />
brevi di mafia<br />
Scene di guerriglia<br />
urbana per<br />
l’arresto del boss<br />
È successo a Cassano allo Jonio,<br />
in provincia di Cosenza. All’arresto<br />
di Celestino Abbruzzese,<br />
67 anni, boss del clan ’ndranghetista<br />
degli “zingari”, la cittadinanza<br />
di Timpone Rosso,<br />
il quartiere popolare abitato<br />
dai rom stanziali, si è sollevata<br />
contro i carabinieri.<br />
Le forze dell’ordine, come ripor- ripor<br />
tato da Giuseppe Baldessarro<br />
su «Repubblica», si aspettavano<br />
una reazione, ma non<br />
quella di centinaia di persone,<br />
che hanno quindi reso particolarmente<br />
rischioso (quattro gli<br />
agenti rimasti feriti) portare a<br />
Voto di scambio,<br />
il reato è al momento dell’accordo<br />
Dall’inchiesta Minotauro, che l’8 giugno 2011 ha portato all’arresto di<br />
oltre 150 affiliati della ’ndrangheta in Piemonte, è emerso che a Rivarolo<br />
Canavese, comune del torinese sciolto per mafia lo scorso maggio, c’è stato<br />
voto di scambio. Con una sentenza depositata il 21 agosto (32820/12), la<br />
Prima sezione penale della Cassazione ha affermato che il reato sussiste<br />
con la semplice «disponibilità a venire a patti con la consorteria» malavitosa,<br />
anche solo nelle forme della “promessa reciproca”. «Il reato di<br />
scambio elettorale politico-mafioso – scrive il relatore della sentenza – si<br />
perfeziona al momento della formulazione delle reciproche promesse, indipendentemente<br />
dalla loro realizzazione».<br />
Non è dunque indispensabile che lo scambio di denaro o il baratto di altra utilità siano<br />
effettivamente avvenuti, come richiesto e spesso ottenuto in passato dai difensori che si districavano<br />
nelle pieghe di una norma (il 41-ter) ritenuta da esperti e commentatori autorevoli<br />
«largamente insufficiente se non addirittura velleitaria».<br />
Antonino Battaglia (nella foto, ndr.) – il segretario comunale accusato, per sostenere la campagna<br />
elettorale alle europee del 2009 del sindaco di Rivarolo Canavese Fabrizio Bertot, di aver preso<br />
accordi con Giuseppe Catalano, capocrimine della ’ndrangheta piemontese suicidatosi lo scorso 19<br />
aprile mentre si trovava ai domiciliari – aveva fatto ricorso in Cassazione chiedendo l’annullamento<br />
della custodia cautelare proprio adducendo la mancata dazione dei 20mila euro pattuiti.<br />
Battaglia, la cui custodia cautelare è confermata, sarà condannato anche al pagamento delle<br />
spese processuali.<br />
a cura di Manuela Mareso<br />
termine l’incarico.<br />
Abbruzzese era detenuto al<br />
41bis quando lo scorso marzo<br />
approfittò di un ricovero in<br />
ospedale per fuggire. La cattura<br />
del 7 agosto è un tassello<br />
importante nel contrasto a<br />
un gruppo malavitoso storico<br />
(negli anni 80 gli Abbruzzese<br />
erano la manovalanza della<br />
potente cosca dei Forastefano,<br />
che poi tradirono andando ad<br />
occuparne gli spazi), poiché le<br />
coperture di cui Abbruzzese ha<br />
goduto nella latitanza lasciano<br />
intravedere un ulteriore rafforzamento<br />
del clan.<br />
Nei giorni successivi all’arresto<br />
i carabinieri del comando<br />
provinciale di Cosenza sono<br />
tornati a Timpone Rosso per una<br />
perquisizione. Il bilancio: 3 pistole<br />
e diverso munizionamento<br />
occultati nell’intercapedine degli<br />
ascensori dei palazzi e 650<br />
grammi di cocaina con bilancini<br />
di precisione e materiale per il<br />
confezionamento della droga.<br />
Omicidio Scopelliti,<br />
riaperte le indagini.<br />
Ma c’è chi dice no.<br />
Nel giorno del ventunesimo<br />
anniversario della morte di<br />
Antonino Scopelliti, «Il Sole-<br />
24Ore» pubblica la notizia secondo<br />
cui la procura di Reggio<br />
avrebbe riaperto le indagini<br />
sull’omicidio del giudice,<br />
freddato a Campo Calabro<br />
nel 1991 con due colpi alla<br />
testa, alla vigilia della sentenza<br />
del maxiprocesso a Cosa<br />
nostra. Nello stesso giorno<br />
Ottavio Sferlazza, procuratore
della Dda reggina, smentisce<br />
con una nota il giornalista<br />
del quotidiano di Confindustria<br />
Roberto Galullo: «Allo<br />
stato nessuna determinazione<br />
formale è stata adottata<br />
dalla Direzione distrettuale<br />
antimafia di Reggio Calabria<br />
in ordine a una eventuale<br />
riapertura delle indagini sul<br />
delitto Scopelliti».<br />
Secondo l’articolo due pentiti<br />
starebbero ricostruendo<br />
i retroscena di un omicidio<br />
che probabilmente vide l’accordo<br />
tra Cosa nostra siciliana<br />
(Scopelliti stava scrivendo il<br />
rigetto dei ricorsi di alcuni<br />
capi mafia) e la ’ndrangheta<br />
calabrese (che aveva bisogno di<br />
un intervento dell’organizzazione<br />
siciliana per un processo<br />
interno di pacificazione). Questa<br />
la pista riemersa – anche<br />
secondo quanto riportato da<br />
altri giornali in date di molto<br />
antecedenti rispetto al «Sole<br />
24 Ore» – nel corso nel processo<br />
“Meta” (che sta facendo<br />
luce sulle attuali fitte trame<br />
reggine), in occasione del quale<br />
il collaboratore Nino Fiume,<br />
interrogato dal pm Giuseppe<br />
Lombardo, ha parlato di una<br />
prima riunione tra le due organizzazioni<br />
criminali a Nicotera<br />
nel 1991.<br />
Aldo Pecora, leader di “Ammazzateci<br />
tutti”, in occasione<br />
della serata di apertura di Legalitalia,<br />
manifestazione antimafia<br />
promossa dal movimento<br />
e dalla Fondazione Scopelliti,<br />
ha replicato alle dichiarazioni<br />
diffuse dal procuratore Sferlazza:<br />
«Forse il reggente Sferlazza<br />
De Mauro ucciso per lo scoop su Mattei<br />
Totò Riina, unico imputato, è stato assolto, ma i giudici del processo<br />
per l’uccisione del giornalista Mauro De Mauro (nella foto, ndr.), 49<br />
anni al momento del rapimento, hanno il merito di aver fatto luce sul<br />
movente della scomparsa del cronista de «L’Ora».<br />
De Mauro avrebbe pagato lo scoop sulla morte del presidente dell’Eni<br />
Enrico Mattei, morto nei pressi di Pavia il 27 ottobre 1962 in un incidente<br />
aereo che il giornalista aveva scoperto essere simulato, essendo<br />
invece stato provocato da una bomba posizionata a bordo.<br />
«La natura e il livello degli interessi in gioco – scrivono i giudici, secondo<br />
quanto riportato da «la Repubblica» – rilanciano l’ipotesi che<br />
gli occulti mandanti del delitto debbano ricercarsi in quegli ambienti politico-affaristicomafiosi<br />
su cui già puntava il dito il professor Tullio De Mauro nel 1970. E fa presumere<br />
che di mandanti si tratti e non di una sola mente criminale».<br />
Tra i mandanti i giudici della Corte d’Assise indicano Graziano Verzotto, ex dirigente<br />
dell’Eni ed ex senatore morto due anni fa. A lui, che per l’omicidio si sarebbe rivolto ai<br />
suoi referenti in Cosa nostra Stefano Bontate e Giuseppe Di Cristina, De Mauro avrebbe<br />
chiesto le conferme che ancora gli mancavano nella raccolta del materiale sul caso Mattei<br />
che stava conducendo per il regista Francesco Rosi.<br />
La pista del fallito golpe borghese viene dunque accantonata.<br />
vuole proteggere il buon esito<br />
delle indagini, mi chiedo soltanto<br />
perché precisarlo alla<br />
stampa proprio nel giorno<br />
del ventunesimo anniversario<br />
dall’uccisione del giudice<br />
Scopelliti e non un mese fa<br />
(quando su diverse testate era<br />
già uscita la notizia della riapertura<br />
delle indagini, nda.),<br />
o tra qualche giorno».<br />
Alla serata ha partecipato il<br />
pm Lombardo che ha definito<br />
«impensabile l’assenza di<br />
verità sul delitto Scopelliti.<br />
Il sangue di Nino Scopelliti –<br />
ha detto Lombardo – è dello<br />
stesso colore di quello di Giovanni<br />
Falcone e Borsellino, e<br />
noi faremo di tutto per far sì<br />
che il suo sacrificio non sia<br />
stato vano».<br />
13 | settembre 2012 | narcomafie<br />
brevi di mafia<br />
Palermo, ennesima devastazione al<br />
centro Padre nostro<br />
Nessuno ha visto, nessuno ha<br />
sentito. E dire che rimuovere<br />
infissi e persiane non è opera<br />
che si riesca a compiere tanto<br />
silenziosamente. Eppure al<br />
centro Padre nostro di Brancaccio,<br />
luogo di aggregazione<br />
fondato da Padre Pino Puglisi<br />
– il sacerdote ucciso nel 1993<br />
per il quale il Papa ha recentemente<br />
disposto il decreto per<br />
la beatificazione – lo scorso<br />
21 agosto è stato commesso<br />
l’ennesimo sfregio senza che<br />
nessuno sia in grado di aiutare<br />
a risalire ai responsabili.<br />
Operatori e volontari da 19 anni<br />
tollerano furti e boicottaggi che<br />
non hanno mai visto l’individuazione<br />
di un colpevole.<br />
Il presidente Maurizio Artale a<br />
«Famiglia Cristiana» si è detto<br />
esasperato: «Qui le case sono<br />
grandi trenta metri quadri e con<br />
il caldo molti dormono sui balconi.<br />
C’è un flusso continuo di<br />
auto, anche di notte. Non sono<br />
ladruncoli, a Brancaccio non si<br />
muove una foglia senza che le<br />
famiglie non vogliano. La voglia<br />
di mollare è tanta, ma per ora<br />
andremo avanti perché crediamo<br />
ancora nelle parole di Paolo<br />
Borsellino che diceva che, prima<br />
o poi, Palermo tornerà ad essere<br />
una città bellissima».
Caracas, arrestato Aldo Micciché<br />
Il 23 luglio scorso un mandato di cattura internazionale spiccato dalla<br />
Dda di Reggio Calabria con la firma dell’ex procuratore Giuseppe Pignatone,<br />
dell’aggiunto Michele Prestipino e del sostituto Roberto Di<br />
Palma ha raggiunto a Caracas Aldo Micciché (nella foto, ndr.), il faccendiere<br />
dal 1991 residente in Venezuela e in contatto con le cosche<br />
della Piana di Gioia Tauro che avrebbe fatto da ponte tra il senatore<br />
Marcello Dell’Utri e la ’ndrangheta, nella persona di Gioacchino Arcidiaco.<br />
Il provvedimento è stato preso nell’ambito dell’inchiesta “Cento<br />
anni di storia” contro la cosca Piromalli. Secondo l’inchiesta, scrive<br />
Lucio Musolino sul «Fatto Quotidiano», la ’ndrangheta avrebbe offerto<br />
di procurare circa 50mila voti truccando le schede bianche degli elettori italiani all’estero,<br />
in cambio di un versamento di 200mila euro, interventi sull’applicazione del 41 bis<br />
e la revisione di alcuni processi.<br />
Micciché, che negli anni 80 era anche stato dirigente della Dc, è stato coinvolto in numerose<br />
inchieste. Ha scritto di lui Francesco Forgione sul «Quotidiano della Calabria»:<br />
«Non siamo di fronte ad uno dei tanti latitanti della ’ndrangheta, e nemmeno di fronte<br />
ad uno dei suoi più feroci boss. E non si tratta neanche di uno di quei narcotrafficanti<br />
internazionali al servizio delle ’ndrine che sono entrati anche con degli aloni di mito<br />
nella pubblicistica degli ultimi anni: uomini come Giorgio Sale o Roberto Pannunzi,<br />
capaci di fare affari con i grandi cartelli colombiani o protagonisti di fughe e beffe alla<br />
giustizia italiana, ma niente di più. Aldo Miccichè rappresenta un’altra e ben più inquietante<br />
storia. [...] Rappresenta una figura di primissimo piano del sistema di potere che la<br />
’ndrangheta è riuscita a costruire in Calabria e nella dimensione internazionale».<br />
Ucciso il camorrista che andò in tv<br />
La sua storia è stata resa nota da<br />
Saviano che ne criticò la presenza<br />
fra il pubblico in una trasmissione<br />
dell’inverno 2010 di Rai2 (“Canzoni<br />
e sfide”, condotta da Lorena<br />
Bianchetti, la presentatrice rimasta<br />
nota per essere intervenuta in difesa<br />
di Berlusconi dopo una battuta<br />
ironica del mago Silvan ospite di<br />
una suo programma), chiedendosi<br />
chi avesse inserito Marino tra gli<br />
ospiti. La figlia cantava dal palco<br />
“Tu sei il papà più bello del mondo”<br />
e lui veniva inquadrato dalle<br />
telecamere della nostra televisione<br />
pubblica sorridente e commosso<br />
in un abbraccio alla bambina al<br />
termine della performance. Gaetano<br />
Terracina, 48 anni, soprannominato<br />
“’o moncherino” per<br />
via dell’amputazione di entrambe<br />
le mani, è stato freddato in pieno<br />
giorno lo scorso 23 agosto mentre<br />
si trovava in spiaggia a Terracina<br />
(Latina): uno scenario da film pulp,<br />
con i due sicari – pare giovanissimi<br />
– che sfrecciano a bordo della motocicletta<br />
e gli scaricano addosso<br />
quindici colpi lasciandolo riverso<br />
tra le grida dei vacanzieri.<br />
Marino è il fratello minore di Gennaro,<br />
in carcere al 416 bis e leader<br />
14 | settembre 2012 | narcomafie<br />
brevi di mafia<br />
degli Scissionisti dopo l’uccisione<br />
del padre nel 2005. Le prime ipotesi<br />
investigative seguono dunque<br />
la possibile scia di una riapertura<br />
della faida che nel 2004-2005 lasciò<br />
decine di morti sull’asfalto.<br />
Il magistrato Raffaele Cantone<br />
ha sottolineato la sfrontatezza<br />
dell’omicidio, eseguito non solo<br />
in pieno giorno, ma in un luogo<br />
particolarmente affollato e fuori<br />
dal proprio territorio. Che i killer<br />
avessere fatto uso di cocaina e<br />
che il controllo della droga a<br />
Secondigliano sia la partita in<br />
gioco è più che un sospetto.<br />
Il vizio di Ciancio<br />
sui necrologi<br />
Quando i familiari di Beppe<br />
Montana, il commissario della<br />
Mobile ucciso da Cosa nostra<br />
nell’agosto del 1985, e quelli<br />
di Giuseppe Fava, fondatore<br />
della storica testata «I Siciliani»,<br />
ucciso l’anno precedente per la<br />
sua attività giornalistica, vollero<br />
pubblicare dei necrologi su «La<br />
Sicilia», quotidiano di Catania,<br />
si videro negare la possibilità.<br />
Il foglio di Mario Ciancio Sanfilippo<br />
– imprenditore catanese<br />
di successo, alla presidenza in<br />
passato anche della Federazione<br />
nazionale degli editori e capace<br />
di tenere per anni in scacco «La<br />
Repubblica» impedendone la<br />
diffusione sul territorio con le<br />
pagine locali – ospita invece<br />
più volentieri lettere (è successo<br />
nel 2008, quando Vincenzo<br />
Santapaola, figlio di Nitto, si<br />
lamentava di essere al 41 bis) e<br />
saluti funebri per i più potenti<br />
boss di Cosa nostra.<br />
Così per Giuseppe Ercolano, 76<br />
anni, cognato di Nitto Santapaola,<br />
capo storico della mafia etnea.<br />
Lo scorso 30 luglio il quotidiano<br />
dà notizia della scomparsa<br />
addirittura con un articolo e tre<br />
necrologi, uno dei quali a firma<br />
del figlio Aldo, in carcere per<br />
l’omicidio di Fava.<br />
Giuseppe Ercolano in passato<br />
aveva fatto irruzione nell’ufficio<br />
di Ciancio lamentandosi di essere<br />
stato definito boss sulle pagine del<br />
giornale; l’editore aveva chiamato<br />
e ripreso pesantemente il giornalista<br />
davanti a lui, intimandogli<br />
di non usare più il termine.
«Ho iniziato a pagare tra il<br />
1993 e il 1995, ho denunciato<br />
i cravattari nel 2005». Adriano<br />
è un imprenditore romano che<br />
per molti anni si è occupato di<br />
edilizia e di movimento terra.<br />
«Quando cammino per Roma,<br />
o vado in qualche posto, mi<br />
piace guardare i ponti, le strade<br />
e tutte quelle cose che ho<br />
contribuito a costruire. Allora<br />
non mi sento inutile. Prima di<br />
denunciare avevo tre società<br />
importanti che funzionavano<br />
bene. Lavoravo con importanti<br />
ditte ed enti».<br />
La sua storia inizia con i primi<br />
albori della crisi. «Lavoravo<br />
spesso con altri imprenditori,<br />
che a un certo punto non mi<br />
hanno più pagato perché avevano<br />
dichiarato il fallimento». La<br />
città eterna è usurata. Il Lazio<br />
è una delle regioni più colpite:<br />
secondo Sos Impresa sono<br />
circa 28 mila (pari al 32%) i<br />
commercianti coinvolti in patti<br />
usurai. Roma, in particolare, è<br />
da decenni il luogo per eccellenza<br />
dell’usura, una pratica<br />
che può essere fatta risalire<br />
agli inizi della sua stessa storia.<br />
Nella capitale si riescono a trovare<br />
tutte le fenomenologie fino<br />
ad oggi note del sistema: dal<br />
singolo (in gergo cravattaro),<br />
pensionato o libero professionista,<br />
alle bande di quartiere,<br />
dalla criminalità organizzata<br />
alle finanziarie apparentemente<br />
legali. Le vecchie reti usuraie,<br />
ripetutamente smantellate dal-<br />
le forze dell’ordine, si ricompongono<br />
in fretta e continuano<br />
a mietere vittime. «Le mie<br />
aziende avevano un fatturato<br />
di 3 miliardi delle vecchie lire.<br />
Avevo 35 dipendenti assunti<br />
regolarmente. Quando mi sono<br />
trovato in difficoltà ho chiesto<br />
aiuto alle banche, ma mi hanno<br />
subito chiuso i rubinetti e<br />
chiesto di rientrare. Ho chiesto<br />
aiuto a un amico e poi è stato<br />
un crescendo di sfruttamento.<br />
Mi è stato imposto un interesse<br />
del 3 per cento al mese, fino ad<br />
arrivare al 20 per cento».<br />
Intanto gli anni passano e<br />
Adriano è stato costretto a vendere<br />
e a cedere le sue case in<br />
Sardegna, la casa di abitazione,<br />
fare firmare assegni in bianco<br />
alla propria famiglia. «Quando<br />
hanno cercato di togliermi la<br />
casa di Santa Marinella – racconta<br />
– ero in uno stato di<br />
confusione tale da non capire<br />
quello che stava accadendo.<br />
Mi propongono di farla portare<br />
via, così loro avrebbero<br />
condizionato l’asta giudiziaria.<br />
L’avrebbero ricomprata per 98<br />
mila euro, la casa ne valeva<br />
400 mila, e poi l’avrei riavuta.<br />
Ma così non è stato. Ho pagato<br />
quasi 140 mila euro e sostenevano<br />
che i miei debiti con<br />
loro non erano ancora finiti.<br />
Così la casa è stata venduta lo<br />
stesso. E io sfrattato. A quel<br />
punto mi sono reso conto che<br />
non avrei più avuto la mia<br />
casa e le mie aziende, che nel<br />
15 | settembre 2012 | narcomafie<br />
Adriano, per<br />
10 anni vittima<br />
della città usurata<br />
frattempo erano andate in crisi.<br />
Così decido di raccontare tutto<br />
alla polizia».<br />
Da quel momento l’imprenditore<br />
romano si ribella. Si rivolge<br />
a uno sportello dove è seguito<br />
da Antonio, che anni prima<br />
era stato vittima di usura in<br />
Calabria e che ora accudisce<br />
gli altri imprenditori vittime<br />
di racket e usura.<br />
«Ho pagato per quasi dieci anni.<br />
Ai miei strozzini ho dato più<br />
di 3 miliardi, 18 case in Sardegna<br />
e anche la mia abitazione<br />
di Santa Marinella alla quale<br />
ero molto legato. Adesso io<br />
e mia moglie viviamo a casa<br />
di mia figlia e stiamo cercando<br />
di ripartire insieme. Passo<br />
dopo passo. Abbiamo messo<br />
su una piccola azienda. Ora c’è<br />
la crisi e l’economia gira male.<br />
È diventato tutto ancora più<br />
complicato di prima. In realtà<br />
io amo lavorare. Penso di farlo<br />
bene e con passione. Certo, se<br />
tornassi indietro non mi rivolgerei<br />
mai agli usurai. Piuttosto<br />
avrei fatto fallire le aziende e<br />
ricominciato. Allora pensavo di<br />
farcela. Malgrado molti amici<br />
mi girassero le spalle. Mi sono<br />
sentito molto solo in questo<br />
maledetto viaggio di usura. La<br />
mia colpa certamente è stata di<br />
essermi rivolto ai cravattari,<br />
forse solo per salvare il nome<br />
della famiglia e ciò che avevo<br />
fatto in questi anni. No, se tornassi<br />
indietro andrei subito a<br />
denunciare».<br />
di Laura Galesi<br />
Storie di chi si ribella ogni giorno<br />
nuoveresistenze resistenze resistenze resistenze resistenze resistenze resistenze
Illegalità e calcio<br />
16 | settembre 2012 | narcomafie<br />
La rete<br />
delle mafie<br />
Il gioco del calcio è lo sport nazionale per antonomasia, ma anche<br />
un business sempre più appetibile per le mafie che da anni sono<br />
scese su questo terreno, consapevoli che grazie ad esso è possibile<br />
coltivare consenso e controllo sociale<br />
di Pierpaolo Romani*
Il calcio ha il potere di fermare<br />
un paese e di distrarlo dai suoi<br />
problemi. Al contrario, non<br />
succede mai che un paese si<br />
fermi a riflettere seriamente<br />
su quello che accade nel<br />
mondo del calcio. Se lo fa,<br />
come avvenuto di recente in<br />
Italia, è quando scoppiano<br />
grossi scandali (Calciopoli o<br />
la più recente Scommessopoli)<br />
o accadono terribili tragedie<br />
dentro e fuori gli stadi (per<br />
esempio, la morte del giovane<br />
calciatore Piermario Morosini<br />
o quella dell’ispettore di Polizia<br />
Filippo Raciti, a Catania il<br />
2 febbraio 2007, al termine del<br />
derby con il Palermo), o quando<br />
si verificano situazioni che<br />
la gente considera impensabili<br />
o scandalose, come lo sciopero<br />
dei calciatori di serie A alla<br />
prima giornata di campionato<br />
2011/2012. Dibattiti televisivi,<br />
prime pagine dei quotidiani,<br />
trasmissioni radiofoniche,<br />
forum su Internet. Per alcuni<br />
giorni non si parla d’altro.<br />
Poi, tutto ritorna come prima.<br />
Silenzio: the show must go<br />
on. La palla deve continuare<br />
a girare sul rettangolo verde,<br />
contesa tra i ventidue uomini<br />
che si sfidano in campo.<br />
Il calcio è un fenomeno di<br />
massa a livello planetario e<br />
mettere le mani su di esso significa<br />
incidere sulla cultura,<br />
sulla politica e sull’economia<br />
di un paese. Per renderci conto<br />
di cosa muove il mondo del<br />
football basti pensare che,<br />
secondo il Big Count Study<br />
della Fifa – l’organizzazione<br />
internazionale che governa il<br />
calcio –, nel 2006 giocavano<br />
attivamente a pallone 265 milioni<br />
di persone, vale a dire<br />
il 4% della popolazione mondiale,<br />
ossia un abitante della<br />
Terra ogni venticinque.<br />
Il pallone è lo sport nazionale<br />
per eccellenza degli italiani.<br />
I dati del ReportCalcio 2011,<br />
ci dicono che il 70% della<br />
popolazione nazionale tra i 15<br />
e i 69 anni – vale a dire oltre<br />
trenta milioni di persone – è<br />
interessato, a vario titolo, al<br />
mondo del football. Cifre ben<br />
lontane da quelle della prima<br />
storica partita di calcio, che<br />
in Italia si è disputata il 6<br />
gennaio 1898, a Ponte Carrega<br />
tra il Genoa e l’International di<br />
Torino, un match a cui hanno<br />
assistito 190 spettatori e che<br />
fruttò agli organizzatori 101,45<br />
lire, come ricorda Gianni Brera<br />
nel suo libro Storia critica del<br />
calcio italiano.<br />
Attirare l’attenzione di più<br />
della metà della popolazione<br />
del nostro Paese significa che<br />
il calcio contribuisce a costruire<br />
e a rappresentare una parte<br />
importante della nostra società,<br />
è un potente strumento di<br />
aggregazione e di integrazione<br />
sociale, di costruzione del<br />
senso di appartenenza e di<br />
identità ad un territorio e ad<br />
una nazione. È uno strumento<br />
che dà riconoscibilità e prestigio<br />
sociale.<br />
Questo non lo hanno capito<br />
solo i marketing manager,<br />
gli imprenditori e i politici.<br />
Ma anche i mafiosi. I boss,<br />
infatti, hanno deciso di investire<br />
una parte delle loro<br />
ingenti risorse finanziarie nel<br />
mondo del calcio – e in una<br />
serie di attività che vi ruotano<br />
intorno – coscienti che la<br />
palla rotonda è uno strumento<br />
fondamentale per acquisire e<br />
manipolare il consenso sociale,<br />
per controllare il territorio,<br />
per riciclare denaro sporco,<br />
per instaurare relazioni con<br />
17 | settembre 2012 | narcomafie<br />
il mondo che conta: quello<br />
della politica, delle istituzioni<br />
e degli affari.<br />
Il calcio, per le mafie, non è<br />
solo uno strumento per impiegare<br />
capitali finanziari illeciti.<br />
È soprattutto un mezzo fondamentale<br />
per accumulare e<br />
mettere a frutto quello che i<br />
sociologi definiscono capitale<br />
sociale, ossia un bagaglio di<br />
relazioni che sono utili e necessarie<br />
per il raggiungimento<br />
di determinati fini.<br />
I boss hanno compreso che<br />
grazie al calcio è possibile coltivare<br />
e controllare il consenso<br />
sociale «elemento fondamentale<br />
del Dna mafioso» come<br />
ha affermato in una recente<br />
intervista Michele Prestipino,<br />
Procuratore aggiunto di Reggio<br />
Calabria. Una risorsa di cui<br />
essi hanno un bisogno assoluto,<br />
come i pesci dell’acqua,<br />
per garantirsi connivenze, collusioni,<br />
complicità, omertà.<br />
Per fare affari con più facilità,<br />
senza ricorrere alla violenza<br />
che, se usata in dosi massicce,<br />
provoca allarme sociale e,<br />
quindi, l’intervento delle forze<br />
dell’ordine e della magistratura.<br />
“Meno pallottole e più<br />
pallone” per i mafiosi significa<br />
ridurre i rischi di arresto, di<br />
sequestro e confisca di beni e,<br />
di conseguenza, rafforzamento<br />
del proprio potere e della<br />
propria impunità.<br />
È il calcio delle serie minori<br />
– Lega Pro e campionati<br />
dilettanti – quello lontano<br />
dai riflettori e dalla ribalta<br />
mediatica, quello più direttamente<br />
legato al territorio,<br />
quello nel quale gli stipendi<br />
sono incommensurabilmente<br />
più bassi rispetto alla serie A<br />
e non sempre vengono pagati<br />
o lo sono con molto ritardo e
Un viaggio nel pallone<br />
di Gianluca Ferraris<br />
e Simone di Meo<br />
Per gentile concessione<br />
degli autori e dell’editore<br />
pubblichiamo<br />
un paragrafo di<br />
Pallone Criminale<br />
(Ponte alle Grazie, 2012)<br />
Le indagini avviate dalle procure<br />
di Cremona e Bari, come quelle<br />
napoletane di cui parleremo tra<br />
poco, faranno il loro corso. Non<br />
ci interessa, e soprattutto non è<br />
compito nostro, determinare quali<br />
siano stati il ruolo e tantomeno le<br />
responsabilità dei calciatori. Ci<br />
interessa invece approfondire il<br />
ruolo della criminalità organizzata<br />
in questo business. Anche perché,<br />
come avremo modo di vedere, non<br />
si tratta certo di un ruolo di secondo<br />
piano. Per questo cercheremo<br />
anche di capire quali cifre muove<br />
il mercato illegale e come funziona,<br />
nel dettaglio, il canale che dagli<br />
stadi di tutto il mondo porta fino<br />
all’Asia.<br />
Il nostro viaggio nel pallone criminale<br />
ricomincia da un bel palazzo<br />
sul Lungotevere, a Roma. Qui ha<br />
sede l’agenzia Agipronews, che dal<br />
2003 monitora tutto quel che succede<br />
nel caotico mondo dell’azzardo<br />
e delle scommesse italiane. Il direttore<br />
Paolo Franci e il vicedirettore<br />
Nicola Tani dovrebbero recitare di<br />
fronte a noi il ruolo degli avvocati<br />
del diavolo. Dovrebbero spiegarci<br />
che questo è un pianeta pulito,<br />
esente dal rischio sistematico di<br />
contagio. Soprattutto da quando,<br />
a partire dai tardi anni Novanta, lo<br />
Stato italiano ha deciso di aprire<br />
e regolamentare il settore dell’offerta<br />
legale di scommesse sportive<br />
(fino a quel momento confinato a<br />
schedina, Totogol e scommesse<br />
ippiche), con l’intento di sottrarre<br />
fette significative di mercato nero<br />
alla criminalità organizzata, conseguendo<br />
contemporaneamente<br />
un guadagno di tipo fiscale. «In<br />
buona parte è andata davvero così,<br />
soprattutto all’inizio», confermano<br />
Franci e Tani, «ma chi gestiva il<br />
totonero, dopo un primo comprensibile<br />
momento di sbandamento, ha<br />
evidentemente saputo adeguarsi al<br />
cambiamento. Per questo il fenomeno<br />
delle scommesse clandestine<br />
oggi resta più forte che mai, nonostante<br />
i controlli ferrei esercitati in<br />
18 | settembre 2012 | narcomafie<br />
Italia sul circuito legale».<br />
I numeri confermano i timori dei<br />
due esperti, evidenziando nel passato<br />
recente una crescita esponenziale<br />
per quanto riguarda le segnalazioni<br />
di operazioni sospette nel settore<br />
dei giochi, connesse ad attività<br />
di riciclaggio. Nel 2011, secondo<br />
il bollettino elaborato dall’Unità<br />
di Informazione Finanziaria di<br />
Bankitalia40 sono state 133, il<br />
27 per cento delle 492 segnalate<br />
da operatori non finanziari: una<br />
crescita del 291 per cento rispetto<br />
alle sole 34 del 2010, secondo i<br />
dati elaborati dalla stessa agenzia<br />
diretta da Franci e Tani. In dettaglio,<br />
le segnalazioni provenienti dagli<br />
operatori di gioco sono state 51<br />
fra gennaio e giugno, 82 fra luglio<br />
e dicembre: non tutte riguardano<br />
le puntate sportive (ci sono, ad<br />
esempio, anche le slot e i casinò),<br />
ma lasciano intravedere chiaramente<br />
come il flusso, nonostante<br />
la maggiore attenzione attirata sul<br />
settore dalle indagini di Cremona,<br />
non si sia affievolito, anzi.<br />
«Il fatto è che il mercato legale e<br />
quello illegale del betting continuano<br />
a essere in qualche modo<br />
complementari» osservano i due<br />
analisti. «Paradossalmente, a un<br />
certo punto, è come se la rigida<br />
regolamentazione del primo avesse<br />
favorito la fuga di porzioni di pubblico<br />
verso il secondo. Pensiamo<br />
ai calciatori professionisti, ai quali<br />
è formalmente vietato scommettere<br />
sulle partite, o al pubblico<br />
in cerca di quote più interessanti<br />
che, magari per scarsa conoscenza,<br />
finisce per rivolgersi a intermediari,<br />
agenzie o siti web non del tutto<br />
trasparenti. Dietro i quali è facile<br />
che spesso si nasconda la criminalità<br />
organizzata, come hanno<br />
mostrato chiaramente i casi di Bari<br />
e Napoli».41 Gli operatori non<br />
autorizzati dai Monopoli di Stato,<br />
per dare un’idea delle dimensioni<br />
assunte dal fenomeno, lo scorso<br />
anno sono stati ben 3.970.<br />
Uscirne, secondo Franci e Tani, sarà<br />
difficile, anche perché le mafie non<br />
hanno fatto altro che insinuarsi in<br />
una situazione già esistente, dettata<br />
soprattutto da fattori ambientali e<br />
culturali: «I risultati accomodati<br />
di fine campionato ci sono sempre<br />
stati, ed è ovvio che gli operatori<br />
autorizzati cerchino di bancarli<br />
il meno possibile o di assegnare<br />
quote basse per evitare bagni di<br />
sangue. Così come l’attitudine,<br />
un’altra peculiarità tutta italiana, a<br />
cercare condizioni più vantaggiose<br />
alle quali scommettere, si tratti di<br />
presunte “informazioni riservate”<br />
o semplicemente di margini più<br />
alti».<br />
Quanto marcio c’è nel calcio? «Parecchio,<br />
ma non da oggi e non, o<br />
non soltanto, per colpa delle scommesse.<br />
Certo, il Bari della stagione<br />
2010-2011 era una bomba biologica<br />
che vagava all’interno del campionato,<br />
e situazioni come questa sono<br />
inaccettabili» concludono i due.<br />
«Però vietare l’azzardo sportivo, al<br />
punto in cui siamo giunti, sarebbe<br />
un rimedio peggiore del male, dato<br />
che si aprirebbero spazi ancora più<br />
invitanti per il gioco clandestino.<br />
Ingiusto anche gettare la croce addosso<br />
ai Monopoli di Stato o alla<br />
Federcalcio: fanno tutto quello<br />
che possono, con i mezzi a disposizione.<br />
Ma non si può chiedere ai<br />
primi di monitorare anche i flussi<br />
che si muovono verso l’estero, né<br />
alla seconda di creare intorno ai<br />
giocatori quel cordone di sicurezza<br />
che dovrebbe renderli inavvicinabili<br />
da certi personaggi».<br />
Eppure le contromisure ci sono:<br />
«La procura federale, nel caso di<br />
Simone Farina [il calciatore del<br />
Gubbio che denunciò un tentativo<br />
di corruzione, dal quale è nata<br />
la seconda tranche dell’inchiesta<br />
cremonese, ndr] ha dimostrato che<br />
le indagini sportive non devono<br />
necessariamente andare a ruota di<br />
quelle penali, ma anzi possono contribuire<br />
a ripulire il panorama. Così<br />
come l’introduzione degli sconti di<br />
pena per chi collabora, di cui sta
facendo largo uso la Figc».<br />
Restiamo a Roma per analizzare<br />
meglio le attività della malavita<br />
italiana nella filiera del gioco.<br />
Attività da sempre intensissima e<br />
rimasta tale fino a oggi nonostante<br />
i tentativi di contrasto, secondo<br />
Raffaele Lauro e Luigi Li Gotti.<br />
Politicamente i due, membri della<br />
Commissione Parlamentare Antimafia,<br />
sono agli antipodi (il primo<br />
milita nel Pdl, il secondo nell’Idv),<br />
ma sulle scommesse e sulle infiltrazioni<br />
della criminalità organizzata<br />
nel settore la pensano allo stesso<br />
modo. Tanto da avere cofirmato<br />
due indagini che evidenziano le<br />
proporzioni enormi del fenomeno e<br />
un disegno di legge, ancora in fase<br />
di discussione, che dovrebbe puntare<br />
a limitarlo. Anche secondo i<br />
due senatori il problema è di antica<br />
estrazione: «Il calcioscommesse è<br />
solo la punta di un iceberg» osserva<br />
Li Gotti. «Da anni tutti coloro che<br />
vengono a deporre in commissione<br />
ci confermano che l’influenza<br />
delle mafie nell’azzardo, grazie al<br />
know-how accumulato, è in forte<br />
crescita e non ha risentito, se<br />
non in fase iniziale, dell’opera<br />
di emersione decisa dallo Stato».<br />
Continua Lauro: «Dove ci sono<br />
lucro, denaro e passione popolare,<br />
c’è anche la criminalità organizzata.<br />
Questa è una premessa da cui non<br />
si sfugge. Ho polemizzato a lungo<br />
con Monopoli e governo proprio<br />
perché sostenevano che liberalizzando<br />
integralmente il settore<br />
dei giochi si sarebbe prosciugato<br />
il bacino d’utenza a disposizione<br />
dei “neristi”. In realtà mercato<br />
lecito e illecito hanno finito per<br />
allargarsi entrambi». Con un’altra<br />
conseguenza, secondo Li Gotti: «La<br />
creazione di un’ampia “zona grigia”<br />
dove diventa difficile, anche per le<br />
forze dell’ordine, distinguere ciò<br />
che è business mafioso da ciò che<br />
non lo è. Perché in questo ambito le<br />
mafie riescono a sfruttare al meglio<br />
le loro tipiche modalità d’azione:<br />
somme da riciclare e capacità co-<br />
ercitiva sul territorio».<br />
La cronaca degli ultimi anni ormai<br />
trabocca di episodi che confermano<br />
i segnali d’allarme giunti da Roma.<br />
Qualche esempio? A Reggio Calabria<br />
Gioacchino Campolo, il re<br />
dei videopoker, aveva investito<br />
nel mattone i proventi milionari<br />
dei suoi traffici illeciti, tanto da<br />
arrivare ad acquistare la palazzina<br />
dov’erano ospitati gli uomini<br />
dell’Antimafia che indagavano su<br />
di lui. A Caserta Renato Grasso,<br />
grazie ai suoi buoni uffici presso i<br />
Casalesi e a un innato senso degli<br />
affari, fino al 2009 è riuscito a<br />
condizionare l’attività di slot<br />
machine e sale Bingo in mezza<br />
Italia. Un po’ ovunque le<br />
famiglie siciliane e calabresi<br />
sono tornate a imporre la<br />
«diaria» nei circoli in cui<br />
si gioca a carte o a dadi,<br />
mentre i loro affiliati più<br />
giovani, cresciuti a pane<br />
e Internet, contendevano<br />
alla mafia slava il business<br />
delle puntate clandestine<br />
on line, la cui raccolta era<br />
ormai più divenuta più<br />
redditizia di quella registrata<br />
nei corridoi degli ippodromi.<br />
Non mancavano<br />
riffe e Gratta&Vinci made<br />
in Napoli (imposti con<br />
la forza ai rivenditori al<br />
posto di quelli autentici)<br />
e naturalmente il poker,<br />
nuova febbre degli italiani<br />
di ogni latitudine.<br />
Dopo anni di declino,<br />
insomma, la malavita<br />
organizzata ha rialzato<br />
la testa sul fronte dei<br />
giochi e delle scommesse.<br />
A dirlo erano già<br />
alcuni anni fa i numeri:<br />
secondo forze dell’ordine,<br />
amministrazione<br />
autonoma dei Monopoli<br />
di Stato e operatori,<br />
nel 2008 il giro<br />
d’affari delle mafie sul<br />
fronte dell’azzardo era<br />
19 | settembre 2012 | narcomafie<br />
tornato a crescere: tra i 4,5 e i 6 miliardi<br />
di euro, contro i 4 scarsi del<br />
2007. Certo, eravamo ancora molto<br />
lontani dai 15-20 miliardi annui di<br />
ricavi che la malavita totalizzava<br />
fino al 2000, prima che il boom di<br />
Superenalotto e Gratta&Vinci e la<br />
liberalizzazione di slot machine e<br />
scommesse sportive creassero dal<br />
nulla alternative legali alle puntate<br />
clandestine da bar. Ma già a partire<br />
dal 2007 l’inversione di tendenza<br />
era stata comunque annotata con<br />
preoccupazione dagli addetti ai<br />
lavori, mentre le informative e le<br />
segnalazioni in materia da parte<br />
della Direzione investigativa anti
mafia, della Polgiochi (il gruppo di<br />
contrasto della Polizia di Stato),<br />
del Reparto Operativo Speciale<br />
dei carabinieri e della guardia<br />
di finanza si erano letteralmente<br />
moltiplicate. E lo stesso andamento,<br />
come vedremo tra poco, ha<br />
riguardato i ricavi illeciti, sia in<br />
Italia che all’estero. Con premesse<br />
come queste era logico che anche<br />
il calcioscommesse non potesse rimanere<br />
fuori dai radar del business<br />
mafioso, soprattutto se si considerano<br />
la sua leadership esercitata<br />
per decenni sul totonero e la sua<br />
capacità di permeare l’humus che<br />
spesso ruota intorno a società e<br />
calciatori, non solo nelle serie<br />
minori e non solo al Sud. «Ci<br />
sono strutture malavitose organiche,<br />
non artigianali, che lavorano<br />
esclusivamente su questo fronte, e<br />
che mischiano l’alto e il basso: gli<br />
esperti informatici con gli spalloni,<br />
i colletti bianchi che parlano quattro<br />
lingue con i faccendieri capaci<br />
di avvicinare giocatori, allenatori e<br />
arbitri» afferma Lauro. «In un Paese<br />
dove la criminalità organizzata fa<br />
affari con chiunque, aggredisce i<br />
settori in difficoltà e penetra con<br />
profitto quelli in salute, pensavate<br />
che il calcio e le scommesse ne<br />
sarebbero rimasti immuni?».<br />
No, non lo pensavamo. La domanda<br />
finale che poniamo a Lauro<br />
e Li Gotti è la stessa di sempre.<br />
C’è un modo per uscirne? «Sul<br />
piano normativo occorre colpire<br />
innanzitutto il riciclaggio, che è<br />
il fattore scatenante dell’interesse<br />
mafioso verso l’azzardo» risponde<br />
Li Gotti. «Abbiamo preparato<br />
un disegno di legge che prevede<br />
l’istituzione di un registro delle<br />
scommesse: chiunque punta in<br />
agenzia dovrà esibire a monte<br />
il documento di identità, e non<br />
solo al momento della riscossione<br />
come accade oggi. E lo dovrà fare<br />
anche per piccoli importi. Certo,<br />
si tratta solo di un argine, che non<br />
impedirà al cliente di rivolgersi<br />
altrove, finendo preda di interme-<br />
20 | settembre 2012 | narcomafie<br />
diari o siti non autorizzati. Ma le<br />
ultime indagini dimostrano che<br />
potrebbe trattarsi comunque di un<br />
deterrente efficace. Soprattutto se<br />
accompagnato da un eventuale<br />
inasprimento delle pene, che da<br />
noi sono più magnanime rispetto<br />
al resto del mondo».<br />
Al resto, secondo Lauro, dovrebbe<br />
pensarci il mondo dello sport:<br />
«Tutti quelli che sottovalutano<br />
gli allarmi odierni mi ricordano i<br />
molti, anche tra gli addetti ai lavori,<br />
che negli anni Ottanta mettevano<br />
la testa sotto la sabbia di fronte<br />
alla recrudescenza del fenomeno.<br />
La verità è che il calcio italiano<br />
necessita ormai di una rifondazione<br />
morale, societaria e organizzativa,<br />
prima che sia troppo tardi e che<br />
qualche altro scandalo “inatteso”<br />
travolga il settore, mortificando,<br />
ancor più, milioni di appassionati<br />
e di sportivi. La proposta di una<br />
convocazione degli stati generali<br />
del calcio, che prepari questa<br />
rifondazione, va sostenuta con<br />
grande determinazione».<br />
Nell’attesa di misure più stringenti<br />
e di una riforma organica<br />
del sistema pallonaro chiesta<br />
ormai da più parti – ammesso e<br />
non concesso che bastino a migliorare<br />
le cose – il cancro delle<br />
puntate clandestine con cabina<br />
di regia asiatica, collegamenti<br />
balcanici e appoggio criminale<br />
made in Italy, diagnosticato ma<br />
non certo estirpato dalle ultime<br />
inchieste penali, ha metastasi<br />
ancora sconosciute. Sia per gli<br />
inquirenti che per i milioni di<br />
appassionati italiani.<br />
Il giro d’affari, complessivo,<br />
del resto, ha proporzioni da far<br />
impallidire. In tal senso, sono<br />
significative le parole di Chris<br />
Eaton, ex capo della sicurezza<br />
della Fifa, che intervenendo lo<br />
scorso anno a un convegno sul<br />
problema delle combine nel mondo<br />
dello sport – e in particolare<br />
nel calcio – ha riportato numeri<br />
sconvolgenti, facendo precisi ri-<br />
ferimenti al mercato italiano e<br />
alle sue particolarità. «Quello del<br />
denaro mosso dalle scommesse<br />
clandestine è un flusso difficile<br />
da quantificare con certezza», ha<br />
spiegato Eaton, «ma è possibile<br />
misurarlo dal punto di vista del<br />
profitto. In Italia, ad esempio, si<br />
registrano scommesse sportive per<br />
4,2 miliardi di euro all’anno, e di<br />
esse il 92 per cento è sul calcio. Di<br />
questa cifra però, secondo quanto<br />
ritengono le autorità italiane, solo<br />
il 30 per cento passa dai canali<br />
autorizzati. Questo significa che<br />
il restante 70 per cento di flussi<br />
di scommesse è indirizzato su<br />
bookmaker non regolamentati o<br />
non registrati, e di conseguenza<br />
il gioco d’azzardo sul calcio, in<br />
Italia, complessivamente muove<br />
circa 12 miliardi all’anno».<br />
Stime che collimano alla perfezione<br />
con quelle elaborate nel<br />
maggio 2012 da Antonio Laudati,<br />
il procuratore di Bari impegnato<br />
in una delle più importanti<br />
inchieste sul calcioscommesse<br />
italiano.<br />
Un affare troppo grosso, lo ripetiamo,<br />
per non stimolare l’appetito<br />
delle organizzazioni criminali<br />
e, purtroppo, la complicità di un<br />
ambiente, quello del calcio, che<br />
più vanno avanti le inchieste più<br />
si dimostra corruttibile. In questo<br />
ambito, però, il calcio italiano<br />
e la criminalità organizzata di<br />
matrice nazionale sono soltanto<br />
il terminale di un mercato,<br />
quello del gioco illegale, che ha<br />
dimensioni planetarie. E che ha<br />
cominciato a interessarsi ai campionati<br />
europei solo a partire dagli<br />
anni Novanta. Ma che, soprattutto<br />
grazie al suo sbarco nel vecchio<br />
continente, oggi totalizza introiti<br />
da capogiro: le stime più prudenti<br />
parlano di 200 miliardi di dollari<br />
l’anno, quelle più pessimistiche<br />
arrivano a 460. Cifre, in ogni caso,<br />
che fanno impallidire i ricavi di<br />
mafia, camorra, ’ndrangheta e<br />
Sacra corona unita.
in nero, quello sul quale le<br />
mafie hanno deciso di puntare<br />
in via prioritaria.<br />
Le serie A e B, tuttavia, non<br />
possono cullarsi sugli allori<br />
e pensare, erroneamente, che<br />
la problematica non possa<br />
riguardarle, soprattutto dopo<br />
quanto sta emergendo con l’inchiesta<br />
Last Bet della Procura<br />
di Cremona e con quelle delle<br />
Procure di Napoli e di Bari.<br />
Le mafie si sono infiltrate anche<br />
nelle tifoserie, un settore<br />
importante e delicato del<br />
mondo del calcio. Nelle curve<br />
o sulle gradinate, insieme al<br />
tifo, si mescolano violenza,<br />
politica e interessi economici<br />
rilevanti legati, ad esempio,<br />
alla gestione dei biglietti delle<br />
partite, al merchandising,<br />
all’organizzazione delle trasferte<br />
e, come hanno dimostrato<br />
i recenti arresti di Bari,<br />
anche sulle scommesse.<br />
Le cosche si sono attrezzate<br />
da tempo per entrare nel business<br />
del gioco e per gestire<br />
sia le scommesse lecite sia<br />
quelle illecite legate al calcio<br />
e ad altri sport. Le Procure di<br />
Napoli e di Bari hanno avviato<br />
delle indagini sotto questo<br />
profilo.<br />
Il mercato è particolarmente<br />
appetibile per tre ragioni: girano<br />
tanti soldi, il denaro che<br />
si muove è liquido, le sanzioni<br />
sono piuttosto deboli.<br />
Da accorti imprenditori, i boss<br />
si sono adeguati alle nuove<br />
leggi che hanno legalizzato<br />
ciò che prima era illegale ed<br />
hanno investito una parte dei<br />
loro capitali nell’acquisto<br />
delle agenzie di scommesse.<br />
Questo è potuto accadere<br />
sia per la possibilità di poter<br />
contare su dei prestanome di<br />
fiducia, sia per la complici-<br />
tà di persone dipendenti di<br />
grandi società che operano<br />
in questo settore. Non solo. I<br />
mafiosi hanno anche investito<br />
nella realizzazione e nella gestione<br />
di siti internet illegali,<br />
agendo direttamente come dei<br />
bookmaker.<br />
«Il calcio ha un ritorno di<br />
immagine incredibile e fatto a<br />
livello aziendale porta posti di<br />
lavoro e guadagni insperati».<br />
Sono le parole di due ’ndranghetisti<br />
arrestati in Calabria<br />
alla fine degli anni Novanta<br />
che hanno trovato conferma<br />
nelle indagini svolte sinora<br />
da diverse procure italiane,<br />
in particolare in Sicilia, Campania,<br />
Calabria, Basilicata,<br />
Puglia, Lazio e Liguria.<br />
I magistrati, insieme al lavoro<br />
di denuncia portato avanti da<br />
associazioni come Libera e da<br />
alcune inchieste giornalistiche,<br />
hanno portato alla luce<br />
l’esistenza di un sistema che<br />
possiamo definire “calcio criminale”,<br />
composto da mafiosi,<br />
faccendieri e sportivi disonesti.<br />
Un sistema che vive e si<br />
alimenta di continui contatti e<br />
scambi con quella che è stata<br />
definita “borghesia mafiosa”,<br />
composta da imprenditori,<br />
professionisti, giornalisti, politici,<br />
amministratori locali<br />
che, pur non facendo parte di<br />
alcuna organizzazione criminale,<br />
in quanto non sono ritualmente<br />
affiliati, ed avendo sovente la<br />
fedina penale pulita – il che li<br />
rende insospettabili – si mettono<br />
a disposizione delle mafie, fornendo<br />
loro una serie di servizi e<br />
di competenze, per ottenerne in<br />
cambio precisi vantaggi, a partire<br />
da quelli di tipo economico.<br />
Un’ulteriore testimonianza di<br />
come la forza delle mafie stia<br />
fuori dalle mafie.<br />
21 | settembre 2012 | narcomafie<br />
*ricercatore e giornalista<br />
pubblicista, attualmente è<br />
Coordinatore nazionale<br />
dell’Associazione Avviso<br />
Pubblico. Enti locali e<br />
Regioni per la formazione<br />
civile contro le mafie<br />
(www.avvisopubblico.it).<br />
È curatore del blog<br />
http://calciocriminale.<br />
wordpress.com
cosenostre<br />
l’antimafiacivile<br />
22 | settembre 2012 | narcomafie<br />
Sulle note<br />
dell’antimafia<br />
di Elisa Latella<br />
La musica, “quella musica”,<br />
chiama. Reggio risponde. L’incontro<br />
che avrebbe potuto essere<br />
intitolato “musica contro<br />
’ndrangheta” nella città dello<br />
Stretto registra il tutto esaurito<br />
con diversi giorni d’anticipo.<br />
La sera del 31 luglio la Piazza<br />
d’armi della Scuola Allievi Carabinieri<br />
è diventata un teatro<br />
in cui alle gremite file di posti a<br />
sedere si sono aggiunte tantissime<br />
persone in piedi. La gente è<br />
venuta da tutta Italia: il maestro<br />
Riccardo Muti dirige un migliaio<br />
di musicisti, componenti<br />
di orchestre di fiati e bande<br />
musicali calabresi: vengono da<br />
29 piccoli comuni calabresi,tra<br />
cui Bianco, Pazzano, Bivongi,<br />
Laureana di Borrello, Giffone,<br />
Seminara, Gioia Tauro, e molti<br />
altri, alcuni a forte rischio<br />
sociale per la presenza della<br />
criminalità organizzata. L’evento<br />
è gratuito, è un omaggio alla<br />
musica e alla cultura della legalità.<br />
Perché chi fa musica non<br />
delinque. «Se si suona insieme<br />
è impossibile fare la guerra, se si<br />
suona insieme non ci si può disinteressare<br />
di quello che suona<br />
il compagno accanto, di ciò che<br />
gli accade». In queste parole di<br />
Muti si legge una bellissima<br />
lezione di educazione musicale<br />
e di educazione alla civiltà. Il<br />
prefetto Vittorio Piscitelli e il<br />
generale Adelmo Lusi, coman-<br />
dante della Legione Carabinieri<br />
Calabria, hanno sottolineato il<br />
ruolo simbolico della cornice<br />
dell’evento: la scuola in cui<br />
si formano le risorse deputate<br />
in prima linea alla tutela della<br />
legalità. Poi il silenzio, c’è<br />
spazio solo per la musica. Per<br />
le note della Fedelissima di<br />
Cirenei, marcia d’ordinanza<br />
dell’Arma dei carabinieri diretta<br />
dal maestro Pasquale Lucà,<br />
per Fanfare and Flourishes di<br />
James Carnoso, nota per essere<br />
la musica che valica i confini<br />
del mondo (colonna sonora<br />
d’apertura delle trasmissioni<br />
in mondovisione) diretta dal<br />
maestro Maurizio Managò, la<br />
marcia sinfonica “Omaggio<br />
a Muti” diretta dal maestro<br />
Roberto Caridi, la Cavalleria<br />
leggera di Franz von Sappè<br />
diretta da Gaetano Pisano ed<br />
infine African Symphony di<br />
Van McCoy, che registra un<br />
lunghissimo applauso, sotto<br />
la direzione di Cettina Nicolosi.<br />
Poi entra in scena lui.<br />
Riccardo Muti ha conosciuto<br />
la Calabria anni fa. Tutto<br />
cominciò quando, nel 2001,<br />
l’entusiasmo di un uomo di<br />
nome Giuseppe Serra diede<br />
vita all’orchestra giovanile<br />
di fiati “Nicola Spadaro” a<br />
Delianuova: un’associazione<br />
per la formazione musicale<br />
capace di rappresentare con<br />
professionalità il centro aspromontano.<br />
Si suona nella terra della ’ndrangheta,<br />
come sta accadendo a<br />
Napoli nel rione Sanità. A Delianuova<br />
due giovani maestri,<br />
Maurizio Managò e Gaetano<br />
Pisano, hanno il compito di
formare i nuovi allievi; sono<br />
quasi un centinaio i giovanissimi<br />
che si iscrivono presto ai<br />
corsi di musica. Tantissimi i<br />
riconoscimenti ottenuti. Si inizia<br />
a parlare di loro sulle testate<br />
nazionali ed il 22 dicembre<br />
2007 Riccardo Muti, ascoltandoli<br />
in un’audizione privata al<br />
Teatro “Cilea” di Reggio Calabria<br />
affermò: «Fate suonare<br />
questi ragazzi ogni domenica<br />
in teatro! Lo meritano! Sono<br />
ambasciatori della positività<br />
calabrese. Sono un esempio<br />
di disciplina musicale. Chi,<br />
come loro, raggiunge l’armonia<br />
in musica, raggiunge anche<br />
l’armonia nella società.<br />
Il vostro modo di suonare, il<br />
vostro modo di essere non è<br />
importante solo per voi, voi<br />
non immaginate quanta influenza<br />
avrà questo modo di<br />
suonare nella società della<br />
vostra regione».<br />
Il 14 giugno 2008 la formazione<br />
si è esibita al Ravenna Festival,<br />
dove lo stesso Muti ha diretto<br />
due brani nel corso della storica<br />
serata che ha avuto come titolo<br />
“Omaggio alle Bande d’Italia”.<br />
Nel corso della serata reggina<br />
Muti ha sottolineato che:<br />
«L’orchestra sinfonica è un<br />
insieme di persone che cercano<br />
insieme l’armonia. Qui la<br />
Calabria sta mostrando la sua<br />
parte migliore, è un esempio per<br />
il resto dell’Italia». “La musica<br />
23 | settembre 2012 | narcomafie<br />
non solo forma, ma salva” era<br />
stato detto all’inizio di questo<br />
progetto. E Muti dirige tre<br />
trascrizioni d’opera per banda<br />
che richiedono ai musicisti<br />
un elevatissimo livello di virtuosismo:<br />
la Sinfonia dalla<br />
“Norma” di Bellini, l’Overture<br />
de “La Forza del destino” e la<br />
Sinfonia dal “Nabucco” di<br />
Verdi. Infine l’inno nazionale,<br />
ripetuto due volte: il bis ha<br />
registrato la partecipazione<br />
del pubblico alzatosi in piedi,<br />
mentre i ragazzi vestiti con le<br />
magliette bianche, rosse e verdi,<br />
all’uscita del maestro alzano in<br />
segno di omaggio gli strumenti.<br />
È ora che in Calabria sia tutta<br />
un’altra musica. Questa.<br />
l’antimafiacivile<br />
cosenostre<br />
cosenostre<br />
cosenostre<br />
cosenostre<br />
cosenostre<br />
cosenostre<br />
cosenostre<br />
cosenostre<br />
cosenostre
Il mercato aurifero<br />
Foto di Jorge Quinteros,<br />
Savior 1980<br />
24 | settembre 2012 | narcomafie<br />
I cacciatori<br />
I cacciatori<br />
dell’oro. Il nero<br />
della criminalità<br />
Riciclaggio di denaro sporco, usura, ricettazione. Determinati<br />
operatori del “Compro oro” hanno approfittato delle norme lacunose<br />
che regolano il settore aurifero per fini criminali. Ecco<br />
perché servono più regole, maggiori controlli, a cominciare dalla<br />
creazione di un albo di categoria<br />
di Ranieri Razzante
Ne abbiamo contati 5 mila in<br />
tutta Italia. Sono 28 mila se si<br />
contano le gioiellerie parzialmente<br />
riconvertite all’acquisto<br />
di oro per sopperire alla flessione<br />
che il mercato registra nelle<br />
vendite da ormai alcuni anni. I<br />
cosiddetti “Compro Oro” hanno<br />
un giro d’affari annuo che copre<br />
dalle 70 alle 80 tonnellate di<br />
metalli preziosi per un indotto<br />
del settore stimato tra gli 8 e i<br />
10 miliardi di euro.<br />
Chi fiuta l’affare? Sono tra le<br />
attività che hanno reagito meglio<br />
alla crisi, sfruttando il lato<br />
oscuro dell’attuale contingenza<br />
economica che porta molta<br />
gente a disfarsi dei preziosi di<br />
famiglia per facilitare le spese<br />
quotidiane. Sono stati di fatto<br />
definiti come forma alternativa<br />
di finanziamento delle famiglie,<br />
quasi a volerne sottolineare la<br />
valenza sociale, in un momento<br />
in cui le banche distribuiscono<br />
più dinieghi che finanziamenti.<br />
Ma allo stesso modo, si sono<br />
tirati addosso le brame di quelle<br />
organizzazioni criminali che,<br />
fiutato l’affare, ne hanno fatto<br />
un punto nevralgico della filiera<br />
illegale, specificamente legata<br />
alla fase di laundering (riciclaggio)<br />
del contante provento<br />
di reato. Immaginiamo infatti<br />
la potenzialità di attività di<br />
questo genere, che, con i bassi<br />
costi di gestione, i limitati<br />
controlli e barriere d’ingresso,<br />
consentono a qualsiasi banda<br />
criminale anche di piccole dimensioni<br />
di dotarsi della propria<br />
personalissima centrale<br />
di riciclaggio sia del denaro,<br />
sia dei preziosi provenienti<br />
dalle rapine. Gli osservatori<br />
territoriali della legalità hanno<br />
più volte fatto menzione della<br />
congiuntura che lega l’aumento<br />
delle rapine, scippi e traffici illeciti<br />
al proporzionale aumento<br />
dei negozi “compro oro” nei<br />
quartieri a maggiore disagio<br />
socio-economico. Non è questo<br />
il modo per denigrare una<br />
categoria; piuttosto è quello di<br />
affrontare un problema. Perché<br />
di questo si tratta. Le operazioni<br />
della Guardia di finanza su base<br />
nazionale dimostrano ancor più<br />
che il “problema” non è legato<br />
a porzioni delimitate di territorio,<br />
ma che si estende a livello<br />
nazionale (ma senza dubbio<br />
anche a livello internazionale,<br />
visto il crescente trend).<br />
L’argomento è stato trattato anche<br />
in sede antimafia, dove la<br />
Commissione parlamentare di<br />
riferimento (di cui ho l’onore di<br />
essere consulente), ha discusso<br />
quello che si riserva alle questioni<br />
importanti. Ancora in<br />
sede istituzionale, importanti<br />
risultano le parole del Ministro<br />
dell’Interno, che, se da un lato<br />
possono apparire rassicuranti,<br />
dall’altro testimoniano con<br />
ancora più forza l’esigenza di<br />
un intervento tempestivo e<br />
convincente sullo status quo.<br />
Risposte innanzitutto di tipo<br />
normativo: noi di Aira, l’Associazione<br />
dei Responsabili<br />
Antiriciclaggio che presiedo,<br />
abbiamo presentato un rapporto<br />
sul settore con allegata una<br />
proposta di legge. Come tale è<br />
stata accolta con favore negli<br />
ambienti istituzionali.<br />
L’obiettivo principale è quello<br />
di far luce su quelle zone d’ombra<br />
che emergono in questo<br />
comparto e che hanno sinora<br />
permesso alla criminalità di<br />
infiltrarsi in maniera capillare<br />
nella gestione di alcune attività,<br />
nonostante gli ingenti sforzi<br />
delle forze di Polizia.<br />
Dalle parole del ministro Can-<br />
25 | settembre 2012 | narcomafie<br />
cellieri si evince inoltre una<br />
necessità di trasparenza che, a<br />
nostro avviso, non può che passare<br />
per un’accurata conoscenza<br />
di chi opera nel settore.<br />
Censire il mercato. Da qui la<br />
necessità di una mappatura<br />
capillare su tutto il territorio<br />
da parte delle questure che rila-<br />
sciano le licenze e l’istituzione<br />
di un albo per i compro oro.<br />
Insieme ad Anopo (Ass. naz.<br />
Operatori professionali in oro)<br />
abbiamo elaborato una nostra<br />
“inchiesta” su tutto il territorio<br />
nazionale che invieremo quanto<br />
prima al Ministero insieme ad<br />
alcune specifiche osservazioni.<br />
Tale inchiesta mira a dimostrare<br />
come l’assenza di un censi-<br />
mento ufficiale da parte delle<br />
Autorità (Ministero per primo)<br />
sia una grave carenza e dimostra<br />
come il settore abbia necessità<br />
di una razionalizzazione che<br />
parta proprio da un’approfondita<br />
conoscenza dello stesso.<br />
La situazione<br />
economica attuale<br />
offre una ghiotta<br />
opportunità per la<br />
criminalità<br />
organizzata per<br />
entrare nel settore e<br />
sfruttarlo ai fini<br />
del riciclaggio<br />
di denaro
“Aira” ha stilato un<br />
vademecum per il<br />
consumatore che<br />
voglia cedere il<br />
proprio oro, al fine<br />
di valutare il miglior<br />
interlocutore<br />
Chi sono.<br />
Il commercio di oro è regolamentato<br />
da un’apposita normativa intitolata<br />
“Nuova disciplina del mercato<br />
dell’oro, anche in attuazione della<br />
direttiva 98/80/CE del Consiglio,<br />
del 12 ottobre 1998”, emanata con<br />
Legge 17 Gennaio 2000, n. 7, pubblicata<br />
nella Gazzetta Ufficiale n.<br />
16 del 21 gennaio 2000, la quale<br />
stabilisce cosa debba intendersi per<br />
oro e quali sono i requisiti richiesti<br />
per effettuare tale commercio in<br />
via professionale.<br />
Operatori professionali in oro sono<br />
i soggetti indicati dal comma 2<br />
dell’art 1 della L 7/2000: «Chiunque<br />
dispone o effettua il trasferimento<br />
di oro da o verso l’estero, ovvero<br />
il commercio di oro nel territorio<br />
nazionale ovvero altra operazione<br />
in oro anche a titolo gratuito»; e<br />
dall’art. 127 del Tulps: i fabbricanti,<br />
i commercianti, i mediatori di<br />
oggetti preziosi, muniti di licenza<br />
rilasciata dal questore.<br />
Cosa fanno.<br />
Sempre l’articolo 1 della L 7/2000<br />
indica quali sono i requisiti necessari<br />
per poter effettuare il commercio<br />
di oro ovvero:<br />
- comma 3: “L’esercizio in via professionale<br />
del commercio di oro,<br />
per conto proprio o per conto di<br />
terzi, può essere svolto da banche<br />
e, previa comunicazione all’Ufficio<br />
L’incoerenza tra i dati riscontrati<br />
nella mappatura “digitale”<br />
e quelli riscontrati dalla ricerca<br />
sul territorio, in particolare in<br />
alcune città, dimostra come<br />
il fenomeno sia sfuggente e a<br />
tratti sommerso. Da questi dati<br />
e dalla diffusione sul territorio,<br />
unito alla mancanza di controlli<br />
stringenti da parte delle autorità<br />
nei confronti dei nuovi operatori<br />
che si affacciano al mercato,<br />
è possibile arrivare alla<br />
conclusione che la situazione<br />
attuale può offrire una ghiotta<br />
italiano dei cambi (ora Uif), da<br />
soggetti in possesso dei seguenti<br />
requisiti:<br />
a) forma giuridica di società per<br />
azioni, o di società in accomandita<br />
per azioni, o di società a responsabilità<br />
limitata, o di società cooperativa,<br />
aventi in ogni caso capitale<br />
sociale interamente versato non<br />
inferiore a quello minimo previsto<br />
per le società per azioni;<br />
b) oggetto sociale che comporti il<br />
commercio di oro;<br />
c) possesso, da parte dei partecipanti<br />
al capitale, degli amministratori e<br />
dei dipendenti investiti di funzioni<br />
di direzione tecnica e commerciale,<br />
dei requisiti di onorabilità previsti<br />
dagli articoli 108, 109 e 161, comma<br />
2, del testo unico delle leggi<br />
in materia bancaria e creditizia,<br />
emanato con decreto legislativo<br />
1° settembre 1993, n. 385”.<br />
- Art. 243 del Regolamento di<br />
attuazione del Tulps: “L’obbligo<br />
di munirsi della licenza stabilita<br />
dall’art. 127 della Legge incombe<br />
ai fabbricanti, ai commercianti, ai<br />
mediatori di oggetti preziosi, tanto<br />
se lavorino o negozino abitualmente,<br />
quanto occasionalmente”.<br />
- Art. 245 del Regolamento di attuazione<br />
del Tulps: “La licenza<br />
è valida per tutti gli esercizi di<br />
vendita di oggetti preziosi, appar-<br />
26 | settembre 2012 | narcomafie<br />
opportunità per la criminalità<br />
organizzata per entrare nel<br />
settore e sfruttarlo ai fini del<br />
riciclaggio di denaro.<br />
Un vademecum per chi cede<br />
oro. Oltre al rilievo “macro”<br />
economico, ce n’è un altro<br />
parallelo e non di minor spessore,<br />
ed è quello in danno al<br />
consumatore finale, vero animatore<br />
del mercato aurifero<br />
degli ultimi anni. La vendita<br />
del proprio oro, già di per sé un<br />
fatto traumatico, poiché molto<br />
tenenti alla medesima persona od<br />
alla medesima ditta, ancorché siti<br />
in località diverse”.<br />
Il legislatore con questi articoli ha<br />
voluto non concedere dubbi sia<br />
su come identificare la natura dei<br />
beni che possono essere qualificati<br />
come oro, sia le caratteristiche<br />
che un azienda deve assumere per<br />
poter esercitare lecitamente tale<br />
commercio. Infatti stabilendo che<br />
le aziende siano configurate come<br />
«società per azioni, o società in<br />
accomandita per azioni, società<br />
a responsabilità limitata, società<br />
cooperativa dotate di un capitale<br />
sociale interamente versato non<br />
inferiore a quello minimo previsto<br />
per le società per azioni» esclude<br />
de facto le ditte individuali.<br />
Altra condizione necessaria per commerciare<br />
in oro è la comunicazione, e<br />
il rilascio di relativa autorizzazione,<br />
da parte della Banca d’Italia (1º gennaio<br />
2008 l’Ufficio Italiano Cambi<br />
è soppresso e le sue funzioni sono<br />
esercitate dalla Banca d’Italia - D.lgs.<br />
21/11/2007 n. 231).<br />
Gli obblighi antiriciclaggio.<br />
L’attuale normativa antiriciclaggio<br />
(Decreto Legislativo n.231 del 2007)<br />
obbliga gli operatori in oro alla sola<br />
Segnalazione di operazioni sospette<br />
(cd. Sos), tuttavia senza l’obbligo<br />
di adeguata verifica e registrazione<br />
spesso la decisione di separarsi<br />
dai propri oggetti d’affetto è<br />
connessa all’esigenza di monetizzazione,<br />
può a sua volta<br />
nascondere insidie, rendendo<br />
ancora più pericolosa la cessione.<br />
Per questo motivo Aira<br />
ha stilato un vademecum per<br />
il consumatore che voglia cedere<br />
il proprio oro, al fine di<br />
valutare il miglior interlocutore.<br />
Innanzitutto, tra i consigli<br />
utili, c’è quello di essere ben<br />
informati sulla quotazione reale<br />
dell’oro. Questa infatti varia in<br />
delle operazioni (art. 10.2).<br />
Le disposizioni contenute nel decreto<br />
231, fatta eccezione per gli<br />
obblighi di identificazione e registrazione<br />
indicati nel Titolo II, Capi<br />
I e II, si applicano altresì a:<br />
1) commercio, comprese l’esportazione<br />
e l’importazione, di oro<br />
per finalità industriali o di investimento,<br />
per il quale è prevista la<br />
dichiarazione di cui all’articolo 1<br />
della legge 17 gennaio 2000, n. 7;<br />
2) fabbricazione, mediazione e commercio,<br />
comprese l’esportazione e<br />
l’importazione di oggetti preziosi,<br />
per il quale è prevista la licenza di<br />
cui all’articolo 127 del Tulps;<br />
Agli stessi è prescritto anche l’obbligo<br />
di comunicazione per le operazioni<br />
di importo pari o superiore<br />
ai 12.500 euro (art. 1 comma 2 della<br />
L 7/2000).<br />
Dal dicembre 2011 è in vigore<br />
il limite all’uso del contante di<br />
mille euro. Alcuni esercenti che<br />
acquistano Oro continuano a pagare<br />
importi oltre la soglia imposta<br />
dalla legge. Questo, oltre a violare<br />
la legge, comporta una sanzione<br />
amministrativa il cui valore può<br />
ammontare fino al 40 per cento<br />
dell’operazione. Per cui, quando<br />
il valore del monile venduto è<br />
superiore a mille euro, l’esercente<br />
dovrà obbligatoriamente pagare<br />
con un mezzo tracciato (assegno,<br />
bonifico, etc.).
ogni momento della giornata ed<br />
è stabilito dal fixing di Londra.<br />
Le quotazioni sono facilmente<br />
reperibili su web e quotidiani.<br />
È importante poi conoscere la<br />
qualità del proprio oro, ossia<br />
la sua purezza. In altre parole,<br />
ogni prezioso si compone di<br />
una quantità di oro puro ed<br />
una (minore) di altri metalli.<br />
La percentuale di oro puro presente<br />
nell’oggetto determinerà<br />
la purezza (e quindi il prezzo<br />
di vendita). Purtroppo molte<br />
pubblicità di Compro oro<br />
spesso appaiono fuorvianti,<br />
perché riferiscono il solo prezzo<br />
dell’Oro puro (24 o 22 k) pur<br />
senza specificarlo mentre nella<br />
maggior parte dei casi, i gioielli<br />
contengono una quantità<br />
inferiore di Oro (18 k, ovvero<br />
composti di 75 parti di oro ed il<br />
restante di altri metalli). È poi<br />
bene conoscere il peso effettivo<br />
dell’oggetto. In molti casi, chi<br />
acquista Oro sfrutta la buona<br />
fede del venditore falsando il<br />
valore dell’offerta con bilance<br />
“truccate”, ossia manomesse in<br />
modo da fornire una valutazione<br />
inferiore rispetto a quella reale.<br />
Per fare tutto questo, è buona<br />
prassi rivolgersi a più esercenti<br />
al fine di confrontare più offerte.<br />
Talvolta il prezzo può variare di<br />
diverse decine di euro. La legge<br />
impone, inoltre, che il Compro<br />
oro debba registrare l’operazione<br />
di acquisto ed i dati identificativi<br />
del cedente sul registro di<br />
pubblica sicurezza. Diffidare<br />
da chi non vi chiede il documento<br />
di identità. Sta violando<br />
la legge.<br />
La proposta di Aira. Nella con-<br />
ferenza stampa tenuta lo scorso<br />
11 aprile, presso la Camera dei<br />
Deputati tenuta , è stata presen-<br />
27 | settembre 2012 | narcomafie<br />
tata un’interessante proposta di<br />
legge sul commercio dell’oro e<br />
dei preziosi, che a nostro avviso<br />
merita di essere vagliata con<br />
attenzione. Già da alcuni mesi,<br />
infatti, Aira aveva presentato in<br />
Commissione antimafia un’analoga<br />
proposta, che in parte<br />
può essere assimilata a quella<br />
dell’On. Donatella Mattesini, e<br />
che richiede alcuni strumenti<br />
ritenuti imprescindibili per<br />
fornire adeguate certezze a chi<br />
opera nel settore. Tra questi vi<br />
è certamente la creazione di un<br />
albo per i compro oro, l’obbligo<br />
del rilascio della ricevuta da<br />
parte di chi acquista per ovvi<br />
motivi di trasparenza, il rispetto<br />
del limite all’uso del contante,<br />
ad oggi ampiamente disatteso<br />
da larga parte della categoria e<br />
l’assoggettamento a tutti i presidi<br />
antiriciclaggio attualmente<br />
previsti dalla legge.<br />
Sono necessari la<br />
creazione di un albo<br />
dei compro oro,<br />
l’obbligo del rilascio<br />
della ricevuta, il<br />
rispetto del limite<br />
all’uso del contante,<br />
ad oggi ampiamente<br />
disatteso da larga<br />
parte della categoria
dialogo tra antimafia virtuale e antimafia reale a cura di Marcello Ravveduto<br />
C’è un non so che di tragicamen<br />
te epico nel blog che ho scovato<br />
navigando nella rete. L’indirizzo<br />
web è di per sé significativo: http://<br />
raffaelecutolo.blogspot.it/. Quando<br />
mi è apparso davanti agli occhi<br />
non potevo credere che qualcuno<br />
avesse il coraggio di intestare un<br />
blog al boss vesuviano. Mi sba<br />
gliavo. L’autore è un tal Antonio<br />
Barracano, un educatore di Casoria,<br />
in provincia di Napoli. Tra le altre<br />
informazioni si può notare che lo<br />
stesso Barracano è autore di altri<br />
tre blog: Cantanti neomelodici na<br />
poletani, Asse mediano Napoli, Il<br />
clan dei casalesi. Insomma sicura<br />
mente un internauta affascinato<br />
dal mondo criminale campano<br />
e dai suoi cantori. Ma torniamo<br />
alle pagine online dedicate a «’o<br />
prufessor ‘e Ottaviano» come recita<br />
il sottotitolo in corsivo. Sottotitolo<br />
che compare sotto il nome del fon<br />
datore della Nco (Nuova camorra<br />
organizzata) accanto a una delle<br />
tante fotografie che lo ritrae dietro<br />
le sbarre. Il blog è stato realizza<br />
to nel giugno 2012 e si possono<br />
contare 26 post pubblicati, con un<br />
totale di circa 1.800 visite (mentre<br />
sto scrivendo il numero di visita<br />
tori sta velocemente crescendo).<br />
Sulla colonna destra appare un<br />
sondaggio: «Secondo voi Cutolo<br />
deve pentirsi?». Per il momento ha<br />
ricevuto solo cinque risposte: 3 sì e<br />
2 no. Subito sotto c’è una galleria<br />
di immagini dei «Personaggi legati<br />
al nome di Raffaele Cutolo». Appaiono<br />
in fila le foto di Vincenzo<br />
Casillo, Pasquale Barra, Giuseppe<br />
Puca, Alfonso Rosanova, Salvatore<br />
Serra, Giovanni Pandico, Pasquale<br />
Scotti, Immacolata Iacone (la moglie).<br />
A ognuno di essi è dedicato<br />
un articolo, un video o un approfondimento<br />
tratto direttamente<br />
dalle fonti documentali presenti in<br />
28 | settembre 2012 | narcomafie<br />
Il blog di don Raffaele<br />
rete. Giusto per correttezza storica<br />
va segnalato che Salvatore Serra<br />
(detto “Cartuccia”), boss del clan<br />
dei paganesi (ovvero di Pagani in<br />
provincia di Salerno), era stato<br />
un avversario storico di Cutolo al<br />
punto da essere definito, proprio da<br />
“’o professore”, un uomo che porta<br />
a spasso il suo cadavere. Nel 1981,<br />
Serra viene trovato “suicidato” nel<br />
carcere di Ascoli Piceno dove era<br />
rinchiuso in una cella molto vicina<br />
a quella del capo della Nco. Tra i<br />
cutoliani menzionati nel blog c’è<br />
anche posto per Salvatore Di Maio<br />
(detto “Tore ‘o guaglione”), capo<br />
zona dell’agro nocerino sarnese<br />
(grossa area metropolitana tra la<br />
provincia di Napoli e di Salerno),<br />
che, con ogni probabilità, era nel<br />
gruppo di fuoco esecutore della<br />
condanna a morte del sindaco di<br />
Pagani Marcello Torre (ucciso l’11<br />
dicembre 1980 e avvocato difensore<br />
di Serra), ma è stato assolto per<br />
insufficienza di prove. Non sempre<br />
la verità storica collima con quella<br />
giudiziaria. Perché un educatore si<br />
è impegnato a realizzare un blog<br />
dedicato a Cutolo? Vuole creare<br />
uno strumento di conoscenza attraverso<br />
il quale stimolare i suoi<br />
discenti ad una riflessione civile<br />
sulla camorra? Scorrendo i post<br />
non mi pare di scorgere un intento<br />
pedagogico. Si tratta piuttosto di<br />
una somma di documenti, scritti<br />
ed audiovisivi, lanciati nella<br />
rete senza nessuna avvertenza.<br />
Ho cercato qualche commento,<br />
qualche osservazione che inducesse<br />
il lettore a comprendere i<br />
danni economici e sociali prodotti<br />
dalla Nco nel contesto campano,<br />
soprattutto dopo il sisma del 1980,<br />
ma non ho trovato nulla. Inoltre,<br />
non c’è nessun riferimento alla<br />
lunga scia di sangue (3.500 morti<br />
in cinque anni) determinata dal<br />
conflitto tra cutoliani e affiliati<br />
alla Nuova Famiglia di Carmine<br />
Alfieri e Antonio Bardellino. Una<br />
guerra conclusasi con la sconfitta<br />
del boss di Ottaviano. Qual è<br />
dunque il motivo che ha spinto<br />
Barracano a realizzare questo blog?<br />
La ragione risiede, almeno mi pare,<br />
in quell’automatismo irriflessivo,<br />
generato dall’immaginario collettivo,<br />
che tende a trasformare<br />
le figure negative in produttori<br />
di miti. Un mito derivato da una<br />
duplice congiunzione: il silenzio<br />
di Cutolo, che si dichiara “convertito”<br />
(alle regole del Vangelo) e<br />
non “pentito” (secondo le norme<br />
dello Stato) quindi – per chi ci<br />
crede – ancora uomo d’onore, e<br />
il malsano eroismo indotto dalla<br />
trasposizione filmica di Giuseppe<br />
Tornatore. Sinceramente credo<br />
che l’autore del blog sia caduto<br />
inconsapevolmente nella trappola<br />
di glorificare Cutolo innalzandolo<br />
al ruolo di unico capo carismatico<br />
della camorra novecentesca. Il fascino<br />
di don Raffaele, pur lontano<br />
ormai da anni dal clamore dei media,<br />
ambisce a divenire, per mano<br />
di “smemorati educatori”, vero e<br />
proprio culto della personalità.<br />
Del resto né è cosciente lo stesso<br />
Tornatore: «Quando giravo il film<br />
ero consapevole del rischio che si<br />
sarebbero potuti mitizzare eroi negativi,<br />
per questo nella sceneggiatura<br />
avevo inserito una svalutazione<br />
drammaturgica dell’eroe… Se “Il<br />
camorrista” è diventato un simbolo<br />
lo è solo perché quel mondo a cui<br />
mi sono ispirato era molto più identificabile<br />
rispetto a quello odierno<br />
che è molto più sfuggente e privo<br />
di quella teatralità che lo rendeva,<br />
appunto, identificabile». Come a<br />
dire che l’italica vulgata, “si stava<br />
meglio quando si stava peggio”,<br />
vale anche per la camorra.
29 | settembre 2012 | narcomafie<br />
Sacra<br />
inchiesta<br />
corona<br />
unita<br />
Nata come costola della ’ndrangheta, la criminalità pugliese<br />
assume nel tempo connotazioni specifiche e indipendenti.<br />
Meno appesantita dal fardello della “tradizione”, la Sacra<br />
corona unita ha imparato a modernizzarsi facendosi liquida,<br />
decentrata, imprenditoriale<br />
Foto di Elizabeth Thomsen, Tim Regan, Giuseppe Campanelli, Nicola since 1972, Just Janette
Sacra corona unita<br />
La mafia giovane<br />
«La mafia in Puglia non ha avuto<br />
presa nella società. La società<br />
è sana». Così il procuratore<br />
capo di Bari, Antonio Laudati,<br />
ha dichiarato alla stampa nel<br />
luglio scorso. «La Scu oggi? È la<br />
mafia “sociale”, cerca consenso,<br />
trova lavoro e presta denaro<br />
a fondo perduto». L’allarme<br />
è stato lanciato a più riprese<br />
nell’ultimo anno dal procuratore<br />
capo della Dda di Lecce<br />
Cataldo Motta. Capire che cosa<br />
ci sia in mezzo tra queste due<br />
affermazioni opposte, eppure<br />
allo stesso modo autorevoli, è<br />
lo sforzo che faremo in questa<br />
sede, cucendo tra loro scenari<br />
apparentemente lontani, per<br />
cogliere in maniera inedita gli<br />
sviluppi che la “quarta mafia”,<br />
la Sacra corona unita salentina,<br />
è riuscita ad alimentare, dopo<br />
la “stagione dei fuochi” degli<br />
anni Ottanta e la sucessiva controffensiva<br />
della magistratura<br />
e delle forze dell’ordine.<br />
La nascita della Scu. Si stima<br />
che la Sacra corona unita<br />
abbia un giro d’affari di circa<br />
due miliardi e mezzo l’anno.<br />
Gli inquirenti hanno censito<br />
81 clan sparsi su tutto il territorio<br />
regionale: il gruppo<br />
più numeroso, circa 30 clan,<br />
30 | settembre 2012 | narcomafie<br />
La presenza della Scu in Puglia divide le procure di Bari e Lecce,<br />
tra negazionismi e verità accertate. La quarta mafia, pur essendo<br />
nata negli anni Ottanta, è ben radicata. E anche qui non manca<br />
chi mitizza i capi clan<br />
di Maria Luisa Mastrogiovanni<br />
è attivo tra Bari e Foggia; 17<br />
operano a Taranto ed altri 6<br />
e 3 rispettivamente nelle città<br />
di Lecce e di Brindisi.<br />
Il numero complessivo censito<br />
degli affiliati supera abbondantemente<br />
le tremila unità,<br />
con punte rilevate nelle province<br />
di Bari e di Foggia di<br />
circa un migliaio ciascuno,<br />
ma se si pensa che Foggia ha<br />
una popolazione pari a meno<br />
della metà di Bari, si può<br />
avere subito l’idea dell’alta<br />
densità mafiosa del territorio<br />
dauno. I fiancheggiatori sono<br />
circa diecimila. Un numero<br />
ingente per una mafia relativamente<br />
giovane.<br />
La “quarta mafia” è la più giovane,<br />
l’ultima nata in Italia.<br />
È stata fondata da Giuseppe<br />
Rogoli nel carcere di Trani la<br />
notte di Natale del 1981. Una<br />
data scelta per rivestire di<br />
simbologia religiosa l’origine<br />
di quella che era una costola<br />
della ’ndrangheta, dandole<br />
così maggiore forza e autorevolezza<br />
rispetto alle altre<br />
organizzazioni che tentavano<br />
di colonizzare la Puglia. Raffaele<br />
Cutolo infatti, capo della<br />
Nuova camorra organizzata,<br />
aveva mire espansionistiche e<br />
vedeva la vicina Puglia come<br />
una terra di conquista. Fonda<br />
così la Nuova camorra<br />
pugliese, che si insedia soprattutto<br />
nel foggiano. L’arrivo<br />
della camorra è malvisto<br />
dalla malavita locale che, per<br />
contrastare Cutolo, dà vita<br />
ad un’altra organizzazione<br />
criminale. Rogoli, già affiliato<br />
alla ’ndrangheta, chiede<br />
il permesso al capobastone<br />
Umberto Bellocco di formare<br />
una ’ndrina pugliese, che<br />
diventa appunto la Sacra<br />
corona unita. Unica nel panorama<br />
mafioso per la sua<br />
caratteristica di avere, come<br />
riferimento, il suo fondatore<br />
ancora in vita (attualmente<br />
detenuto nel carcere di Viterbo),<br />
il quale, per acquisire<br />
autorevolezza, utilizza nei<br />
rituali di fondazione della Scu<br />
e poi di affiliazione, una serie<br />
di simbologie religiose proprie<br />
delle mafie storiche. Nel 1987<br />
nasce anche la ’ndrina La<br />
Rosa nel sud barese, mentre<br />
la Scu conta ormai le famiglie<br />
più in vista della provincia di<br />
Brindisi e Lecce.<br />
L’ultimo saluto al boss. È il 9<br />
settembre 2008. Quel giorno a<br />
Gallipoli centinaia di persone<br />
si presentarono sul sagrato
della chiesa di Sant’Antonio<br />
da Padova. Un silenzio irreale.<br />
Due lunghissimi minuti:<br />
fu l’omaggio reso ad uno dei<br />
più sanguinari e spietati capi<br />
storici della Sacra corona,<br />
Salvatore Padovano detto<br />
“Nino bomba”, ucciso davanti<br />
a decine di testimoni con 4<br />
colpi di pistola da un sicario<br />
a volto scoperto. Il killer, reo<br />
confesso, era Salvatore Mendolìa,<br />
ora collaboratore di<br />
giustizia, che l’aveva ucciso<br />
su commissione dello stesso<br />
fratello di “Nino bomba”, Rosario,<br />
ora in carcere.<br />
Consideriamo il giorno del funerale<br />
di “Nino bomba” come<br />
spartiacque tra la prima stagione<br />
della Scu, quella degli<br />
anni Ottanta e Novanta, e le<br />
mutazioni della Sacra corona di<br />
oggi. Capiremo dopo perché.<br />
Il parroco, don Salvatore<br />
Leopizzi, aveva scelto brani<br />
dal Vangelo di Matteo,<br />
spingendosi ad accostare la<br />
figura del Cristo morente a<br />
quella del boss, riverso per<br />
strada, davanti alla pescheria<br />
di famiglia, in una pozza di<br />
sangue. «Mio Dio, mio Dio,<br />
perché mi hai abbandonato»,<br />
le parole e il sentimento che,<br />
secondo il prete, avrebbero accomunato<br />
Padovano a Gesù.<br />
«Ricordiamo Salvatore con<br />
affetto e senza covare rancore»,<br />
aveva detto il parroco,<br />
guardando negli occhi la<br />
moglie Anna, il figlio Angelo,<br />
allora studente di liceo e la<br />
figlia Paola, ricordando con<br />
tono accorato la seconda vita<br />
del boss che, scarcerato dopo<br />
20 anni, aveva scritto un libro<br />
di poesie e teneva conferenze<br />
in università.<br />
In prima fila, sul sagrato e al<br />
corteo funebre, diversi politi-<br />
ci con fascia tricolore, tra cui<br />
personaggi di primo piano a<br />
livello nazionale, come l’allora<br />
presidente della provincia<br />
di Lecce, il senatore Giovanni<br />
Pellegrino (Pd), già presidente<br />
della Commissione parlamentare<br />
d’inchiesta sulle stragi, il<br />
sindaco di Gallipoli Giuseppe<br />
Venneri (centro destra), l’assessore<br />
provinciale ai lavori<br />
pubblici, Flavio Fasano (Pd), il<br />
senatore di Gallipoli, Vincenzo<br />
Barba (Pdl), l’ex sindaco di<br />
Neviano, Antonio Megha.<br />
Il corteo, con in testa i politici<br />
e centinaia di persone, sfilò<br />
composto e silenzioso, tra<br />
due ali di folla, dopo essere<br />
esploso in un lungo applauso<br />
all’uscita del feretro dalla<br />
chiesa, davanti alle saracinesche<br />
che i commercianti<br />
avevano abbassato in segno<br />
di rispetto, alcuni affiggendo<br />
anche il biglietto listato di<br />
nero con la scritta “lutto”.<br />
Cordoglio unanime. Contro<br />
quei politici, che avevano dichiarato<br />
di essere presenti ai<br />
funerali “a titolo personale”,<br />
il giorno dopo si scaglierà il<br />
sottosegretario agli Interni,<br />
Alfredo Mantovano (Pdl):<br />
«Come ha insegnato la storia<br />
del contrasto alla criminalità<br />
va eliminata qualsiasi<br />
anche simbolica vicinanza<br />
tra il mondo della criminalità<br />
organizzata e la società»,<br />
stigmatizzando anche la<br />
vicinanza di alcuni docenti<br />
dell’Università del Salento e<br />
di alcuni giornalisti delle tv<br />
locali che, all’indomani della<br />
pubblicazione del libro del<br />
boss “Da Ciano all’8 settembre”,<br />
avevano fatto passare<br />
sugli organi di informazione<br />
locale l’idea di una sorta di<br />
31 | settembre 2012 | narcomafie<br />
ravvedimento del mafioso,<br />
dando interpretazioni fuorvianti<br />
sulla «nuova identità»<br />
civica che Padovano tentava<br />
di costruire di sé. Ma Padovano,<br />
al contrario di quanto<br />
si cercava di far passare<br />
nell’opinione pubblica attraverso<br />
giornali e tv poco attenti,<br />
non aveva vissuto “catarsi”<br />
in carcere. La sua identità<br />
criminale aveva resistito anche<br />
al 41 bis, «ed egli – diceva<br />
il sottosegretario agli Interni<br />
– era ritenuto fondamentale<br />
nel tessuto criminale locale,<br />
nonostante i suoi sforzi di<br />
mimetizzazione che tendevano<br />
ad accreditarlo come una<br />
persona ormai lontana dai<br />
contesti delittuosi attraverso<br />
la sua attività culturale».<br />
Da quell’omicidio presero il<br />
via le indagini della Dda di<br />
Lecce: l’operazione “Galatea”,<br />
che sfocerà poi in diversi rivoli<br />
e in altrettanti fascicoli<br />
in cui è stato tratteggiato il<br />
nuovo volto della Scu, capace<br />
di incunearsi in tutti gli<br />
strati sociali, di avvicinare<br />
uomini chiave delle istituzioni,<br />
delle classi dirigenti<br />
della pubblica amministrazione<br />
e dell’imprenditoria.<br />
Una capacità mimetica e di<br />
creazione del consenso che è<br />
la più importante mutazione<br />
della nuova generazione della<br />
mafia salentina. In effetti,<br />
dopo 4 anni dall’omicidio di<br />
Salvatore Padovano, è chiaro<br />
che quella presenza massiccia<br />
e silenziosa di persone rappresentava<br />
la consacrazione<br />
di un vero e proprio passaggio<br />
di consegne da Salvatore ad<br />
Angelo, suo figlio, proprio<br />
lì, sul sagrato, sotto l’occhio<br />
benevolo della Chiesa e (distratto?)<br />
della politica.<br />
Sacra corona unita
Sacra corona unita<br />
32 | settembre 2012 | narcomafie<br />
La pax mafiosa<br />
e la ricerca<br />
del consenso<br />
Da oltre vent’anni controlla il territorio e i traffici,<br />
modernizzandosi e facendosi “fluida”, imparando a<br />
costruirsi il consenso tra la popolazione. Ecco come la<br />
regione più orientale d’Italia è controllata dai clan<br />
di Maria Luisa Mastrogiovanni
Puglia, novembre 2010. Dall’audizione<br />
della Commissione parlamentare<br />
d’inchiesta antimafia,<br />
per la prima volta si traccia un<br />
quadro unitario della criminalità<br />
organizzata di stampo camorristico-mafioso<br />
nel tacco d’Italia,<br />
senza fare distinzioni tra le varie<br />
definizioni di Sacra corona o<br />
“Rosa” di Bari o “Società” foggiana.<br />
Si guarda cioè alla mafia<br />
pugliese come un unicum, pur<br />
nelle diverse specificità delle<br />
organizzazioni e dei territori.<br />
Infatti la Commissione evidenzia<br />
la frammentarietà delle organizzazioni<br />
sul territorio pugliese, ma<br />
riconosce nella “quarta mafia”, la<br />
Scu, una unitarietà, flessibilità e<br />
capacità di tessere relazioni che<br />
ne costituiscono la pericolosità<br />
sociale: «Quanto alla valenza<br />
strutturale e funzionale della<br />
criminalità organizzata pugliese,<br />
le informazioni raccolte ribadiscono<br />
– unanimemente – che<br />
trattasi di una realtà espressiva<br />
di un modello organizzativo di<br />
tipo clanico e per ciò stesso composita,<br />
frazionata, disomogenea e<br />
certamente non riconducibile ad<br />
un corpus unitario: essa, inoltre,<br />
risulta certamente priva di stabili<br />
programmatiche criminali e così<br />
pure di un raccordo centrale e<br />
sovraordinato rispetto alle singole<br />
realtà locali».<br />
Per converso, la cosiddetta quarta<br />
mafia si presenta dotata di straordinarie<br />
flessibilità e modernizzazione<br />
e di un’elevata capacità<br />
di adattamento della struttura<br />
operativa – essa è capace cioè di<br />
trasformare rapidamente i suoi<br />
business, rinnovando il personale<br />
operativo e i rapporti di alleanza,<br />
specie con le consorterie malavitose<br />
transnazionali (mafia albanese<br />
in misura preponderante,<br />
ma anche quella cinese, serba e<br />
nigeriana), di cui si è segnalata<br />
una forte presenza ed operatività<br />
sul territorio – il che la munisce<br />
di una significativa pericolosità<br />
e potenzialità espansiva».<br />
Bisogna perciò andare ad indagare<br />
nelle varie attività della<br />
Scu degli ultimi anni, alla ricerca<br />
delle manifestazioni di tali<br />
caratteristiche di “flessibilità”,<br />
“modernizzazione”, “adattamento<br />
della struttura operativa”,<br />
“pericolosità” per tratteggiare la<br />
“potenzialità espansiva” dell’organizzazione<br />
attuale e futura. Ed<br />
è quello che faremo qui.<br />
Nell’ultima relazione annuale<br />
del capo della Dda della procura<br />
di Lecce, Cataldo Motta, viene<br />
descritto il passaggio di consegne<br />
alle nuove leve della mafia del<br />
tacco d’Italia. Sono i nipoti dei<br />
fondatori, quelli che nel 1981<br />
furono protagonisti della nascita<br />
della Sacra corona come costola<br />
autonomista della ’ndrangheta,<br />
autorizzata più di 30 anni fa ad<br />
organizzarsi sul territorio pugliese<br />
dal capobastone Roberto<br />
Bellocchio.<br />
La geografia della Scu, secondo<br />
Motta, non è mutata. I centri da<br />
cui si dipana l’organizzazione<br />
sono quelli degli anni Ottanta:<br />
in provincia di Lecce sono<br />
Monteroni, Gallipoli, Squinzano,<br />
Matino, Parabita, Casarano, Taurisano,<br />
Ugento, Lecce, Martano.<br />
In provincia di Brindisi: Tuturano<br />
e Mesagne. Ma dimenticate la<br />
tradizionale suddivisione che<br />
fa coincidere i clan con altrettante<br />
aree d’influenza e traffici<br />
illeciti.<br />
Oggi i confini tra le famiglie, i<br />
territori e gli affari sono molto<br />
più “fluidi” e flessibili: gli affari<br />
sono affari e l’atmosfera è molto<br />
collaborativa, sia sul territorio nazionale<br />
sia con i gruppi criminali<br />
esteri. Si stanno costruendo vere e<br />
proprie reti criminali internazio-<br />
33 | settembre 2012 | narcomafie<br />
nali che vedono la Sacra corona<br />
protagonista di affari criminali al<br />
fianco della camorra e delle mafie<br />
albanese, montenegrina, romena,<br />
russa, turca e greca.<br />
A Gallipoli, secondo la relazione<br />
di Motta, l’erede del padre Salvatore,<br />
“Nino bomba” ucciso nel<br />
2008, sarebbe proprio Angelo, 22<br />
anni, a cui tutta la città di Gallipoli<br />
rese omaggio il giorno del funerale<br />
del padre: eredità mafiosa<br />
raccolta pienamente dopo l’arresto<br />
dello zio, Rosario, mandante<br />
dell’omicidio e reo confesso.<br />
Angelo, chiamato a testimoniare<br />
nel processo sull’omicidio del<br />
padre, il 27 ottobre scorso fu<br />
richiamato dal presidente della<br />
Corte d’assise, Roberto Tanisi, per<br />
il suo fare sbruffone e reticente<br />
al limite dell’accusa di falsa testimonianza.<br />
A Monteroni il clan dei fratelli<br />
Mario e Angelo Tornese è adesso<br />
guidato dai figli di Mario, Ivan e<br />
Mariolino. Il primo, già arrestato<br />
nel 2005, a giugno dell’anno scorso<br />
è stato condannato per mafia<br />
con l’accusa di essersi occupato<br />
del mantenimento delle famiglie<br />
dei detenuti in carcere.<br />
La Scu, nella sua seconda vita,<br />
agisce quindi proprio come un’organizzazione<br />
mafiosa complessa,<br />
come un antistato, occupandosi<br />
della cura e mantenimento dei<br />
parenti dei mafiosi in carcere.<br />
Rimanendo nel nord Salento, a<br />
Squinzano, raccoglie la staffetta<br />
di Francesco Pellegrino, all’ergastolo,<br />
il figlio Antonio, 38 anni,<br />
che ha già trascorso 16 anni in<br />
carcere per due omicidi di mafia<br />
e per estorsione.<br />
Il Salento nord-orientale invece,<br />
è sotto l’influenza di Gabriele e<br />
Stefano Rizzo, nipoti del boss<br />
leccese Totò Rizzo, che avrebbero<br />
già ricevuto l’investitura dallo<br />
zio ergastolano.<br />
Sacra corona unita
Sacra corona unita<br />
Nel sud Salento, a Casarano, Parabita<br />
e Matino, c’è oggi Marco<br />
Giannelli, figlio del boss Luigi.<br />
Corsi e ricorsi storici. Per Motta<br />
infatti si tratta di una riorganizzazione<br />
che oggi come ieri ricalca lo<br />
storico gruppo mafioso degli anni<br />
Ottanta, cioè il “triumvirato” Mario<br />
Tornese, Salvatore Padovano e<br />
Luigi Giannelli, che si dividevano<br />
il Salento sud-occidentale e che<br />
oggi, attraverso i figli, si sarebbe<br />
riassociato.<br />
A Tuturano, in provincia di Brindisi,<br />
l’erede è Angelo Buccarella,<br />
figlio di Salvatore: «Agisce<br />
d’intesa con la madre Antonia<br />
Caliandro», dice Motta, che<br />
con toni agli antipodi rispetto<br />
a quelli usati da Laudati, commenta:<br />
«Questa situazione non<br />
autorizza alcun ottimismo sul<br />
possibile ridimensionamento ed<br />
indebolimento dell’associazione<br />
mafiosa».<br />
Il passaggio di consegne dalla<br />
vecchia alla nuova generazione<br />
ha sancito anche una pax interna<br />
nella nuova Sacra corona unita.<br />
L’alto magistrato parla di vero e<br />
proprio “inabissamento”, una<br />
sorta di strategia di mimetizzazione<br />
della Scu con la parte “sana”<br />
della società, in modo tale che<br />
i confini tra il lecito e l’illecito<br />
diventino sempre più sfumati e<br />
la mafia in questo modo ancor<br />
più inafferrabile. Per rendere più<br />
efficace la mimetizzazione, la Scu<br />
si è liberata, secondo le dichiarazioni<br />
del pentito Ercole Penna, di<br />
tutti i rituali di affiliazione, così<br />
che gli accordi con imprenditori<br />
e professionisti avvengono nel<br />
corso di “normali” riunioni d’affari.<br />
La pax interna ha l’obiettivo<br />
di spartirsi i territori e gli affari<br />
in maniera collaborativa senza<br />
attirare l’attenzione degli inquirenti.<br />
Da una parte dunque si<br />
struttura come antistato nei con-<br />
34 | settembre 2012 | narcomafie<br />
fronti degli affiliati garantendo il<br />
sostentamento, la protezione e la<br />
pensione ai familiari dei mafiosi<br />
in carcere, allo stesso tempo cerca<br />
il contatto e la mimetizzazione<br />
con la società, proponendosi<br />
come una vera e propria società<br />
di servizi, anche finanziari, prestando<br />
denaro, all’inizio senza<br />
interessi, e riscuotendo crediti<br />
per conto dei semplici cittadini e<br />
di imprenditori, che si rivolgono<br />
ai mafiosi spontaneamente.<br />
La capacità mimetica della Scu<br />
raggiunge poi i livelli più profondi<br />
e pericolosi attraverso la<br />
sponsorizzazione di squadre di<br />
calcio, anche di pulcini. Sono<br />
ben otto le squadre di calcio che<br />
secondo le indagini della Dda di<br />
Lecce, hanno come dirigenti o<br />
proprietari personaggi collusi o<br />
direttamente riconducibili alla<br />
Scu. Ricordiamo qui il dato più<br />
recente: il 17 luglio scorso la<br />
Finanza di Lecce ha sequestrato<br />
beni per un milione e 300 mila<br />
euro a Lucio Riotti, di Lecce, già<br />
condannato con sentenza definitiva<br />
per associazione mafiosa<br />
e fino allo scorso anno direttore<br />
sportivo del Racale calcio (reddito<br />
dichiarato: 14mila euro). Una<br />
contiguità negli affari tra i territori<br />
di Lecce e Racale (sud Salento),<br />
che nella prima stagione della<br />
Scu era impensabile.<br />
La collaborazione, come detto,<br />
non è solo tra i clan, ma anche<br />
tra i cittadini e l’organizzazione<br />
mafiosa. Tanto che numerose volte<br />
gli inquirenti hanno assistito<br />
sgomenti al ritorno dei criminali<br />
in paese, dopo la scarcerazione<br />
per indulto o dopo aver scontato<br />
la pena, accolti con fuochi d’artificio<br />
e applausi. Ercole Penna,<br />
capo della Scu di Mesagne, ora<br />
collaboratore di giustizia (poco<br />
prima della bomba alla scuola<br />
“Morvillo Falcone” di Brindisi<br />
la Dda di Lecce mise a segno una<br />
grande operazione antimafia,<br />
con l’arresto di decine di boss,<br />
proprio grazie alla sua collaborazione),<br />
riguardo alla ricerca<br />
del consenso della nuova Scu,<br />
ha messo a verbale: «La gente<br />
ha sempre paura della forza di<br />
intimidazione del nostro gruppo.<br />
I comportamenti degli affiliati<br />
sono sempre in qualche modo<br />
legati alle sollecitazioni che<br />
provengono dalla gente comune<br />
che fa affidamento su di noi.<br />
Siamo sempre disponibili nei<br />
confronti della gente anche per<br />
i problemi economici per i quali<br />
si rivolge a noi. E siamo pronti<br />
a risolverli anche dando denaro<br />
a fondo perduto».<br />
Cercare il consenso di più strati<br />
della società e raggiungere una<br />
pax mafiosa hanno l’obiettivo di<br />
continuare a svolgere le attività<br />
criminali senza attirare l’attenzione<br />
degli inquirenti. Scrive Motta:<br />
«I due aspetti della ricerca del<br />
consenso e della pacificazione<br />
tra i vari clan possono sembrare<br />
differenti, ma, in realtà, sono<br />
riconducibili a finalità analoghe<br />
e mirano ad un unico risultato,<br />
quello della possibilità di<br />
svolgere le attività proprie di<br />
un’associazione mafiosa, da un<br />
canto, dopo essersi assicurato<br />
il consenso sociale e, dall’altro,<br />
avendo drasticamente ridotti i<br />
rischi di interventi repressivi<br />
per la scomparsa di ogni atto<br />
evidente di violenza, intimidazione,<br />
danneggiamento».<br />
Oltre all’episodio del funerale<br />
di Padovano, a Gallipoli, si<br />
possono citare numerosi esempi<br />
a dimostrazione del consenso<br />
riscosso da parte dei mafiosi:<br />
quando venne arrestato alle tre<br />
del mattino nel febbraio di due<br />
anni fa, molte persone uscirono<br />
nel cuore della notte per dare la
loro solidarietà al boss mesagnese<br />
Massimo Pasimeni e a sua moglie,<br />
urlando mentre erano in corso le<br />
operazioni d’arresto: «Massimo<br />
torna presto, vi vogliamo bene.<br />
Gioconda, al tuo cagnolino ci<br />
pensiamo noi. Ci mancherete».<br />
Da ricordare il momento in cui<br />
fu messo in libertà Antonio<br />
Pellegrino, che aveva scontato<br />
16 anni in carcere accusato di<br />
due omicidi di mafia commessi<br />
quando era minorenne e per<br />
estorsione. Antonio Pellegrino,<br />
figlio dell’ergastolano Francesco,<br />
e che come detto rappresenta<br />
uno degli esponenti della seconda<br />
generazione della Scu, fu<br />
accolto a Squinzano con i fuochi<br />
d’artificio. Stessi fuochi a Vernole<br />
per Andrea Leo, nel settembre<br />
2011, dopo aver trascorso nove<br />
anni in carcere. Quando, dopo<br />
un mese, fu arrestato nell’ambito<br />
dell’operazione “Augusta”<br />
negò i contrasti tra il suo gruppo<br />
di Vernole, Melendugno e<br />
Calimera (il cosiddetto gruppo<br />
dei Vernel per l’assonanza con<br />
il detersivo) e quello capeggiato<br />
da Ivan Firenze, nel business del<br />
narcotraffico, perché i contrasti<br />
erano “tempi passati”. «Non ci<br />
facciamo più la guerra», dichiarò<br />
Leo nell’ottobre scorso, quando<br />
fu arrestato alla chiusura delle<br />
indagini dell’operazione “Augusta”,<br />
sancendo definitivamente<br />
l’esistenza di una vera e propria<br />
“pax mafiosa”.<br />
La mafia imprenditoriale. Andrea<br />
Leo, che ha sancito l’esistenza<br />
di una vera e propria “pax<br />
mafiosa”, è tra i nomi eccellenti<br />
tra i 67 arresti dell’operazione<br />
“Augusta”. Un’indagine durata<br />
anni e conclusa nell’ottobre<br />
scorso. All’indomani dell’arresto<br />
di Leo a Vernole, la sua città,<br />
comparve la scritta “Motta in-<br />
fame”. Il procuratore usò toni<br />
tranquillizzanti, smentendo il<br />
collegamento tra l’atto intimidatorio<br />
e l’arresto del boss, ma<br />
lanciò anche l’appello a «non<br />
abbassare la guardia e a contrastare<br />
la criminalità organizzata<br />
in ogni sua forma».<br />
Il riferimento alle mille forme del<br />
crimine non è casuale.<br />
Le operazioni “Augusta”, “Poker2”<br />
e “Domino” hanno tratteggiato<br />
il profilo di una nuova<br />
mafia definita da Motta “mafia<br />
imprenditoriale”, perché le indagini<br />
degli ultimi anni dimostrano<br />
come i gruppi criminali,<br />
anche collaborando tra loro,<br />
hanno come obiettivo quello<br />
di incunearsi in tutti gli strati<br />
sociali della società e in tutti i<br />
settori economici “sani”, per<br />
trarre guadagno da attività apparentemente<br />
lecite. A queste<br />
attività affiancano poi i business<br />
tradizionali.<br />
Che la Scu cerchi di reinvestire<br />
in attività imprenditoriali non<br />
35 | settembre 2012 | narcomafie<br />
è una novità. Ma i tentativi di<br />
dieci anni fa appaiono ingenui<br />
esperimenti rispetto alle<br />
sofisticate operazioni finanziarie<br />
di oggi e alla capacità<br />
di travalicare i confini delle<br />
organizzazioni mafiose locali<br />
e delle nazioni. Oggi, infatti,<br />
la mafia in Puglia, oltre ad<br />
occuparsi degli affari tradizionali<br />
(narcotraffico, traffico di<br />
armi, contrabbando di sigarette,<br />
estorsione, usura), sta esplorando<br />
nuovi settori: il traffico<br />
di persone e il “contrabbando”<br />
di persone per lo sfruttamento<br />
lavorativo e della prostituzione;<br />
le speculazioni nel settore<br />
energetico (soprattutto eolico e<br />
fotovoltaico); il mercato della<br />
contraffazione dei marchi; le<br />
scommesse clandestine. Oltre<br />
a investire in aziende apparentemente<br />
“sane”, come nel caso<br />
del settore della raccolta e dello<br />
smaltimento dei rifiuti e nel<br />
settore edile, partecipando a<br />
bandi pubblici e vincendoli.<br />
Sacra corona unita
Sacra corona unita<br />
Giochi sporchi<br />
Tra gli interessi della Sacra corona unita rientra anche il gioco<br />
d’azzardo: un modo per riciclare denaro sporco attraverso<br />
una rete che arriva fino oltre Manica. Le operazioni “Poker 2”<br />
e “Domino” hanno portato alla luce un business da milioni<br />
di euro e le immancabili sponde politiche<br />
di M. L. M.<br />
36 | settembre 2012 | narcomafie
La Guardia di finanza di Lecce<br />
(in particolare il Gico, Gruppo<br />
d’investigazione sulla criminalità<br />
organizzata) ha appurato<br />
come proprio il Salento sia<br />
l’epicentro di una complessa<br />
organizzazione criminale che<br />
travalica i confini nazionali e<br />
spesso sfugge ai controlli perché<br />
veloce, flessibile e appoggiata<br />
da insospettabili professionisti<br />
compiacenti.<br />
Con l’operazione “Poker 2” sono<br />
addirittura novanta le Procure al<br />
lavoro sui vari stralci dell’inchiesta:<br />
un giro d’affari di centinaia<br />
di milioni di euro che riguarda le<br />
scommesse clandestine, portato<br />
alla luce dalle Fiamme gialle che<br />
non escludono ulteriori sviluppi<br />
che possano definire nuovi<br />
scenari criminali a livello internazionale,<br />
mentre l’operazione<br />
“Domino” della Dda di Bari ha<br />
permesso di stabilire il coinvolgimento<br />
della Sacra corona<br />
unita nel giro delle agenzie di<br />
scommesse sportive abusive.<br />
Il settore del gioco pubblico<br />
e delle scommesse “lecite” è<br />
tra i settori che in Italia non<br />
conoscono la crisi.<br />
Il 2010 si è chiuso con una<br />
crescita della raccolta online<br />
del 40%: le scommesse sono<br />
aumentate del 17%, gli skillgames<br />
(letteralmente “giochi<br />
di abilità”) del 51%, tutti gli<br />
altri giochi del 54%. Una crescita<br />
che ha portato alla raccolta<br />
complessiva di cinquemila<br />
miliardi di euro. In due anni il<br />
giro d’affari è più che triplicato.<br />
Nello stesso anno il numero dei<br />
conti di gioco aperti sul web<br />
da utenti italiani è aumentato<br />
del 70% rispetto all’anno precedente,<br />
tagliando il traguardo<br />
dei 5 milioni.<br />
È naturale che la mafia s’interessi<br />
a questo nuovo business.<br />
Con l’operazione “Poker2” le<br />
Fiamme gialle salentine hanno<br />
scoperto un giro di scommesse<br />
clandestine da centinaia di milioni<br />
di euro, esteso su tutto il<br />
territorio nazionale attraverso<br />
500 agenzie. Un mare di denaro<br />
che avrebbe accolto, per riciclarlo,<br />
anche il guadagno di attività<br />
illecite riconducibili ad organizzazioni<br />
criminali e mafiose.<br />
L’inchiesta, coordinata dalla<br />
Direzione distrettuale antimafia<br />
di Lecce, è iniziata nel 2008: i<br />
finanzieri hanno cominciato a<br />
passare al setaccio tutti i centri<br />
di raccolta di scommesse presenti<br />
nella provincia. Così hanno<br />
scoperto la presenza di una<br />
società di capitali austriaca, con<br />
sede legale a Innsbruck: la GoldBet.<br />
Questa, pur essendo priva<br />
delle concessioni del monopolio<br />
di Stato, avrebbe promosso e<br />
organizzato su tutto il territorio<br />
italiano un meccanismo illegale<br />
di raccolta di scommesse online<br />
su eventi sportivi, utilizzando<br />
una fitta rete di agenzie. Si tratta<br />
di un sistema piramidale che,<br />
partendo dall’Austria, si estende<br />
attraverso livelli intermedi<br />
in ambito regionale (master) e<br />
provinciale, con le cosiddette<br />
“super agenzie”, che nel leccese<br />
raccoglievano una cinquantina<br />
di sedi. Una vera e propria<br />
centrale delle scommesse clandestine,<br />
strutturata come una<br />
holding.<br />
L’organizzazione criminale si<br />
estendeva in Abruzzo, Calabria,<br />
Campania, Emilia Romagna,<br />
Lazio, Liguria, Lombardia, Toscana,<br />
Puglia e Sicilia.<br />
Gli interessi della Scu. L’inchiesta,<br />
nonostante l’enorme<br />
mole di lavoro, d’informazioni e<br />
di interconnessioni che è riuscita<br />
a svelare, a livello nazionale e<br />
37 | settembre 2012 | narcomafie<br />
internazionale, potrebbe richiedere<br />
molto tempo per fornire un<br />
quadro definitivo degli interessi<br />
della criminalità organizzata di<br />
stampo mafioso nel business<br />
delle scommesse.<br />
Gli inquirenti sono riusciti finora<br />
a svelare i gangli criminali nel<br />
Salento: secondo la Dda di Lecce<br />
ad amministrare il mercato delle<br />
scommesse illegali nel leccese<br />
Lecce e in altre due regioni,<br />
era Saulle Politi, 38 anni, di<br />
Monteroni, nome storico della<br />
Sacra corona unita, affiliato al<br />
clan Tornese e già condannato<br />
per associazione per delinquere<br />
di stampo mafioso. A lui facevano<br />
capo ben 50 agenzie di<br />
scommesse, gestite in maniera<br />
unitaria, tanto da costituire una<br />
vera e propria “Rete”. La Guardia<br />
di finanza ha sequestrato<br />
beni riconducibili a Politi, ma<br />
intestati ai familiari, per un valore<br />
di oltre quattro milioni di<br />
euro. Oltre a locali da gioco,<br />
i soldi erano stati investiti in<br />
immobili e supermercati.<br />
Dall’inchiesta principale è<br />
scaturito poi un filone secondario,<br />
che ha svelato come le<br />
scommesse clandestine venissero<br />
raccolte attraverso le<br />
più diverse tipologie aziendali<br />
o associative: dagli internet<br />
point ai pub, dalle sale da gioco<br />
ai supermercati, agli esercizi<br />
commerciali fino ad arrivare<br />
alle associazioni culturali.<br />
Una rete difficile da sbrogliare,<br />
estesa sull’intera provincia di<br />
Lecce, dal capoluogo all’hinterland<br />
(Cavallino, Lizzanello,<br />
San Cesario), fino ad arrivare<br />
nel sud Salento (Gallipoli,<br />
Tricase), a Martano, Veglie,<br />
Guagnano ed in molti altri<br />
comuni. Un mare di denaro<br />
sporco che veniva raccolto<br />
dalla società estera GoldBet<br />
Sacra corona unita
Sacra corona unita<br />
Il mercato di<br />
riferimento del riciclaggio<br />
intervista a<br />
Vito Straziota<br />
comandante<br />
provinciale<br />
della Guardia<br />
di finanza<br />
di Bari<br />
Generale Straziota, quali sono<br />
gli strumenti in mano alle forze<br />
dell’ordine per combattere il<br />
riciclaggio?<br />
Il reato del riciclaggio è un reato<br />
giovane; la normativa di riferimento<br />
risale infatti al 1978. Ma 30<br />
anni sono passati velocemente e<br />
gli strumenti di contrasto hanno<br />
inseguito il reato più che anticiparlo,<br />
in alcuni casi. Non a caso<br />
dal ’78 la prima formulazione del<br />
reato di riciclaggio è stata riconsiderata<br />
con una serie di integrazioni<br />
posteriori per arrivare ad un<br />
inserimento tardivo nell’ipotesi<br />
del terrorismo. Gli strumenti sono<br />
in fase evolutiva. Del resto questo<br />
tipo di approccio giuridico è<br />
comprensibile proprio in virtù di<br />
una consistente evoluzione della<br />
materia finanziaria.<br />
È un fenomeno in crescita?<br />
I dati relativi al riciclaggio, di<br />
cui oggi siamo in possesso, non<br />
riescono a quantificare ragionevolmente<br />
il settore. Siamo infatti<br />
nella condizione di confrontarci<br />
con un bacino di utenza enorme. La<br />
globalizzazione economica porta<br />
nel mercato mondiale un flusso<br />
di capitali che è l’interfaccia di<br />
strutture criminali internazionali.<br />
Prima il fenomeno era localizzato.<br />
La mafia e la ’ndrangheta oggi si<br />
interfacciano tranquillamente con<br />
i narcotrafficanti colombiani, con<br />
le organizzazioni dei Paesi dell’Est,<br />
con la vicina ex Jugoslavia. Questo<br />
comporta una sorta di evoluzione<br />
dei mercati criminali che conduce,<br />
tramite i cosiddetti whitecollars,<br />
alla individuazione della formula<br />
migliore per poter collocare,<br />
lavare e poi inserire nel circuito<br />
economico queste ingenti risorse<br />
che sono solo una quota parte<br />
del budget criminale. Dobbiamo<br />
essere consapevoli del fatto che<br />
l’investitore criminale, colui il<br />
quale con metodi abbastanza spicci<br />
è riuscito ad approvvigionarsi di<br />
sostanze stupefacenti, a collocarle<br />
38 | settembre 2012 | narcomafie<br />
ad averne una sorta di utile, è molto<br />
attento alla collocazione finale non<br />
tradizionale di una parte di utile<br />
che ha introitato.<br />
Che cosa intende per “non tradizionale”?<br />
Normalmente il profilo di investimento<br />
conosciuto è del tipo<br />
“acquisto di sostanza stupefacente-rivendita-riacquisto<br />
sempre in<br />
sostanze stupefacenti”. Si tratta<br />
di metodologie e canali ormai<br />
conosciuti. In questa economia<br />
l’affidamento di capitali a terzi<br />
non è visto con fiducia perché<br />
viene a mancare il controllo<br />
diretto sulla somma che viene<br />
investita. Ecco perché nel budget<br />
criminale non tutto ciò che viene<br />
dal flusso illecito viene riciclato.<br />
La consorteria criminale affida<br />
soltanto parte dei suoi proventi<br />
illeciti a terzi, nel tentativo<br />
di una ripulitura delle somme,<br />
proprio perché nutre una certa<br />
diffidenza nei confronti di questo<br />
tipo di operazioni. Altro discorso è<br />
quello che riguarda il lavoro nero,<br />
il sommerso, l’evasione fiscale che<br />
naturalmente utilizza dei passaggi<br />
obbligati negli stessi circuiti.<br />
Qual è la zona d’Italia in cui<br />
si manifesta maggiormente il<br />
fenomeno del riciclaggio?<br />
Non c’è una zona in particolare; il<br />
mercato su cui insiste il riciclaggio<br />
è ormai globalizzato.<br />
Ma c’è una consequenzialità tra<br />
la ricchezza di un territorio e<br />
la diffusione del fenomeno del<br />
riciclaggio?<br />
I mercati economici principali<br />
non sono localizzati in aree tradizionalmente<br />
ad aggressione<br />
mafiosa. Le operazioni di polizia<br />
giudiziaria condotte nel nord Italia<br />
testimoniano proprio questo: i<br />
mercati economici importanti sono<br />
in Lombardia, nella capitale, nei<br />
paesi dove è più facile immettere<br />
denaro contante. I capitali vengono<br />
immessi dove sono presenti risorse<br />
appetibili dove è possibile ottenere<br />
un tasso di redditività degli<br />
impieghi piuttosto alto, come ad<br />
esempio nel settore dell’edilizia,<br />
degli appalti pubblici, o in forme<br />
innovative come la contraffazione,<br />
dove si investe per avere un ritorno<br />
maggiore. E poi ci sono i circuiti<br />
finanziari, borsistici.<br />
Il reato si esplica laddove avviene<br />
l’investimento o altrove, ad<br />
esempio al Sud, dove è maggiormente<br />
presente l’organizzazione<br />
mafiosa?<br />
Il reato è nel mondo. La sua collocazione<br />
è nel mercato, è sulla<br />
piazza finanziaria dove sono presenti<br />
le migliori opportunità e<br />
dove, magari, il riciclatore riesce<br />
meglio a negoziare.<br />
Ci fa un esempio di un’operazione<br />
importante condotta in Puglia?<br />
In Puglia è un classico l’operazione<br />
“Domino”, dove c’è stato il<br />
tentativo da parte della famiglia<br />
Parisi di alzare la testa e cercare,<br />
con una strategia imprenditoriale<br />
molto aggressiva, importanti<br />
posizioni nel campo degli investimenti<br />
immobiliari, attraverso<br />
la realizzazione di strutture che<br />
avrebbero visto attratti anche<br />
capitali pubblici. I membri della<br />
holding stavano cioè ponendo<br />
in essere una raffinata attività<br />
di riciclaggio attraverso un riciclatore<br />
che poi, per loro sfortuna,<br />
è deceduto. Egli era un<br />
ex bancarottiere ed era pertanto<br />
notoriamente addentrato in certe<br />
dinamiche criminali. Quest’uomo,<br />
attraverso i suoi agganci, i<br />
suoi tentativi anche sui circuiti<br />
bancari, aveva portato avanti<br />
un’ipotesi di realizzazione di un<br />
famoso campus universitario che<br />
avrebbe attratto capitali anche<br />
pubblici. Il campus non si è mai<br />
realizzato perché l’operazione si<br />
è conclusa con successo e si è<br />
riusciti a bloccarne la nascita.
senza che questa avesse alcuna<br />
autorizzazione ministeriale.<br />
Nuovi scenari. «L’operazione<br />
“Poker 2” – ha dichiarato il procuratore<br />
capo di Lecce Cataldo<br />
Motta – è una delle indagini più<br />
importanti svolte dalla Procura<br />
poiché traccia nuove frontiere e<br />
nuovi assetti del crimine organizzato<br />
e delle sue propaggini<br />
economiche».<br />
Anche il sostituto procuratore<br />
nazionale antimafia, competente<br />
per il Salento, Francesco Mandoi<br />
ha evidenziato che «quello delle<br />
scommesse, è uno dei settori di<br />
investimento privilegiati dalle<br />
organizzazioni criminali. L’inchiesta<br />
della Guardia di finanza<br />
di Lecce ha tracciato un nuovo<br />
fronte e un nuovo scenario nella<br />
lotta alla criminalità e ai patrimoni<br />
ad essa legati». L’analisi dei<br />
tessuti connettivi che legano la<br />
quarta mafia al mondo imprenditoriale<br />
e dei grossi investimenti<br />
economico finanziari è la prossima<br />
sfida per le procure pugliesi.<br />
Un primo successo è stato messo<br />
a segno con l’operazione “Domino”,<br />
che ancora oggi svela<br />
rapporti finora impensabili tra<br />
la mafia, la politica e il mondo<br />
imprenditoriale pugliese.<br />
Domino, una tessera dopo<br />
l’altra. Nel 2009 il filo rosso<br />
delle scommesse clandestine<br />
parte dal capoluogo pugliese<br />
e arriva nel cuore della city<br />
londinese. “Follow the money”,<br />
diceva Falcone: ed è così che il<br />
Gico della Guardia di finanza<br />
di Bari scopre che gli interessi<br />
finanziari e imprenditoriali del<br />
clan Parisi hanno attraversato il<br />
canale della Manica.<br />
Il blitz delle Fiamme gialle scatta<br />
all’alba del primo dicembre di<br />
tre anni fa. È il 2009. Con il<br />
supporto del Servizio centrale<br />
investigazioni sulla criminalità<br />
organizzata (Scico), e l’impiego<br />
di oltre mille uomini in servizio<br />
in Puglia, i finanzieri del Gico<br />
di Bari eseguono 83 ordinanze<br />
di custodia cautelare.<br />
Il patrimonio sequestrato agli<br />
esponenti del clan Parisi è valutato<br />
in 220 milioni di euro: 227<br />
immobili tra ville e appartamenti<br />
tra Bari e Montecatini Terme;<br />
capannoni industriali presso il<br />
Baricentro di Casamassima e a<br />
Mantova; quasi 700 conti correnti<br />
bancari; 61 auto di lusso; quote<br />
sociali di aziende con fatturati<br />
di diversi milioni, tra cui la<br />
“Sport&More”, società leader a<br />
livello nazionale nel commercio<br />
di abbigliamento sportivo, con<br />
sede in molte città.<br />
Ma la vera sorpresa è stato scoprire<br />
che una delle più importanti<br />
società inglesi nel settore<br />
delle scommesse on line, la ParadiseBet,<br />
detta anche Bet 1128,<br />
è in realtà di Vito Martiradonna,<br />
condannato per mafia in via<br />
definitiva e già cassiere del clan<br />
Capriati di Bari Vecchia, tra l’altro<br />
accusato, ma poi assolto, per<br />
l’incendio del Teatro Petruzzelli.<br />
La società viene così sequestrata<br />
con rogatoria internazionale<br />
perché attraverso la ParadiseBet<br />
il clan Parisi avrebbe “lavato”<br />
dieci milioni di euro.<br />
L’indagine, coordinata dalla Dda<br />
di Bari, durata tre anni, è una<br />
delle più importanti mai condotte<br />
nella regione e ridisegna<br />
nuovi scenari nella mappatura<br />
degli interessi dei clan nel barese,<br />
definiti dalla Commissione<br />
parlamentare d’inchiesta (sulla<br />
base della relazione di Laudati)<br />
appena sei mesi prima: «poco<br />
strutturati», ma in realtà capaci<br />
di tessere relazioni internazionali<br />
fittissime, coinvolgendo<br />
39 | settembre 2012 | narcomafie<br />
il sistema imprenditoriale e<br />
politico.<br />
Al centro delle indagini il ruolo<br />
carismatico ricoperto da Savino<br />
Parisi, detto “Savinuccio”, 48<br />
anni, secondo gli inquirenti a<br />
capo dell’organizzazione mafiosa<br />
del quartiere Japigia di Bari.<br />
Dopo aver scontato 14 anni in<br />
carcere per mafia, “Savinuccio”<br />
riprende le redini del clan. I<br />
suoi uomini di fiducia: Battista<br />
Lovreglio, Giuseppe Sciancalepore,<br />
Cosimo Fortunato, tutti<br />
pregiudicati per mafia, ora in<br />
carcere con lui.<br />
Il riciclaggio. I dieci milioni<br />
“lavati” a Londra attraverso la<br />
Bet 1128 arrivavano dal “tradizionale”<br />
traffico di cocaina: un<br />
business portato a segno grazie<br />
alla collaborazione di una cellula<br />
di trafficanti italo-serba.<br />
Gli altri interessi del clan sono<br />
l’usura con l’applicazione di<br />
tassi di interesse del 300%, le<br />
rapine ai tir con sequestro di<br />
persona e la turbativa delle aste<br />
giudiziarie.<br />
Poiché l’accumulo di denaro<br />
era poderoso, oltre al riciclaggio<br />
oltremanica il clan Parisi aveva<br />
progettato una monumentale<br />
operazione edilizia: la costruzione<br />
di una cittadella universitaria<br />
tra le più grandi d’Italia,<br />
capace di dare ospitalità a oltre<br />
di 3.500 studenti. Un centro servizi,<br />
comprensivo di dormitori,<br />
mensa, biblioteche, dotato di<br />
strumentazioni avveniristiche.<br />
Il clan aveva già ottenuto le<br />
concessioni edilizie da parte<br />
del comune di Valenzano: i finanzieri<br />
hanno così sequestrato<br />
i lotti su cui si sarebbe dovuta<br />
edificare la cittadella, stimati<br />
in 30 milioni di euro.<br />
L’indagine ha smascherato la<br />
commistione della mafia con i<br />
Sacra corona unita
Sacra corona unita<br />
“colletti bianchi” che avevano<br />
collaborato con il clan nel portare<br />
a termine la speculazione:<br />
insospettabili professionisti e<br />
politici quali l’ex vicesindaco<br />
di Valenzano, Donato Amoruso,<br />
e l’assessore Vitantonio Leuzzi,<br />
accusati di corruzione. Secondo<br />
gli inquirenti si erano dati<br />
40 | settembre 2012 | narcomafie<br />
da fare per agevolare l’iter di<br />
approvazione della concessione<br />
edilizia, dietro la promessa<br />
di utili derivanti dalla vendita<br />
della cittadella.<br />
L’imprenditore Antonio Perilli<br />
poi, vicinissimo a Stramaglia,<br />
secondo le indagini era stato<br />
eletto consigliere comunale a<br />
Valenzano proprio grazie all’appoggio<br />
dei mafiosi di Parisi ed<br />
era considerato l’uomo chiave<br />
piazzato nella pubblica amministrazione<br />
da attivare all’occorrenza.<br />
Il processo di secondo grado,<br />
avviato con il rito abbreviato, si è<br />
concluso il 20 giugno scorso con<br />
14 assoluzioni e 14 condanne.<br />
Il processo ordinario invece è<br />
in corso.<br />
Colletti bianchi o politica<br />
sporca. Ma la parte delle indagini<br />
ancor più sorprendente,<br />
e volta a scandagliare la zona<br />
grigia di sovrapposizione della<br />
mafia con il mondo politicoimprenditoriale,<br />
riguarda la parte<br />
dell’inchiesta (“Domino 2”)<br />
stralciata e affidata alla sostituta<br />
procuratrice di Bari, Francesca<br />
Romana Pirrelli.<br />
Tra coloro che hanno ricevuto<br />
l’avviso di conclusione delle<br />
indagini (del 14 maggio 2012)<br />
vi sono gli avvocati baresi<br />
Gianni Di Cagno, ex componente<br />
laico del Csm, Onofrio<br />
Sisto, Giacomo Porcelli, ex<br />
vicepresidente della Provincia<br />
di Bari, il notaio Francesco<br />
Mazza, l’ex vicesindaco di<br />
Valenzano Donato Amoruso<br />
e l’ex assessore ai Lavori Pubblici,<br />
Vitantonio Leuzzi, oltre<br />
a sei direttori di filiali di banca.<br />
Il clan, scrive il pubblico<br />
ministero, «aveva ben capito<br />
che doveva investire il denaro<br />
provento dell’attività delittuosa,<br />
creando legami che con il<br />
tempo si sono consolidati col<br />
mondo delle imprenditorie;<br />
delle professioni; delle banche;<br />
della Pubblica amministrazione».<br />
Secondo l’accusa «la<br />
mafia barese e pugliese, non è<br />
più una questione tra gruppi<br />
malavitosi, ma una questione
Il mare di Capilungo, frazione di<br />
Alliste, nel basso Salento, è uno dei<br />
più belli della costa ionica. Gli scogli<br />
bassi permettono l’accesso alle<br />
acque verdi, cristalline, freschissime,<br />
perché quella è una zona di<br />
sorgenti sotterranee d’acqua dolce,<br />
che emergono dalle profondità marine<br />
in un gioco di correnti e di colori<br />
mozzafiato. È una zona tranquilla,<br />
frequentata solo da famiglie del<br />
luogo, proprietarie di villette fronte<br />
mare, lontana dalle chiassose mete<br />
della movida salentina.<br />
Un ristoro irresistibile, in quel 6<br />
luglio rovente, per il boss che amava<br />
il mare.<br />
Pasquale Bringanti detto “Maurizio”,<br />
appena 43 anni, ma considerato<br />
“storico” boss, è stato arrestato<br />
così, quest’anno, mentre come un<br />
turista qualsiasi trascorreva un tranquillo<br />
venerdì in famiglia.<br />
Con lui, a fare il bagno, la figlia della<br />
convivente e alcuni amici.<br />
Non aveva tentato neanche di camuffare<br />
i propri tratti somatici:<br />
non i capelli, non la barba. Così, in<br />
maniera sfrontata e grazie ad una<br />
fitte rete di appoggi e coperture, se<br />
ne andava in giro per tutta la Puglia<br />
dal 24 gennaio scorso, quando<br />
l’operazione “Cinemastore” con 49<br />
ordinanze di custodia cautelare,<br />
diede scacco matto all’organizzazione<br />
mafiosa salentina che gestiva<br />
le scommesse clandestine e il gioco<br />
d’azzardo, nella quale Briganti ricopriva<br />
un ruolo di primo piano.<br />
Quello fu sì un bel colpo per la procura<br />
leccese, ma un colpo altrettanto<br />
duro fu costretta ad incassarlo.<br />
I capi dell’organizzazione mafiosa<br />
che gestivano il narcotraffico, le<br />
scommesse clandestine e il gioco<br />
d’azzardo a Lecce e nell’hinterland,<br />
collaborando anche con la Scu brindisina,<br />
riuscirono a fuggire.Ben<br />
sette. Motta confidò in conferenza<br />
stampa, davanti alle telecamere e<br />
ai registratori, per poi ritirare le dichiarazioni<br />
il giorno dopo, che c’era<br />
stata una fuga di notizie in ambienti<br />
investigativi o giudiziari.<br />
Una dichiarazione gravissima che,<br />
nonostante la smentita, rimase ben<br />
salda nella mente dei giornalisti e<br />
dei cittadini e che faceva pensare<br />
non solo alle infiltrazioni della Scu<br />
tra le forze dell’ordine (non era un<br />
fatto nuovo, in Salento), ma anche<br />
all’esistenza di una rete di connivenze<br />
e complicità che rendevano<br />
possibile la latitanza.<br />
In effetti l’arresto di Briganti ha<br />
dimostrato proprio questo: la disponibilità<br />
di ingenti patrimoni<br />
che permettevano una copertura<br />
certamente dispendiosa, fatta di<br />
cambi di appartamenti e città e<br />
l’esistenza di una rete sociale vicinissima<br />
agli ambienti della Scu,<br />
tanto da rendere impossibile per le<br />
forze dell’ordine rintracciare per sei<br />
mesi il capo di un’organizzazione<br />
mafiosa emergente. Associazione<br />
per delinquere di stampo mafioso,<br />
spaccio di droga, estorsione, le<br />
accuse per i 49 arrestati (tra cui un<br />
ex vigile del fuoco) appartenenti<br />
al gruppo di Briganti, che veniva<br />
affiancato dai fratelli Giuseppe e<br />
Roberto Nisi, capaci di coordinare<br />
un’organizzazione estesa dal capo<br />
di Leuca a Brindisi, che si occupava<br />
non solo di “importare” la droga,<br />
ma anche di produrla.<br />
Secondo le indagini durate tre anni,<br />
il gruppo di Briganti si è fatto largo<br />
nell’ambiente criminale per la forza<br />
d’intimidazione e per la condizione<br />
di assoggettamento e di omertà<br />
capace di mantenere all’interno del<br />
gruppo e all’esterno di esso, tra la<br />
larga fascia di complicità che sono<br />
state riscontrate in vari strati sociali.<br />
Il gruppo mafioso emergente non<br />
appartiene alla seconda generazione<br />
della Scu, protagonista della “pax<br />
mafiosa”, alla quale è tra gli ultimi<br />
gruppi ad aderire. Ed infatti le indagini<br />
sono partite proprio da un<br />
omicidio e una bomba in una grande<br />
videoteca leccese. Intimidazioni che<br />
negli ultimi anni la Scu “tradizionale”<br />
ha abbandonato perché poco<br />
convenienti. Tuttavia si tratta di<br />
un gruppo affiliato alla Scu, in cui<br />
41 | settembre 2012 | narcomafie<br />
Briganti avrebbe assunto, su Lecce<br />
e dintorni, il ruolo di responsabile<br />
della risoluzione delle controversie<br />
tra gli affiliati e del rispetto delle<br />
regole imposte dall’essere affiliati.<br />
I fratelli Nisi con Briganti, si occupavano<br />
della gestione del gioco<br />
d’azzardo, della riscossione forzata<br />
dei crediti, delle estorsioni e di tutte<br />
le fasi del narcotraffico, compresa la<br />
riscossione del cosiddetto “punto”,<br />
cioè la tangente sul commercio della<br />
droga gestito da soggetti non inseriti<br />
nell’organizzazione ma assoggettati<br />
al pagamento della tassa all’organizzazione<br />
dominante.<br />
L’organizzazione di Brigante e dei<br />
fratelli Nisi agiva come un’organizzazione<br />
mafiosa complessa, strutturata<br />
secondo ruoli e mansioni<br />
in maniera gerarchica, impegnata<br />
a garantire agli affiliati servizi di<br />
mutuo soccorso e assistenza; mentre<br />
Roberto Nisi era in carcere il fratello<br />
Giuseppe lo sostituiva nell’organizzazione,<br />
collaborando con Briganti<br />
in un contesto di mutua assistenza<br />
con gli altri gruppi.<br />
Nella nuova Scu poi, le donne si<br />
stanno ritagliando un ruolo di primo<br />
piano, sebbene sempre in affiancamento<br />
agli uomini.<br />
Carmela Merlo, per esempio, moglie<br />
di Roberto Nisi, oltre ad essere<br />
la referente dell’organizzazione<br />
mentre il marito era in carcere, si<br />
occupava di incassare il punto per<br />
conto del marito provvedendo poi<br />
personalmente al mantenimento<br />
degli affiliati detenuti attraverso il<br />
versamento di somme di denaro ai<br />
loro familiari.<br />
Tutte le attività, dal narcotraffico alla<br />
gestione delle bische clandestine,<br />
venivano svolte di comune accordo<br />
e coordinandosi con gruppi mafiosi<br />
storici: tra cui Patrizio Pellegrino,<br />
di Squinzano, e il brindisino Ercole<br />
Penna, poi divenuto collaboratore<br />
di giustizia.<br />
In particolare per l’acquisto e lo<br />
smercio di droga è stata dimostrata<br />
la collaborazione del gruppo di<br />
Briganti-Nisi con fornitori della<br />
Bische clandestine e gioco<br />
d’azzardo in Salento<br />
di<br />
M. L. M.<br />
provincia di Brindisi (Gianluca<br />
Saponaro, poi deceduto, Raffaele<br />
Renna e Domenico D’Agnano, di<br />
Torchiarolo, i fratelli Daniele e<br />
Saverio Rizzo, a Cellino San Marco),<br />
e di Bari (Vincenzo Zonno).<br />
Fino ad stringere accordi d’affari<br />
con la camorra. Perché la nuova<br />
Scu ha capito che collaborare<br />
conviene a tutti.<br />
Sacra corona unita
Sacra corona unita<br />
che coinvolge tutti noi e che<br />
deve farci interrogare su quello<br />
che possiamo e dobbiamo<br />
fare, salvo diventare complici<br />
se non tecnicamente almeno<br />
moralmente».<br />
E chissà se l’imprenditore Lello<br />
Degennaro e il politico Nicola<br />
Latorre (Pd) si ponevano queste<br />
domande. Sono due dei nomi<br />
eccellenti di “colletti bianchi”<br />
contenuti nell’informativa della<br />
Guardia di finanza allegata<br />
all’avviso della conclusione<br />
delle indagini “Domino 2”.<br />
Secondo l’informativa Michele<br />
Labellarte, imprenditorericiclatore-bancarottiere<br />
del<br />
clan Parisi, aveva relazioni<br />
con entrambi.<br />
Labellarte avrebbe avuto con<br />
Degennaro, dominus del Baricentro<br />
e rettore della Lum, indagato<br />
con l’accusa di concorso<br />
in riciclaggio con l’aggravante<br />
di aver favorito un’associazine<br />
mafiosa, rapporti esclusivamente<br />
economici. Con Latorre,<br />
senatore Pd e dalemiano di<br />
ferro, avrebbe avuto rapporti<br />
politici, sostenendone l’elezione.<br />
«Vedrai, quello che sto spendendo<br />
mi ritornerà con tutti<br />
gli interessi”: così affermava<br />
Michele Labellarte, nelle intercettazioni,<br />
riferendosi al suo<br />
appoggio a Latorre, per il quale<br />
nel 2005 organizza un comitato<br />
elettorale a Valenzano.<br />
«Non è dato sapere se l’attività<br />
elettorale “sponsorizzata” da<br />
Labellarte nel 2005 a favore<br />
di Latorre – scrive la guardia<br />
di finanza – fosse stata una<br />
propria iniziativa o un’attività<br />
“sollecitata” dai due professionisti<br />
(cioè gli avvocati Onofrio<br />
Sisto e Gianni Di Cagno che<br />
assistevano Labellarte, ora<br />
indagati); gli stessi partecipa-<br />
42 | settembre 2012 | narcomafie<br />
rono ad alcune manifestazioni<br />
elettorali e/o cene organizzate e<br />
pagate dall’amico Labellarte in<br />
sostegno di Latorre che apparteneva<br />
allo stesso schieramento<br />
politico dei due avvocati».<br />
Il comandante della stazione<br />
dei carabinieri di Valenzano,<br />
Canio Mancusi, mette a verbale<br />
che «Labellarte aveva appena<br />
finito gli arresti domiciliari<br />
per una bancarotta, aveva lui a<br />
sue spese allestito un comitato<br />
elettorale, aveva preso in fitto<br />
un ufficio di fronte alle poste.<br />
Io vedevo sempre lui là dentro<br />
in tanti giorni».<br />
Labellarte è spesso a cena con<br />
Latorre e D’Alema, il deputato<br />
di Gallipoli. Lo mette a verbale<br />
il vice sindaco di Valenzano<br />
Donato Amoruso (Pdl): «Quindi<br />
questa figura (Labellarte,<br />
nda) mi suscitava un pochino<br />
di curiosità, vista anche l’importanza».<br />
«Labellarte – si legge nell’informativa<br />
– aveva organizzato<br />
a proprie spese manifestazioni<br />
elettorali, rinfreschi e/o cene a<br />
cui avevano partecipato, oltre<br />
al candidato Nicola Latorre, anche<br />
esponenti politici nazionali,<br />
l’onorevole Massimo D’Alema<br />
e l’onorevole Piero Fassino<br />
(non indagati, nda)».<br />
Anche Mancusi, il comandante<br />
dei carabinieri, lo conferma:<br />
«Che ci siano state cene a me<br />
risulta almeno per due occasioni.<br />
Il parcheggiatore della Villa<br />
Florida, la sala ricevimento a<br />
Valenzano, aveva riferito alla<br />
mia pattuglia: “Poco fa sono<br />
andati via D’Alema e Latorre”.<br />
Labellarte lo disse a me,<br />
si vantava che quelle cene le<br />
pagava lui». E aggiunge: «Labellarte<br />
era un megalomane,<br />
mi invitò a cena per andare<br />
insieme a Fassino, mi disse:<br />
“Maresciallo, venga anche lei”,<br />
io gli dissi “non vengo con te<br />
a cena”».<br />
«Labellarte – scrive la Finanza<br />
– avrebbe finanziato non ufficialmente<br />
Lello Degennaro (su<br />
cui le indagini proseguono):<br />
così da divenirne socio occulto<br />
ed effettuare un’operazione immobiliare<br />
presso il Baricentro<br />
(verosimilmente la realizzazione<br />
di alcuni capannoni e<br />
una torre)». Quindi, secondo<br />
le Fiamme gialle Labellarte<br />
investiva grandi somme di<br />
denaro, in nero, in società in<br />
difficoltà, diventandone proprietario<br />
occulto.<br />
Secondo gli inquirenti avrebbe<br />
prestato circa 3,5 milioni al<br />
gruppo Degennaro nel 2003<br />
quando la società era in difficoltà.<br />
Al momento della richiesta<br />
di restituzione dei soldi poi,<br />
non avendo una tale somma a<br />
disposizione, l’imprenditore<br />
Degennaro avrebbe offerto un<br />
immobile di pregio, di proprietà<br />
della moglie. Ma Labellarte<br />
propone un altro escamotage<br />
per riciclare denaro, per la<br />
precisione tre milioni: due<br />
finti preliminari di acquisto<br />
sottoscritti tra la Sec srl, società<br />
del gruppo Degennaro, e<br />
Vincenzo Lagioia, prestanome<br />
di Labellarte, per la finta compravendita<br />
di due immobili.<br />
La tecnica è proprio questa:<br />
non perfezionare l’acquisto e<br />
trattenere i soldi come risarcimento<br />
del danno.<br />
L’operazione di riciclaggio<br />
andò a buon fine, ma Degennaro,<br />
interrogato dai finanzieri,<br />
ha negato di essere a<br />
conoscenza di legami o interessamento<br />
di Labellarte nella<br />
compravendita, avvenuta,<br />
secondo Degennaro, tramite<br />
studi commercialisti.
L’affare rifiuti<br />
e la metamorfosi<br />
genetica della Scu<br />
Un carosello di ditte locali per aggiudicarsi “l’affare d’oro”,<br />
cercando appigli anche nel nord Italia. La Sacra corona unita<br />
non disdegna di seguire anche questa nuova, appetibile,<br />
strada per accumulare ricchezze<br />
di M. L. M.<br />
43 | settembre 2012 | narcomafie<br />
Sacra Corona Unita
Sacra corona unita<br />
C’è una storia che, nell’analisi<br />
dell’attuale metamorfosi genetica<br />
della Scu, è esemplare perché<br />
testimonia tutte le tendenze in<br />
atto: la mimetizzazione e l’inabissamento;<br />
il passaggio di consegne<br />
alle seconde generazioni;<br />
la ricerca del consenso; la diversificazione<br />
degli investimenti;<br />
l’estendersi degli interessi al<br />
Nord e con aziende apparentemente<br />
“sane”; l’incunearsi nella<br />
pubblica amministrazione; l’utilizzo<br />
dei “colletti bianchi”.<br />
Per raccontare questa storia<br />
è stato necessario essere pazienti,<br />
raccogliere le carte, le<br />
prove, studiare, attendere gli<br />
esiti processuali.<br />
Poi ad un certo punto improvvisamente<br />
il quadro è stato chiaro.<br />
E ora si può raccontare. Questo<br />
è l’affresco, probabilmente<br />
non esaustivo, della galassia<br />
societaria Rosafio-Scarlino (un<br />
puzzle ricostruito da «www.<br />
iltaccoditalia.info», mese dopo<br />
mese e anno dopo anno), la<br />
famiglia della Scu che ha gestito<br />
in Salento, in regime di<br />
monopolio, dal 2000 al 2005, il<br />
traffico illecito di rifiuti tossici e<br />
pericolosi, smaltendoli oltre che<br />
per le aziende locali anche per<br />
aziende del Nord, e poi dal 2005<br />
ad oggi, gestendo la raccolta e<br />
lo smaltimento dei rifiuti solidi<br />
urbani per molti comuni.<br />
Raccontiamo a ritroso, partendo<br />
dall’aprile di quest’anno,<br />
quando è stato chiaro, grazie ad<br />
un’ordinanza del Tar di Lecce,<br />
che nella società Cogea srl (sede<br />
operativa a Casarano, Lecce)<br />
c’era il rischio d’infiltrazioni<br />
mafiose. Per questo il Comune di<br />
Casarano ha revocato l’appalto<br />
per il servizio di raccolta rifiuti,<br />
affidato in via provvisoria proprio<br />
alla Cogea e successivamente<br />
in via definitiva alla Igeco,<br />
44 | settembre 2012 | narcomafie<br />
arrivata seconda nel bando per<br />
l’affidamento del servizio.<br />
Il rischio c’è, e per questo il Tar<br />
ha rigettato il ricorso avanzato<br />
dalla Cogea perché azienda riconducibile<br />
all’universo societario<br />
della famiglia del boss del Scu,<br />
Giuseppe Scarlino, detto Pippi<br />
Calamita, all’ergastolo.<br />
L’ha rigettato però, dopo aver concesso<br />
alla Cogea, in prima battuta,<br />
una sospensiva (tecnicamente<br />
si chiama “decreto cautelare”)<br />
contro la revoca dell’aggiudicazione<br />
provvisoria del servizio di<br />
raccolta di rifiuti; revoca emessa<br />
dal comune di Casarano sulla<br />
scorta di un’informativa antimafia.<br />
Per questa sospensiva favorevole<br />
alla Cogea Antonio Cavallari,<br />
presidente del Tar di Lecce, da<br />
poche settimane è indagato per<br />
abuso d’ufficio direttamente dal<br />
Procuratore antimafia Cataldo<br />
Motta. Il Tar, nell’ordinanza successiva<br />
al decreto cautelativo<br />
contestato dalla Procura, cita tre<br />
diverse informative di Guardia<br />
di finanza e carabinieri, ben tre,<br />
che costituiscono le basi su cui<br />
le prefetture di Lecce e Roma<br />
hanno “cementificato” l’informativa<br />
antimafia.<br />
«Ero fermamente convinta di<br />
quello che facevo – ha dichiarato<br />
Erminia Ocello, la commissaria<br />
prefettizia di Casarano, al<br />
«Tacco d’Italia» –. All’inizio<br />
nessuno voleva venirmi dietro.<br />
Pensavano fossi pazza. Invece<br />
quando si lavora con alto senso<br />
delle istituzioni, le cose possono<br />
cambiare davvero».<br />
Perché pensavano che la commissaria<br />
prefettizia di Casarano<br />
fosse pazza e chi? Innanzitutto<br />
perché la Cogea, che aveva<br />
partecipato all’appalto, era<br />
una società apparentemente<br />
“pulita”, perché neo costituita,<br />
e poi perché la Geotec, la<br />
società riconducibile al boss<br />
di Taurisano-Casarano-Parabita-<br />
Matino (sud-Salento) Giuseppe<br />
Scarlino detto “Pippi Calamita”,<br />
di cui la Cogea era di fatto<br />
un’emanazione, aveva gestito<br />
per anni il servizio di raccolta e<br />
smaltimento rifiuti in molti paesi<br />
del sud Salento. Rappresentando<br />
per la politica un bacino<br />
di voti non indifferente, sulla<br />
Geotec l’amministrazione comunale<br />
(un papocchio tra destra<br />
e sinistra) che aveva preceduto<br />
la gestione commissariale aveva<br />
sempre chiuso un occhio, tanto<br />
che è stata necessaria una guerra<br />
ininterrotta di 48 ore – fatta di<br />
una raffica di determine e atti<br />
commissariali “appoggiati” su<br />
due interdittive antimafia – per<br />
liberarsene..<br />
I rapporti tra la Geotec e la<br />
Cogea sono tessuti su una ragnatela<br />
fittissima di intersezioni<br />
societarie.<br />
E portano lontano, al Nord, nella<br />
rossa Emilia, dove si innestano in<br />
due colossi capaci di trasformare<br />
la monnezza in oro: il Cns, il<br />
Consorzio nazionale servizi di<br />
Bologna, e la Lombardi ecologia<br />
di Conversano, per arrivare al sud<br />
del sud, a Botrugno, Gallipoli,<br />
Morciano di Leuca, dove è il<br />
cuore nascosto dei loro affari.<br />
Come si può tessere una tela così<br />
estesa e quindi inafferrabile?<br />
L’anello di congiunzione tra la<br />
Geotec e la Cogea è l’Anci ambiente,<br />
con sede in via Pedone<br />
6 a Gallipoli fino all’8 aprile del<br />
2011, quando viene trasferita in<br />
un paesino di 7.000 anime in provincia<br />
di Bologna, Pieve di Cento,<br />
in piazza Partecipanza 23.<br />
L’“Anci ambiente” è partecipata<br />
da Demetra ambiente coop (legale<br />
rappresentante Vito D’amico, di<br />
Morciano di Leuca) che è al 100%<br />
partecipata da Geotec. All’inter-
no della compagine troviamo<br />
anche “Geco ambiente”, di cui<br />
è proprietario Gianluigi Rosafio,<br />
genero del boss Pippi Calamita,<br />
perché ne ha sposato la figlia,<br />
Luce Scarlino. L’anno scorso il<br />
genero del boss cancella l’azienda<br />
dalla Camera di commercio di<br />
Lecce e la trasferisce a Bologna,<br />
dove, con la stessa partita iva,<br />
cambia nome in “Formula servizi”.<br />
A questo punto l’incastro<br />
diventa ancor più fitto: della “Formula<br />
servizi” è proprietario e<br />
amministratore delegato il solito<br />
Gianluigi Rosafio e l’Anci ambiente<br />
compra anche quote della<br />
“Formula servizi”, che dunque fa<br />
parte della compagine di Anci e<br />
ne è a sua volta partecipata.<br />
Di Anci ambiente fanno parte alcune<br />
aziende ora in liquidazione:<br />
Antares (legale rappresentante<br />
Marilena Muci); Allservices; e<br />
“Progetto ambiente menhir”. Tenete<br />
a mente quest’ultimo nome<br />
perché tornerà nel racconto per<br />
vie inaspettate.<br />
Anci ambiente porta in giro per<br />
l’Italia il pesante fardello di siffatta<br />
compagine societaria. Dalla<br />
Camera di commercio di Lecce<br />
l’11 aprile dell’anno scorso si<br />
trasferisce in quella di Bologna;<br />
sta lì buona e ferma tre mesi e<br />
poi il 14 luglio si trasferisce<br />
alla Camera di commercio di<br />
Foggia e qui, voilà, cambia nome<br />
in Cogea. Legale rappresentante<br />
tal Fabio Manni di Soleto e<br />
direttore tecnico tal Grecolini,<br />
compaesano di Manni.<br />
Gianfranco Grecolini è un blasonato<br />
consulente in tema di<br />
smaltimento rifiuti. È lo stesso<br />
che lavora per la Geotec, che<br />
nel frattempo ha trasferito la sua<br />
sede a Roma e che prima ancora<br />
lavorava per la ditta Rosafio,<br />
e che ha dei trascorsi pesanti<br />
nel Salento: nel 2005 è stato<br />
condannato in secondo grado<br />
a 4 mesi per danneggiamento<br />
aggravato perché era direttore<br />
tecnico della ditta di Rocco e<br />
Gianluigi Rosafio quando nel<br />
2000 furono abbandonati all’interno<br />
di cave dismesse, per le<br />
campagne del Salento e anche<br />
all’interno della discarica di<br />
Burgesi (la più grande della<br />
provincia), 200 fusti contenenti<br />
pcb, uno dei 10 rifiuti più pericolosi<br />
al mondo.Quei rifiuti<br />
provenivano dalla Sea Marconi<br />
di Torino, incaricata di smaltire<br />
i liquidi tossici contenuti nelle<br />
centraline Enel poi smaltiti illecitamente<br />
nelle campagne da<br />
Rosafio &co, condannati a due<br />
anni e cinque mesi di reclusione<br />
perché Rocco era rappresentante<br />
legale e Gianluigi il gestore<br />
della società di trasporto rifiuti<br />
ritenuta responsabile del reato<br />
(infatti sono stati condannati in<br />
secondo grado anche Graziella<br />
Gardini di Galatone e Vander<br />
Tumiatti di Rosta, in provincia<br />
di Torino, amministratore unico<br />
e socio-consigliere della Sea<br />
Marconi Envirotech con stabilimento<br />
a Seclì). Nella Cogea<br />
dunque, la società che aveva<br />
vinto con un ribasso eccezionale<br />
il bando per la gestione rifiuti<br />
a Casarano, vanno a confluire<br />
competenze, capitali, risorse<br />
umane della Geotec, tramite<br />
l’Anci ambiente.<br />
Non solo: assistiamo alla trasformazione<br />
di una mafia che<br />
fino al 2000 si propone come<br />
una organizzazione “al servizio”<br />
di aziende “sane”, sia<br />
del nord sia locali, alle quali<br />
presta il proprio servizio per<br />
lo svolgimento di lavori “sporchi”<br />
– vedi lo smaltimento dei<br />
fusti di pcb della Sea Marconi<br />
– e poi dal 2000 in poi investe<br />
direttamente i propri capitali<br />
45 | settembre 2012 | narcomafie<br />
negli affari e nelle imprese che<br />
gestisce direttamente.<br />
La mafia dunque, come ha detto<br />
Motta, diventa impresa. E<br />
le prime imprese che gestisce<br />
sono proprio quelle nel settore<br />
dei rifiuti.<br />
Torniamo all’Anci ambiente:<br />
l’azienda si trasferisce al Nord,<br />
compra un ramo d’azienda della<br />
Lombardi ecologica per 400mila<br />
euro. Contratto che poi risulta<br />
annullato.<br />
Ma perché questo ripensamento?<br />
Non lo sappiamo ma possiamo<br />
fare un’ipotesi. I rapporti tra<br />
la Lombardi ecologia e l’Anci e<br />
dunque per la proprietà transitiva<br />
con la Cogea e la Geotec e<br />
i Rosafio, e giù giù fino al clan<br />
Scarlino, sono molto più stretti<br />
di quel che si pensi.<br />
E non solo per legami di “sangue”,<br />
perché Luce Tiziana Scarlino,<br />
la figlia del boss della Scu<br />
Pippi Calamita, all’ergastolo, ha<br />
sposato Gianluigi, ma perché almeno<br />
per un certo periodo, finché<br />
è possibile provarlo, hanno condiviso<br />
il business dell’appalto da<br />
60 milioni di euro per il servizio<br />
di gestione rifiuti dell’Ato 2 della<br />
provincia di Lecce.<br />
Il periodo è quello in cui Anci è<br />
a Bologna, associata con la lega<br />
delle cooperative. Insomma,<br />
è una cooperativa “rossa”. La<br />
Lombardi ecologia invece è una<br />
delle più grosse aziende che<br />
in Puglia gestiscono i rifiuti,<br />
e che ha vinto grandi appalti<br />
in Lombardia, a Mantova ed<br />
è in diversi appalti socia della<br />
Marcegaglia. L’appalto da 60<br />
milioni dell’Ato2, presieduta<br />
dal rampante Silvano Macculi<br />
(Pdl, assessore al Bilancio<br />
della Provincia di Lecce) se l’è<br />
aggiudicato in Ati con la Cns,<br />
il Consorzio nazionale servizi,<br />
una cooperativa rossa con sede<br />
Sacra corona unita
Sacra corona unita<br />
La Lecce<br />
“bene” trema<br />
di M.L.M.<br />
a Bologna che mette insieme,<br />
leggiamo sul sito aziendale,<br />
oltre 230 imprese. L’associazione<br />
temporanea d’impresa<br />
Cns+Lombardi ecologia gestisce<br />
l’appalto attraverso una società<br />
partecipata da entrambi, la “Progetto<br />
ambiente menhir” (ecco<br />
il nome che vi dicevamo di<br />
tenere a mente), delegando parte<br />
del lavoro ad una cooperativa<br />
locale, la Supernova.<br />
Dopo poco la Menhir assume<br />
come dirigenti che gestiscono<br />
di fatto l’intero affair guarda<br />
caso proprio GialuigiRosafio<br />
e sua moglie Luce Scarlino, la<br />
figlia del boss. In quel periodo<br />
i due coniugi presenziano alle<br />
riunioni anche sindacali, non<br />
è un mistero, così come non è<br />
La “pax mafiosa” a Lecce fa sì che<br />
non solo i clan si riorganizzino,<br />
affidando alle nuove leve i floridi affari,<br />
anche transfrontalieri, ma che i<br />
mafiosi non vengano percepiti dalla<br />
società per la loro effettiva pericolosità.<br />
Il confine tra lecito e illecito<br />
diventa sempre più sfumato e la<br />
mafia fornisce la Lecce “bene” non<br />
solo di grandi quantità di cocaina,<br />
ma anche di servizi di sicurezza e<br />
guardianìa, di cui usufruisce anche<br />
il Comune di Lecce.<br />
Lo scenario diventa paradossale,<br />
ma non inedito: accade anche nel<br />
settore dei rifiuti che la pubblica<br />
amministrazione si serva di aziende<br />
mafiose per la raccolta e smaltimento<br />
dei rifiuti solidi urbani. Ma<br />
lo vedremo più avanti.<br />
Quando dopo quattro anni d’indagini<br />
scattarono le ordinanze di<br />
custodia cautelare per 49 persone<br />
legate alla Sacra corona unita tra<br />
i politici e i professionisti leccesi<br />
scattò il panico.<br />
Uno dei clan storici della Scu, quello<br />
di Salvatore Rizzo, in carcere,<br />
federato alla Sacra corona unita,<br />
egemone nel capoluogo leccese e<br />
46 | settembre 2012 | narcomafie<br />
un mistero che Luce Scarlino,<br />
insieme a Simonetta Primiceri,<br />
amministratore delegato di<br />
Geotec, si presentino ai tavoli<br />
provinciali per le concertazioni<br />
sindacali. Poi, quando la<br />
riunione si fa a porte chiuse<br />
e devono presenziare solo gli<br />
aventi delega, Scarlino esce. I<br />
testimoni di questi numerosi<br />
episodi sono tanti. Ma torniamo<br />
alla Supernova e alla Menhir<br />
che sono tra loro collegate, e ai<br />
loro dirigenti d’eccezione.<br />
La Supernova per questa sua<br />
vicinanza con la famiglia Rosafio-Scarlino<br />
viene raggiunta<br />
dall’interdittiva antimafia della<br />
prefettura di Lecce e la Menhir<br />
dopo poco viene messa in<br />
liquidazione.<br />
nei centri limitrofi, in particolare<br />
nei comuni di Cavallino, Lizzanello,<br />
San Cesario, Martano e Calimera,<br />
si era organizzato sotto la guida<br />
del pregiudicato Ivan Firenze, già<br />
affiliato al clan della Scu capeggiato<br />
dal defunto boss Giuseppe<br />
Lezzi. Firenze ha ricoperto un ruolo<br />
centrale nel traffico di stupefacenti<br />
nel capoluogo salentino ed in altri<br />
comuni della provincia. È lui che,<br />
al suo arresto, nel 2008 sancisce<br />
con le sue dichiarazioni l’esistenza<br />
concreta di una vera e propria “pax<br />
mafiosa”. Firenze, che ha raccolto<br />
la staffetta da Rizzo, gestiva dal<br />
carcere gli affari del clan.<br />
Non solo droga, soprattutto cocaina,<br />
ma anche imprese apparentemente<br />
lecite, che Firenze, di concerto con<br />
Rizzo, gestiva grazie anche alla<br />
capacità di tessere relazioni con<br />
gli ambienti mafiosi in altre regioni<br />
e oltralpe.<br />
I principali canali di approvvigionamento<br />
della cocaina infatti<br />
erano il Lazio e l’Olanda: il primo<br />
canale riconducibile al gruppo criminale<br />
diretto da Carmine Fasciani,<br />
storicamente attivo nell’area del<br />
Ma fa in tempo ad attraversare<br />
come una meteora la storia<br />
aziendale dell’Anci ambiente,<br />
cioè la futura Cogea, cioè Geotec,<br />
lasciando traccia di una<br />
partecipazione all’interno degli<br />
incastri societari dell’Anci,<br />
appena trasferitasi a Bologna<br />
e ripulita grazie a questa sua<br />
nuova carta d’identità.<br />
L’Ati Cns-Lombardi, che vuole<br />
prendere le distanze dalla<br />
Supernova, marchiata a fuoco<br />
dall’interdittiva antimafia e<br />
che per questo non può più<br />
lavorare con gli enti pubblici,<br />
dà incarico di fare quello che<br />
faceva la Supernova proprio<br />
all’Anci ambiente, cioè Geotec,<br />
futura Cogea. E l’ombra della<br />
Sacra corona unita che era stata<br />
litorale romano; il secondo a “canali<br />
olandesi” creati dallo stesso Lezzi.<br />
A seguito dell’arresto di Firenze,<br />
avvenuto nel gennaio 2008, la gestione<br />
delle attività illecite del sodalizio<br />
era stata affidata a Nicolino<br />
Maci che, attraverso le cosiddette<br />
“sfoglie”, riceveva dal carcere le<br />
disposizioni di Firenze. Le attività<br />
d’indagine nei confronti di Maci<br />
hanno evidenziato, tra l’altro, come<br />
fosse stata costituita una “cassa<br />
comune” per le esigenze complessive<br />
dell’organizzazione (acquisto<br />
di telefonini, schede, autovetture,<br />
moto, ecc.), oltre al il sostegno legale<br />
agli affiliati. È stato accertato anche<br />
il coinvolgimento del clan nel controllo,<br />
in regime pressoché monopolistico,<br />
dei servizi di guardianìa<br />
agli esercizi pubblici, realizzato<br />
mediante le attività dell’agenzia<br />
“Iron Service”, con sede a Lecce,<br />
riconducibile a Firenze e a Salvatore<br />
Rizzo. Le indagini hanno<br />
evidenziato come il clan leccese<br />
avesse trovato un’intesa con quello<br />
di Vernole-Melendugno, anch’esso<br />
gestito dalla seconda generazione<br />
della Scu: Rizzo, con Alessandro
scaraventata fuori dalla porta<br />
rientra dalla finestra. Ma nessuno<br />
sembra avvedersene.<br />
Quanto è consapevole di questo<br />
legame l’AtiCns+Lombardi<br />
ecologia?<br />
Pensiamo che lo sia molto, almeno<br />
quanto il peso di quel<br />
contratto del 29 marzo 2011 con<br />
cui l’Anci ambiente compra per<br />
400mila euro un ramo d’azienda<br />
della Lombardi ecologia<br />
(contratto poi annullato).<br />
Polverizzata in decine di partecipazioni<br />
societarie, l’interdittiva<br />
antimafia che è a carico della<br />
Geotec sembra disfarsi, perdersi.<br />
Geotec diventa inafferrabile<br />
e i suoi capitali frammentati in<br />
innumerevoli partecipazioni.<br />
I legami tra Lombardi ecologia,<br />
Verardi infatti, ha recentemente<br />
costituito un nuovo gruppo dedito<br />
al narcotraffico, capeggiato dallo<br />
stesso Verardi e da Andrea Leo,<br />
chiamato Vernel, monopolizzando<br />
lo spaccio di stupefacenti in diversi<br />
comuni della provincia salentina.<br />
L’organizzazione coagulata attorno<br />
al clan Rizzo-Vernel poi, si serviva<br />
di altri piccoli gruppi criminali<br />
per lo spaccio al dettaglio e aveva<br />
trovato il modo di collaborare anche<br />
con il clan di Tuturano (Brindisi), il<br />
più noto clan “Buccarella”, federato<br />
alla frangia rogoliana, fondatrice<br />
della Scu.<br />
Per gestire in tutto il territorio di<br />
Brindisi e Lecce il narcotraffico dunque,<br />
i principali clan della seconda<br />
generazione della Scu collaborano<br />
tra loro.<br />
L’indagine “Augusta” ha confermato<br />
non solo i rapporti tra i principali<br />
clan mafiosi, funzionali soprattutto<br />
al controllo del traffico di stupefacenti,<br />
delle estorsioni e dei servizi<br />
di sicurezza nei locali e pubblici<br />
spettacoli, ma ha anche evidenziato<br />
come la Scu leccese tenti di rimodulare<br />
le proprie strategie, indivi-<br />
Cns e l’universo societario dei<br />
Rosafio diventano impalpabili.<br />
Rosafio è stato condannato in<br />
secondo grado per “condotta<br />
mafiosa” in un altro processo,<br />
diverso da quello per l’abbandono<br />
dei fusti di pcb. La condanna<br />
per “condotta mafiosa” riguarda<br />
lo sversamento di liquami e<br />
rifiuti speciali nelle campagne e<br />
nei depuratori del basso Salento,<br />
monopolizzando il mercato<br />
con minacce e metodi mafiosi<br />
verso i concorrenti.<br />
Quel processo dovrà però essere<br />
ricelebrato in corte d’appello<br />
a Lecce. Così ha stabilito la<br />
Suprema Corte.<br />
Ma questo, ha stabilito recentemente<br />
il Tar, è ininfluente<br />
rispetto all’interdittiva anti-<br />
duando in attività imprenditoriali<br />
apparentemente lecite, nuove e<br />
remunerative fonti di guadagno e<br />
di controllo del territorio.<br />
Infine, è stato appurato che la cocaina,<br />
“piazzata” sul mercato della<br />
“Lecce bene”, era destinata a politici,<br />
avvocati, imprenditori: una<br />
vicinanza della “parte sana” della<br />
società con la Sacra corona su cui<br />
ancora non è stata fatta chiarezza.<br />
Sulla vicenda la deputata Teresa<br />
Bellanova (Pd) ha presentato un’interrogazione<br />
parlamentare, finora<br />
senza risposta.<br />
Dalle intercettazioni vengono fuori<br />
una serie di conversazioni tra i<br />
mafiosi e personaggi pubblici, politici,<br />
avvocati e imprenditori, nelle<br />
quali si fa riferimento a “occhiali” o<br />
“biglietti per lo stadio”. Si tratta di<br />
alcuni dei nomi in codice utilizzati<br />
dai clan per far riferimento alle partite<br />
di droga. Il polverone che ne è<br />
scaturito subito dopo, con i politici<br />
che si alternavano in excusatio non<br />
petita, dichiarandosi disponibili a<br />
sottoporsi ad analisi del capello, ha<br />
spinto il procuratore Motta a mettere<br />
nero su bianco in un comunicato<br />
47 | settembre 2012 | narcomafie<br />
mafia che nel frattempo hanno<br />
ricevuto Cogea e Geotec e che<br />
quindi rimane in piedi.<br />
Così come rimangono circolanti<br />
sul mercato gli imponenti<br />
capitali dell’impero occulto<br />
dei Rosafio: solo la Cogea ha<br />
un capitale da un milione e<br />
600mila euro.<br />
Pronti per essere spostati, reinvestiti,<br />
trasferiti su altri lucrosi<br />
business.<br />
Un esempio? Il 16 agosto scorso<br />
sul Bollettino ufficiale della<br />
Regione Puglia è comparsa la<br />
richiesta della Geco ambiente,<br />
di Gianluigi Rosafio, per la realizzazione<br />
di un impianto di<br />
compostaggio a Casarano. I cittadini<br />
hanno 45 giorni di tempo<br />
per presentare osservazioni.<br />
stampa che le conversazioni intercettate<br />
avevano come oggetto solo<br />
argomenti leciti. Scrive Motta: «Non<br />
è stata intercettata e non c’è negli<br />
atti delle indagini alcuna conversazione<br />
telefonica o tra presenti e<br />
non è risultato – neanche durante<br />
i servizi di osservazione – alcun<br />
contatto dal quale possa ritenersi,<br />
ricavarsi o comunque desumersi che<br />
alcun politico […] avesse acquistato,<br />
acquistasse o dovesse acquistare<br />
qualsivoglia tipo di droga ovvero<br />
ne avesse fatto, ne facesse o dovesse<br />
farne uso. Le uniche conversazioni<br />
cui partecipino esponenti della<br />
politica o nelle quali a loro si faccia<br />
riferimento trattano esplicitamente<br />
di argomenti leciti».<br />
I nomi in codice utilizzati dai clan<br />
per parlare di cocaina, secondo l’informativa<br />
dei Ros, sono: “Telefoni,<br />
caricabatteria, moto, biglietti, documentazione,<br />
matrimoniale, pesce,<br />
appartamenti, occhiali, teglie”.<br />
I politici parlavano con i mafiosi<br />
di “occhiali” e “biglietti”.<br />
La dimostrazione, stando a quello<br />
che dice il procuratore, che il sillogismo<br />
è un costrutto imperfetto.<br />
Sacra corona unita
Sacra corona unita<br />
Galatea,<br />
la Scu rinasce<br />
di M.L.M.<br />
Galatea, una delle Nereidi,<br />
“colei che ha la pelle biancolatte”<br />
è il simbolo di Gallipoli,<br />
la città bella.<br />
Da qui siamo partiti per capire i<br />
nuovi sviluppi della Sacra corona<br />
unita. Trovando nell’episodio<br />
del funerale di “Nino bomba”,<br />
l’espressione di un consenso<br />
popolare sempre più ricercato,<br />
con successo, dalla Scu.<br />
“Galatea” è una delle indagini<br />
più importanti degli ultimi<br />
anni, perché oltre a far luce<br />
sulla riorganizzazione dei<br />
clan, svela i confini sempre<br />
più fluidi tra i clan mafiosi,<br />
il mondo delle professioni e<br />
dell’imprenditoria.<br />
Il clan Padovano di Gallipoli è<br />
uno di quelli storici della Scu<br />
della metà degli anni 80.<br />
Collegato a Luigi Giannelli<br />
(della zona Matino, Parabita<br />
Casarano, Taurisano), conserva<br />
una certa autonomia rispetto<br />
anche al più potente Antonio<br />
Dodaro. Dopo la morte di<br />
Dodaro e la contrapposizione tra<br />
i gruppi De Tommasi e Tornese,<br />
i gruppi Padovano-Giannelli, la<br />
cosiddetta “Stagione dei fuochi”,<br />
per i numerosi episodi violenti<br />
che caratterizzarono la guerra tra<br />
i clan, – continuarono ad intrattenere<br />
rapporti con il solo gruppo<br />
Tornese.<br />
Nel 1989, a seguito dell’arresto di<br />
Salvatore Padovano, detto “Nino<br />
bomba” la leadership del gruppo<br />
venne esercitata dal fratello minore<br />
Pompeo Rosario Padovano che<br />
riuscì a rafforzarne l’influenza,<br />
fino al suo arresto e del gruppo a<br />
lui riconducibile. A quel punto il<br />
mantenimento del potere del clan<br />
sul territorio di Gallipoli venne<br />
garantito da clan Tornese, a cui<br />
erano affiliati i Padovano.<br />
Nello stesso periodo, però si acuirono<br />
i contrasti tra i due fratelli,<br />
Salvatore e Rosario, per il predominio<br />
sul clan.<br />
Tutto ciò emerse chiaramente nel<br />
2006, quando, nel giro di pochi<br />
mesi, Salvatore e Pompeo Rosario<br />
tornano in libertà.<br />
Da quel momento, tenuti sotto controllo<br />
e intercettati dai Ros, furono<br />
chiari gli interessi economici: oltre<br />
ai tradizionali settori d’interesse<br />
delle organizzazioni mafiose, i<br />
Padovano gestivano in regime di<br />
monopolio l’intero settore ittico<br />
di Gallipoli, uno dei più floridi<br />
della Puglia e del Mezzogiorno<br />
d’Italia.<br />
La gestione di tali attività economiche<br />
era oggetto di controversie tra i<br />
due fratelli, che comunque avevano<br />
apparentemente raggiunto un accordo<br />
per una equa distribuzione<br />
dei guadagni. Tuttavia se Pompeo<br />
Rosario era per una gestione più<br />
tradizionale delle attività mafiose,<br />
Salvatore cercava di rafforzare la<br />
sua leadership cercando un consenso<br />
popolare, anche attraverso un<br />
inedito e spregiudicato utilizzo dei<br />
media. Aveva pubblicato un libro e<br />
teneva conferenze in università, riuscendo<br />
ad accreditarsi all’opinione<br />
48 | settembre 2012 | narcomafie<br />
pubblica come “redento”.<br />
Il periodo successivo ha rinsaldato<br />
ulteriormente i contatti tra Pompeo<br />
Rosario Padovano ed il resto degli<br />
affiliati, così come contestualmente<br />
si è documentato che i familiari che<br />
gestivano le attività economiche del<br />
clan si erano aggregati attorno alla<br />
sua posizione, isolando il fratello<br />
Salvatore che non perdeva occasione<br />
per rivendicare le proprie<br />
spettanze, ritenendole non adeguate<br />
al suo “rango”. Inoltre, Pompeo<br />
Rosario era riuscito ad investire i<br />
guadagni derivanti dai tradizionali<br />
affari mafiosi, in aziende per la commercializzazione<br />
dei prodotti ittici,<br />
che servivano il mercato milanese,<br />
e per la commercializzazione di<br />
abbigliamento e moto.<br />
Un segnale evidente dello stato<br />
di contrapposizione tra i due fratelli<br />
è emerso anche da alcune<br />
conversazioni intercettate tra il<br />
giugno e luglio 2008 all’interno<br />
dello studio del commercialista<br />
Giancarlo Carrino (consulente nelle<br />
attività economiche di Pompeo<br />
Rosario). Nei dialoghi tra Pompeo<br />
Rosario Padovano, il cugino Giorgio<br />
Pianoforte e lo stesso Giancarlo<br />
Carrino, si faceva infatti riferimento<br />
all’astio profondo nei confronti di<br />
Salvatore, tanto da rivelare propositi,<br />
poi posti in essere, di una sua<br />
“eliminazione”.<br />
Nelle stesse conversazioni intercettate<br />
nello studio di Carrino è<br />
emerso un altro elemento fortemente<br />
caratterizzante l’associazione<br />
mafiosa, ossia la capacità, attraverso<br />
persone insospettabili – in quel<br />
caso proprio Carrino – di venire a<br />
conoscenza e quindi di eludere le<br />
attività investigative condotte nei<br />
confronti del clan.<br />
Dopo l’uccisione di “Nino bomba”<br />
di fronte alla pescheria di famiglia,<br />
il fratello rosario, non solo ha continuato<br />
ad alimentarne gli affari, ma<br />
anche a garantire un sostentamento<br />
alla famiglia del fratello che lui stesso<br />
aveva fatto uccidere (da Carmelo<br />
Mendolìa, reo confesso).<br />
Non solo, prima del suo arresto,<br />
aveva rafforzato gli affari costituendo<br />
una cooperativa per la<br />
commercializzazione del pesce<br />
a Milano, investendo anche nel<br />
settore alberghiero e balneare.<br />
Dalle intercettazioni uscirono fuori<br />
contatti molto stretti tra Padovano<br />
e altri professionisti della zona,<br />
quali ad esempio Flavio Fasano,<br />
noto avvocato del foro leccese, già<br />
sindaco (pd) di Gallipoli e assessore<br />
provinciale ai lavori pubblici. Era,<br />
Flavio Fasano, al fianco di Giovanni<br />
Pellegrino, presidente (Pd) della<br />
provincia di Lecce, già senatore<br />
presidente della Commissione<br />
stragi, in prima fila al funerale di<br />
“Nino bomba”.<br />
Nello stralcio dell’inchiesta “Galatea<br />
2”, è stata scandagliata non<br />
solo la natura dei rapporti tra Fasano<br />
e Padovano, ma anche approfondite<br />
altre vicende relative<br />
ad appalti pubblici poco chiari<br />
se non pilotati, che hanno coinvolto<br />
alcuni imprenditori, tra cui<br />
Giovanni Lagioia, già presidente<br />
della sezione comunicazione di<br />
Confindustria-Lecce e cugino del<br />
ministro Raffaele Fitto (Pdl); Gino<br />
Siciliano, presidente della “Lupiae<br />
servizi”, società in house del Comune<br />
di Lecce ed altri imprenditori e<br />
amministratori pubblici accusati,<br />
in concorso, di turbativa d’asta,<br />
violazione del segreto d’ufficio,<br />
falso e corruzione. Il processo è<br />
in corso: per la difesa di Fasano i<br />
rapporti con “Nino bomba” erano<br />
puramente professionali, da avvocato<br />
(Fasano) a cliente (Padovano),<br />
ma dalle intercettazioni risulta un<br />
rapporto strettissimo tra i due, fatto<br />
di confidenze e consigli al limite<br />
del “pilotaggio” della condotta<br />
del mafioso.<br />
Su questo limite tra lecito e illecito e<br />
sulla capacità di sfumarne i confini<br />
fino a renderli indistinguibili (tanto<br />
che due procuratori antimafia su<br />
questo hanno opinioni opposte)la<br />
Sacra corona unita si sta giocando la<br />
scommessa della sua rinascita.
Dai pescherecci<br />
alla movida<br />
I proventi della criminalità organizzata pugliese sono a tutto<br />
tondo: dall’estorsione al pizzo, fino al settore dell’edilizia e<br />
dell’imprenditoria<br />
di Mara Chiarelli<br />
49 | settembre 2012 | narcomafie<br />
Sacra Corona Unita
Sacra corona unita<br />
«Inizialmente già dagli anni ’88-<br />
’89 si prendevano le estorsioni<br />
sui pescherecci […]. Venivano<br />
contattati e per evitare danneggiamenti<br />
sulle imbarcazioni<br />
pagavano 500 mila lire al mese<br />
per ogni barca, erano sulle 20<br />
barche più o meno».<br />
La storia delle estorsioni,<br />
raccontata agli inquirenti dai<br />
numerosi pentiti della Sacra<br />
corona unita, in questo caso<br />
Fabio Fornaro, parte da lì, per<br />
poi evolversi in forme molto<br />
più organizzate e, se si vuole,<br />
originali. Quella del racket,<br />
infatti, resta una delle attività<br />
illecite più praticate dall’associazione<br />
mafiosa, con numeri<br />
di emersione troppo risicati<br />
per poter essere indicativi del<br />
fenomeno. La mancata denuncia<br />
da parte delle vittime,<br />
piuttosto, è il segno di una<br />
omertà generalizzata, pilastro<br />
sul quale si poggia la natura<br />
mafiosa dell’organizzazione.<br />
E quasi sempre l’estorsione si<br />
lega indissolubilmente a un<br />
altro reato, molto frequente in<br />
Salento come in tutte le altre<br />
province pugliesi, e cioè quello<br />
dell’usura: «Per quanto la crisi<br />
economica non incida in maniera<br />
rilevante – spiega il procuratore<br />
capo di Lecce, Cataldo<br />
Motta – i cittadini vivono molte<br />
difficoltà e talvolta le affrontano<br />
ricorrendo agli usurai».<br />
Credito usuraio. Nell’ultimo<br />
anno, dalla procura di Lecce<br />
sono stati aperti 41 procedimenti<br />
per usura, il doppio dell’anno<br />
precedente, ma ancora una<br />
goccia nel mare dell’illecito.<br />
«Un aspetto preoccupante – lo<br />
definisce Motta – perché quelli<br />
tra usuraio e usurato sono<br />
rapporti che si stabilizzano,<br />
e sono alterati dal fatto che la<br />
50 | settembre 2012 | narcomafie<br />
vittima si rivolge all’usuraio<br />
considerandolo un benefattore».<br />
E lo spiega bene nella<br />
relazione redatta per l’inaugurazione<br />
dell’anno giudiziario<br />
2011 a Lecce: «La perdurante<br />
crisi economica – che tra l’altro<br />
ha reso certamente più difficile<br />
la riscossione dei crediti – ha<br />
contribuito, in certo qual modo,<br />
ad enfatizzare il ruolo della<br />
criminalità organizzata e ad<br />
aprire nuovi spazi di intervento<br />
in questo specifico settore, con<br />
il ricorso, da parte dei creditori,<br />
ad ambienti della criminalità<br />
organizzata locale per il recupero<br />
del proprio credito, con<br />
la ovvia consapevolezza del<br />
metodo mafioso, intimidatorio<br />
e violento cui il debitore sarebbe<br />
stato sottoposto. Ciò che<br />
maggiormente allarma nell’iniziativa,<br />
piuttosto diffusa, degli<br />
stessi creditori di rivolgersi a<br />
tali ambienti, è proprio l’accettazione<br />
e la condivisione di<br />
logiche criminali e mafiose, la<br />
legittimazione che ne consegue<br />
per i clan mafiosi, un abbassamento<br />
della soglia di legalità e,<br />
nella sostanza, il riconoscimento<br />
di un loro ruolo nel regolare<br />
i rapporti nella società civile in<br />
una prospettiva di definitiva<br />
sostituzione dei clan mafiosi<br />
agli organi istituzionali dello<br />
Stato».<br />
E non deve sorprendere se si<br />
considera che a livello nazionale,<br />
usura ed estorsione rappresentano<br />
le fonti di guadagno<br />
illecito più rilevanti dopo il<br />
traffico di droga e quello di<br />
rifiuti. Per la Commissione nazionale<br />
antimafia «non si tratta<br />
più di attività finalizzate al puro<br />
sostentamento delle cosche sul<br />
territorio, ma si tratta di attività<br />
destinate a costituire uno dei<br />
pilastri dell’organizzazione<br />
mafiosa nel suo complesso.<br />
L’usura non è più riconducibile<br />
a personaggi locali, ma costituisce<br />
un terreno privilegiato di<br />
reinvestimento per le mafie,<br />
tanto che nelle regioni nelle<br />
quali è maggiore la pervasività<br />
della criminalità organizzata<br />
si assiste ad un minor numero<br />
di denunce per usura, fatto<br />
certamente legato alle capacità<br />
intimidatorie di chi esercita tale<br />
attività illecita».<br />
Scrive a tal proposito Motta:<br />
«La stessa situazione di crisi<br />
ha contribuito altresì a spostare<br />
il ricorso al credito da<br />
quello bancario a quello delle<br />
imprese finanziarie e dell’usura<br />
(spesso praticata dalle stesse finanziarie,<br />
talvolta non estranee<br />
all’ambiente della criminalità<br />
organizzata), soluzione che,<br />
per le medesime menzionate<br />
motivazioni, deve essere considerata<br />
particolarmente grave<br />
sul piano dell’accettazione di<br />
regole illegali».<br />
Tangenti al molo. Negli ultimi<br />
anni, anche in Puglia si sono<br />
susseguite numerose operazioni<br />
finalizzate a smontare il pervicace<br />
meccanismo, portando<br />
alla luce insospettabili rapporti<br />
fra professionisti e personaggi<br />
legati ai clan: strozzini che<br />
prestavano denaro con tassi di<br />
interesse annui elevatissimi.<br />
La più importante di queste,<br />
chiamata “Shylock”, condotta<br />
dai carabinieri e per cui sono già<br />
arrivate le prime pesanti condanne,<br />
ha annientato un’organizzazione<br />
di usurai legati alla<br />
Scu che si muoveva dal Salento<br />
per allargarsi sulle province di<br />
Foggia e Bologna: 19 arresti e 6<br />
denunciati a piede libero. L’indagine,<br />
nata nel febbraio 2009<br />
dalla denuncia di un impren-
ditore di Trepuzzi (Lecce) che<br />
vende apparecchiature informatiche<br />
e fornisce consulenze,<br />
ha scoperto l’esistenza di ben<br />
sei canali usurai, gestiti dalla<br />
Sacra corona unita.<br />
Si legge nel XIII Rapporto di Sos<br />
Impresa: «L’attenzione degli<br />
investigatori si è concentrata<br />
su uno dei proprietari della<br />
finanziaria Fin.Co. di Nardò che<br />
metteva a disposizione la sua<br />
struttura per fornire il denaro<br />
da prestare alle vittime. Una<br />
decina in tutto le vittime accertate,<br />
soprattutto imprenditori<br />
alle prese con la crisi economica<br />
e ridotte letteralmente<br />
sul lastrico, costrette dall’organizzazione<br />
a sottoscrivere dei<br />
prestiti da società finanziarie<br />
con il meccanismo della truffa<br />
attraverso la comunicazione di<br />
dati falsi. Denaro che serviva<br />
poi a pagare gli usurai. Per chi<br />
si rifiutava o non era in grado<br />
di saldare i debiti contratti, le<br />
strategie adottate erano quelle<br />
delle minacce e dell’intimidazione.<br />
Due delle vittime, che<br />
hanno confermato le accuse,<br />
sono assistite dall’associazione<br />
contro la cultura sociomafiosa<br />
di Trepuzzi, che si è<br />
anche costituita parte civile<br />
nel processo, proprio per la<br />
pericolosità di alcuni dei presunti<br />
usurai, personaggi già<br />
condannati per associazione<br />
mafiosa e conosciuti nel<br />
territorio come appartenenti<br />
alla Scu, in particolare al clan<br />
Cerfeda. Un ruolo determinante,<br />
in questo senso, l’avrebbe<br />
avuto anche Alessio Perrone,<br />
pluripregiudicato figlio di Antonio,<br />
noto boss della Scu.<br />
Sono stati poi sequestrati beni<br />
mobili ed immobili, nonché<br />
conti correnti bancari, per un<br />
valore complessivo di circa<br />
un milione di euro».<br />
Il 30 novembre 2011 sono arrivate<br />
le prime condanne per i<br />
sei che hanno chiesto di essere<br />
giudicati con il rito abbreviato:<br />
complessivamente oltre un<br />
quarto di secolo.<br />
Chi prende denaro “a strozzo”,<br />
dunque, deve rifondere con gli<br />
interessi che lievitano esponenzialmente,<br />
al punto da rendere<br />
impossibile il saldo finale. La<br />
conseguenza ormai scontata<br />
è l’estorsione, praticata con<br />
modalità così spaventose da<br />
indurre la vittima a indebitarsi<br />
con altri usurai. E il business<br />
continua. In alternativa, i commercianti<br />
cedono gradualmente<br />
le loro attività, che vengono<br />
acquisite dai clan per trasformarle<br />
in “lavatrici” del denaro<br />
sporco. Poche, ovviamente le<br />
denunce: 60 nell’ultimo anno i<br />
fascicoli aperti dalla Direzione<br />
distrettuale antimafia salentina,<br />
seppur in aumento rispetto<br />
all’anno precedente quando<br />
se ne contavano solo 25. Ma,<br />
si torna ad evidenziarlo, poco<br />
indicative delle modalità di<br />
commissione del reato: «Usura<br />
ed estorsione – ribadisce<br />
il procuratore Motta – sono<br />
gli unici due reati sui quali<br />
non è possibile trarre elementi<br />
statistici».<br />
Una strada maestra, quindi,<br />
quella sulla quale si muovono<br />
da un ventennio gli affiliati<br />
alla Sacra corona unita, con<br />
numerose varianti sul tema.<br />
Tralasciando gli evergreen,<br />
come appunto il racket sui<br />
negozi, per avere un’idea della<br />
metamorfosi vissuta dalla<br />
quarta mafia si deve partire<br />
dalla fine degli anni 80, quando<br />
a pagare il pizzo erano appunto<br />
i proprietari dei pescherecci,<br />
come conferma anche un altro<br />
51 | settembre 2012 | narcomafie<br />
pentito fuoriuscito dal clan<br />
Brandi, Fabio Luperti: «Giovanni<br />
e Raffaele Brandi si stavano<br />
occupando delle estorsioni ai<br />
pescherecci. [...] Sandro Carrisi<br />
aveva formato una società<br />
per non creare problemi per<br />
quanto riguarda le estorsioni,<br />
per lavorare più pulito diciamo.<br />
[…] Siccome ci stava tanto<br />
casino a Brindisi, perché chi<br />
più voleva prendere i soldi<br />
delle estorsioni dentro Brindisi,<br />
Carrisi, per non avere problemi<br />
anche con la stessa polizia,<br />
aveva formato una cooperativa.<br />
[…] Era una società di vigilanza<br />
che si chiama Guardiano, che<br />
guardava i pescherecci perché<br />
non succedesse niente ai locali<br />
giù al porto. […] Praticamente<br />
l’estorsione ai pescherecci<br />
era un provento abbastanza<br />
“guadagnoso”. Si guadagnava<br />
dai dodici ai quindici milioni<br />
al mese e quindi era una cosa<br />
che faceva gola».<br />
Per chiarire meglio il concetto:<br />
«Questa è una cosa che poi ad<br />
ogni porto che si va in Puglia<br />
tutti pagano la tangente, hanno<br />
copiato, i brindisini hanno<br />
copiato al porto di Monopoli<br />
che anche là hanno fatto una<br />
cooperativa, che guardava i<br />
pescherecci si sono aggiornati<br />
anche i brindisini, hanno fatto<br />
questa cooperativa. [...] Anche<br />
le pescherie, le paninoteche,<br />
quando fanno delle feste patronali.<br />
Un po’ di tutto».<br />
Sotto schiaffo del clan anche i<br />
luna park: «Le giostre a Brindisi<br />
le estorsioni le hanno sempre<br />
pagate. A volte le pagavano a<br />
Tonino Luperti, le hanno sempre<br />
pagate le estorsioni i giostrai<br />
ed hanno sempre dato biglietti<br />
a chi era responsabile in quel<br />
periodo, pure Tonino Luperti<br />
quante volte c’aveva un sacco<br />
Sacra corona unita
Sacra corona unita<br />
di biglietti, ci dava i biglietti<br />
e prendeva le estorsioni. Ora,<br />
altre persone non ricordo però<br />
i giostrai hanno sempre pagato<br />
l’estorsione».<br />
Edilizia estorta. E, se da un<br />
lato le tecniche estorsive si<br />
sono affinate, i bersagli sono<br />
sempre rimasti gli stessi, con<br />
l’aggiunta, di recente memoria,<br />
dei proprietari di discoteche<br />
e locali della movida leccese.<br />
Sempre gettonati i cantieri edili,<br />
i cui titolari e responsabili sono<br />
stati messi nelle condizioni di<br />
pagare, magari ricavandone<br />
anche qualche vantaggio personale.<br />
È la tecnica inventata<br />
dai fratelli Brandi, che secondo<br />
la Dda di Lecce avrebbero<br />
costituito con l’insospettabile<br />
Andrea Zingarello, che poi ha<br />
patteggiato una condanna a<br />
due anni di reclusione, una<br />
società, la Icost, specializzata<br />
nel fornire guardiania alle<br />
imprese, in maniera apparentemente<br />
lecita: si promuoveva<br />
come «servizi garantiti pronto<br />
intervento, guardiania e pulizia<br />
dal 1978». Agli imprenditori, in<br />
sostanza, veniva consigliato di<br />
rivolgersi alla Icost che, dietro<br />
pagamento con regolare rilascio<br />
di fattura, avrebbe garantito loro<br />
la tranquilla prosecuzione dei<br />
lavori. Lo racconta il pentito<br />
Fabio Fornaro: «Il contratto di<br />
guardiania era un escamotage<br />
per avvicinarsi alle imprese<br />
edili, giustamente anche lo stesso<br />
imprenditore sa che chi si<br />
avvicina per fare una proposta<br />
di guardiania è per stare tranquillo,<br />
per non subire dei furti,<br />
per non subire degli attentati,<br />
diciamo è sottinteso».<br />
Secondo quanto emerge dalle<br />
indagini, tra i clienti della Icost<br />
c’erano anche grosse imprese,<br />
52 | settembre 2012 | narcomafie<br />
come il consorzio San Teodoro<br />
che, per conto di Alisette,<br />
ha realizzato a Brindisi una<br />
grossa struttura, poi venduta a<br />
Carrefour e diventata in seguito<br />
Ipercoop. Un vice commissario,<br />
ascoltato in udienza il 24<br />
maggio 2010, ha raccontato dei<br />
numerosi servizi di osservazione<br />
all’interno del cantiere, che<br />
hanno fatto scoprire i rapporti<br />
fra il consorzio, Zingarello e i<br />
fratelli Brandi.<br />
Ma cosa i mafiosi intendano<br />
per “guardiania” e perché ha<br />
sostituito l’estorsione più tradizionale<br />
è spiegato bene da<br />
Ercole Penna, ultimo pentito<br />
della Sacra corona unita, ex personaggio<br />
di spicco della frangia<br />
brindisina e tra i fondatori del<br />
gruppo dei mesagnesi.<br />
Ascoltato in videoconferenza<br />
durante il processo al clan Brandi,<br />
risponde così alle domande<br />
del pm Santacatterina: «Di solito<br />
viene attuata quando ci sono<br />
dei cantieri nelle zone e nei<br />
paesi, cioè si impone a chi sta<br />
costruendo, a chi ha l’appalto<br />
o il subappalto che lo ha vinto<br />
e lo ha preso in qualche modo<br />
si impone, invece di dare una<br />
cifra, non lo so, stanno facendo<br />
10 appartamenti – faccio<br />
un esempio per essere chiaro<br />
– stanno facendo 10 appartamenti,<br />
invece di andare a chiedere<br />
20 o 30 mila euro, questo<br />
lavoro quanto può durare? Un<br />
anno, due anni? Io ti impongo<br />
di assumere un ragazzo a me<br />
vicino, una persona del gruppo,<br />
e gli dài lo stipendio. Così cosa<br />
succede? Eviti la denuncia da<br />
parte dei costruttori o di chi<br />
comunque sta svolgendo il lavoro<br />
– facendo questo tipo di<br />
discorso – e non pesi in modo<br />
pesante sulla ditta. Ecco perché<br />
si usa ormai, ormai è usanza<br />
muoversi in questo modo per<br />
evitare proprio le denunce, così<br />
rimangono tutti contenti e per<br />
lo più non ci sono danni nei<br />
cantieri. Io le posso dire che la<br />
guardianeria non la usa Brandi,<br />
cioè la usiamo tutti, su Brindisi<br />
noi abbiamo altri affiliati o<br />
altre persone a noi vicine che<br />
usano questo metodo, quindi<br />
è facile dire: “Ma guarda che<br />
io sono andato là a chiedere<br />
lavoro, non c’è l’estorsione”,<br />
ma è normale, si usa questo<br />
metodo proprio per evitare la<br />
denuncia, l’estorsione e quindi<br />
andare in carcere e non opprimere<br />
le vittime».<br />
Il salto di qualità, tuttavia, va<br />
riconosciuto al gruppo di Salvatore<br />
Rizzo. Egli, rinato dalle<br />
ceneri ma forse in realtà mai<br />
tramontato, dal carcere aveva<br />
messo in piedi un nuovo gruppo<br />
di criminali, che trafficavano<br />
grosse quantità di droga e mettevano<br />
sotto assedio i proprietari<br />
di pub, discoteche, bar e pizzerie:<br />
un’isola felice, all’interno<br />
della movida leccese, che finora<br />
non aveva conosciuto il giogo<br />
del malaffare. Secondo quanto<br />
ricostruito nell’indagine “Augusta”,<br />
condotta dai carabinieri<br />
del Ros e del comando provinciale<br />
di Lecce e conclusasi il 4<br />
ottobre 2011 con 49 arresti (ci<br />
sono altri 20 indagati), il clan,<br />
così riorganizzatosi, avrebbe<br />
terrorizzato i commercianti,<br />
imponendo loro le prestazioni<br />
di una fantomatica agenzia di<br />
sicurezza e guardiania, la “Iron<br />
Service”, con sede a Lecce e<br />
intestata a Stefano Rizzo, nipote<br />
di Totò. Il metodo utilizzato,<br />
avvalendosi della forza di intimidazione<br />
proveniente dall’appartenenza<br />
a un’associazione<br />
mafiosa, prevedeva tre lettere<br />
inviate per posta alla vittima
di turno, firmate da “Agenzia<br />
Iron Service di Lecce”.<br />
Diversi i toni usati: nella prima<br />
si offriva una “protezione<br />
sicura e professionale” a tutela<br />
del locale e dei suoi clienti. La<br />
missiva si concludeva con la<br />
garanzia: «Ve lo assicuriamo…<br />
soddisfatti o rimborsati e tutti<br />
vivranno felici e contenti… e<br />
sarà meglio per tutti».<br />
La seconda, nel caso il commerciante<br />
non avesse tempestivamente<br />
approfittato dell’offerta,<br />
aveva toni più urgenti: «Ultimo<br />
avvertimento, un guardiano<br />
dell’Iron Service risolve i tuoi<br />
problemi». La terza e ultima,<br />
niente più che un semplice<br />
foglietto di carta, era molto più<br />
minacciosa: «Faremo male ai<br />
vostri figli».<br />
Spaventati da tale inquietante<br />
avvertimento, i gestori dei<br />
locali non potevano evitare di<br />
contattare la Iron Service per<br />
affidare il servizio. La denuncia<br />
di tre di loro, uno dei quali è<br />
il titolare di una nota discoteca<br />
della provincia di Lecce, è<br />
stata integrata da un esposto<br />
anonimo nel quale si raccontava<br />
che spesso il titolare della<br />
ditta si presentava nei locali,<br />
in compagnia di altre cinque<br />
o sei persone, minacciando i<br />
dipendenti e disturbando gli<br />
avventori.<br />
Le indagini hanno anche accertato<br />
che Stefano Rizzo e 15 suoi<br />
dipendenti erano stati denunciati<br />
dalla divisione di polizia<br />
amministrativa della questura<br />
di Lecce per aver svolto, senza<br />
avere la licenza prefettizia, un<br />
servizio di vigilanza all’interno<br />
dello stadio di Lecce in occasione<br />
del concerto del cantante<br />
Tiziano Ferro. Tra i dipendenti<br />
denunciati, anche uno che, durante<br />
il concerto dei Negramaro,<br />
munito di auricolare, era stato<br />
notato mentre dirigeva i numerosi<br />
addetti messi a guardiania<br />
delle diverse entrate.<br />
Un concorrente della Iron<br />
Service, titolare di una ditta<br />
che svolge in maniera lecita<br />
la stessa attività di sicurezza,<br />
accompagnamento e portierato,<br />
ascoltato dagli investigatori, ha<br />
spiegato: «I gestori sono intimiditi<br />
da tale agenzia poiché sia<br />
Rizzo che Centonze, quando<br />
si presentano fanno il nome<br />
di Totò Rizzo, evocando così<br />
stretti legami con la criminalità<br />
organizzata».<br />
E se non bastasse l’inventiva<br />
del clan Rizzo, si può ancora<br />
53 | settembre 2012 | narcomafie<br />
parlare di Giovanni Buccarella,<br />
padre di Salvatore, che a 80<br />
anni e con la complicità di Cosimo<br />
Giardino Fai, nel giugno<br />
del 2010 ha tentato di imporre<br />
il pizzo anche sul fotovoltaico,<br />
estorcendo 1.500 euro a un imprenditore<br />
siciliano, Sebastiano<br />
Buglisi, che stava realizzando<br />
un grosso impianto a Tuturano,<br />
in Salento. Il tentativo, però,<br />
è mal riuscito perché Buglisi<br />
ha denunciato l’estorsione,<br />
facendo arrestare in flagranza<br />
i due: ora devono rispondere<br />
di tentata estorsione, aggravata<br />
del metodo mafioso prevista<br />
dall’ex articolo 7 della legge<br />
203/91.<br />
Sacra corona unita
Sacra corona unita<br />
Le casse della<br />
mafia pugliese<br />
Non si può comprendere la fenomenologia criminale della Scu<br />
astraendone l’aspetto più importante: quello criminal-economico.<br />
Lo status nascendi dell’organizzazione rivela forme di un capitalismo<br />
duro e spietato, violento e profittevole ad ogni costo,<br />
evidente espressione di uno sferzante e frontale attacco all’ordine<br />
pubblico di un’intera regione<br />
di Andrea Apollonio<br />
54 | settembre 2012 | narcomafie
Sul finire degli anni Sessanta<br />
del secolo scorso un noto<br />
criminologo statunitense, Donald<br />
Cressey, teorizzò il modello<br />
gestionale applicabile<br />
alla criminalità organizzata,<br />
concependola come struttura<br />
formalizzata e gerarchizzata,<br />
avente scopi e finalità ben definiti<br />
e al cui vertice si incasella<br />
una leadership indiscussa. Una<br />
struttura rigida, basata su di un<br />
modello imprenditoriale forte,<br />
capace di articolare e ripartire<br />
la propria gestione criminale<br />
con strutture ad essa simili per<br />
una più efficiente realizzazione<br />
delle attività illegali pianificate.<br />
Questo modello idealtipico,<br />
elaborato in tempi e contesti<br />
del tutto diversi da quelli che<br />
ci troviamo adesso a esaminare,<br />
resta tuttavia pienamente valido<br />
e condivisibile, a riprova<br />
dell’estrema rigidità dei modelli<br />
delle organizzazioni criminali,<br />
cui di contro si pone l’estrema<br />
duttilità dei contenuti e delle<br />
modalità dell’azione delinquenziale,<br />
questa in continua<br />
e necessaria evoluzione. E una<br />
sfumatura è necessario che sia<br />
colta, anche se nella forma più<br />
superficiale: il modello imprenditoriale<br />
sopra accennato<br />
presuppone vi siano obiettivi<br />
“mercatistici”, e che le esigenze<br />
di questo siano esigenze di<br />
profitto.<br />
In altre parole, ogni forma criminale<br />
organizzata opera sulla<br />
base delle dinamiche di domanda-offerta<br />
che la società stessa<br />
esprime, soddisfacendo interessi<br />
di mercato cui è impossibile<br />
rispondere mediante tipologie<br />
lecite di azione imprenditoriale,<br />
monopolizzando interi settori<br />
che esprimono rilevanti opportunità<br />
affaristiche.<br />
Questo approccio economico,<br />
che sostituisce all’eziologia del<br />
deficit (che pone come base<br />
sociologica al fenomeno delle<br />
organizzazioni criminali l’esclusione<br />
sociale dei suoi aderenti)<br />
l’eziologia dell’eccesso di opportunità<br />
(che di contro argomenta<br />
vi siano interessi di tipo<br />
strettamente economico a fare<br />
da collante all’associazionismo<br />
criminale), torna estremamente<br />
utile per meglio contestualizzare<br />
le origini di quella che è stata<br />
comunemente ribattezzata la<br />
“quarta mafia”, di quel crimine<br />
organizzato suggestivamente<br />
stigmatizzato come «declinato<br />
al peggio e in accelerazione costante»,<br />
cioè della Sacra corona<br />
unita, sviluppatasi in Puglia<br />
negli anni Ottanta. L’eccesso di<br />
opportunità non può che essere<br />
individuato, in questo caso,<br />
nella strategica posizione geografica<br />
e nella giustapposizione<br />
di forti e stabili rapporti con la<br />
criminalità di regioni limitrofe,<br />
che ivi condensa enormi prospettive<br />
di illeciti guadagni.<br />
I decenni in cui la Puglia è stata<br />
un campo aperto a infiltrazioni<br />
mafiose di ogni tipo e genere,<br />
non solo di quella campana, ma<br />
anche di ’ndrangheta e mafia<br />
siciliana, hanno di fatto rappresentato<br />
fertile humus per<br />
la costituzione di una mafia<br />
molto più avanzata e pericolosa<br />
delle altre, perché innervata da<br />
mentalità mafiose eterogenee,<br />
culturalmente e storicamente<br />
differenti, determinandone<br />
l’imprinting genetico.<br />
Una delle caratteristiche strutturali<br />
della criminalità organizzata<br />
mafiosa è quella di operare<br />
come una sorta di intellettuale<br />
collettivo, in grado di analizzare<br />
in breve tempo i propri punti<br />
deboli, di imparare dai propri<br />
errori, di apprendere le meto-<br />
55 | settembre 2012 | narcomafie<br />
dologie delle nuove tecniche<br />
d’indagine, di apprestare le adeguate<br />
contromisure e, infine, di<br />
socializzare progressivamente<br />
all’interno dell’organizzazione<br />
il nuovo sapere.<br />
Sinergie criminali. Questo reset<br />
operativo si è materializzato<br />
concretamente in questa nuova<br />
struttura criminale, forte di ibride<br />
esperienze criminose e capace<br />
di metabolizzare in breve<br />
tempo le modalità di condotta<br />
più adeguate alle nuove prospettive<br />
di repressione e contrasto,<br />
per questo esponenzialmente<br />
più pericolosa. Il cultural lag,<br />
il ritardo culturale con cui tutte<br />
le mafie più antiche e tradizionali<br />
hanno dovuto fare i conti<br />
allorquando hanno iniziato a<br />
investire energie sempre maggiori<br />
in intraprese economiche<br />
al solo scopo di massimizzare i<br />
profitti, quando hanno cioè assunto<br />
connotazioni di impresa,<br />
scontrandosi in tal modo con<br />
una base che guardava all’appartenenza<br />
mafiosa come a una<br />
mera questione di onore e di rispettabilità,<br />
soffrendo appunto<br />
di un intrinseco ritardo culturale<br />
(si pensi alla più “tradizionale”<br />
mafia siciliana o quella<br />
calabrese, e alla mentalità che<br />
è espressione di queste), viene<br />
fondamentalmente azzerato nel<br />
caso della nascente criminalità<br />
salentina. Questa ha origine e si<br />
struttura fin dal principio come<br />
forma di criminalità-impresa, e<br />
l’appartenenza mafiosa diviene<br />
solo un mezzo di rapida ascesa<br />
economica, forzata da una valutazione<br />
utilitaristica dei costi<br />
e dei benefici, vera e propria<br />
«intermediazione parassitaria<br />
imposta con mezzi di violenza<br />
fra le proprietà ed il lavoro, tra<br />
la produzione ed il consumo,<br />
Sacra corona unita
Sacra corona unita<br />
tra il cittadino e lo Stato».<br />
Questa nuova organizzazione<br />
criminale, almeno in un primo<br />
momento, venne di fatto<br />
subordinata al controllo della<br />
camorra campana, da sempre<br />
dedita al contrabbando e particolarmente<br />
interessata ai profitti<br />
di questa attività; quando<br />
i contrabbandieri napoletani<br />
percepirono che la “via adriatica”<br />
fosse certamente da preferire<br />
a quella tirrenica per lo<br />
sbarco delle sigarette, anche in<br />
virtù del fatto che negli anni<br />
Ottanta le multinazionali del<br />
tabacco avevano strategicamente<br />
trasferito i depositi nei porti<br />
olandesi e jugoslavi, tentarono<br />
di costituire una struttura criminale<br />
a carattere regionale<br />
posta sotto la diretta influenza<br />
della camorra napoletana, tanto<br />
da essere battezzata “Nuova<br />
camorra organizzata”.<br />
Da questa nuova criminalità pugliese,<br />
strutturalmente dedita al<br />
contrabbando di tabacchi e costola<br />
operativa di altre organizzazioni,<br />
nasce, da un impulso<br />
reattivo alla presenza massiccia<br />
in Puglia della criminalità campana,<br />
la Sacra corona unita, che<br />
assume connotazioni specifiche<br />
e indipendenti e costituisce<br />
forme organizzative originali<br />
e inusitate, «rappresentando<br />
un fenomeno innovativo in<br />
un contesto precedentemente<br />
caratterizzato dalla frammentarietà<br />
dei singoli episodi criminali».<br />
A differenza di altre<br />
mafie, appesantite e ingombrate<br />
nell’agire mafioso da un eccessivo<br />
centralismo, qui piuttosto<br />
si riscontra un inestricabile intreccio<br />
di relazioni tra famiglie,<br />
un mosaico variegato di clan tra<br />
loro autonomi, eppure coagulati<br />
in un’appartenenza comune.<br />
Si passa dalla metafora della<br />
56 | settembre 2012 | narcomafie<br />
cupola a quella del network, in<br />
cui più entità criminali operano<br />
collaborando tra di loro.<br />
Le competenze acquisite sul<br />
campo nella gestione dei traffici<br />
del contrabbando vengono<br />
progressivamente mutuate<br />
dalla criminalità campana ed<br />
assimilate all’interno dell’organizzazione,<br />
tanto che il contrabbando<br />
diviene il filo conduttore<br />
dell’intera strategia criminosa<br />
della Scu, economicamente imperniata<br />
sugli enormi profitti<br />
di questo. Avere il controllo<br />
delle rotte del contrabbando<br />
garantisce infatti anche il monopolio<br />
del commercio di armi<br />
e sostanze stupefacenti, che<br />
sfrutta quasi esclusivamente<br />
le rotte adriatiche, e consente<br />
inoltre all’organizzazione di<br />
conseguire un ampio consenso<br />
sociale, essendo il contrabbando<br />
attività oramai permeata nel<br />
tessuto economico, in particolar<br />
modo in alcune zone del<br />
Salento.<br />
Il fenomeno del contrabbando.<br />
«Brindisi capitale d’Italia<br />
ridotta alle miserie di una<br />
Marlboro City», ha scritto Rosario<br />
Tornesello, sociologo e<br />
giornalista salentino, autore di<br />
Tacco e tabacco (Besa 2009),<br />
e lo stigma “Marlboro City”<br />
pennella efficacemente ciò che<br />
il contrabbando ha determinato<br />
in tutto il Mezzogiorno<br />
d’Italia. Brindisi in primis: la<br />
porta d’accesso attraverso cui<br />
la piccola e grande criminalità<br />
è sbarcata nel Salento, terra violentata<br />
dalla Sacra corona unita.<br />
Ecco allora il punto d’inizio.<br />
Il contrabbando condensa in<br />
sé l’incipit di una storia criminale,<br />
di una localizzazione<br />
territoriale in cui convergono<br />
all’unisono interessi e violenze<br />
di mafie diverse, dove potere e<br />
ricchezza vengono dal mare, da<br />
rotte preziose da tutelare.<br />
Anche se, chiaramente, il contrabbando<br />
non assorbe l’intero<br />
operato criminale. Vi sono infatti<br />
tutte quelle attività, quali<br />
la gestione di bische clandestine,<br />
il traffico di stupefacenti,<br />
l’estorsione, l’usura, le rapine,<br />
che erano già presenti nel complesso<br />
di un crimine salentino<br />
atavico e privo di una struttura<br />
efficiente, ma realizzate in maniera<br />
frammentaria e disorganizzata.<br />
La strutturazione di<br />
alleanze tra bande criminali,<br />
la formazione, in altri termini,<br />
della Scu, ha delineato piuttosto<br />
una maggiore reattività e un<br />
modello di tipo imprenditoriale,<br />
tipico, come visto, di ogni organizzazione<br />
criminale moderna.<br />
Si capisce bene dunque quanto<br />
sia difficile comprendere e<br />
determinare la fenomenologia<br />
criminale che costituisce l’essenza<br />
di questa particolarissima<br />
consorteria criminale astraendone<br />
l’aspetto più importante,<br />
quello criminal-economico;<br />
lo status nascendi dell’organizzazione<br />
rivela forme di un<br />
capitalismo duro e spietato,<br />
violento e profittevole ad ogni<br />
costo, evidente espressione di<br />
uno sferzante e frontale attacco<br />
all’ordine pubblico di un’intera<br />
regione. Nei primi anni Novanta,<br />
anni di radicamento sul<br />
territorio, di crescita criminosa<br />
esponenziale e di monopolio<br />
delle attività illecite, seguirà<br />
poi con parossistica inversione<br />
un lento ma inesorabile declino,<br />
definitivamente realizzatosi una<br />
volta venuto meno l’eccezionale<br />
serbatoio di ricchezza rappresentato<br />
dal contrabbando lungo<br />
le coste salentine, a seguito di<br />
un’incisiva attività di contrasto
da parte dello Stato. Come il<br />
contrabbando ha segnato per<br />
la Sacra corona unita l’apice<br />
di un fermento criminale senza<br />
precedenti, la fine di questo ne<br />
determinerà il punto più basso<br />
della parabola.<br />
Prosciugata la linfa vitale, cessati<br />
i flussi di sigarette e capitali<br />
dall’altra sponda dell’Adriatico,<br />
la struttura gerarchico-mafiosa<br />
si inaridì a tal punto da polverizzarsi,<br />
dando luogo ad una<br />
corsa al pentitismo senza precedenti<br />
nella storia giudiziaria<br />
italiana. Con immagine icastica,<br />
e secondo una logica di vasi<br />
comunicanti, al restringimento<br />
operativo dell’“industria del<br />
contrabbando” seguì una dilatazione<br />
della conflittualità<br />
intestina tra i vari clan. Quel<br />
vincolo associativo, basato<br />
esclusivamente sulla condivisione<br />
degli utili, si sgretolò<br />
con la stessa velocità con cui<br />
vennero meno le risorse finanziarie,<br />
e la concomitante ascesa<br />
della potente mafia albanese<br />
nella seconda decade degli anni<br />
Novanta, tanto potente da poter<br />
bypassare la mafia locale per<br />
rapportarsi direttamente con<br />
quella siciliana o calabrese, fece<br />
il resto.<br />
Fu terra bruciata attorno ai clan,<br />
l’ideale granitico ontologicamente<br />
connesso all’esistenza<br />
stessa della Scu, il vincolo di<br />
solidarietà e segretezza, si dissolse<br />
repentinamente con la<br />
cessazione delle attività contrabbandiere,<br />
trasformando la<br />
“quarta mafia” in un amalgama<br />
disomogeneo e dalla scarsa carica<br />
criminogena.<br />
La rotta delle bionde. Seppur<br />
smussata dall’alto livello<br />
di guardia delle procure, la<br />
patologica persistenza di un<br />
associazionismo malavitoso pugliese,<br />
ma più specificamente<br />
salentino, sciolto dai laccioli<br />
del crimine organizzato, resta<br />
un problema irrisolto e denso<br />
di problematiche. I sodalizi,<br />
che prima erano parte del tessuto<br />
“familistico” costitutivo<br />
della Scu, sembrano piuttosto<br />
essersi atomizzati e riallineati<br />
sulle frontiere dell’illecito arricchimento,<br />
pronti ad operare<br />
e gestire traffici in posizione<br />
diversa, di netto vantaggio si<br />
direbbe, proprio perché non<br />
più inclini a spartizioni di<br />
profitti o radicamenti territoriali<br />
decisi altrove. Anche se<br />
apparentemente bonificata dai<br />
vorticosi arricchimenti illeciti<br />
di un tempo, la terra di Puglia<br />
vede (meglio, rivede) ataviche<br />
forme di criminalità esplicarsi<br />
con sempre maggior forza,<br />
come se il ritirarsi del fenomeno<br />
mafioso propriamente inteso<br />
lasciasse margini di operatività<br />
a tutto ciò che non può dirsi<br />
mafia. O almeno, non in un<br />
primo momento. Questo sembra<br />
delinearsi con le più recenti<br />
operazioni investigative. Tra<br />
le quali spicca, per rilevanza<br />
di contenuti ai fini di questa<br />
trattazione, quella che è stata<br />
definita “Decima primavera”,<br />
perché non dissimile da quella<br />
scattata esattamente dieci anni<br />
prima, l’“Operazione primavera”<br />
che ha segnato il punto di<br />
non ritorno dai vasti territori<br />
del contrabbando di tabacchi.<br />
E se i traffici di sigarette continuano<br />
ad essere appetibili,<br />
diverse sono le modalità di<br />
intervento.<br />
L’inchiesta gestita dalla Direzione<br />
distrettuale antimafia di<br />
Lecce, che nel febbraio 2010 ha<br />
sgominato un’organizzazione<br />
criminale composta da vecchie<br />
57 | settembre 2012 | narcomafie<br />
e nuove leve del contrabbando,<br />
dimostra quanto la distanza con<br />
il passato non sia siderale e si<br />
misuri soltanto sul tipo di rotte<br />
percorse dai carichi di sigarette;<br />
niente più scafi e kalashnikov,<br />
il traffico di bionde segue adesso<br />
dinamiche intraispettive,<br />
che sottotraccia spostano in<br />
silenzio capitali più ingenti<br />
di quanto lo fossero prima. I<br />
carichi provenienti dai paesi<br />
dell’Est, stipati nei sottofondi di<br />
camion dall’apparenza innocua<br />
e depositati poi in capannoni<br />
industriali in attesa dell’immissione<br />
sul mercato, costituivano<br />
per l’organizzazione appena<br />
disarticolata il capitale sociale<br />
da far fruttare, e il crinale sottile<br />
che nel traffico di bionde<br />
corre tra il lecito e l’illecito era<br />
percorso, ancora una volta, da<br />
vecchie glorie del contrabbando.<br />
«Come ai vecchi tempi»,<br />
scrivono i cronisti locali.<br />
Questa sorta di amarcord al<br />
contrario, che ciclicamente si<br />
ripropone in una terra ancora<br />
pericolosamente inclinata verso<br />
un baratro di ricchezze intrise<br />
di fumo e sangue, conferma<br />
come sia notevole “lo sforzo<br />
di diversi gruppi criminali di<br />
ricostituire intorno a personaggi<br />
carismatici dai notevoli trascorsi<br />
delinquenziali, anche di natura<br />
associativa, sodalizi fondati<br />
su schemi mafiosi”, anche a<br />
seguito di recenti scarcerazioni<br />
di molti degli esponenti di rilievo<br />
dei vecchi clan malavitosi.<br />
Intere famiglie sembrano percepire<br />
ancora l’onnipotenza di<br />
un tempo, e di fatto continuano<br />
a generare pericolose metastasi<br />
sociali, nel brindisino in particolar<br />
modo.<br />
In provincia, il gruppo dei<br />
Mesagnesi continuerebbe ad<br />
operare secondo gli assetti ri-<br />
Sacra corona unita
Sacra corona unita<br />
levati negli ultimi anni, dopo<br />
le scarcerazioni nel 2006 a<br />
seguito delle quali il vecchio<br />
clan ha diviso di buon accordo<br />
il territorio di influenza sul<br />
quale svolgere separatamente<br />
le proprie attività criminali,<br />
essenzialmente nei settori delle<br />
estorsioni e del traffico delle<br />
sostanze stupefacenti.<br />
Questo spaccato inquietante<br />
ma coevo dimostra come le<br />
vecchie logiche ben si adattano<br />
a nuove dinamiche, lì dove il<br />
tessuto sociale è ancora troppo<br />
permeabile e poroso.<br />
Dunque, oltre la Scu non può<br />
tracciarsi un confine tra ciò che<br />
mafia era e ciò che mafia si può<br />
intendere.<br />
L’immagine incisiva di una “vasta<br />
area grigia in cui lentamente<br />
si era sprofondati” ritrova nelle<br />
ambigue sfumature di colore<br />
saldi appigli con il presente;<br />
oltre la Sacra corona unita non<br />
può che esserci lo spettro di<br />
questa, a tratti vivido e terso, a<br />
tratti quasi impercettibile.<br />
I gruppi criminali storici sono<br />
«influenzati da ricambi generazionali<br />
e spesso in fase di<br />
riorganizzazione», e l’illusorietà<br />
di una pax mafiosa duratura non<br />
può che rivelarsi tale. Lo sforzo<br />
investigativo deve dunque<br />
persistere, riallinearsi su nuove<br />
trincee, affinché il fardello<br />
di una criminalità sistemica e<br />
cruenta possa non essere eredità<br />
indesiderata per le future<br />
generazioni. Per non restare<br />
immobili a metà del guado.<br />
Follow the money. La Sacra<br />
corona unita è stata in grado di<br />
attuare efficienti meccanismi<br />
di riciclaggio. Un elemento di<br />
species che merita di essere<br />
affrontato, rispetto al genus appena<br />
visto per le organizzazioni<br />
58 | settembre 2012 | narcomafie<br />
criminali (anche se soltanto per<br />
grandi linee), è certamente il<br />
grande flusso di denaro reinvestito<br />
negli anni del contrabbando<br />
in determinate aree, in<br />
particolar modo in quei paesi<br />
dell’Est (Albania, Romania,<br />
Montenegro) in cui la capacità<br />
di gestione delle risorse e di<br />
infiltrazione in mercati particolarmente<br />
lucrosi risulta essere<br />
facilitata dallo scarso controllo<br />
della provenienza del denaro;<br />
la caduta dei regimi totalitari<br />
in questi paesi ha determinato<br />
una massiccia e ingombrante<br />
presenza economica della<br />
Scu negli anni Novanta, che<br />
ha investito massicciamente in<br />
immobili, attività economiche<br />
e finanziarie. Basti qui ricordare<br />
lo spaventoso crack delle<br />
“finanziarie a piramide”, che<br />
ha colpito e pericolosamente<br />
minato gli assetti economicofinanziari<br />
dell’Albania nel 1997,<br />
una frode colossale attraverso la<br />
quale migliaia di risparmiatori<br />
albanesi vennero truffati, e sulla<br />
cui gestione pesa il ruolo svolto<br />
dalle organizzazioni criminali<br />
italiane, prima fra tutte la<br />
Sacra corona unita. Ma la più<br />
cospicua attività di riciclaggio<br />
è stata rivolta senza dubbio,<br />
in quegli anni come adesso, a<br />
forme di investimento pubblico,<br />
«all’interno di un meccanismo<br />
che vede la criminalità organizzata<br />
parassitaria dell’intervento<br />
pubblico in aree depresse<br />
del Mezzogiorno, attraverso<br />
la capacità di […] influire sul<br />
processo di attribuzione degli<br />
appalti pubblici». Meccanismi<br />
perversi, che vanno ad alimentare<br />
con l’ausilio economico<br />
dello stesso Stato la criminalità<br />
organizzata, e che taluni hanno<br />
causalmente ricondotto ad un<br />
più generale contesto di “mo-<br />
dernità distorta”.<br />
Gli ingenti flussi finanziari innestati<br />
nell’economia meridionale<br />
sono in tal modo rapacemente<br />
intercettati dalle organizzazioni<br />
criminali più evolute, non facendone<br />
certo eccezione il crimine<br />
imprenditoriale pugliese,<br />
che articola e sviluppa tuttora la<br />
sua attività di riciclaggio in settori<br />
caratterizzati da una bassa<br />
componente tecnologica, in cui<br />
l’intervento pubblico si manifesta<br />
in maniera più costante tramite<br />
l’assegnazione di appalti,<br />
qual è il settore edilizio. Questo<br />
fin dagli anni Novanta, anni<br />
di grossi guadagni derivanti<br />
dal contrabbando che necessitavano<br />
di essere reinvestiti, e<br />
che furono infatti caratterizzati<br />
dalla presenza pulviscolare<br />
nella società pugliese di ditte<br />
edili (e non solo) che nascondevano<br />
in sé capitali della Scu<br />
e monopolizzavano gli appalti<br />
pubblici in interi settori.<br />
Un inserimento diretto, quasi<br />
preferenziale, dei capitali<br />
illeciti nell’economia legale,<br />
secondo schemi del tutto analoghi<br />
a quelli fatti propri da<br />
tempo dalle altre mafie meridionali<br />
e che non si è esitato ad<br />
assimilare. Anche perché non<br />
mancano le collusioni con il<br />
mondo bancario e finanziario<br />
nazionale, come dimostrato da<br />
efficaci operazioni investigative,<br />
che hanno coinvolto allo<br />
stesso modo clan sanguinari<br />
della Sacra corona e direttori<br />
di filiali di importanti istituti<br />
di credito. Mediante l’acquisto<br />
di certificati di deposito al portatore<br />
da parte di prestanome,<br />
e con il necessario apporto di<br />
compiacenti dirigenti bancari,<br />
le organizzazioni contrabbandiere<br />
riuscivano a immettere<br />
nel circuito economico “enormi
quantità di denaro in contante<br />
e in titoli al portatore, in violazione<br />
costante della normativa<br />
antiriciclaggio”. Falle aperte<br />
anche nel sistema bancario<br />
dunque, attraverso cui poter<br />
riversare incalcolabili profitti<br />
di svariate attività illecite,<br />
con la diretta collaborazione<br />
dei “colletti bianchi”. E questa<br />
commistione legale-illegale, di<br />
capitali illeciti e finanziamento<br />
pubblico, ha prodotto economie<br />
ibride sulle quali lo Stato<br />
stesso fonda la sua solidità<br />
economica.<br />
Il massiccio e accertato investimento<br />
delle organizzazioni<br />
criminali, non solo di quella<br />
pugliese, in Buoni del Tesoro,<br />
certamente idonei a cancellare<br />
la provenienza illecita dell’investimento,<br />
delinea sequenze<br />
paradossali che partono da<br />
attività criminali i cui profitti<br />
vanno poi a finanziare il debito<br />
pubblico dello Stato, le cui<br />
risorse economiche sono, si è<br />
visto, di importanza strategica<br />
per la sopravvivenza stessa<br />
delle consorterie criminali più<br />
evolute.<br />
Analisi di una sconcertante<br />
lucidità, quasi a sottolineare,<br />
ancora una volta, «l’impossibilità<br />
in una terra mafiosa di<br />
separare l’economia legale da<br />
quella illegale».<br />
Se pochi sono i profili di specialità<br />
nell’attività di riciclaggio<br />
riguardante la Sacra corona<br />
unita rispetto a quanto generalmente<br />
riscontrato per le altre<br />
organizzazioni criminali, un<br />
approfondimento merita, però,<br />
lo stretto rapporto che intercorre<br />
tra attività di contrabbando<br />
prima, “ripulitura” di capitali<br />
illeciti poi, prestando particolare<br />
attenzione alle specificità<br />
dell’ambito spazio-temporale<br />
in cui la Scu si è trovata (e si<br />
trova tuttora) ad operare.<br />
Che il contrabbando e la criminalità<br />
organizzata mostrino<br />
reciproci e organici collegamenti<br />
è oramai stato detto più<br />
volte, così come è stato detto<br />
che i tipici canali (geografici e<br />
finanziari) percorsi dai contrabbandieri<br />
sono allo stesso modo<br />
utilizzati per il compimento di<br />
altre attività illecite (traffico di<br />
droga, armi, immigrazione clandestina),<br />
rendendo dunque par<br />
ticolarmente appetibile l’attività<br />
di contrabbando. Postulato di<br />
non poco conto, a cui occorre<br />
aggiungere la considerazione,<br />
anch’essa già precedentemente<br />
espressa, che ogni forma<br />
di associazionismo criminale<br />
che abbia una certa capacità<br />
operativo-gestionale sia legata<br />
a stretto filo con i profili patrimoniali<br />
della gestione stessa, e<br />
necessiti di un’attività finanziaria<br />
che permetta di estinguere<br />
l’origine illecita dei capitali,<br />
rendendoli nuovamente spendibili<br />
all’interno del circuito<br />
economico. Ben si comprende<br />
allora, ed è questa la riflessione<br />
che pervade l’intera trattazione,<br />
come sia difficile porre su piani<br />
diversi le due attività illecite,<br />
il contrabbando e il riciclaggio,<br />
astrarre l’una dall’altra in<br />
maniera asettica e artificiosa,<br />
e non ricondurle piuttosto ad<br />
uno stesso trail criminale, in<br />
particolar modo con riferimento<br />
ai disegni criminosi della Scu<br />
nei decenni scorsi.<br />
Un irrefrenabile e spasmodico<br />
movimento di tabacchi e capitali,<br />
tanto che distinguere gli<br />
uni dagli altri non è quasi mai<br />
possibile. Troppo rapida è la<br />
concretizzazione capitalistica<br />
dell’attività di contrabbando,<br />
e quasi gli stessi sono i canali<br />
59 | settembre 2012 | narcomafie<br />
per i quali si muovono prima<br />
le “bionde”, un attimo dopo<br />
gli ingenti profitti, subito fagocitati<br />
nei circuiti economici<br />
e reinvestiti.<br />
Ne risulta di fatto un continuum<br />
tra attività che dogmaticamente<br />
(e su un piano necessariamente<br />
sistematico) sono classificate<br />
in termini giuridicamente diversi,<br />
e che nella realtà delle<br />
organizzazioni criminali più<br />
complesse, almeno quelle dedite<br />
(anche) al contrabbando,<br />
sono riconducibili al medesimo<br />
piano, globale e unitario<br />
allo stesso tempo. Consorterie<br />
criminose, traffico di “bionde”<br />
e riciclaggio di denaro sporco<br />
rappresentano paradigmi e regole<br />
di uno stesso gioco perverso<br />
e inarrestabile, capace di capitalizzare<br />
all’infinito i sempre<br />
crescenti guadagni dell’indotto<br />
del contrabbando.<br />
Al centro di questo vortice,<br />
definito da alcuni «capitalismo<br />
d’azzardo», troviamo una<br />
sola protagonista, incontrastata:<br />
la Sacra corona unita, assurta<br />
per anni a un grado di “pari<br />
dignità” rispetto alle altre e<br />
più temibili mafie regionali,<br />
divenuta con il contrabbando<br />
vera “multinazionale” del<br />
crimine. Il Salento, ma in particolar<br />
modo la provincia di<br />
Brindisi, diviene lo stigma più<br />
evidente dell’attacco all’economia<br />
legale sferrato dalla stessa<br />
criminalità salentina con la<br />
compravendita frenetica di<br />
sigarette di contrabbando, una<br />
terra che si intinge di illecito<br />
fin nelle viscere più profonde,<br />
nell’economia anche più<br />
modesta; ancora oggi, le ultime<br />
statistiche rilevano come<br />
l’economia della Provincia di<br />
Brindisi sia tra le più permeate<br />
dalla criminalità organizzata.<br />
Sacra corona unita
altarisoluzione<br />
Rap<br />
anticamorra<br />
Nei territori della provincia a nord di Napoli<br />
in particolare tra Casoria e Casavatore<br />
si sommano quasi centomila abitanti. In<br />
piena estate da queste parti, verso la fine<br />
di giugno, si è consumato l’ennesimo<br />
omicidio di camorra, vittima il titolare di<br />
un bar a largo San Mauro, zona del centro<br />
storico. Il barista, incensurato, è finito<br />
per errore sotto i colpi dei sicari. Dopo<br />
quest’episodio c’è stata una fiaccolata, a<br />
cui hanno partecipato centinaia di persone;<br />
in zona sono inoltre aumentati i controlli<br />
e i posti di blocco da parte dei carabinieri.<br />
Da questi territori provengono Vincenzo e<br />
Marcello, due ragazzi di 16 anni, entrambi<br />
con la stessa passione: la musica rap, una<br />
cultura che da queste parti ti aiuta a crescere<br />
diversamente e con determinati valori<br />
nonché a stare fuori da certi meccanismi<br />
come la microcriminalità e la delinquenza<br />
giovanile. A proposito dell’appartenenza<br />
al territorio ecco come esordisce uno dei<br />
due ragazzi: «Per me vivere in questi<br />
territori vuol dire ogni giorno affrontare<br />
mille situazioni, positive o negative che<br />
siano. Vivere nella periferia di una città,<br />
significa doversi impegnare già da piccoli<br />
per costruire il proprio futuro».<br />
Vincenzo, il primo dei due ragazzi, nasce<br />
Foto e testo di Gaetano Massa<br />
60 | lsettembre 2012 | narcomafie
61 | lsettembre 2012 | narcomafie
altarisoluzione<br />
come breaker, ogni domenica si allena<br />
sotto i portici della villa comunale.<br />
Successivamente si dedica anche alla<br />
produzione di beat e a scrivere rime, tra le<br />
sue collaborazioni possiamo menzionare<br />
quella con alcuni artisti del Bronx e un<br />
album con il suo gruppo “Trust Back”, con<br />
il quale hanno già partecipato a diversi<br />
concerti anticamorra. «Suonare ad un<br />
concerto anticamorra è una bellissima<br />
esperienza perché ti fa sentire parte di<br />
un movimento che lotta per una giusta<br />
causa e in tal modo si possono svegliare le<br />
coscienze di qualcuno stanco ormai della<br />
sudditanza all’organizzazione». Marcello<br />
invece nasce come grafico, attualmente fa<br />
parte del team del rapper americano del<br />
Queens: Kool G Rap, nel settore promo/<br />
marketing. Inoltre ha curato la cover<br />
dell’album ufficiale “H.N.I.C. 3” di un altro<br />
pezzo grosso statunitense proveniente dal<br />
Queensbridge, Prodigy dei Mobb Deep,<br />
ufficialmente in vendita dal 3 luglio, distribuito<br />
dalla Sony. Attualmente i ragazzi<br />
sono impegnati come volontari in campi<br />
scuola estivi organizzati dall’oratorio nei<br />
quali si organizzano giochi, attività sportive,<br />
questionari e dibattiti sulla legalità.<br />
«L’educazione alla legalità è una cosa<br />
importantissima perché fornisce alternative<br />
ai ragazzi, talvolta provenienti<br />
da situazioni disagiate, spiegando loro<br />
che esistono vie alternative e migliori<br />
della criminalità».<br />
62 | settembre 2012 | narcomafie
63 | settembre 2012 | narcomafie
a cura di Stefania Bizzarri<br />
rassegna stampa internazionale<br />
Mafia o<br />
non mafia?<br />
Marsiglia Nelle ultime setti-<br />
mane, nella città portuale più<br />
importante della Francia si<br />
sono moltiplicati i regolamen<br />
ti di conti tra membri della<br />
malavita. Sedici gli agguati<br />
mortali dall’inizio dell’anno.<br />
Una violenza regolare, le cui<br />
cifre (33 omicidi nel 2011;<br />
32 nel 2010) sgretolano lo<br />
stereotipo dell’eterna recrude<br />
scenza e gettano interrogativi<br />
sulla reale natura criminale<br />
di Marsiglia. L’ultimo caso,<br />
agli inizi di agosto, quello di<br />
un uomo di 25 anni, ucciso<br />
da una raffica di kalashnikov<br />
nelle strade del sobborgo po<br />
polare di Lauriers. La vitti<br />
ma era considerata un sodale<br />
della nascente generazione<br />
dei caïds de cités, cosiddetti<br />
“capi quartiere”, che secondo<br />
64 | settembre 2012 | narcomafie<br />
gli inquirenti sono a capo del<br />
narcotraffico nell’area. La capitale<br />
del Sud – così è definita<br />
Marsiglia – è da sempre il<br />
crocevia tra Spagna e Italia<br />
per i traffici di stupefacenti.<br />
Le droghe entrano nella penisola<br />
iberica e rimontano via<br />
camion per essere distribuite<br />
a Marsiglia. Da lì proseguono<br />
sull’asse del Rodano o verso<br />
Milano, «capitale del mercato<br />
di droga in Europa».<br />
Il processo<br />
del secolo<br />
Brasilia «Un processo non ha<br />
razza, non ha colore, né partito<br />
politico. Ha prove o non<br />
le ha, e questo non le ha». È<br />
quanto ha sostenuto José Luis<br />
de Oliveira, difensore dell’ex<br />
ministro della “Casa Civil”<br />
(sorta di sottosegretariato alla<br />
presidenza del Consiglio dei<br />
ministri, ndr) José Dirceu, di<br />
fronte al Supremo tribunale<br />
federale di Brasilia durante<br />
quello che è già stato definito<br />
il “processo del secolo”, vale<br />
a dire il più grave scandalo di<br />
corruzione politica della storia<br />
recente del Brasile. Dirceu,<br />
tra gli uomini più influenti del<br />
primo mandato del governo di<br />
Luiz Inácio Lula da Silva, di<br />
cui fu stretto collaboratore, è<br />
accusato di essere il “capo” di<br />
una banda criminale che ha<br />
dirottato ingenti somme dalle<br />
casse dello Stato per finanziare<br />
la campagna del Partito dei
lavoratori (Pt, al potere da<br />
un decennio) e corrompere<br />
decine di parlamentari per<br />
ottenerne il voto su progetti<br />
di legge promossi dall’esecutivo.<br />
Secondo de Oliveira,<br />
le accuse a carico dell’ex ministro<br />
– solo uno dei 38 imputati<br />
chiamati a rispondere<br />
per lo stesso scandalo – non<br />
avrebbero fondamento. Per<br />
l’avvocato non ci sarebbe mai<br />
stata una “compravendita di<br />
voti”. L’intervento della difesa<br />
segue quello del procuratore<br />
generale Roberto Gurgel<br />
che ha aperto il processo denunciando<br />
il «più audace e<br />
scandaloso caso di corruzione<br />
e di dirottamento dei fondi<br />
pubblici scoperto in Brasile».<br />
Gurgel ha chiesto per 36 dei<br />
38 imputati – primo fra tutti<br />
Dirceu – «una pena proporzionale<br />
all’enorme gravità dei<br />
reati», risparmiando solo l’ex<br />
ministro dell’Informazione<br />
Luiz Gushiken e l’ex dirigente<br />
del disciolto Partito Liberale,<br />
Antonio Lamas, per mancanza<br />
di prove.<br />
Il fallimento<br />
della “mano<br />
dura”<br />
Tegucigalpa La cosiddetta politica<br />
della “mano dura”, adottata<br />
da tempo contro la criminalità<br />
in diversi paesi dell’America<br />
Latina, non ha fatto altro che<br />
aumentare la violenza, limitando<br />
di fatto i piani di prevenzione<br />
e favorendo la nascita<br />
di “squadroni della morte”. Lo<br />
denunciano due rapporti stilati<br />
dalle Nazioni Unite e dall’Organizzazione<br />
degli Stati ameri-<br />
cani (Osa), che documentano il<br />
fallimento di misure repressive<br />
come l’abbassamento dell’età<br />
minima per la punibilità di alcuni<br />
reati o la militarizzazione<br />
del territorio.<br />
«La mancanza di un’adeguata<br />
risposta dello Stato di fronte<br />
alla violenza e al crimine ha<br />
portato alla stigmatizzazione<br />
di persone o gruppi favorendo<br />
l’apparizione di gruppi di “pulizia<br />
sociale” come squadroni<br />
della morte o paramilitari», si<br />
legge nel documento dell’Onu<br />
dal titolo “Sicurezza cittadina e<br />
diritti umani”. Presentando gli<br />
studi a Tegucigalpa, la relatrice<br />
per i diritti dell’infanzia della<br />
Commissione interamericana<br />
dei diritti umani, la paraguayana<br />
Rosa María Ortiz, ha deplorato<br />
il fatto che la regione, e<br />
in particolare il triangolo nord<br />
del Centroamerica (Honduras,<br />
El Salvador e Guatemala) «registra<br />
gli indici di criminalità<br />
più alti del mondo». Mentre la<br />
media mondiale di omicidi è<br />
pari a 8 ogni 100mila abitanti,<br />
ha ricordato, in America Latina<br />
oscilla fra 20 e 30 e «in sette casi<br />
su dieci le vittime di omicidi<br />
sono i giovani». «La violenza –<br />
ha aggiunto Ortiz – può e deve<br />
essere invertita cominciando<br />
con il garantire gli standard<br />
di protezione che richiedono<br />
le categorie di persone in stato<br />
di particolare vulnerabilità,<br />
come i bambini e gli adolescenti».<br />
La “mano dura” ha<br />
“aggravato il problema” con<br />
l’aumento dell’intolleranza e<br />
le restrizioni alle libertà individuali,<br />
ha insistito da parte sua<br />
il consigliere per i diritti umani<br />
dell’Onu in Honduras, Antonio<br />
Maldonado, sottolineando la<br />
«necessità urgente» di puntare<br />
sulla prevenzione.<br />
65 | settembre 2012 | narcomafie<br />
Una nuova<br />
Bolivia?<br />
La Paz Un milione di boliviani<br />
è uscito dalla povertà<br />
dal gennaio 2006 a oggi grazie<br />
alle politiche sociali promosse<br />
dal governo del presidente Evo<br />
Morales: un successo che il<br />
presidente di origini indigene<br />
ha rivendicato nella Giornata<br />
dedicata alla “rivoluzione<br />
agraria e comunitaria” parlando<br />
dalla capitale legalislativa<br />
Sucre (sud-est della capitale<br />
La Paz).<br />
Morales ha detto che 600mila<br />
boliviani residenti nelle aree<br />
rurali sono usciti dalla condizione<br />
di “povertà estrema”<br />
e altri 400mila che versavano<br />
in “povertà moderata” hanno<br />
migliorato la loro situazione<br />
economica. In termini globali,<br />
dall’inizio del mandato di<br />
Morales, nel 2006, al 2011, la<br />
povertà si è ridotta passando dal<br />
62 al 43%. «Questo processo è<br />
un cammino senza ritorno, ma<br />
continuiamo ad avere una gran-<br />
de responsabilità con i settori<br />
più emarginati» ha aggiunto il<br />
presidente, la cui popolarità attraversa<br />
un momento difficile a<br />
causa di numerosi e persistenti<br />
conflitti sociali.<br />
Il governo attribuisce parte<br />
del merito alla nuova politica<br />
agraria entrata in vigore nel<br />
2006 che riconosce i territori<br />
indigeni e i diritti dei nativi a<br />
utilizzarli per le coltivazioni e<br />
la produzione di alimenti.<br />
Il ministro dell’Economia e<br />
delle Finanze, Luis Arce, ha<br />
citato i programmi mirati a ridurre<br />
l’abbandono scolastico, a<br />
sradicare la mortalità materna e<br />
i sussidi destinati agli anziani.<br />
«Ci manca ancora molto da<br />
fare – ha dichiarato Arce – per<br />
quello continueremo a portare<br />
avanti politiche che mostrano<br />
risultati positivi».<br />
Ad attribuire meriti alla presidenza<br />
Morales anche un sondaggio,<br />
pubblicato lo scorso 22<br />
agosto, che evidenzia come il<br />
45% degli interrogati ritenga<br />
che l’attuale classe dirigente<br />
politica sia la meno corrotta<br />
del Paese rispetto a quelle anteriori.
Nigeria, sale<br />
il consumo<br />
Lagos Da nazione strategica<br />
per lo smistamento della droga<br />
proveniente dal Sud America e<br />
destinata alle nazioni europee, la<br />
Nigeria si sta trasformando sempre<br />
di più velocemente in paese<br />
di consumatori di stupefacenti.<br />
Lo denuncia l’Agenzia nazionale<br />
per il contrasto al narcotraffico<br />
(Ndlea), affermando di aver<br />
sequestrato nei primi sei mesi<br />
del 2012 circa 1,3 tonnellate di<br />
marijuana, 17 quintali di cocaina,<br />
nove quintali di eroina, tutti<br />
destinati al consumo interno per<br />
un valore complessivo di oltre<br />
60 milioni di euro. Nel primo<br />
semestre dell’anno sono stati<br />
arrestati quasi 10mila trafficanti<br />
di droga: «Prima il consumo di<br />
stupefacenti era molto basso in<br />
Nigeria, ma adesso sta diventando<br />
una vera e propria epidemia»,<br />
hanno detto i responsabili della<br />
Ndlea commentando i dati.<br />
Albania,<br />
les jeux<br />
sont faits<br />
Tirana I giochi sono fatti: la lotteria<br />
nazionale albanese è stata privatizzata.<br />
Il vincitore è l’austriaca<br />
Osterreichische Lotterien, ma le<br />
recriminazioni nel Paese delle<br />
Aquile crescono. Direttamente<br />
messo in causa il ministro delle<br />
Finanze, Ridvan Bode, sospettato<br />
di non aver rispettato il mercato<br />
della concorrenza e di intrattenere<br />
legami “poco trasparenti”<br />
con il gruppo di imprenditori<br />
di giochi e scomesse viennese.<br />
Due soltanto i candidati ammessi<br />
alla gara: un consorzio composto<br />
da Lottomatica (Italia), Gtech<br />
(Chypro) e Synot (Rep. Ceca)<br />
e la vincitrice austrica. Scartate<br />
la compagnia greca Intralot<br />
e la turca Inteltek, accusatrici,<br />
ora, del governo. A loro detta il<br />
vincitore era già scelto in partenza,<br />
perché tra i criteri di scelta<br />
richiesti – sorprendentemente<br />
– non compariva il prezzo della<br />
prestazione.<br />
Anche l’opposizione politica ha<br />
chiesto l’apertura di un’inchesta<br />
sulle procedure seguite, chiamando<br />
direttamente in causa il<br />
ministro delle Finanze albanese<br />
accusato di voler privilegiare i<br />
“suoi clienti”. Lo scorso agosto,<br />
Edi Rama, capo del partito socialista,<br />
ha scritto al cancelliere<br />
austriaco, Werner Fayman, per<br />
denunciare che le modalità con<br />
cui Osterreichische Lotterien ha<br />
risposto all’offerta erano irregolari.<br />
Il ministro Bode, per pacificare<br />
gli animi di chi dichiarava che da<br />
questa privatizzazione gli albanesi<br />
non avrebbero tratto alcun beneficio,<br />
ha risposto all’opposizione<br />
che la compagnia verserà allo<br />
Stato il 10% dei profitti, oltre alla<br />
normale tassazione e alle imposte<br />
che le saranno richieste annualmente.<br />
Secondo gli esperti fiscali<br />
dell’opposizione è un inganno:<br />
negli altri paesi, lo Stato recupera<br />
fino all’80% dei guadagni generati<br />
dal gioco d’azzardo.<br />
66 | settembre 2012 | narcomafie<br />
Londra, sola<br />
andata per<br />
la schiavitù<br />
Budapest «Origo», testata ungherese,<br />
ha documentato la<br />
storia di alcuni connazionali<br />
riusciti a scappare dopo anni di<br />
segregazione dal giogo di una<br />
famiglia di mafiosi anch’essa<br />
ungherese. La vicenda è avvenuta<br />
nel Regno Unito, dove la rete<br />
dei criminali è radicata ed in<br />
grado di reclutare connazionali,<br />
allettati da promesse di lavoro.<br />
L’obiettivo è, invece, quello di<br />
sottrarre loro documenti per<br />
costringerli al lavoro forzato<br />
e nel contempo acquisirne<br />
l’identità per far aprire linee<br />
di credito con banche e prelevare<br />
redditi e assegni sociali.<br />
«La polizia non arriverà mai<br />
ai vertici della filiera. Questa<br />
famiglia è potente e i capi sono<br />
truffatori di grosso calibro», ha<br />
affermato una vittima, scappata<br />
da Londra. «Origo» ha potuto<br />
parlare con 5 persone che hanno<br />
vissuto in diverse città inglesi<br />
sotto controllo della famiglia<br />
ungherese. Tutti hanno raccontato<br />
che i reclutatori operano in<br />
patria e si rivolgono a soggetti<br />
deboli, in prevalenza “senza<br />
tetto”. L’ampiezza dell’affare è<br />
considerevole: ogni mese nel<br />
Regno Unito farebbero arrivare<br />
gruppi di 10-15 persone. Le<br />
vittime hanno paragonato la<br />
rete a una tela di ragno, in cui<br />
il capo è conosciuto solo con<br />
un soprannome. «Una decina<br />
di membri della famiglia è sufficiente<br />
per dirigere il sistema.<br />
Crediamo siano a Londra da<br />
parecchio tempo perché i più<br />
giovani parlano meglio inglese<br />
dell’ungherese», hanno aggiunto.<br />
Dopo il 2004, con l’adesione<br />
dell’Ungheria all’Ue, il mercato<br />
del lavoro britannico si è aperto<br />
per i cittadini dell’Est Europa.<br />
Da allora, ottenendo la National<br />
Insurance Card (tessera di<br />
assicurazione sociale) sotto determinate<br />
condizioni, questi<br />
ultimi hanno diritto alle stesse<br />
prestazioni degli inglesi (casa e<br />
assegno disoccupazione).<br />
Le vittime hanno affermato<br />
che le attività della rete non si<br />
limitano solo al Regno Unito,<br />
ma che la banda ha contatti in<br />
Francia, Belgio e Spagna.<br />
Come è possibile che la polizia<br />
di “Sua Maestà” non si sia<br />
accorta di nulla? Interrogati<br />
sul fatto, due ex ufficiali della<br />
Metropolitan Police hanno affermato<br />
che nei casi di tratta di<br />
esseri umani è molto difficile<br />
condurre le indagini perché senza<br />
testimonianze delle vittime,<br />
non si riesce ad avere elementi<br />
oggettivi. «E spesso queste<br />
testimonianze sono lacunose.<br />
Inoltre la cooperazione con gli<br />
Stati interessati è molto complicata.<br />
Spesso gli investigatori<br />
investono anni di indagini non<br />
coronate dal successo. Ecco<br />
perché la polizia non c’investe»,<br />
ha ammesso Bernie Gravett,<br />
che non esita a nascondere che:<br />
«La tratta umana non figura al<br />
momento tra le priorità della<br />
polizia britannica».
Scontri tra esercito e Farc<br />
Foto di Simone Bruno<br />
67 | settembre 2012 | narcomafie<br />
È ancora<br />
guerra<br />
Un conflitto invisibile, dimenticato e ignorato dagli stessi<br />
colombiani. Solo eventi eccezionali come la prigionia di un<br />
giornalista francese ricordano che la narcoguerriglia tra governo,<br />
rivoluzionari e contrabbandieri miete vittime oggi come<br />
in passato. La sola differenza è la certezza del fallimento della<br />
guerra contro la droga<br />
di Guido Piccoli
Nonostante il<br />
dolore, il reporter<br />
continua a filmare<br />
mentre i guerriglieri<br />
avanzano metro<br />
dopo metro.<br />
Poi, decide<br />
di togliersi<br />
casco e giubbotto<br />
antiproiettile<br />
e di consegnarsi<br />
a loro<br />
Ci voleva la cattura e la conseguente<br />
prigionia per qualche<br />
settimana di un giornalista straniero<br />
per ricordare al mondo che<br />
in Colombia continuano due<br />
fenomeni che l’hanno marcata<br />
a fuoco nel recente passato, il<br />
conflitto interno e il narcotraffico<br />
internazionale. Il primo vede le<br />
forze armate istituzionali (più di<br />
mezzo milione tra militari, professionisti<br />
e di leva, e poliziotti:<br />
un record per l’America Latina)<br />
combattere poco più di diecimila<br />
guerriglieri delle due formazioni<br />
sopravvissute nei decenni (le<br />
Farc e in minima parte l’Eln, di<br />
cui si avverte l’esistenza solo<br />
quando, di tanto in tanto, viene<br />
eliminato, grazie alla tecnologia<br />
messa a disposizione dalle varie<br />
basi Usa dislocate nel paese,<br />
qualche leader ribelle): la notizia<br />
dei combattimenti quotidiani,<br />
così come le carneficine o le<br />
esecuzioni lontano dai campi<br />
di battaglia, travalicano di rado<br />
i confini regionali, conquistando<br />
appena qualche trafiletto nei<br />
giornali della capitale Bogotà e<br />
non meritando mai una diffusione<br />
internazionale. Il narcotraffico<br />
colombiano invece – morti o<br />
sepolti in carcere i grandi capi e<br />
tramontati i loro sogni di carriera<br />
politica – ha generato una sorta<br />
di tacita rassegnazione per il<br />
suo intatto potere commerciale,<br />
mentre per ciò che riguarda il suo<br />
aspetto spettacolare è stato soppiantato<br />
dall’orrore e la potenza<br />
dimostrati dai narcos messicani.<br />
Sono solo loro, degni eredi di<br />
Pablo Escobar, a fare notizia.<br />
Comincia la battaglia. Nei giorni<br />
del vertice dei paesi americani<br />
a Cartagena, due freelance, uno<br />
francese e l’altro italiano, propongono<br />
di realizzare un video di<br />
pochi minuti per il telegiornale<br />
68 | settembre 2012 | narcomafie<br />
di «France 24» sulla realtà della<br />
guerra alla droga. Per renderlo<br />
più efficace, chiedono ed ottengono<br />
dai vertici dell’esercito<br />
nazionale di partecipare<br />
a un operativo in una zona di<br />
guerra, di coltivazioni di coca<br />
e di laboratori di cocaina, nella<br />
regione amazzonica del Caquetà.<br />
L’attesa si prolunga oltre le previsioni.<br />
Uno dei due, l’italiano,<br />
per impegni di lavoro torna a<br />
Bogotà. All’alba del giorno dopo,<br />
dà l’ok il comando della brigata<br />
anti-narcos con base a Larandia,<br />
vicino a Florencia. Il giornalista<br />
francese s’imbarca su un elicottero<br />
da combattimento, che dopo<br />
qualche decina di minuti di volo<br />
radente sulla foresta atterra in<br />
prossimità di una baracca che<br />
si sospetta serva come laboratorio<br />
di raffinazione della coca. I<br />
soldati vi trovano un contadino<br />
con la sua famiglia, ci sono taniche<br />
di acetone e benzina: è un<br />
laboratorio di coca da bruciare. Il<br />
materiale filmato basterebbe per<br />
il video di «France 24». Ma c’è<br />
un altro obiettivo da raggiungere.<br />
L’elicottero riscende per imbarcare<br />
un’altra volta il gruppo. In<br />
zona più a ovest, nei pressi della<br />
località Peneya, non tutti sono<br />
concordi col buon esito della<br />
missione e il tranquillo lavoro<br />
del reporter. Appena sbarcati<br />
dall’elicottero, comincia la sparatoria.<br />
Dopo una breve pausa,<br />
il gruppo di soldati è circondato<br />
dai guerriglieri. La battaglia riprende<br />
per ore fino a terminare<br />
con un bilancio pesante: diciannove<br />
soldati uccisi secondo la<br />
guerriglia, quindici secondo<br />
una dichiarazione a caldo del<br />
comandante dell’esercito Alejandro<br />
Navas, cinque secondo il<br />
definitivo comunicato ufficiale.<br />
Anche il giornalista francese<br />
viene ferito ad un braccio. Se<br />
la pallottola gli fosse entrata<br />
qualche centimetro a destra gli<br />
avrebbe spaccato il cuore, com’è<br />
capitato qualche attimo prima<br />
ad uno dei due militari che gli<br />
stava vicino, il sergente Cortés.<br />
Nonostante il dolore, il reporter<br />
continua a filmare mentre i<br />
guerriglieri avanzano metro dopo<br />
metro. Poi, decide di togliersi il<br />
casco e il giubbotto antiproiettile,<br />
di rannicchiarsi dietro un<br />
cespuglio e di consegnarsi ai<br />
guerriglieri. Quelli che sarebbero<br />
dovuti essere due-tre minuti per<br />
il tg di «France 24» diventano<br />
un’eccezionale testimonianza<br />
della guerra in Colombia.<br />
Una giornata particolare. I<br />
tre quarti d’ora del reportage<br />
realizzato da Romeo Langlois,<br />
che raccontano meglio e più di<br />
qualunque altro saggio o reportage<br />
la realtà della guerra e del<br />
narcotraffico in Colombia sono<br />
visibili, in una prima versione,<br />
all’indirizzo http://www.france24.com/en/romeo-langloiscolombia-farc-caught-crossfire.<br />
La “giornata particolare” del<br />
giornalista francese comincia<br />
quand’è ancora buio. I soldati,<br />
armati ed equipaggiati, fanno<br />
la fila per salire su uno dei due<br />
elicotteri che li porteranno sugli<br />
obiettivi. «Capitano, correremo<br />
dei pericoli?» chiede Romeo.<br />
«Abbastanza, perché la zona è<br />
controllata dal 15° fronte delle<br />
Farc. Possiamo diventare bersaglio<br />
dei terroristi» risponde il<br />
giovane capitano Gomez, visibilmente<br />
emozionato: non deve avere<br />
molta esperienza di battaglie.<br />
Con una quarantina di soldati<br />
viaggia un cane anti-droga, l’unico<br />
che appare felice. «Arrivando<br />
all’alba cerchiamo di prenderli<br />
di sorpresa. L’obiettivo generale<br />
è quello di tagliare le fonti di
finanziamento dei terroristi»,<br />
spiega il capitano Gomez. Alle<br />
5.52 lo sbarco. Il cielo è indaco.<br />
L’ultimo militare fa appena in<br />
tempo a buttarsi sull’erba che<br />
l’elicottero riprende quota: è un<br />
bersaglio facile e straordinario<br />
per i ribelli. Il presunto laboratorio<br />
è a meno di cento metri. I<br />
soldati gli si avvicinano correndo<br />
a zig-zag e con i mitra pronti a<br />
sparare. «Uscite!» grida concitato<br />
il capitano. Dalla baracca<br />
appare un uomo giovane, che<br />
si stropiccia gli occhi. Non è un<br />
bel risveglio per lui. «Siamo del<br />
primo battaglione anti-narcotici.<br />
Ci permette una perquisizione?»,<br />
chiede Gomez. La consapevolezza<br />
di essere ripreso rende i suoi<br />
modi sicuramente più gentili.<br />
Lui, come gli altri soldati, ha il<br />
fiatone, non solo per la corsa.<br />
Quando dalla baracca esce una<br />
donna con vari figlioletti, l’atmosfera<br />
si fa più rilassata. In un<br />
attimo il cane individua i fusti<br />
con le foglie di coca macerate.<br />
«Quando sono venuti i banditi<br />
l’ultima volta?». L’uomo dice<br />
di non sapere niente. «A chi<br />
vende la pasta di coca?». Ormai<br />
rassegnato, l’uomo ammette di<br />
portarla al mercato di San Isidro,<br />
lontano chilometri, dove abbondano<br />
gli acquirenti. Il capitano<br />
spiega a Romeo che la pasta di<br />
coca trasformata in cocaina viene<br />
venduta, attraverso le Farc, ai<br />
trafficanti dell’interno del paese<br />
o della costa pacifica. «Perché fai<br />
questo lavoro?», chiede Romeo<br />
al contadino. «La “coquita” – risponde<br />
il contadino, usando un<br />
vezzeggiativo – è l’unico prodotto<br />
che posso vendere. La strada<br />
è pessima e non riesco a portare<br />
al mercato la yucca, le banane<br />
o le altre cose che coltivo». Poi<br />
rivolge la disperata preghiera<br />
al capitano di non bruciare la<br />
baracca. Niente da fare. Il cielo,<br />
dove stanno filtrando tra le<br />
nuvole i primi raggi del sole,<br />
s’illumina al rogo del laboratorio<br />
artigianale. Il capitano si mette<br />
al telefono per richiamare gli elicotteri.<br />
«Ce ne andiamo subito?»<br />
chiede Romeo. «È preferibile per<br />
ragioni di sicurezza» gli risponde<br />
il sergente Cortés. Un soldato<br />
lancia una bomba segnalatrice:<br />
la nuvola blu indica il posto dove<br />
gli elicotteri possono atterrare.<br />
I soldati vi salgono di corsa. Al<br />
contadino è stata probabilmente<br />
sequestrata la carta d’identità.<br />
Ma quello che più gli costa è<br />
che, in pochi minuti, ha perso la<br />
casa, per sé e la famiglia, e l’unica<br />
attività che, pure se illegale,<br />
gli permetteva di campare. «Il<br />
secondo obiettivo è più complicato»<br />
annuncia il capitano.<br />
Le immagini dall’elicottero con<br />
la canna della mitragliatrice in<br />
primo piano ricordano il Vietnam.<br />
All’interno la cinepresa<br />
si ferma sul volto del sergente<br />
Gomez. La voce fuori campo<br />
anticipa che quello sarà il suo<br />
ultimo giorno di vita. Appena<br />
scesi sul secondo obiettivo –<br />
alcune baracche che, secondo<br />
le informazioni in possesso del<br />
capitano, formerebbero un laboratorio<br />
di raffinazione della coca<br />
– iniziano le raffiche. Romeo si<br />
butta a terra come gli altri soldati.<br />
Il capitano Gomez, sempre più<br />
agitato, annuncia l’inizio del<br />
combattimento ai piloti degli elicotteri,<br />
che hanno già decollato,<br />
e al suo superiore, un colonnello<br />
della base di Larandia. La pattuglia<br />
si rifugia nella boscaglia.<br />
«Ci possono essere delle mine,<br />
capitano?» chiede Romeo. «Si,<br />
perciò passiamo tutti sullo stesso<br />
sentiero» risponde Gomez. Il<br />
primo soldato del drappello non<br />
dev’essere molto felice di fare<br />
69 | settembre 2012 | narcomafie<br />
da apripista. Gli spari cessano.<br />
La prima baracca è un presunto<br />
vecchio laboratorio. Nella seconda<br />
appaiono una donna e vari<br />
bambini. «Per la sicurezza sua e<br />
dei suoi figli non uscite di casa»,<br />
capitan Gomez sembra recitare<br />
un copione. Poi, sulla stradina ar<br />
riva gente su moto e camioncini.<br />
Vengono tutti perquisiti sotto tiro<br />
di vari mitra. Nessuno dà notizie<br />
della guerriglia. Al telefono suggeriscono<br />
al capitano di offrire<br />
loro dei soldi. Ma non c’è tempo<br />
per iniziare le trattative. Dalla<br />
boscaglia ricominciano a spara-<br />
re. E stavolta non smettono.«Ci<br />
stanno circondando», grida il<br />
capitano, che ordina per telefono<br />
di non rispondere al fuoco per<br />
evitare di essere individuati.<br />
Il gruppo spera nell’appoggio<br />
aereo, ma le nuvole e soprattutto<br />
l’intensità del fuoco guerrigliero<br />
impedisce ai due elicotteri di<br />
abbassarsi. Romeo rimane con<br />
il sergente Cortes e qualche altro<br />
soldato. Gli spari da parte dei<br />
ribelli sono sempre più intensi.<br />
Il giornalista trova il tempo per<br />
chiedere al sergente che cosa<br />
pensa del suo lavoro. «È come<br />
tutti gli altri». Il giornalista gli<br />
chiede se la pensi così anche la<br />
sua famiglia. «Ovviamente no.<br />
A loro non piace, per i rischi che<br />
corro», gli risponde tranquillo.<br />
Gli spari aumentano ancora e<br />
si fanno sempre più vicini. Il<br />
sergente comunica per telefono<br />
al capitano di essere circondato.<br />
«Chiedo rinforzi, si stanno<br />
avvicinando, arrivano da tutti i<br />
lati». Poi raccomanda a Romeo di<br />
ripararsi in una fossa del terreno.<br />
I guerriglieri sono ormai a una<br />
cinquantina di metri. Alcune<br />
raffiche prendono in pieno i militari.<br />
Il sergente Cortés crolla<br />
senza un grido. Chi non può fare<br />
a meno di urlare è Romeo, colpito<br />
Nel parlamento<br />
colombiano<br />
si discute<br />
un progetto<br />
di legge teso<br />
a depenalizzare<br />
la coltivazione<br />
delle piantagioni<br />
base per gli<br />
stupefacenti
«La guerra contro<br />
la droga ha fallito.<br />
L’America Latina<br />
continua ad essere<br />
orfana di una<br />
strategia regionale<br />
riguardo<br />
l’economia illegale<br />
delle droghe»<br />
ad un braccio. L’obiettivo della<br />
videocamera rimane fisso a pochi<br />
centimetri dalla ferita che sanguina<br />
abbondantemente. Romeo<br />
prende il telefono del sergente,<br />
dice al capitano Gomez di essere<br />
ferito, chiede aiuto. Il capitano gli<br />
risponde dicendo di essere sotto<br />
attacco. La videocamera riprende<br />
a inquadrare il terreno. Si vede il<br />
corpo del sergente, poi un altro<br />
soldato che grida a Romeo di<br />
prendere il mitra di Cortés e di<br />
sparare. «No, fratello. Non sono<br />
fatto per la guerra» gli risponde<br />
il giornalista. Il soldato, per farsi<br />
coraggio, tira una granata. Romeo<br />
decide di tentare il tutto per tutto.<br />
«Fratello, io mi allontano. Se ti<br />
sto vicino divento un bersaglio.<br />
Ok?» dice Romeo. Il soldato,<br />
rassegnato, non risponde. Prima<br />
di strisciare verso un cespuglio,<br />
dove nascondersi in attesa del<br />
momento di consegnarsi ai guer<br />
riglieri, il giornalista estrae la<br />
memoria dalla videocamera. Il<br />
video finisce qui. Romeo Langlois<br />
l’ha dedicato a Cortés e a<br />
tutte le vittime del conflitto. A<br />
Bogotà, dopo la sua liberazione<br />
e l’affollata conferenza stampa<br />
all’ambasciata francese, il giornalista<br />
ha voluto incontrare la<br />
madre e il fratello del sergente<br />
Cortés.<br />
Un’alternativa al proibizioni-<br />
smo. Dai tempi degli hippies fino<br />
ai giorni nostri sono passati più di<br />
quarant’anni. Di droga, da quella<br />
che si chiamava leggera fino alla<br />
cosiddetta pesante, in Colombia<br />
se ne è prodotta e venduta<br />
sempre molta e sempre di più,<br />
nonostante il rimbombare dei<br />
proclami governativi e l’aumento<br />
esponenziale delle spese militari<br />
indirizzate presumibilmente al<br />
suo contrasto. L’unica differenza<br />
con i decenni passati sta nella<br />
70 | settembre 2012 | narcomafie<br />
percezione del fenomeno. Finita<br />
l’epoca dei grandi cartelli della<br />
droga, eliminato Pablo Escobar,<br />
incarcerati gli altri boss, più o<br />
meno compromessi con la politica,<br />
dai Rodriguez Orejuela di Cali<br />
al paramilitare di origine italiana<br />
Salvatore Mancuso, l’attenzione<br />
dei media sul fenomeno si è via<br />
via affievolita. Dopo tanto gridare<br />
“al lupo, al lupo!” riguardo al<br />
narcotraffico, non solo colombiano,<br />
nessuno sembra farvi più<br />
molto caso. I sostenitori della<br />
cosiddetta “linea dura”, a cominciare<br />
dagli Usa, appaiono sempre<br />
meno convinti e convincenti e<br />
tra coloro che hanno pagato le<br />
conseguenze di questa strategia,<br />
senza trarne alcun beneficio, si<br />
fanno strada proposte, fino ad<br />
alcuni anni fa, inimmaginabili.<br />
Nel parlamento colombiano, ad<br />
esempio, procede, nonostante<br />
la formale opposizione del governo,<br />
un progetto di legge teso<br />
a depenalizzare la coltivazione<br />
delle piantagioni base per gli<br />
stupefacenti. «Serve ad aprire un<br />
dibattito nazionale sulla droga<br />
nel paese» ha affermato un deputato<br />
del partito conservatore,<br />
promotore con i liberali di questo<br />
progetto. Questa iniziativa politica<br />
segue la depenalizzazione<br />
della cosiddetta “dose minima”<br />
dei consumatori, decisa nei mesi<br />
scorsi dalla Corte costituzionale<br />
colombiana. E soprattutto avviene<br />
qualche settimana dopo<br />
l’ennesimo vertice degli stati<br />
americani svoltosi in aprile a<br />
Cartagena, durante il quale per<br />
la prima volta alcuni presidenti,<br />
come il colombiano Juan Manuel<br />
Santos e il guatemalteco Otto<br />
Peréz Molina (entrambi ideologicamente<br />
conservatori) hanno<br />
proposto di valutare le possibili<br />
alternative al proibizionismo imposto<br />
da sempre da Washington.<br />
La ragione è semplice: l’ammissione<br />
del fallimento di questa<br />
strategia e la conferma degli effetti<br />
devastanti del crescente narcotraffico<br />
nell’emisfero americano.<br />
Nonostante il benvenuto bagno<br />
di realismo a livello governativo,<br />
le prospettive rimangono fosche.<br />
Per dirla con le parole del sociologo<br />
colombiano Ricardo Vargas<br />
Meza, uno dei maggiori esperti<br />
del tema droga, «la guerra contro<br />
la droga ha fallito. L’America Latina<br />
continua ad essere orfana di<br />
una strategia regionale riguardo<br />
l’economia illegale delle droghe.<br />
Per ora nel continente prevalgono<br />
iniziative isolate, incoerenti, contraddittorie<br />
e prive di appoggio».<br />
Se, al di là delle dichiarazioni<br />
ufficiali, riguardo alla “lotta al<br />
narcotraffico” spiccano delusione<br />
e incredulità, testimoniate anche<br />
dalla diminuzione dei cosiddetti<br />
finanziamenti stranieri, degli Usa<br />
e soprattutto dell’Europa (a causa<br />
della crisi economica), la stessa<br />
si confonde sempre di più, quasi<br />
annullandosi o sovrapponendosi,<br />
con la cosiddetta guerra “contrainsurgente”.<br />
E questo avviene<br />
ancora e per lo più in Colombia,<br />
visto che, ad esempio, la teoria<br />
della “narcoguerriglia” è parsa<br />
priva di fondamento se riferita<br />
agli zapatisti del Chiapas e più<br />
congrua rispetto ai peruviani<br />
di Sendero Luminoso, che al<br />
momento rappresentano però,<br />
dalla cattura del loro capo Abimael<br />
Guzmán vent’anni fa, un<br />
problema politico-militare infinitamente<br />
più ridotto di quanto<br />
possano rappresentare le Farc<br />
e, più in generale, la guerriglia<br />
colombiana.<br />
Uguali? Neppure da morti. «Se<br />
si vuole raccontare questo conflitto,<br />
non esiste altro da fare che<br />
viverlo da vicino. Quello che è
capitato a Romeo è molto grave,<br />
ma potrebbe almeno ricordare<br />
che in Colombia è in atto una<br />
guerra fratricida e magari, anche<br />
se in minima parte, avvicinare<br />
una soluzione pacifica» sostiene<br />
Simone Bruno, quarantenne<br />
romano residente a Bogotà. Nel<br />
paese che lo ospita ormai da<br />
una dozzina d’anni, Simone<br />
insegna giornalismo nelle università<br />
Javeriana e Central, fa<br />
il corrispondente per qualche<br />
testata informativa, dalle francesi<br />
«Radio France International»<br />
e «France 24» alla brasiliana<br />
«Opera Mundi» e soprattutto<br />
realizza video, spesso con lo stesso<br />
Romeo: il più conosciuto dei<br />
suoi lavori (fatto però con Dado<br />
Carrillo, operatore che lavorava<br />
per la sede Rai di New York) è<br />
il pluripremiato documentario<br />
“Falsos Positivos”, sulla barbara<br />
pratica dell’esercito colombiano<br />
di assassinare giovani innocenti<br />
in finti combattimenti, spacciar<br />
li per guerriglieri e ricavarne<br />
onori e taglie. «A far continuare<br />
un conflitto che dura da più di<br />
mezzo secolo è anche la sua<br />
invisibilità, la lontananza dalle<br />
grandi città, come Bogotà, dove<br />
la popolazione lo vive come se<br />
fosse un problema di un altro<br />
mondo. Visto che a morire sono,<br />
da una parte e dall’altra, nella<br />
guerriglia come nell’esercito,<br />
dei ragazzi degli strati più poveri<br />
della società, le statistiche dei<br />
morti rimangono numeri che<br />
non impressionano e commuovono<br />
nessuno. Ed è anche per<br />
questa indifferenza se troppo<br />
pochi colombiani si mobilitano<br />
per obbligare il governo ad impegnarsi<br />
per un reale accordo<br />
di pace. Anzi, spesso chi più<br />
lavora in questo senso, come ad<br />
esempio l’ex senatrice liberale<br />
Piedad Córdoba, viene tacciato<br />
di essere un fiancheggiatore della<br />
guerriglia e per questo vilipeso<br />
e minacciato» dice Simone. I<br />
colombiani non sono uguali da<br />
vivi e tanto meno da morti. Simone<br />
ricorda che, ad esempio,<br />
ci sia voluta l’uccisione di una<br />
coppia di ragazzi della borghesia<br />
bogotana sulla spiaggia di San<br />
Bernardo del Viento, sulla costa<br />
caraibica, da parte di un gruppo<br />
di narco-paramilitari per rendersi<br />
conto della barbarie della guerra<br />
anche in quel luogo di vacanza<br />
e per indurre il presidente Juan<br />
Manuel Santos a mettere una<br />
speciale taglia sugli assassini.<br />
E lo stesso discorso vale per<br />
Romeo. «Se non fosse stato un<br />
giornalista straniero, e ancora<br />
di più di un paese europeo, i<br />
media non gli avrebbero dedicato<br />
nessuna attenzione» afferma<br />
Simone, che sottolinea come i<br />
riflettori siano comunque sempre<br />
meno puntati sul conflitto<br />
armato così come sulla violenza<br />
che riguarda il narcotraffico.<br />
Parlando di quanto è successo a<br />
Romeo, Simone ricorda tutte le<br />
difficoltà del giornalista in una<br />
zona di conflitto. «Innanzitutto<br />
non è possibile viaggiare in<br />
certe regioni da soli, al di fuori<br />
dei centri urbani: si può essere<br />
scambiati per delle spie così<br />
come si può cadere in un campo<br />
minato. Senza che questo significhi<br />
minimamente parteggiare<br />
per gli uni o per gli altri, è quasi<br />
obbligatorio organizzarsi con<br />
una delle parti, l’esercito o la<br />
guerriglia. Il fatto di stare con un<br />
gruppo o l’altro può comportare<br />
dei rischi ma, secondo il Diritto<br />
Internazionale Umanitario, non<br />
significa la perdita dello stato di<br />
non-combattente» dice Simone.<br />
Il mini-reportage che avrebbero<br />
dovuto fare per «France 24»<br />
sarebbe servito a rimarcare lo<br />
71 | settembre 2012 | narcomafie<br />
stanco rituale della guerra, che<br />
ha indotto lo stesso presidente<br />
colombiano a suggerire, durante<br />
il vertice americano di Cartagena,<br />
un cambio di strategia della lotta<br />
al narcotraffico. Poi il caso, le<br />
disposizioni militari così come<br />
le variabili condizioni atmosfe-<br />
riche, hanno fatto sì che il solo<br />
Romeo partecipasse alla spedi-<br />
zione. Tornato libero, Romeo ha<br />
deciso di rientrare in Francia per<br />
curarsi il braccio, ricostruito con<br />
l’innesto di otto chiodi, e per<br />
riprendersi da un’avventura tre-<br />
menda, sebbene affrontata quasi<br />
sempre con serenità e leggerezza.<br />
A Bogotà rimane Simone che,<br />
come primo atto, ha ridato vita<br />
all’associazione della stampa<br />
straniera: ai tempi di Escobar si<br />
chiamava Ape (Asociación de<br />
Prensa extranjera), adesso si chiamerà<br />
Apic (Asociación de Prensa<br />
Internacional de Colombia).<br />
L’obiettivo dichiarato è quello di<br />
assicurare la massima sicurezza<br />
agli associati nella copertura<br />
informativa sul conflitto. «Non<br />
raccontare quello che succede<br />
è come nascondere la sporcizia<br />
sotto il tappeto. Rendere visibile<br />
il conflitto anche alla gente che<br />
vive nelle città contribuisce a far<br />
finire la guerra realmente e non<br />
solo sui giornali o in televisione»,<br />
dice Simone.<br />
«A far continuare<br />
un conflitto che<br />
dura da più<br />
di mezzo secolo<br />
è anche la sua<br />
invisibilità,<br />
la lontananza<br />
dalle grandi città,<br />
dove la popolazione<br />
lo vive come se<br />
fosse un problema<br />
di un altro mondo»
cronachesommerse<br />
di Andrea Giordano<br />
criminalità e dintorni<br />
72 | settembre 2012 | narcomafie<br />
Dopo Al Assad<br />
Se in Siria la reale presenza di<br />
Al Qaeda o di gruppi ad essa<br />
affiliati è ancora tutta da valutare<br />
con precisione, non lascia<br />
dubbi il fatto che sul terreno<br />
di guerra si sia intensificata<br />
l’attività dei jihadisti antigover<br />
nativi, nei cui ranghi combatte<br />
un numero sempre crescente di<br />
islamisti stranieri.<br />
Proprio la valenza religioso- religioso-<br />
estremista di molti proclami e<br />
rivendicazioni – messi in rete da<br />
gruppi prima sconosciuti, oggi<br />
attivi sul fronte ribelle – fa capire<br />
come la liberazione della Siria<br />
dall’attuale governo rappresenti<br />
per questi jihadisti il più urgente,<br />
ma certo non l’unico, obiettivo<br />
del conflitto.<br />
Lo stesso vale – per motivi diffe-<br />
renti – per i Paesi che assecondano<br />
l’attività dei ribelli in funzione<br />
antiregime ed antiiraniana (stati<br />
del Golfo come Arabia Saudita,<br />
Qatar, Emirati Arabi Uniti, accanto<br />
alla Turchia e agli Stati Uniti) o<br />
per quelli che invece difendono,<br />
per propri fini geostrategici, la so-<br />
pravvivenza dell’attuale governo<br />
siriano (Iran e Russia).<br />
La posta in gioco, insomma, è il<br />
disegno del nuovo Medio Oriente<br />
nell’era del dopo al Assad: uno<br />
scenario forse assai più prossimo<br />
di quanto si possa immaginare.<br />
Gli alleati del regime hanno scar- scar<br />
so margine d’azione: i russi, che<br />
in Siria hanno a Tartous una<br />
base navale, non dispongono del<br />
potenziale militare necessario<br />
– a parte le forniture di armi al<br />
governo di Damasco – per agire<br />
sullo scenario siriano, e restano<br />
quindi attivi sul fronte politicodiplomatico.<br />
Anche l’Iran non<br />
ha potuto fare molto: l’invio in<br />
Siria di sparute unità scelte delle<br />
Forze Quds iraniane non si è<br />
rivelato decisivo per le sorti del<br />
conflitto. L’Esercito siriano libero<br />
(Esl, principale forza paramilitare<br />
antigovernativa composta da<br />
disertori delle truppe regolari<br />
e da ribelli civili) ha tra l’altro<br />
annunciato quest’estate di aver<br />
catturato cinquanta presunte<br />
spie iraniane. Assai dubbio e<br />
non supportato da valide prove<br />
è invece il presunto intervento<br />
armato, nei mesi scorsi, dei miliziani<br />
sciiti libanesi di Hezbollah<br />
a fianco del regime siriano, e da<br />
Beirut i vertici del “Partito di<br />
Dio” lo hanno sempre smentito.<br />
Si amplia comunque la matrice<br />
confessionale degli scontri in<br />
Siria. I jihadisti sunniti salafiti<br />
non prendono solo di mira le<br />
minoranze locali – specie alawite<br />
e sciite – ma anche gli stranieri<br />
sciiti sospetti, e ciò ha già dato<br />
vita a violenze interconfessionali<br />
anche in Libano.<br />
Contro le truppe fedeli ad al Assad<br />
combattono i miliziani delle<br />
Kataeb Ahrar al Sham (Brigate<br />
libere della grande Siria), gruppo<br />
legato al più noto Jabhat al Nusra<br />
(Fronte per l’aiuto al popolo del<br />
Levante): a quest’ultimo, che<br />
si proclama nemico degli Stati<br />
Uniti e di Israele, vengono attribuiti<br />
attentati contro obiettivi<br />
governativi. In competizione con<br />
questa formazione armata sono<br />
attive in Siria le brigate Abdullah<br />
Azzam, gruppo panjihadista<br />
affiliato ad Al Qaeda ed attivo<br />
dal 2009 in Libano e penisola<br />
arabica. Anche militanti siriani<br />
recatisi in passato a combattere<br />
in Iraq sembrano avere riattraversato<br />
il confine per unirsi ai<br />
compatrioti ribelli. Questi ultimi,<br />
intanto, concentrano i loro sforzi<br />
sulla conquista dei territori settentrionali<br />
della Siria, per poter<br />
ricevere dalla Turchia aiuti e<br />
armi, finanziate in larga parte dal<br />
Qatar e dall’Arabia Saudita. Agli<br />
americani – che ufficialmente<br />
forniscono oggi ai membri “più<br />
accreditati” dell’opposizione solo<br />
sistemi di comunicazione “sicura”<br />
(tranne che per le orecchie<br />
della Cia) ed appoggio logistico<br />
– spetta il difficile compito di<br />
determinare quali gruppi ribelli<br />
siriani siano sufficientemente<br />
“affidabili” da ricevere armi. Gli<br />
Stati Uniti stanno anche valutando<br />
se aiutare l’opposizione a<br />
crearsi un servizio di intelligence,<br />
forse al fine di tenerla in qualche<br />
modo sotto controllo.<br />
Anche le potenze militari europee<br />
svolgono azioni di contrasto del<br />
regime: i francesi hanno inviato<br />
agenti dei servizi segreti (almeno<br />
alcune decine di essi sarebbero<br />
già stati catturati dall’esercito<br />
siriano) ed esperti militari. I<br />
tedeschi spiano, con speciali<br />
apparecchiature, i movimenti<br />
delle truppe lealiste in Siria da<br />
navi presenti al largo delle coste,<br />
i britannici dalle loro due basi<br />
a Cipro. Nessuno vuole restare<br />
fuori dai giochi nella prossima<br />
era del dopo al Assad. Con la<br />
speranza che la fase attuale – tra<br />
le tante vittime e profughi creati<br />
dal conflitto, e tutti i rischi legati<br />
all’attività estremista islamista,<br />
alla presenza di armi chimiche<br />
in Siria e persino alla catastrofica<br />
eventualità di un’estensione<br />
del conflitto – si riveli meno<br />
lunga ed insidiosa di quanto si<br />
potrebbe temere.
73 | settembre 2012 | narcomafie<br />
Scena criminis:<br />
violenza criminale<br />
e cinema fra<br />
Aurora e Venezia<br />
di Francesco Strazzari<br />
Correva il 1996, e in un cinema<br />
di Torrance, California, un<br />
uomo venne ucciso e due teenagers<br />
feriti durante la proiezione<br />
di Set it off, storia di una gang<br />
femminile che si dà alle rapine<br />
a mano armata. La sparatoria<br />
aveva tutta l’aria di essere una<br />
resa dei conti fra gang rivali,<br />
e per prevenire ritorsioni in<br />
tutte le sale in cui si mostrava<br />
la pellicola venne piazzata una<br />
security armata.<br />
Da sempre la strada e lo schermo<br />
si inseguono, e il cinema riflette<br />
le inquietudini che innervano<br />
l’ordine sociale e morale<br />
di un luogo e di un tempo, i<br />
fondamenti di cosa sia bene e<br />
cosa sia male. L’idea che i mass<br />
media – e il cinema fra gli altri<br />
– alimentino livelli ingiustificati<br />
di paura e allarme attorno al<br />
diffondersi della criminalità,<br />
condizionando le risposte di<br />
società e politica (e gonfiando<br />
i conti della home security industry)<br />
è probabilmente vecchia<br />
quanto i mass media stessi. Nel<br />
rispecchiarsi di immagini con<br />
immagini e di storie con storie, i<br />
film riflettono idee correnti e al<br />
tempo stesso danno loro forma,<br />
in un gioco infinito di sguardi e<br />
rimandi, fra arte e realtà.<br />
Storicamente il genere crime<br />
movie – se di un solo genere si<br />
può parlare, contandosi ormai<br />
circa 10.000 titoli – si è nutrito<br />
di un doppio movimento,<br />
cullando una sorta di larvale<br />
ipocrisia: da una parte esponeva<br />
sul grande schermo la critica<br />
di alcuni aspetti della società,<br />
spesso portando lo spettatore<br />
a identificarsi con il “cattivo<br />
buono” che li sfida. Al tempo<br />
stesso, in un susseguirsi di<br />
vicende adrenaliniche in cui<br />
sublimare il thrill tenuto sempre<br />
più lontano dalle poltrone<br />
di casa, la narrazione portava<br />
per mano verso un epilogo che<br />
immancabilmente segnava il<br />
ritorno all’ordine morale, anche<br />
se questo spesso significava<br />
assistere alla sacrificio del “criminale”.<br />
A partire dagli anni 70<br />
arrivarono però film assai meno<br />
rassicuranti, storie in cui non<br />
è data salvezza per nessuno, e<br />
in cui il meglio assomigliava<br />
al peggio: la nozione di eroe<br />
sfumava, l’identificazione del<br />
criminale si rivelava dubbia,<br />
la redenzione impossibile.<br />
Dall’Arancia Meccanica di<br />
Kubrick ai Crimini Invisibili<br />
di Wenders, fino a Mystic River<br />
di Eastwood – l’indagine sulle<br />
origini e sulle conseguenze della<br />
violenza criminale puntava a<br />
toccare le corde più profonde.<br />
Oggi si potrebbe pensare che<br />
la violenza andata in scena lo<br />
scorso 20 luglio nel cinema<br />
Aurora, in Colorado, mentre<br />
sullo schermo scorrevano le<br />
immagini di The Dark Knight<br />
Rises (12 morti e 58 feriti per<br />
mano di un giovane travestito<br />
da nemico di Batman), riporti gli<br />
studios a interrogarsi sul nesso<br />
che esiste fra rappresentazione<br />
e violenza, e a chiedersi fino a<br />
che punto, in tempi segnati da<br />
“guerra al terrore” e recessione<br />
economica, la cultura popolarcommerciale<br />
risulti desensibilizzata<br />
rispetto alle implicazioni<br />
della violenza.<br />
Le immagini proiettate da Hollywood<br />
oggi sono ben diverse<br />
da quelle che accompagnarono<br />
la Grande Depressione, quando<br />
l’industria cinematografica<br />
americana era impegnata a spandere<br />
a piene mani ottimismo<br />
e lieti fini. Del resto è un fatto<br />
che sino agli anni 50 il Motion<br />
Picture Production Code proibiva<br />
la rappresentazione nei<br />
Segnali
Segnali<br />
film di traffico e uso di droga,<br />
nonché di “tratta delle bianche”<br />
– precursore illustre del<br />
women trafficking odierno nel<br />
tracciare le linee dell’allarme<br />
sociale. Fu l’avvento della civiltà<br />
televisiva di massa che<br />
spinse il cinema a infrangere<br />
il codice di autocensura per<br />
sottrarre pubblico giovane alle<br />
poltrone di casa. Nel 1967 il sorprendente<br />
successo di incassi<br />
della ribellione armata e del<br />
“martirio” di Warren Beatty e<br />
Faye Dunaway in Bonnie and<br />
Clyde segnarono un momento<br />
in cui il crime movie palesava<br />
una crescente insofferenza per<br />
autorità, tradizione e controllo<br />
sociale.<br />
È in qualche modo significativo<br />
che il film su Batman interrotto<br />
nel sangue ad Aurora è stato<br />
preceduto e accompagnato da<br />
un martellante battage pubblicitario<br />
che ha seguito i canoni<br />
del noir virato verso l’horror.<br />
Nel clima di sgomento che segue<br />
il massacro la Warner Bros<br />
decide di posticipare l’uscita di<br />
Gangster Squad, attesa pellicola<br />
che riunisce un cast di grande<br />
richiamo (Ryan Gosling, Sean<br />
Penn, Nick Nolte ed Emma Stone)<br />
attorno alla storia vera di<br />
Mickey Cohen: ancora una volta<br />
un criminale di spicco dei tempi<br />
del proibizionismo, ritratto nei<br />
racconti di Paul Lieberman sul<br />
«Los Angeles Times». Il film ha<br />
un problema piuttosto evidente<br />
per il pubblico del 2012: mostra<br />
una sparatoria in un cinema.<br />
Diventerà dunque un titolo di<br />
punta per il 2013.<br />
L’episodio non deve trarre in<br />
inganno: a un livello più profondo<br />
e meno sintomatico, la<br />
deriva non si arresta. La 69ª<br />
edizione del Festival di Venezia<br />
da poco conclusasi, proponen-<br />
74 | settembre 2012 | narcomafie<br />
dosi come vetrina della stagione<br />
cinematografica a venire, oltre<br />
che come passarella di stili e<br />
gusti, ne ha dato una conferma,<br />
proponendo crime movies che<br />
in qualche modo rinfocolano il<br />
dibattito.<br />
The Iceman, di Avrel Vromel,<br />
solleva la domanda di quanto<br />
ancora possa un paese dove ormai<br />
si contano decine di episodi<br />
di sparatorie indiscriminate,<br />
tributare alla violenza in serie<br />
un po’ il meglio del proprio<br />
cinema di appeal commerciale<br />
e popolare, proponendo<br />
rappresentazioni formalmente<br />
impeccabili e filmicamente avvincenti.<br />
Vi si racconta la vita<br />
di Richard Kuklinski, gunman<br />
al soldo di varie famiglie del<br />
crimine organizzato newyorkese,<br />
morto nel 2006 in carcere<br />
con più di 100 esecuzioni a<br />
sangue freddo sulla coscienza.<br />
Accanto a Michael Shannon, nel<br />
ruolo del mastodontico killer, e<br />
Winona Ryder, nel ruolo della<br />
esile mogliettina ignara, The<br />
Iceman ha riportato a Venezia<br />
un Ray Liotta comprimario di<br />
lusso, dopo l’indimenticato Goodfellas.<br />
Solo che mentre in<br />
Goodfellas lo spettatore restava<br />
sospeso fra l’ilare e l’orribile,<br />
in The Iceman è l’orribile a<br />
venire normalizzato: Kuklinski<br />
ammazza impunemente e senza<br />
timore, congela i cadaveri e li<br />
taglia metodicamente a pezzi<br />
per renderli irriconoscibili,<br />
ma – e qui sta la chiave della<br />
normalizzazione – non uccide<br />
per principio donne e bambini,<br />
oltre ad essere un marito<br />
modello e un padre premuroso<br />
dentro le mura di casa. Anzi<br />
la macelleria umana di cui si<br />
macchia è quasi l’insostenibile<br />
prezzo che paga per consentire<br />
un’esistenza agiata e borghese<br />
a moglie e figlie. Del resto aveva<br />
avuto un’infanzia difficile,<br />
crescendo a suon di botte – e<br />
questo, in una cultura che preferisce<br />
glissare sul tema della<br />
scelta, in qualche modo spiega,<br />
attenua e induce comprensione:<br />
prima ancora che esca il film la<br />
figura di Kuklinski impazza su<br />
youtube. A volerla dire tutta, in<br />
fondo è rappresentato come uno<br />
che fa il suo mestiere, professionalmente,<br />
senza falsi rimorsi<br />
e – fin che può – senza perdere<br />
il controllo. Nel film la polizia si<br />
vede una sola volta, sull’ultima<br />
scena, quando viene arrestato<br />
mentre sale in macchina davanti<br />
alla moglie esterrefatta.<br />
Con Outrage Beyond, la cui<br />
lavorazione e uscita sono state<br />
ritardate dalla catastrofe di<br />
Fukushima, Takeshi Kitano è<br />
invece tornato a scandagliare<br />
le imprevedibilità del gioco di<br />
sponda e protezione fra polizia<br />
e mafia, partendo letteralmente<br />
dall’assunto – nemmeno troppo<br />
provocatorio – che la yakuza<br />
controlli “la politica”, e che<br />
quest’ultima non sia che una<br />
risorsa fra le altre, nemmeno<br />
meritevole della manciata di<br />
secondi di riprese in cui solitamente<br />
un qualche altro quadro<br />
da dietro una scrivania striglia il<br />
commissario di turno sul volere<br />
di qualche governatore incalzato<br />
dall’opinione pubblica.<br />
L’unico ministro che si vede<br />
appare in una foto fra le altre che<br />
lo ritrae in una posa di coppia<br />
decisamente imbarazzante, e<br />
lo spettatore non legge nulla di<br />
irrealistico in questa nota grottesca.<br />
A parte un giovane ispettore<br />
tanto pedante nel richiamare<br />
leggi e procedure quanto<br />
irrilevante, gli uomini dello<br />
stato stanno lì a manipolare i<br />
complessi equilibri fra territori
e le famiglie mafiose dei Sanno<br />
e degli Hanabishi a proprio<br />
beneficio di carriera. Il film ha<br />
il merito di scomporre il gioco<br />
in un caleidoscopio di alleanze:<br />
non c’è organizzazione che non<br />
sia divisa, non c’è acquisizione<br />
che non sia precaria. Sullo<br />
sfondo c’è, certo, l’eterno tema<br />
dello scontro fra codici d’onore<br />
e lealtà mutevoli secondo le<br />
opportunità: fra inchini servili<br />
e punizioni orribili, Kitano ha<br />
il merito di mostrare una surreale<br />
riunione dei Sanno in cui<br />
la cordata rampante annuncia<br />
l’avvento di un’era in cui sarà<br />
il solo criterio meritocratico<br />
della valutazione della produttività<br />
a guidare il management<br />
della yakuza nel taglio dei rami<br />
criminali secchi. Come dire<br />
“basta con clientelismo e nepotismo<br />
che piaga il successo del<br />
crimine organizzato”. Peccato<br />
che il fondamento del potere<br />
sia sempre il tradimento, e in<br />
fondo l’uccisione del padre:<br />
sarà lo stesso Kitano a vestire<br />
i panni di un integro veterano<br />
criminale che rifiuta l’ordito<br />
criminale dell’antimafia a ristabilire<br />
un po’ d’ordine, quasi<br />
controvoglia, a furia di colpi di<br />
teste trapanate e colli spezzati,<br />
fino ad arrivare, senza degnarla<br />
nemmeno di un climax o di<br />
un inseguimento, all’origine<br />
del problema, il commissario<br />
che gioca al criminale senza<br />
pagare dazio.<br />
Se ci si allontana dalle immagini<br />
in movimento e si prova<br />
a guardare a cinema e crimine<br />
in una prospettiva di analisi<br />
storica della narrazione culturale,<br />
per quanto il traboccare<br />
di sezioni noir nelle librerie<br />
potrebbe suggerire il contrario,<br />
appare che in realtà la crescita<br />
numerica di crime movies non<br />
è particolarmente significativa.<br />
Sui grandi numeri ciò che<br />
invece cambia – come è stato<br />
illuminato da chi ha svolto<br />
con sistematicità l’analisi dei<br />
contenuti – è piuttosto la rappresentazione<br />
che viene data<br />
di crimine e ordine sociale.<br />
Nei film è la natura del crimine<br />
che muta, mentre la violenza e<br />
il livello di minaccia crescono,<br />
e così anche la sofferenza che<br />
viene inflitta alle vittime. Soprattutto,<br />
per combattere questo<br />
trend la polizia assume sempre<br />
più spesso connotati da cliché<br />
eroico, e con esso è legittimata<br />
nell’uso di metodi sempre<br />
meno ortodossi, dipinti dapprima<br />
come concessioni tattiche,<br />
pratiche borderline per ottenere<br />
risultati legittimamente attesi<br />
nella guerra contro crimini<br />
ripugnanti, e poi sempre più<br />
senz’altro controllo che la certezza<br />
di essere dalla parte del<br />
bene, fino a prendere il largo.<br />
Diminuisce la probabilità che in<br />
un film il criminal offender sia<br />
assicurato alla giustizia. La storia<br />
tipicamente si dipana negli<br />
interstizi dell’extralegalità, fra<br />
le maglie di ciò che dovrebbe<br />
essere la procedura di legge<br />
uguale per tutti.<br />
La televisione non fa eccezione,<br />
prendendo sempre più temi e<br />
modi dal cinema. Se in Italia<br />
ha avuto successo il torbido<br />
e tormentato Felice Maniero<br />
televisivo di Faccia d’Angelo,<br />
e negli Stati Uniti orfani dei<br />
Sopranos impazza Boardwalk<br />
Empire, in Francia i record di<br />
ascolto sono superati da Braquo<br />
(termine gergale per braquage,<br />
o rapina a mano armata), serie<br />
a tinte scure firmata dalla mano<br />
abile di Olivier Marchal (già<br />
regista, fra gli altri, del nerissimo<br />
poliziesco di 36 Quai des<br />
75 | settembre 2012 | narcomafie<br />
Orfèvres). Forse eccessiva per<br />
il prime time italiano, la serie<br />
è passata dalle frequenze di<br />
Fox Crime e Rai4: siamo nel dipartimento<br />
di polizia dell’Alta<br />
Senna, fra sbirri cattivi tormentati<br />
dal dilemma, una squadra<br />
d’assalto che affonda, precipitando<br />
in una spirale di malinteso<br />
senso di giustizia personale,<br />
invischiandosi – di necessità in<br />
necessità, di ricatto in ricatto,<br />
di trappola in trappola – in ogni<br />
affare sordido, dal pagamento<br />
con droga fino all’esecuzione<br />
extra-giudiziaria. Figure complesse,<br />
mai pienamente negative,<br />
che – pur braccate dalle<br />
indagini di una Disciplinare<br />
interna che non lesina abusi<br />
di ogni sorta per incastrarle<br />
– oltrepassano la linea gialla<br />
per avere l’ultima parola sui<br />
criminali efferati che sono sfuggiti<br />
ai loro metodi di controllo.<br />
Braquo è una contorta catena di<br />
scorrettezze e omicidi. Si dipana<br />
lungo continue invenzioni<br />
di sceneggiatura che portano<br />
uomini sempre più disperati<br />
in un terreno che conoscono<br />
sempre meno, senza avere altro<br />
che la propria presunta buona<br />
fede. Il tutto fotografato a tinte<br />
scure, con le pause dove vanno<br />
messe le pause, a suggerire che<br />
in fondo non c’è né salvezza né<br />
speranza. Di questa rappresentazione<br />
senza illusione lo spettatore<br />
avverte tangibile un alto<br />
grado di aderenza alla “realtà”.<br />
In qualche misura, il successo<br />
di queste motion pictures del<br />
mondo sospeso dove trascolorano<br />
legge e crimine, bene e<br />
male, impone di interrogarsi su<br />
quale realtà finisce, di film in<br />
film, per essere comunemente<br />
accettata come non problematica,<br />
e su quali miti e ideologie<br />
vi trovino alimento.<br />
Segnali
Luca Scornaienchi<br />
Monica Catalano<br />
LoLLÒ cartisano<br />
L’u L Ltima L Foto<br />
aLLa ‘ndrangheta<br />
Round Robin<br />
pagine 116<br />
euro 15,00<br />
Foto ricordo<br />
di Elisa Latella<br />
Un attimo di passato che ridiventa<br />
presente, proprio come<br />
accade guardando le fotografie.<br />
È questo Lollò Cartisano<br />
l’ultima foto alla ’ndrangheta,<br />
romanzo a fumetti realizzato<br />
a quattro mani da Luca Scornaienchi<br />
e Monica Catalano,<br />
pubblicato nel 2011 dalla casa<br />
editrice Round Robin. I fumetti<br />
sono l’inizio, il modo per<br />
raccontare “a chi allora non<br />
c’era”, la storia del diciottesimo<br />
sequestro della ’ndrangheta a<br />
Bovalino, avvenuto il 22 luglio<br />
del 1993. Il rapimento di un<br />
fotografo, Adolfo Cartisano,<br />
detto Lollò, che aveva ritratto<br />
i paesaggi più belli, i matrimoni<br />
più felici di Bovalino,<br />
ma che si era sempre categoricamente<br />
rifiutato di pagare<br />
il pizzo, chiamando la polizia<br />
di fronte a qualsiasi richiesta<br />
di estorsione. E così, a partire<br />
dal titolo, Lollò Cartisano diventa<br />
il simbolo del coraggio<br />
che guarda le cose in faccia, le<br />
chiama per nome, le “fotografa”.<br />
Sì, perché la ’ndrangheta<br />
ama i sottintesi, il non detto,<br />
i “ci siamo capiti”.<br />
Le fotografie invece non mentono.<br />
Parlano chiaro, non ingentiliscono<br />
una realtà che<br />
gentile non è. E Lollò Cartisano<br />
diventa quindi una foto alla<br />
’ndrangheta, l’ultima, la sua<br />
storia racconta ciò che il crimine<br />
organizzato è stato, ed è,<br />
a Bovalino, nella Locride.<br />
Attraverso il viaggio di un protagonista<br />
di fantasia, il reporter<br />
Gino Durante, le tavole dei<br />
fumetti che occupano le prime<br />
76 | settembre 2012 | narcomafie<br />
ottanta pagine ripercorrono gli<br />
itinerari e le strade che portano<br />
alla montagna di Pietra Cappa.<br />
Uno dei luoghi più suggestivi di<br />
tutta la Calabria, un luogo che<br />
Cartisano amava fotografare:<br />
oggi è la meta della marcia<br />
omonima, organizzata da Libera<br />
per tenere viva la memoria di<br />
questa persona e delle altre<br />
vittime innocenti di mafia,<br />
attraverso un momento di riflessione<br />
collettiva. Perché in<br />
quella stessa montagna il corpo<br />
del fotografo venne ritrovato<br />
dopo lunghi anni di ricerche. E<br />
il libro edito dalla Round Robin<br />
diventa a sua volta un viaggio<br />
all’interno di una terra dove le<br />
cosche sembrano condizionare<br />
tutto; ma finché c’è qualcuno<br />
che decide di resistere, non<br />
tutto è perduto.<br />
E sembra apparire spontaneamente<br />
tra le pagine,<br />
nei disegni, nelle<br />
frasi del fumetto,<br />
Bovalino: ma in realtà<br />
è una Bovalino<br />
osservata, studiata,<br />
“fotografata” da<br />
Luca Scornaienchi<br />
che afferma: «Ho<br />
sentito un peso<br />
enorme nel dover<br />
raccontare la storia<br />
e la tragedia di un<br />
uomo, e la storia e<br />
la tragedia di una<br />
famiglia, che hanno<br />
pagato un prezzo<br />
troppo alto, il più<br />
alto possibile per<br />
avere avuto il coraggio<br />
di opporsi<br />
alla malavita. Per tanto tempo<br />
ho camminato, con agendine e<br />
pennarelli, che ho riempito di<br />
schizzi e d’idee. Non c’è stata<br />
una sola città, bar, caffetteria o<br />
puzzolente vagone di treno in<br />
cui non abbia annotato almeno<br />
una frase… di questo piccolo<br />
romanzo illustrato».<br />
Un racconto ironico e tragico,<br />
che è la cronaca di un passato<br />
unita alla riflessione sul presente.<br />
È l’immaginario Gino Durante,<br />
che insieme ai personaggi<br />
che incontra nel suo viaggio<br />
verso Pietro Cappa ricostruisce<br />
attraverso i loro racconti – e<br />
attraverso i loro silenzi – l’intera<br />
tragedia del rapimento: il<br />
sequestro, la mobilitazione e<br />
la nascita del comitato “Bovalino<br />
libera”, l’arrivo del capo<br />
della polizia Vincenzo Parisi,<br />
gli appelli di Giovanni Paolo II
per chiedere la liberazione dei<br />
sequestrati fino al ritrovamento<br />
del corpo. Quando finisce<br />
il fumetto, con il severissimo<br />
monito “Però forse non te ne<br />
sei accorto, ma qui è già notte<br />
da un pezzo” comincia il dietro<br />
le quinte. Vale a dire, quando<br />
finisce una notizia, è lì che inizia<br />
la storia, con la volontà di<br />
raccontare storie dimenticate,<br />
di diffondere l’impegno contro<br />
le mafie, obiettivo della collana<br />
“Libeccio” in cui la Round Robin<br />
ha collocato questo libro,<br />
nome del vento che soffia dal<br />
Sud, simbolo di un cambiamento<br />
endogeno.<br />
E se il fumetto è un modo nuovo<br />
per raccontare un passato ancora<br />
troppo recente, le pagine che<br />
impreziosiscono notevolmente<br />
il libro sono quelle che ritroviamo<br />
al termine del fumetto.<br />
Si tratta della testimonianza<br />
della figlia Deborah, tornata<br />
in Calabria dopo alcuni anni<br />
trascorsi all’estero che ricorda<br />
come il padre spesso ripeteva:<br />
«Ma se andiamo tutti via,<br />
chi rimane qui?» e mostrava<br />
orgogliosamente «agli amici<br />
del Nord» la maestosa montagna<br />
di Pietra Cappa, senza<br />
sapere che avrebbe trascorso lì<br />
gli ultimi mesi della sua vita.<br />
Il vescovo Giancarlo Maria<br />
Bregantini racconta invece di<br />
aver ricevuto nell’estate del<br />
2003 la stessa lettera recapitata<br />
contemporaneamente ai<br />
familiari di Lollò: scritta in<br />
dialetto stretto da un carceriere<br />
pentito che spiega dov’è<br />
sepolto il corpo, a Pietra Cappa.<br />
E ancora: Lucetta Sanguinetti<br />
che idealmente scrive a Lollò,<br />
18 anni dopo il suo sequestro,<br />
una lettera che lui non potrà<br />
mai leggere e in cui racconta<br />
la lotta iniziata con Deborah<br />
perché non calasse il silenzio<br />
su quella tragedia: lettere<br />
ad amministratori, richieste a<br />
magistrati, ad avvocati specializzati<br />
in sequestri, l’incontro<br />
con la madre di Cesare Casella,<br />
quello con don Luigi Ciotti, gli<br />
interventi sulla stampa.<br />
Lo Stato da solo non riesce<br />
a dare una risposta a quelle<br />
domande disperate, domande<br />
che però arrivano all’anima di<br />
un innominato carceriere, forse<br />
addirittura un conoscente del<br />
fotografo (in paese bene o male<br />
ci si conosce tutti), il quale un<br />
giorno, un giorno strano, scrive<br />
alla signora Mimma (anche lei<br />
sequestrata insieme al marito,<br />
ma liberata dopo poche ore)<br />
“la lettera”.<br />
Una lettera con cui finisce la<br />
storia del sequestro e inizia<br />
un’altra disperata ricerca: quella<br />
del perdono.<br />
La logica del perdono è inversa<br />
a quella della vendetta,<br />
e, fermi restando i percorsi di<br />
giustizia, può essere l’inizio<br />
nella Locride di una cultura<br />
della non violenza. E della<br />
libertà. Libertà di informare,<br />
come racconta Luigi Politano,<br />
di «rivistaonline.com». Libertà<br />
di raccontare ciò che è stato<br />
con fedeltà, come avviene nel<br />
contributo “Sequestratori e sequestrati”<br />
di Danilo Chirico e<br />
Alessio Magro, che ripercorre<br />
il contesto degli anni in cui si<br />
verifica il sequestro del fotografo,<br />
i cortei in piazza per la<br />
liberazione, la Bovalino migliore<br />
che protesta, il ministro<br />
dell’Interno Nicola Mancino<br />
che non si fa vedere e manda<br />
il sottosegretario, le indagini<br />
a rilento, il pagamento del riscatto<br />
di nascosto da parte della<br />
famiglia esasperata, pagamento<br />
che non porta a nulla.<br />
77 | settembre 2012 | narcomafie<br />
Dal ritrovamento sembra che<br />
Lollò Cartisano sia morto tra il<br />
27 dicembre 1993 ed il 7 gennaio<br />
1994. L’11 gennaio 1994<br />
i magistrati di Reggio Calabria<br />
dispongono un blitz contro le<br />
famiglie Modafferi, Morabito<br />
e Gligora.<br />
Seguono il processo, le condanne.<br />
Il fotografo comunque non<br />
tornerà più a casa. I funerali si<br />
celebrano il 3 agosto 2003. Una<br />
croce si trova nel posto in cui è<br />
stato ritrovato e le pietre vicine<br />
sono state colorate. Quello è<br />
diventato il luogo di un nuovo<br />
inizio, di un nuovo cammino<br />
nell’Aspromonte dei sequestri,<br />
la meta di una marcia di<br />
meditazione a cui partecipano<br />
anche i familiari di altre vittime<br />
della ’ndrangheta. Storie che si<br />
confrontano: ci sono orfani, vedove,<br />
persone che hanno perso<br />
fratelli. Quando scompare una<br />
persona così vicina a noi, in un<br />
certo senso è la vita trascorsa<br />
insieme che si interrompe. Ne<br />
comincia un’altra, diversa. Una<br />
vita in cui i Cartisano vivono<br />
ancora a Bovalino, hanno ancora<br />
il negozio di foto davanti<br />
al quale quel carceriere pentito<br />
sarà passato tante volte, una vita<br />
in cui Deborah Cartisano lavora<br />
per Libera e la signora Mimma<br />
collabora con l’associazione<br />
don Milani di Gioiosa Ionica.
del mese a cura di Marika Demaria<br />
SHARE<br />
SHAREle segnalazioni<br />
libri<br />
Rosario Esposito La Rossa,<br />
Sotto le ali dell’airone,<br />
Marotta e Cafiero<br />
Casal di Principe, 18 febbraio<br />
2002. Alla vigilia di un’impor-<br />
tante udienza del processo che<br />
vede alla sbarra il clan La Torre,<br />
Federico Del Prete viene ucciso<br />
nella sede del Sindacato nazionale<br />
autonomo ambulanti, da lui fondato<br />
a Casal di Principe. Il giorno<br />
dopo, il sindacalista avrebbe dovuto<br />
deporre a quel processo, dando<br />
voce alle numerose denunce da<br />
lui compiute.<br />
Paolo Miggiano racconta gli ultimi<br />
anni di vita dell’uomo che<br />
“A testa alta” ha portato avanti<br />
78 | settembre 2012 | narcomafie<br />
Lo sport<br />
come riscatto<br />
“Ogni bambino ha il diritto di non<br />
essere un campione”, cioè ha il<br />
diritto di condurre una vita nor<br />
male. Anche in quartieri difficili<br />
come la periferia nord di Napoli.<br />
A prendere per mano cinque<br />
cento bambini che lì abitano ci<br />
ha pensato Rosario Esposito La<br />
Rossa, giovane scrittore e attore<br />
teatrale, già autore di Al di là della<br />
neve e direttore della “Marotta<br />
e Cafiero”, storica casa editrice<br />
rilevata insieme all’artista e compagna<br />
Maddalena Stornaiuolo . Il<br />
Ricordando Paolo Miggiano<br />
associazionismo<br />
Cultura itinerante<br />
Daniele Biacchessi è il presidente<br />
della neonata associazione “Ponti<br />
di memoria”, composta da artisti<br />
di ogni genere (musicale, teatrale,<br />
letterario). Nel proprio Dna, «la<br />
diffusione e la promozione della<br />
cultura della memoria italiana<br />
attraverso festival di musica,<br />
cinema, teatro, arti visive, wor-<br />
la sua lotta all’estorsione e al<br />
racket, nonostante le minacce<br />
e le intimidazioni ricevute. Il<br />
libro vanta la prefazione del<br />
magistrato Raffaele Cantone ed<br />
è stato scritto con la collaborazione<br />
di Gennaro Del Prete,<br />
figlio della vittima di camorra a<br />
cui oggi è anche intitolata una<br />
sede antiracket a Mondragone.<br />
Il libro è dedicato ai parenti delle<br />
vittime innocenti; i proventi<br />
delle vendite saranno destinati<br />
al finanziamento di borse studio<br />
sui temi della legalità.<br />
kshop didattici, rassegne letterarie,<br />
iniziative editoriali».<br />
L’associazione “Ponti di memo-<br />
ria” esporterà inoltre in tutta<br />
Italia il format “La città dei nar-<br />
ratori”: una carovana viaggiante<br />
incentrata tanto sui concerti di<br />
musica d’autore quanto su pièces<br />
di teatro civile.<br />
23enne di Scampia ha percorso<br />
l’Italia raccontando anche la sua<br />
esperienza di familiare di vittima<br />
di mafia: suo cugino Antonio Landieri<br />
fu ucciso a 25 anni durante<br />
la faida di Scampia: scambiato<br />
per uno spacciatore del rione,<br />
a causa della sua disabilità non<br />
riuscì a scappare e fu raggiunto<br />
dai proiettili.<br />
Con il suo ultimo libro, Rosario<br />
Esposito La Rossa regala ai lettori<br />
la storia di bambini considerati<br />
“di frontiera”, ai margini, che<br />
si riscattano grazie al gioco del<br />
calcio, imparando a rispettare le<br />
regole dello sport e della vita.<br />
Paolo Miggiano,<br />
A testa alta,<br />
Di Girolamo Editore<br />
Per seguire le iniziative<br />
promosse dall’associazione:<br />
http://www.facebook.com/<br />
AssociazionePontidimemoria
eventi<br />
Nord e Sud, insieme<br />
Promuovere le esperienze di rete<br />
e il protagonismo dei giovani,<br />
attraverso progetti avviati nel<br />
Mezzogiorno. Questo l’obiettivo<br />
principale della Fondazione con<br />
il Sud, organizzatrice della due<br />
giorni “A Torino, con il Sud”.<br />
L’iniziativa si svolgerà il 28 e<br />
il 29 settembre sulla piazza dei<br />
Mestieri del capoluogo piemontese:<br />
circa 600 i partecipanti<br />
attesi da tutta Italia per trattare<br />
temi quali classe dirigente e<br />
fuoricatalogo<br />
formazione del terzo settore,<br />
la scuola, la legalità e i beni<br />
confiscati alle mafie, nel corso<br />
della giornata d’apertura. Le<br />
“buone prassi” che si sono rivelate<br />
vincenti al Sud e che per<br />
questo potrebbero essere mutuate<br />
anche al Nord saranno invece<br />
al centro della seconda giornata<br />
di lavori, alla quale prenderà<br />
parte anche il Presidente della<br />
Repubblica Giorgio Napolitano.<br />
(foto di Gianpaolo Sarlo)<br />
79 | settembre 2012 | narcomafie<br />
bando di concorso<br />
Ciak, si gira<br />
Anche quest’anno Sos Impresa<br />
promuove il bando “Giovani<br />
reporter contro il racket<br />
e l’usura”, rivolto ai giovani<br />
di età compresa tra i 14 e i<br />
29 anni (divisi in due categorie,<br />
studenti fino ai 18 anni e<br />
giovani autori). Gli aspiranti<br />
vincitori, entro il 15 ottobre,<br />
dovranno presentare articoli,<br />
video o fotoinchieste che abbiano<br />
come tema centrale il<br />
racket, l’usura e le relazioni<br />
tra la criminalità e l’economia.<br />
La premiazione avverrà il 21<br />
novembre a Roma nell’ambito<br />
del “No usura day”; la giuria<br />
sarà composta da Lorenzo Diana,<br />
Giovanni Tizian, Marcello<br />
Ravveduto, Emiliano Mancuso<br />
e presieduta da Alberto Neraz-<br />
All’origine della “domanda di mafia”<br />
Il bisogno di mafia. Oggi se ne parla e straparla in libri, articoli e convegni. Il concetto è ormai noto al grande pubblico e spesso<br />
utilizzato per spiegare l’avanzata delle organizzazioni mafiose fuori dai territori d’origine. L’espressione però non è saltata<br />
fuori dal nulla. Ha un’origine precisa, che merita di essere conosciuta poiché costituisce uno spartiacque nell’orizzonte di interpretazioni<br />
del fenomeno criminale e dunque anche dei metodi per contrastarlo.<br />
Era il 1992 quando il sociologo Diego Gambetta scriveva “La mafia siciliana. Un’industria della protezione privata” e nell’introduzione<br />
spiegava: «Il fatto che mentre alcuni cadono vittime di estorsione, molti altri sono clienti volontari dei mafiosi è<br />
emerso sin dal secolo scorso, ma le sue implicazioni non sono mai state indagate a fondo».<br />
Secondo Gambetta la mafia è un’industria che «produce, promuove e vende protezione privata» rispondendo ad un deficit di<br />
fiducia presente in alcuni mercati. La “domanda di servizi mafiosi” può provenire dalla politica (che in cambio può fornire impunità<br />
e possibilità di fare affari), ma può derivare anche dall’inefficienza della giustizia civile, dalla corruzione – la protezione<br />
mafiosa garantirebbe gli accordi – e dall’esistenza di traffici illeciti, che non potrebbero servirsi di altre protezioni se non di<br />
quelle collocate fuori dalla legalità. La mafia funziona dove lo Stato è assente, magari anche a minor costo e con migliori risultati.<br />
“La riluttanza” a sposare questa interpretazione, scrive però Gambetta, «è forse spiegabile con la difficoltà di conciliare<br />
l’idea che la mafia offra un vero e proprio servizio con quella che essa sia un male sociale da combattersi», perciò ci si rifugia<br />
(ancora oggi) nella lettura che vuole i mafiosi semplici estorsori e descrive una falsa, netta contrapposizione tra società legale<br />
e mafia. La disponibilità di servizi mafiosi, secondo il sociologo, spiegherebbe invece anche perché nel rapporto tra Stato e<br />
mafia si sia registrata spesso «la predilezione per contrattare con la mafia piuttosto che combatterla».<br />
La prima edizione del libro risale al 1992. Da allora l’analisi sulla mafia si è ulteriormente evoluta e arricchita, ma il testo di<br />
Gambetta rimane una pietra miliare, un contributo fondamentale per non cadere, ancora oggi, nella tentazione di interpretazioni<br />
più rassicuranti. Perciò ve lo raccomandiamo.<br />
Diego Gambetta, La mafia siciliana. Un’industria della protezione privata, Einaudi 1992<br />
zini. L’anno scorso erano stati<br />
visionati 29 reportage, provenienti<br />
da undici regioni.<br />
Per ulteriori informazioni:<br />
http://tinyurl.com/<br />
sosimpresa-Bando<br />
a cura di Elena Ciccarello
Le banche<br />
nel mirino<br />
dei narcos<br />
Gran parte del denaro sporco proviene<br />
dal traffico delle droghe che,<br />
nella graduatoria mondiale, occupa,<br />
da decenni, il secondo posto,<br />
subito dopo il petrolio e prima<br />
del commercio di armi. In Italia<br />
fonti autorevoli indicano in oltre<br />
400 milioni di euro la “produzione”<br />
giornaliera dell’industria<br />
del riciclaggio. La Banca d’Italia<br />
valutava (ottobre 2011) al 10%<br />
del Pil nazionale il quantitativo<br />
di denaro “ripulito”, indicando<br />
la cifra di oltre 150 miliardi di<br />
euro, mentre stime Eurispes e<br />
dell’Osservatorio Confesercenti<br />
(giugno 2011) lo fissavano a 110<br />
miliardi di euro.<br />
A livello mondiale, secondo il<br />
Fondo monetario internazionale<br />
(Fmi), il riciclaggio si attesterebbe<br />
intorno al 5% del Pil. Negli Stati<br />
Uniti, i traffici di droga producono<br />
tra i 150 e i 200 miliardi di<br />
dollari. Con la sola cocaina, nel<br />
mondo, si movimentano circa 350<br />
miliardi di dollari. In Italia, il<br />
mercato del suddetto stupefacente<br />
frutta, ogni anno, oltre 20 miliardi<br />
di euro, un terzo dei 60 miliardi<br />
riguardanti il commercio di tutte<br />
le droghe (Eurispes 2011) e dei<br />
170 miliardi dell’economia illegale<br />
in genere. Se a quest’ultima<br />
“montagna” di denaro sporco si<br />
sommano i circa 250 miliardi di<br />
euro prodotti dall’economia sommersa<br />
(di cui 100 miliardi di tasse<br />
evase), il bilancio delle “attività<br />
fuorilegge” in Italia è davvero<br />
stratosferico. La (pia) illusione<br />
che qualcosa possa cambiare con<br />
la prevenzione, l’inasprimento di<br />
sanzioni penali, o con la cooperazione<br />
internazionale di polizia<br />
e di magistratura, si scontra, ogni<br />
giorno, con una realtà criminalemafiosa-finanziaria<br />
che appare<br />
pressoché invincibile, perché<br />
saldata con pezzi delle istituzioni<br />
e della politica. Che il mercato<br />
italiano delle droghe vada a gonfie<br />
vele lo conferma il numero dei<br />
sequestri operati nel 2011 (trentanove<br />
tonnellate di droghe) e nel<br />
primo semestre del 2012 (circa<br />
venti tonnellate di stupefacenti,<br />
ossia circa il 15% in più dello<br />
stesso periodo del 2011) dalle<br />
forze di polizia e dalle dogane<br />
su tutto il territorio nazionale.<br />
Un mercato, dunque, che non<br />
conosce affatto la crisi di altri<br />
settori, e che si intreccia sempre<br />
più con un sistema di finanza<br />
internazionale sporca (mafiosa),<br />
che ha intaccato inesorabilmente<br />
le basi di istituzioni bancarie in<br />
molti paesi, in alcuni casi determinandone<br />
il fallimento. Emble-<br />
80 | settembre 2012 | narcomafie<br />
di Piero Innocenti<br />
matica, a riguardo, la “boccata<br />
di ossigeno” di circa 350 miliardi<br />
di narcodollari ricevuta dalla poderosa<br />
Lehmam Brothers dopo il<br />
crac, a fine 2008. A tal proposito,<br />
l’ultima denuncia è contenuta in<br />
un rapporto presentato dal Congresso<br />
americano il 17 luglio 2012<br />
contro la banca britannica Hsbc,<br />
le cui filiali avrebbero “ricevuto”,<br />
nel biennio 2007-2008, dai cartelli<br />
dei narcos messicani, circa<br />
sette miliardi di dollari. L’accusa<br />
contenuta nel rapporto è che la<br />
banca, pur sapendo della pericolosità<br />
dei clienti, ha consentito<br />
loro investimenti, estesi persino<br />
a istituzioni finanziarie saudite<br />
collegate ad Al Qaeda. Ma – è<br />
arcinoto – in qualsiasi latitudine<br />
pecunia non olet e servono a ben<br />
poco gli accordi e le convenzioni<br />
internazionali contro il lavaggio<br />
del denaro, soprattutto quando,<br />
come in questi anni, c’è un gran<br />
bisogno di liquidità.<br />
Con il denaro del narcotraffico,<br />
dunque, sono state salvate diverse<br />
importanti banche negli ultimi<br />
anni. La recessione mondiale, la<br />
crisi del dollaro e dell’euro, l’inquietante<br />
e perdurante situazione<br />
finanziaria, fanno del nostro paese,<br />
dell’Europa intera, un mercato<br />
di forte richiamo per le grandi<br />
operazioni di riciclaggio e c’è<br />
il serissimo pericolo che poteri<br />
finanziari mafiosi si stiano impadronendo<br />
(lo hanno già fatto?) di<br />
vitali settori dell’economia, dalle<br />
banche a grandi aziende. Continuare<br />
a non affrontare seriamente<br />
il problema del narcotraffico e<br />
del riciclaggio di denaro a livello<br />
internazionale (la Convenzione<br />
europea sul riciclaggio del maggio<br />
2005 deve ancora essere ratificata<br />
dal nostro paese, ma anche da<br />
Francia, Germania, Gran Bretagna)<br />
significa correre il rischio di<br />
assistere alla nascita e al consolidamento<br />
di veri e propri “narcostati”.<br />
È quello che stanno già<br />
drammaticamente vivendo paesi<br />
come il Messico, la Colombia,<br />
il Perù, la Bolivia e del Sud-est<br />
asiatico, dove l’incidenza della<br />
produzione, del traffico di droghe<br />
e del riciclaggio sull’economia,<br />
oscilla, mediamente, tra il 40%<br />
(Messico) e il 30% nei restanti<br />
paesi. Senza contare che, anche<br />
negli Stati Uniti, si sostiene che se<br />
il narcotraffico venisse debellato<br />
l’economia americana subirebbe<br />
perdite di oltre il 20%. Insomma,<br />
si vive una situazione paradossale<br />
in cui la liquidità proveniente<br />
dall’economia illegale (e da quella<br />
sommersa) è fondamentale alla<br />
sopravvivenza dell’establishment<br />
di interi paesi.<br />
Nel 1997 Amado Carrillo Fuentes,<br />
storico capo del cartello di narcotrafficanti<br />
di Juarez, ricercato<br />
dalla polizia federale, propose<br />
al governo messicano del tempo<br />
la sua disponibilità a risanare,<br />
con il proprio denaro, il debito<br />
nazionale purché fosse “lasciato<br />
in pace”. Dobbiamo aspettarci<br />
qualcosa del genere anche in Italia<br />
e in Europa da qualche esponente<br />
della ’ndrangheta?
numero 9 | 2012<br />
numero 9 | 2012 | 3 euro<br />
Mensile | Anno XX | Poste italiane S.p.A | SPED. IN A.P. D.L. 353/2003 (conv. in L.27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 1 DCB | To. ISSN 1127-9117<br />
EVOLUZIONI E NUOVI AFFARI<br />
DELLA SACRA CORONA UNITA<br />
PUGLIA, DIETRO<br />
LA PAX MAFIOSA
SOMMARIO3 |<br />
L’EDITORIALE<br />
La Trattativa<br />
e l’ombra dei servizi<br />
di Livio Pepino<br />
6 | CANTIERI A PALERMO<br />
La metro che verrà<br />
di Manlio Melluso<br />
9 | ANNIVERSARI<br />
«L’omicidio politico» del<br />
generale Carlo Alberto dalla Chiesa<br />
di Marika Demaria<br />
12 | I GIORNI DELLA CIVETTA<br />
Brevi di mafia<br />
a cura di Manuela Mareso<br />
15 | NUOVE RESISTENZE<br />
Adriano, per 10 anni<br />
vittima della città usurata<br />
di Laura Galesi<br />
16 | ILLEGALITÀ E CALCIO<br />
La rete delle mafie<br />
di Pierpaolo Romani<br />
22 | COSE NOSTRE<br />
Sulle note dell’antimafia<br />
di Elisa Latella<br />
24 | IL MERCATO AURIFERO<br />
I cacciatori dell’oro.<br />
Il nero della criminalità<br />
di Ranieri Razzante<br />
28 | STROZZATECI TUTTI<br />
Il blog di don Raffaele<br />
di Marcello Ravveduto<br />
29 | SACRA CORONA UNITA<br />
La mafia giovane<br />
di Maria Luisa Mastrogiovanni<br />
La pax mafiosa<br />
e la ricerca del consenso<br />
di M.L.M.<br />
Giochi sporchi<br />
di M.L.M.<br />
L’affare rifiuti e la metamorfosi<br />
genetica della Scu<br />
di M.L.M.<br />
Dai pescherecci alla movida<br />
di Mara Chiarelli<br />
Le casse della mafia pugliese<br />
di Andrea Apollonio<br />
60| ALTARISOLUZIONE<br />
Rap anticamorra<br />
testo e foto di Gaetano Massa<br />
64 | OCCIDENTI<br />
Rassegna stampa internazionale<br />
a cura di Stefania Bizzarri<br />
67 | SCONTRI TRA ESERCITO E FARC<br />
È ancora guerra<br />
di Guido Piccoli<br />
72 | CRONACHE SOMMERSE<br />
Dopo Al Assad<br />
di Andrea Giordano<br />
73 | SEGNALI<br />
Scena criminis: violenza criminale<br />
e cinema tra Aurora e Venezia<br />
di Francesco Strazzari<br />
76 | SEGNALIBRO<br />
Foto ricordo<br />
di Elisa Latella<br />
78 | SHARE<br />
Le segnalazioni del mese<br />
a cura di Marika Demaria<br />
80 | L’OPINIONE<br />
Le banche nel mirino dei narcos<br />
di Piero Innocenti