Maggio/Giugno 2009 - Pilo Albertelli
Maggio/Giugno 2009 - Pilo Albertelli
Maggio/Giugno 2009 - Pilo Albertelli
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Il Gior nale del <strong>Pilo</strong> Alber telli<br />
Inside the School pag 2,3,4<br />
Pica - Valente<br />
Gli addii dei Terzi<br />
Fuori dal <strong>Pilo</strong> pag 5, 6<br />
Terremoto in Abruzzo<br />
Solidarietà nelle Divergenze ...<br />
L'Odissea di un Viaggio<br />
...cronaca di una "normale" mattina!<br />
Fortezza Europa<br />
Fuga disperata verso una vaga speranza...<br />
AltRa Cultura pag 7, 8, 9<br />
Lasciami entrare<br />
Il club degli imperatori<br />
Fires in Distant Buildings<br />
Yessongs<br />
The Genius<br />
La città delle bestie<br />
Mia è la vendetta<br />
<strong>Maggio</strong>/<strong>Giugno</strong> <strong>2009</strong> - Numero 7 - Anno II<br />
Non conventional <strong>Pilo</strong>!<br />
Terremoto Abruzzo<br />
5<br />
Fortezza Europa<br />
6<br />
GAZA:<br />
Restiamo umani<br />
9<br />
Gli addii dei terzi<br />
Racconti di avventure... scolastiche!<br />
Chiara Borrelli<br />
Nonostante il<br />
dico ancora<br />
titolo, non<br />
addio, in<br />
realtà. È una previsione di quel<br />
che succederà, di quello di cui<br />
mi sto progressivamente<br />
rendendo conto. Infatti ancora<br />
mi illudo parzialmente che<br />
abbandonare l'<strong>Albertelli</strong> non<br />
sarà una svolta e che tutto<br />
questo non tocchi in alcun<br />
modo la bolla trascendentale di<br />
pensiero filosofico che mi ha<br />
inglobato nelle ore di filosofia o<br />
non sconvolgerà lo scienziato<br />
che è in me, che non riesce a<br />
interessarsi dell'insignificante<br />
esistenza di questi problemi<br />
paragonati ai fascinosi<br />
meccanismi dell'universo. Mi<br />
chiudo in questi consolatori<br />
mondi di conoscenza perché<br />
non riesco [...]<br />
(Segue a pagina 4)
Nome, cognome, data di nascita.<br />
Agnese, Pica.<br />
Giuseppe Valente 17/05/1957.<br />
Filosofo preferito?<br />
P: Sono molti. Preferisco i più importanti, quelli<br />
fondamentali, i cosiddetti classici (cioé quelli che<br />
sanno parlarci in ogni tempo e occorre sempre<br />
interrogare e riscoprire). Platone e Aristotele; Agostino<br />
e Tommaso; Cartesio e Hobbes; Kant, Hegel e Marx;<br />
Nietzsche e Heidegger.<br />
V: Non ci sono filosofi preferiti! Nietzsche mi piace,<br />
ma ce ne sono tanti altri…<br />
Come dovrebbe essere il rapporto ideale fra<br />
alunno e professore?<br />
P: Partirei da come è. Anzitutto, è sempre più<br />
difficile, per una mentalità diffusa che mai come oggi è<br />
omologante. Aldilà della comunicazione di nozioni o<br />
teorie, credo che il professore debba alimentare il<br />
desiderio di sapere, di capire, far nascere domande,<br />
educare alla critica, introdurre alla realtà. E non<br />
bastano competenza ed esperienza senza<br />
testimonianza, autorevolezza, vicinanza e fiducia.<br />
Essendo un incontro tra persone è impegnativo,<br />
difficile, rischioso ma... il rischio è bello.<br />
V: Di rispetto reciproco basato sul riconoscimento<br />
della rispettiva funzione e soprattutto della<br />
professionalità dell’insegnante. Voglio chiarire, però,<br />
che quello del professore è un mestiere e non una<br />
vocazione.<br />
Quanto conta l'impostazione data dal<br />
professore nell'insegnamento?<br />
P: Impostazione in che senso? Ideologica o<br />
metodologica? Contano molto entrambe, circa la<br />
prima, è leale dichiararla, altrimenti si rischia di essere<br />
bi-dogmatici. Quanto alla seconda, è importante una<br />
continua autovalutazione, attraverso la verifica della<br />
comprensione della comunicazione. Se poi si intende<br />
come impostazione nelle specifiche discipline che<br />
insegno, sono convinta che si debba porgere il<br />
problematico e non solo l'accertato, per stimolare<br />
l'assimilazione attiva, il vero dialogo (quello che entra<br />
nel merito). Heidegger diceva: "insegnare è imparare a far<br />
imparare".<br />
V: Conta in maniera determinante. Cambiando<br />
spesso scuola mi ritrovo con classi nuove. Mentre in<br />
prima e in terzo liceo non ho mai problemi ad<br />
impostare la filosofia con i ragazzi, invece, in seconda,<br />
faccio sempre difficoltà perché, evidentemente, quelli<br />
di seconda sono stati già impostati in prima in un certo<br />
modo e quando in seconda arrivo io si ritrovano con<br />
una grande confusione.<br />
ndanomal<br />
Intervista doppia!<br />
Pica - Valente<br />
a cura di Lorenzo Raffio e Elisabetta Raggio<br />
Evento che ha cambiato la storia<br />
dell'umanità?<br />
P: Gesù Cristo.<br />
V: La scoperta del fuoco.<br />
Gruppo musicale preferito ed ultimo<br />
concerto a cui ha assistito?<br />
P: The Rolling Stones. B. Dylan. Guccini, De André,<br />
Battisti. B. Springsteen. L'ultimo concerto a cui ho<br />
assistito è quello di Springsteen, "Human Touch Tour",<br />
allo Stadio Flaminio, il 25 <strong>Maggio</strong> 1993.<br />
V: Ce ne sono parecchi, ma fin da quando ero<br />
piccolo mi piacciono i primi Genesis, quelli di Peter<br />
Gabriel. L’ultimo concerto che ho visto è stato quello<br />
dei Muse un anno e mezzo fa.<br />
Progetti per le vacanze?<br />
P: Alto Adige, Sud Tirolo.<br />
V: Il solito posto in Croazia, dove posso concedermi<br />
un po’ di riposo, necessario dopo tutto lo stress che<br />
accumulo durante l’anno, in parte per colpa vostra.<br />
Cosa cambierebbe nell'istruzione pubblica?<br />
P: Non solo nell'istruzione pubblica, ma in generale:<br />
più valorizzazione della didattica, incrementare la<br />
qualità e lo spessore, premiare il merito. Più<br />
armonizzazione e lavoro di squadra, collaborazione.<br />
Inoltre, bisognerebbe creare più occasioni di dialogo<br />
culturale (pubblicazioni, convegni).<br />
V: Un’idea ce l’avrei... anche se piuttosto<br />
impopolare: realizzerei un sistema di lavoro di tipo<br />
privatistico, come in America, dove gli insegnanti<br />
vengono chiamati dalla direzione dei college e pagati<br />
quanto valgono. In Italia però una cosa del genere non<br />
può succedere, qui i professori non sono pagati<br />
secondo le loro capacità.<br />
A cosa è utile lo studio di storia e filosofia?<br />
P: È risposta al bisogno più umano: quello<br />
dell'intelligenza; infatti la più penosa carenza è la<br />
mancanza di capacità critiche che consentono di<br />
rendersi ragione delle cose e giudicarle. Inoltre, a<br />
essere radicali... nel senso di andare alla radice delle<br />
cose.<br />
V: Tanti anni fa una ragazza mi disse che la filosofia<br />
serviva ad aprire la mente, cosa che ritengo vera in<br />
senso generico. Nonostante questa ragazza non avesse<br />
capito nient’altro, su questo aveva fatto centro. La<br />
storia, d’altra parte, non serve a niente, ma mi<br />
costringono ad insegnarla anche se sono laureato in<br />
filosofia. Forse potrebbe servire come esperienza nel<br />
senso di Historia magistra vitae, nella realtà, però,<br />
questo non è mai accaduto, la storia non è mai servita<br />
come patrimonio collettivo di esperienze perché gli<br />
uomini hanno sempre ripetuto e credo che fino<br />
all’eternità ripeteranno gli stessi errori. D’altra parte<br />
Freud e la psicanalisi chiamano questa tendenza<br />
coazione a ripetere; in qualche modo è come se l’umanità<br />
e l’individuo fossero costretti a ripetere gli stessi<br />
errori, nonostante avessero capito da un sacco di<br />
tempo che erano errori.<br />
Anno II - Numero 7<br />
ondanomala_albertelli@yahoo.it<br />
Perché ha scelto queste materie?<br />
P: Per umana passione.<br />
V: Ho scelto solo filosofia. All’epoca era una scelta<br />
politica, perché per chi voleva fare politica filosofia era<br />
la facoltà che dava più qualificazioni.<br />
Libro da leggere sotto l'ombrellone?<br />
P: "Leviathan" di T. Hobbes (6° Cap.).<br />
V: Uno di spionaggio, oppure di Maigret... Se<br />
invece vuoi leggere un libro serio, "La strada" è un bel<br />
romanzo.<br />
Quanto conta il rapporto con i colleghi?<br />
P: Ha la sua importanza, perché la scuola è<br />
comunità: il compito educativo non è affidato al<br />
singolo. Collaborare e cooperare aiuta.<br />
V: Non molto... In effetti non ho un gran rapporto<br />
con i colleghi.<br />
Servono le parolacce? Se sì, quando le<br />
capita?<br />
P: No.<br />
V: Servono per scaricarsi un po'... cercando sempre<br />
di rimanere nei limiti della decenza!<br />
Citazione filosofica preferita?<br />
P: Posso dirne due? "L'armonia nascosta è più bella di<br />
quella conclamata" (Eraclito). "Ama et fac quod vis"<br />
(Agostino).<br />
V: Forse quella dell’Ideologia tedesca di Marx:<br />
“L’idea della classe dominante sono in ogni epoca le idee<br />
dominanti”.<br />
Nella "Scuola di Atene" punterebbe il dito in<br />
alto (Platone) o in basso (Aristotele)?<br />
P: Bel colpo. Al limite; imprendibile! In basso, con<br />
Aristotele; con la consapevolezza che è proprio il<br />
basso che reclama poi l'alto.<br />
V: Diciamo che, dovendo per forza scegliere, visto<br />
che mi piace Nietzsche - che è immanentista - lo punto<br />
verso terra.<br />
A scuola che voti aveva?<br />
P: Buoni.<br />
V: Sono sempre stato il primo della classe.<br />
Vizi o abitudini particolari?<br />
P: Io non ne vedo. Scherzo! Ditemeli voi.<br />
V: Sono abbastanza abitudinario e non ho molti vizi.
<strong>Maggio</strong>/<strong>Giugno</strong> <strong>2009</strong><br />
www.ondanomalapilo.com ndanomal<br />
IIID<br />
Elisabetta Raggio<br />
Niente lacrime, ve lo prometto. E, a proposito, il<br />
mio non è un arrivederci, il mio è proprio un<br />
addio. Mi sento pronta ad andarmene da tanto<br />
tempo, a lasciare queste quattro mura che mi<br />
sembravano altissime, enormi, in quarto ginnasio.<br />
Quando quelli di terzo erano grandi, fighi e sicuri di<br />
loro, e io, piccola e ingenua, me li guardavo,<br />
pensando che sarei diventata come loro. Poi dopo<br />
due anni di grammatica, abbandoni Manzoni, e inizi a<br />
contare da uno. Ora sei in primo liceo: non devi più<br />
sputare sangue sulle versioni ogni giorno e il sudore<br />
che hai speso per imparare ogni regola sintattica<br />
verrà ben ripagato dalla bellezza della letteratura.<br />
Eppure, adesso che sono arrivata all’ultimo anno,<br />
non mi sembra vero che cinque anni siano già passati.<br />
Sarà perché non mi sento né grande, né figa, come<br />
pensavo sarei diventata… Sarà colpa del liceo<br />
classico, che ti abitua a contare gli anni di scuola<br />
partendo dal quarto e finendo in terzo… Sarà che ad<br />
un passo dall’esame mi rendo conto di quanto questo<br />
giornale mi abbia fatto crescere e dei ringraziamenti<br />
nascono spontanei.<br />
Quindi, prima di liberarvi di me, lasciatemi dire<br />
grazie a Giorgia, sopravvissuta in questi due anni alla<br />
dura prova di essermi amica prima di tutto; grazie a<br />
Claire che, con la sua musa ispiratrice, non si è mai<br />
tirata indietro; grazie ad Armando e Lorenzo, che<br />
nonostante le numerose volte in cui gli ho sbraitato<br />
contro, hanno continuato ad amare OndanomalA (più<br />
Lorenzo che Armando) e a dare il massimo ad ogni<br />
numero (più Armando che Lorenzo). Grazie a Vale,<br />
Luca, Flavia e Cecilia che, entrati in redazione in<br />
punta di piedi, hanno messo tutto il loro entusiasmo<br />
in questo progetto.<br />
E grazie a chi in questo elenco non è citato, ma<br />
non sa quanto mi ha reso felice, chiedendomi di<br />
OndanomalA o pretendendo una copia<br />
personalizzata; grazie anche a chi ha letto solo dopo<br />
essere stato invitato ripetute volte a farlo e a chi non<br />
ha letto proprio perché il silenzio della sua ignoranza<br />
è stata la critica più difficile da affrontare. Infine un<br />
ultimo ringraziamento va a tutti coloro che, ci voglio<br />
credere con tutta me stessa, l’anno prossimo faranno<br />
sì che questa fantastica avventura diventi sempre<br />
migliore.<br />
IIIE<br />
Sara Manini<br />
III E... "E", come Ekfrasis..."E", come<br />
Eneasilviopiccolomini..."E", come Euclide e i suoi<br />
simpatici triangoli. La nostra classe variegata e<br />
variabile, con “minoranze quartierali” ciampinesi e<br />
centrogianesi, questa sinergia, questo crogiuolo di<br />
giovani menti vagamente deviate!! Abbiamo tutti<br />
avuto dei cambiamenti ed è questo che ci unisce.<br />
Abbiamo passato cinque anni (o più…!) in un<br />
adolescenza piena di svolte positive e negative.<br />
Ovviamente poi è dipeso da noi se reagire in modo<br />
maturo o no, se prendere decisioni, se lasciarsi<br />
andare, se nascondersi davanti alle responsabilità,<br />
ma…per fortuna potremo ricordare…: L’ANSIA!<br />
generalizzata; Istanbul e l’abbandonato Bill, la guida<br />
con i suoi “ciambello”; i centoggiorni bucolici; il<br />
Gli addii dei terzi<br />
IIIF<br />
Giorgia Fanari<br />
Sono cinque anni che aspetto questo momento: uscire da scuola, dopo gli esami, e bruciare il libro di grammatica di<br />
greco. Lo so, non è una cosa che dovrei dire, ma è un progetto che ho dal quarto ginnasio, da quando vedendo<br />
quell’alfabeto con lettere stranissime ho cominciato a pensare “ma chi me lo ha fatto fare?”. Sono quasi sicura che<br />
almeno una volta questa storica frase la abbiamo detta tutti. Però ora, a un mese dagli esami, non posso fare a meno di<br />
dire che scegliere il Liceo Classico, ma soprattutto questo Liceo Classico, è stata la cosa migliore che potessi fare.<br />
Anche perché mi rendo conto che non appena sarò fuori comincerò ad avere un po’ di nostalgia per tutto il tempo<br />
passato tra queste mura. Non rimpiangerò niente, e non vorrò tornare indietro, però sicuramente...<br />
Mi mancherà il caffè della macchinetta alla seconda ora del mercoledì...che comunque non ti sveglia mai!<br />
Mi mancherà il Pedullà che entra minacciando di interrogare, e poi invece comincia a spiegare<br />
Mi mancheranno i 100 giorni mai fatti<br />
Mi mancherà la disorganizzazione della mia classe<br />
Mi mancheranno gli “annunci pubblicitari”<br />
Mi mancherà “lo statuto della classe” fatto in un momento di rabbia generale<br />
Mi mancheranno le urla della Turchetti che dice che siamo maleducati e ignoranti<br />
Mi mancherà Ondanomala, le corse per farla uscire entro il mese e la mia dittatrice-direttrice preferita<br />
Mi mancheranno le manifestazioni che ti cambiano la vita<br />
Mi mancheranno i tentativi di sabotaggio delle interrogazioni e dei compiti in classe<br />
Mi mancheranno le versioni impossibili di latino (…no n’è vero..)<br />
Mi mancheranno i foglietti passati “sottobanco”…o proprio sopra il banco…bisogna farsi furbi!<br />
Mi mancheranno i permessi d’entrata…che per farli arrivi ancora più in ritardo<br />
Mi mancheranno le partite a pallavolo, anche se la nostra classe ha sempre perso!<br />
Mi mancheranno le scenate in classe con i professori<br />
Mi mancherà avere accanto la mia migliore amica<br />
Mi mancheranno i pettegolezzi durante l’ora di matematica…e di inglese….e di latino…e di italiano…e di storia…<br />
Mi mancheranno le spiegazioni della prof di italiano che recita a memoria la Divina Commedia<br />
Mi mancherà vedere i miei amici tutti i giorni<br />
Mi mancheranno le mattate nelle camere degli hotel<br />
Mi mancherà sapere che c’è sempre qualcuno al banco davanti pronto a darti un aiuto e a strapparti un sorriso<br />
Mi mancherà passeggiare per i corridoi della centrale sempre troppo pieni di gente<br />
Mi mancherà passeggiare per i corridoi della succursale sempre troppo vuoti<br />
Mi mancherà la centrale dove si muore di caldo<br />
Mi mancherà la succursale dove si muore di freddo<br />
Mi mancherà il non sapere cosa dover studiare per il giorno dopo<br />
Mi mancherà pensare di essere ancora troppo piccola per decidere cosa fare del mio futuro<br />
foxismo; i chiusoni; il motto “puntiamo in basso”; il Boscaiuolo, l’unico vero Uomo; Gigi!!; il delirio dell’ultimo<br />
banco…<br />
Avremo sempre in mente questo percorso. Tra differenze ed esperienze.<br />
[Messaggio ai posteri: …DON’T PANIC!]<br />
Addio di un genitore<br />
E' sembrato ieri l'ultimo giorno di scuola, ed invece si sta approssimando l'ultimo. Arriveranno i temuti esami, fonte<br />
di lacrime, gioie, bisticci, drammi e soddisfazioni. Poi il sipario calerà su questi cinque anni e quello che sembrava un<br />
obiettivo diverrà un punto di partenza per un'avventura nuova, ricca e misteriosa. Mi vengono in mente delle crisalidi<br />
che si mutano in farfalle e l'immagine è meravigliosa ma non nasconde ai miei occhi di adulta matura una certa<br />
nostalgia. Poiché è un istante, un battito di ali e siamo già proiettati al ricordo. Come non pensare al fatto che non ci<br />
sarà più un primo giorno di scuola, non ci sarà più un compagno di banco con cui confabulare alle spalle di un<br />
professore che coscientemente ignaro non rimprovera, come non pensare alle attese trepidanti dei compiti in classe o<br />
interrogazioni, come non commuoversi nel ricordare quel compagno che<br />
dileggiato al primo anno per la sua immaturità oggi è uno splendido ragazzo che forse perderemo di vista? Basta<br />
poco a tirare fuori ricordi, anedotti, battute che saranno domani il bagaglio emotivo che accompagnerà l'inevitabile<br />
crescita.<br />
Con questi esami concludiamo un primo grande ciclo del nostro difficile mestiere di genitori, ed è proprio in<br />
questa occasione che mi sembra doveroso ricordare e ringraziare tutti coloro che in questi cinque anni hanno<br />
contribuito con passione a fare dei nostri figli uomini e donne consapevoli e maturi, preparati ad intraprendere strade<br />
impervie. In una scuola generalmente bistrattata ed in una società pronta a fare delle aggressioni anche verbali il solo<br />
strumento di dialogo ritengo sia doveroso rivolgere un saluto a tutti i professori che svolgono la loro professione<br />
senza clamori e anche a tutti coloro che in questa scuola, secondo l'esperienza di molti, hanno facilitato il sereno<br />
scorrere di questi anni: tutto il personale amministrativo e non docente e la Preside Emilia Marano, i vari docenti che<br />
hanno accompagnato e supportato in gite, uscite e corsi i nostri ragazzi aiutandoli ad implementare l'esperienza<br />
prettamente scolastica con quella poliedrica del mondo circostante. Spero di non aver dimenticato nessuno e rivolgo<br />
un particolare grazie alla direttrice e alla redazione tutta di questo giornale che ha rappresentato una finestra aperta<br />
su un mondo che è ormai preistoria per noi babbioni fornendo stimoli di discussione e di riflessione.
IIIC<br />
Arianna Ventrelli<br />
Seneca scriveva: “il tempo scorre velocissimo e ce ne<br />
accorgiamo soprattutto quando guardiamo indietro:<br />
mentre siamo intenti al presente, passa inosservato, tanto<br />
vola via leggero nella sua fuga precipitosa”. (Epistulae ad<br />
Lucilium 49)<br />
E come potremmo non dargli ragione? È<br />
incredibile pensare che solo cinque anni fa mettevo<br />
piede in questo edificio, di cui inzialmente non<br />
riuscivo a sentirmi parte: nuovi compagni, nuovi<br />
professori e la paura costante di aver fatto la scelta<br />
sbagliata, paura di quei muri che a volte<br />
opprimevano, altre invece facevano venire voglia di<br />
diventare una persona migliore.<br />
Eppure proprio quando tutto sta per finire l’unica<br />
parola giusta per concludere questo lungo percorso,<br />
non credo sia “addio”…ma “GRAZIE”! Grazie alle<br />
persone che lo hanno percorso insieme a me, a tutti i<br />
momenti che, nel bene o nel male, mi hanno fatto<br />
crescere e soprattutto ai professori che<br />
inevitabilmente sono diventati un punto di<br />
riferimento assolutamente indispensabile.<br />
In fondo gli addii non mi sono mai piaciuti…<br />
quindi mando un in bocca al lupo grandissimo al tutti<br />
quelli che come me aspettano con ansia il 24<br />
giugno…LA NOSTRA NOTTE PRIMA DEGLI ESAMI!!!<br />
ndanomal<br />
IIIC<br />
Irene Rossi<br />
Proprio oggi mi sono capitate tra le mani le foto del<br />
primo camposcuola in Grecia,e mi sono tuffata in<br />
quei ricordi inaspettati e incredibilmente lontani di ben<br />
cinque anni fa. Quando eravamo ancora piccoli, quando<br />
ancora non avevamo studiato l’aoristo in greco, e<br />
l’esame finale ci sembrava tanto lonano che era quasi<br />
impensabile pensarci.<br />
A quei tempi combattevamo con chi non conosceva<br />
la "classificazione" del classico e alla domanda: “Che<br />
anno frequenti?”, rispondevamo imperterriti e sempre<br />
un po’ fieri: “Il quarto!”, suscitando perennemente lo<br />
sgomento nei nostri interlocutori. Io me lo ricordo così<br />
quel primo anno, e poi quelli che seguirono sono<br />
velocemente scivolati via; ci hanno portato ad uscire dal<br />
bozzolo della pubertà in cui ancora eravamo tutti un po’<br />
bambini (nonostante molti non volessere sembrarlo) e ci<br />
hanno catapultato in questo mondo degli adulti.<br />
Seppure alcuni la odiano, sebbene altri non vedano<br />
l’ora di lasciarla, non possiamo negare che la scuola,<br />
questa scuola, è stata lo sfondo delle nostre piccole<br />
grandi avventure per un importante arco della nostra<br />
vita. Guardo all’<strong>Albertelli</strong>, ai suoi corridoi e ai miei<br />
professori, presenti e passati, con già un pizzico di<br />
nostalgia; ringrazio di cuore tutti coloro che mi hanno<br />
portata a crescere, ad essere quella che oggi sono, e<br />
dico addio a questa scuola lasciandomi accarezzare dai<br />
migliori ricordi che mi legano ad essa.<br />
IIIA<br />
Chiara Borrelli<br />
Nonostante il titolo, non dico ancora addio, in realtà. È una previsione di quel che succederà, di quello di cui mi<br />
sto progressivamente rendendo conto. Infatti ancora mi illudo parzialmente che abbandonare l'<strong>Albertelli</strong> non sarà<br />
una svolta e che tutto questo non tocchi in alcun modo la bolla trascendentale di pensiero filosofico che mi ha<br />
inglobato nelle ore di filosofia o non sconvolgerà lo scienziato che è in me, che non riesce a interessarsi<br />
dell'insignificante esistenza di questi problemi paragonati ai fascinosi meccanismi dell'universo. Mi chiudo in<br />
questi consolatori mondi di conoscenza perché non riesco ad ammettere che uscire da qui significherà<br />
esattamente abbandonare il cristallino e confortevole mondo della beata gioventù per saltare nel vuoto delle<br />
grandi responsabilità da adulto. Il vecchio “<strong>Pilo</strong>” è stato il teatro delle mie trasformazioni, del mio progressivo<br />
cammino più o meno felice verso una eclettica personalità, attraverso un'infarinata generale di ogni tipo di sapere,<br />
condita da un pizzico forse ancora insufficiente di maturità.<br />
Piccola patriota della periferia sud, cinque anni fa decidevo che mi sarei sorbita 40 minuti al giorno di viaggio in<br />
metro per frequentare questa scuola, raggiungendo una delle primissime volte il pieno centro: una vera svolta per<br />
me che all'epoca non conoscevo che il mio adorato ex “nido di vespe” partigiane, il Quadraro. Ricordo che il<br />
primissimo fattore che favorì le mie simpatie verso l'<strong>Albertelli</strong> fu l'accoglienza dell'istituto, che si dimostrò aperto a<br />
chiunque, senza imporre assurdi filtri di preferenza per i residenti in precisi municipi, come invece altri presidi di<br />
licei del centro ci avevano confessato di dover necessariamente e piuttosto inspiegabilmente fare. La cosa<br />
impressionò talmente tanto positivamente me, piccola discriminata periferica, da farmi addirittura soprassedere<br />
l'orrenda, shockante visione degli animali impagliati; l'ospitalità, o quella che si dimostra tale, è sempre stata la<br />
migliore qualità del <strong>Pilo</strong>: nel corso della mia permanenza qui, l'ho visto persino dotarsi di una filiale per questo. A<br />
determinare poi la mia scelta fu infine la affascinante-e-fatiscente ben nota austerità dell'edificio. All'inizio del mio<br />
percorso mi sentivo un fagotto che, volente o nolente, veniva riempito delle più disparate nozioni, senza negare<br />
l'accesso a qualunque, anche poco attraente, conoscenza mi fosse propinata persino dai professori più<br />
demotivanti: vivevo in un'indifferenza apatica di cui mi sono presto scrollata di dosso. Il ginnasio è stato la fase di<br />
ribellione in cui passano tutti e da cui molti non escono, dato che si inizia a credere che dai libri sopra i banchi di<br />
scuola non si potrà imparare nemmeno un quarto di quello che si ricava da quelli che si leggono sotto i banchi;<br />
l'impatto con la vera grande letteratura o con lo stimolo intuitivo della chimica del liceo ha persuaso i più,<br />
compresa me, dell'utilità della formazione offertaci qui.<br />
Il rapporto che ho sviluppato con queste quattro mura è stato piuttosto altalenante, soprattutto perché per un<br />
destino a cui non credo si è trovato ad essere teatro della mia esperienza al liceo. Liceo vuol dire amicizie, amori,<br />
ma anche compiti in classe, interrogazioni, tutti elementi pericolosi che potrebbero indurre l'individuo - incastrato<br />
in questo terribile limbo tra infanzia e età adulta - a pensare che la scuola sia l'unico aspetto della vita. Non lo è, ma<br />
è un aspetto molto importante che non va sottovalutato. Conseguentemente, a volte questo edificio potrà esservi<br />
sembrata l'orribile prigione di lavori forzati inspiegabilmente non pagati, a volte un paradiso abitato da<br />
straordinarie conoscenze, metafisiche e non. In realtà non è che un necessario ponte di passaggio estremamente<br />
fugace e faticoso, ma divertente. Credo di poter tracciare un bilancio positivo di questo soggiorno; la mia<br />
migrazione da una sezione a un'altra, oltretutto, mi ha permesso, di andare oltre una visione unilaterale di questa<br />
scuola. Ho visto tremare le mura di questo edificio, e non solo durante le storiche assemblee al piano del liceo della<br />
Anno II - Numero 7<br />
ondanomala_albertelli@yahoo.it<br />
IIIC<br />
Chiara Ridolfi<br />
Attendi per cinque anni di assaporare la libertà<br />
dell’ultimo giorno di scuola, di quando sentirai la<br />
campanella dell’ultima ora di liceo. Ora ci siamo, ma<br />
appare un po’ di tristezza e di paura. Abbiamo tutti paura<br />
del nostro futuro, della nostra scelta; perché a parte i<br />
pochi che hanno già deciso cosa, fare ,la maggior parte di<br />
noi brancolano nel buio. In cinque anni abbiamo<br />
condiviso gioie e dolori e per quanto si possa aver litigato<br />
e ci si possa essere arrabbiati, alla fine siamo cresciuti<br />
insieme. Non siamo mai stati una classe unita, sarebbe<br />
un’ ipocrisia affermarlo, ma bisogna dire che alla fine ci<br />
siamo voluti bene. Il nostro essere così diversi ci ha unito<br />
e ci fatto crescere, perché abbiamo imparato a<br />
sopportarci e in alcuni casi anche ad aiutarci. Abbiamo<br />
compreso che nella vita bisogna adattarsi, che si deve<br />
scendere a patti, che per il bene comune bisogna<br />
sacrificarsi.<br />
C’è chi scriverà ringraziamenti e parole commoventi,<br />
credo sia alquanto scontato e banale ringraziare le<br />
persone che mi hanno accompagnato in questo percorso.<br />
Voglio invece lasciare un augurio di tutto cuore a coloro<br />
che per questo periodo sono stati al mio fianco : spero<br />
che nessuno in futuro dimentichi ciò che ha imparato in<br />
questi anni, che va oltre la paginetta ripetuta a memoria,<br />
spero che nessuno si lasci corrompere l’anima. Credo che<br />
questo tipo di formazione sia finalizzata a creare persone<br />
migliori che, in questi anni, hanno arricchito il loro<br />
bagaglio morale e culturale. Spero che le 26 persone che<br />
compongono il IIIC usciranno da questa scuola a testa<br />
alta, che dai così tanto odiati filosofi, scrittori,<br />
matematici, fisici, e filologi abbiano ricavato un insieme<br />
di principi di vita. Dopo cinque anni ho capito che il liceo<br />
a questo serve: a formare persone migliori, in grado non<br />
solo di criticare, ma anche di costruire un mondo<br />
migliore. Con questa visione un po’ romantica della vita e<br />
della scuola in generale faccio un caloroso augurio ai 26<br />
stupendi alunni del IIIC che quest’anno affronteranno la<br />
temuta maturità. State tranquilli mi hanno detto che non<br />
è mai morto nessuno e che sono usciti tutti illesi,io<br />
personalmente non ci credo.<br />
centrale; le ho viste implodere nella mia mente dopo<br />
interminabili notti insonni, esser magicamente ridipinte in<br />
ventiquattro ore, ma solo fino al piano della presidenza. Ho<br />
conosciuto persone letteralmente meravigliose, altre un po'<br />
meno, ma sono debitrice nei confronti di tutte loro, dato<br />
che alle prime devo l'appoggio e la solidarietà di veri e<br />
propri “compagni” di vita e dato che ho sempre cercato di<br />
succhiare il massimo da ogni mia esperienza, negativa o<br />
meno che fosse (ho persino avuto modo di ricavare un po' di<br />
autostima dalle sgradevoli attenzioni che ho ricevuto a<br />
causa di un'ostinata, e per me priva di significato,<br />
competitività che qualcuno ha scelto senza ragioni di<br />
indirizzare verso me). Ho corso per i corridoi di centrale e<br />
succursale, prima per un'ingenua deformazione<br />
professionale di studentessa diligente, poi per ricoprire il<br />
ruolo di un'inadempiente e sempre in ritardo redattrice del<br />
giornalino della scuola. D'altra parte, nonostante tutto ciò<br />
mi abbia reso un'inguaribile, terribilmente lunatica<br />
insonne, è stato un valido diversivo che ho lasciato con<br />
piacere a combattere con noie e vuoti esistenzialiadolescenziali.<br />
Per chi lascia il liceo è inutile mantenere una<br />
posizione distaccata: sono tutta impregnata dell'aria di<br />
questa scuola, e persino il tentativo di ricavare dal gomitolo<br />
di sensazioni un ordinato lavoro a maglia di frasi è solo il<br />
risultato di un'abitudine, impostami negli anni dai miei<br />
severi valutatori, a raffinare il più possibile il mio ormai<br />
stanco periodare.
<strong>Maggio</strong>/<strong>Giugno</strong> <strong>2009</strong><br />
www.ondanomalapilo.com ndanomal<br />
Io per il terremoto non do un euro<br />
Lorenzo Raffio<br />
Riprendo un titolo - certamente provocatorio - di Giacomo di Girolamo. Ho deciso. Non telefonerò a nessun numero che mi sottrarrà soldi dal conto<br />
telefonico, non manderò alcun sms, non partiranno bonifici, né versamenti alle poste. Ho resistito agli appelli dei vip, ai minuti di silenzio dei calciatori,<br />
al pianto in diretta del premier. Non mi hanno impressionato le trasmissioni non-stop, gli appelli televisivi, le testimonianze sospirate dei politici. Non do un<br />
euro. E credo che questo sia il più grande gesto di civiltà che in questo momento io possa fare.<br />
Non do un euro, perché è questo stereotipo dell'italiano buono e generoso che rovina il Paese, del popolo pasticcione che ne combina di cotte e di crude<br />
ma che poi, alla fine, nel momento della tragedia, sa farsi perdonare tutto e fa a gara a chi da di più. Io sono stanco di questa Italia, non voglio si perdoni più<br />
nulla; è un circolo vizioso, il giorno seguente si ricomincia come prima. Soffriamo (e offriamo) una compassione autentica. Ma non ci siamo mossi di un<br />
centimetro. Quando ci fu il Belice gli italiani si mossero, e diedero un po’ dei loro risparmi alle popolazioni terremotate. Poi ci fu l’Irpinia. E anche lì molti<br />
fecero il bravo e simbolico versamento su conto corrente postale, per la ricostruzione. Dopo l’Irpinia ci fu l’Umbria, e San Giuliano, e di fronte allo strazio<br />
della scuola caduta sui bambini non puoi restare indifferente. Ma ora basta. A che servono gli aiuti se poi - ogni volta - si continua imperterriti come prima?<br />
Non do un euro, perché paghiamo le tasse. E in questi soldi ci sono già dentro quelli per la ricostruzione, per gli aiuti, per la Protezione Civile, che però<br />
vengono sempre spesi per fare altro. Ogni volta viene chiesto aiuto agli italiani. Basta. Rischiamo di farla diventare una tradizione, di lanciare<br />
(involontariamente) il pericolosissimo messaggio che poi, anche se lo Stato compie le peggiori azioni di questo mondo, ci sia il popolo, mosso da<br />
compassione, che perdona tutto e ripaga qualsiasi danno. Basta mandare qualche inviato a raccogliere bambole fra le macerie per far breccia nel cuore degli<br />
italiani e fargli dimenticare come - solo pochi decenni prima - accadeva lo stesso e i colpevoli restavano impuniti. Nelle tasse c’è previsto - infatti - anche il<br />
pagamento di tribunali che dovrebbero accertare chi specula sulla sicurezza degli edifici, e dovrebbero farlo prima che succedano le catastrofi. Con le tasse<br />
paghiamo anche una classe politica, tutta, ad ogni livello, che non riesce a fare nulla, ma proprio nulla, che non sia passerella.<br />
Non do un euro per i paesi terremotati. E non ne voglio se qualcosa succede a me. Voglio solo uno Stato efficiente, dove non comandino i furbi. E siccome<br />
so già che così non sarà, penso anche che il terremoto è il gratta e vinci di chi fa politica. Ora tutti hanno l’alibi per non parlare d’altro, ora nessuno potrà<br />
criticare il governo o la maggioranza (tutta, anche quella che sta all’opposizione) perché c’è il terremoto. Ci sono migliaia di sprechi di risorse in questo<br />
paese, ogni giorno. Se solo volesse davvero, lo Stato saprebbe come risparmiare per aiutare gli sfollati. E ogni nuova cosa che penso mi monta sempre più<br />
rabbia.<br />
Non do un euro, ma il più grande aiuto possibile. La mia rabbia, il mio sdegno.<br />
Lettore disattento, aspetta a darmi del bestemmiatore. Non parlo da egoista, cinico e antisociale, questo ragionamento è dettato dal serio bisogno di far cambiare le cose,<br />
di modificare questa politica di malgestione del denaro pubblico, che, ripeto, si sente "protetta" dalle associazioni di volontariato che vanno sempre a parare l'operato dello<br />
Stato pasticcione di cui si parlava prima. Guardiamo oltre il nostro naso, donando uno/due/tre euro rischiamo soltanto di favorire la passerella di politici e gente che - al<br />
contrario di chi dona soldi in modo sincero - sfrutta tragedie e disgrazie per farsi bello. Andiamo oltre, esigiamo il nostro diritto, da cittadini italiani, da contribuenti, a veder<br />
spesi in modo corretto in nostri soldi (ad esempio per la ricostruzione), altrimenti arrivederci alla prossima tragedia, chi manda indietro il nastro?<br />
Io per il terremoto do la mia rassegnazione<br />
Elisabetta Raggio<br />
Non è la beneficenza che rovina questo Paese e con lo sdegno non si ricostruiscono città. È vero che noi italiani, brava gente, non ci tiriamo mai indietro<br />
di fronte all’opportunità di metterci una toppa dopo ogni disastro, è vero che c’avemo ‘n core grande a cui l’indifferenza resta sconosciuta, ed è<br />
soprattutto vero che continuiamo a fare leggi e a trovare il modo per aggirarle. Ciò nonostante non si reca torto a chi amministra lo stato se ci si rifiuta di<br />
dare una mano a chi ne ha bisogno. Lo stato, inoltre, non è il salvadanaio di tutta la beneficenza che viene sempre richiesta dalla penisola. Si pensi solo, al di<br />
fuori del terremoto, alle maratone per Telethon, alle azalee dell’AIRC, per esempio. Forse non paghiamo le tasse anche per la ricerca?! Eppure ogni<br />
iniziativa del genere riscuote un notevole appoggio.<br />
Non credo che l’Italia sia formata per lo più da ignoranti che pagano le tasse, non sapendo dove il loro denaro va a finire. Quindi, ne deduco, che la<br />
maggioranza continua a impiegare le proprie risorse nell’unico modo possibile per tentare di cambiare le cose: se comportarsi da onesto cittadino non<br />
basta, si porta la mano al portafoglio una seconda volta. E questo non è sdegno, è peggio, è rassegnazione. Rassegnazione a offrire il doppio o il triplo<br />
purché almeno una parte ne arrivi, a non fermarmi ai miei doveri di cittadina, ma ad avvalermi dei miei diritti di persona, che ci mette poco a mettersi nei<br />
panni di qualcun altro. Rassegnazione per ora perché per oggi questo stato non cambia, perché ancora questa classe politica non disprezza la propaganda<br />
sulle disgrazie e non punisce, ma agevola chi le permette. Rassegnazione e denaro, perché con lo sdegno verso chi non gestisce bene la cosa pubblica i<br />
palazzi rimangono per terra. Non significa che appartengo a quella parte di italiani che mossi a compassioni ripagano i guai. Rappresento quelli che sanno<br />
che si sarebbe potuto fare di meglio per prevenire i danni del terremoto, quelli che non si stancano di puntare il dito, eppure non ce la fanno a pensare che<br />
tutto quello che potrebbero fare è rivolgere il proprio sdegno.
È<br />
una mattina uguale a tutte le altre e, come al solito,<br />
sta per iniziare la mia quotidiana “Odissea” per<br />
raggiungere la scuola. Scocca l’ora X: sono le 7. Arrivo<br />
alla stazione di Lunghezza, a quest’ora frequentata<br />
soprattutto da ragazzi. Volti stanchi, assonnati, con<br />
occhiaie profonde che dopo due anni riesco a<br />
riconoscere più o meno bene.<br />
Raggiungo il mio gruppo di “compagne di viaggio”<br />
che aiutano a far passare piuttosto velocemente quest’<br />
ora di viaggio mattutina, grazie a chiacchiere, risate,<br />
pettegolezzi…insomma, cose da ragazze di sedici anni!<br />
Purtroppo la pace finisce subito. Ben presto, infatti,<br />
udiamo il tanto odiato segnale acustico seguito<br />
dall’altrettanto detestata voce metallica e gracchiante:<br />
“Il treno regionale proveniente da Avezzano delle ore<br />
sette e zero otto arriverà con quaranta minuti di<br />
ritardo, ci scusiamo per il disagio”. “Ci scusiamo per il<br />
disagio”… sembra quasi una presa in giro:<br />
interrogazione di Greco in seconda ora e compito in<br />
classe di Latino!Che ce ne facciamo delle vostre fredde<br />
e non sentite scuse?! Un fiotto di imprecazioni,<br />
maledizioni e ingiurie seguono il messaggio vocale.<br />
Molti ragazzi abbandonano la stazione per tornarsene<br />
a casa, altrettanti rimangono e si preparano<br />
psicologicamente alla lunga attesa. Noi siamo tra<br />
questi ultimi: non possiamo permetterci di assentarci a<br />
scuola, al massimo entriamo in seconda.<br />
Anche dalle spiagge dorate di Sharm el Sheik il premier Silvio Berlusconi<br />
è riuscito, con le sue dichiarazioni, a mettere in subbuglio la nazione,<br />
difendendo la politica dei “respingimenti” e affermando:“I barconi che<br />
salpano verso il nostro paese non sono fatti occasionali ma il frutto di<br />
organismi criminali che reclutano in maniera scientifica le persone da<br />
inviare in Europa”.<br />
Tutto ciò rappresenta l'alterazione, questa sì criminale, della realtà delle<br />
migrazioni africane. Non esiste nessuna grande organizzazione, nessun<br />
mafioso che gestisce i flussi a scopo di lucro, esiste solamente la fuga<br />
disperata e ai limiti della sopravvivenza verso una vaga e indefinita<br />
speranza. Nella zona centro-settentrionale dell'Africa è possibile<br />
individuare 36 stati, di questi 29 sono stati dichiarati “not free” (Libia,<br />
Camerun, Ciad, Sudan, etc.) o<br />
“partly free” (Nigeria, Niger,<br />
Mauritania, Etiopia, etc.). E'<br />
questa la regione dalla quale<br />
si dipartono i maggiori flussi<br />
migratori; una zona dove i<br />
regimi militari governano<br />
circa il 50% degli stati e dove<br />
anche le più basilari libertà<br />
sono messe al bando da<br />
dittature mascherate da<br />
democrazie. Un'area del<br />
mondo che, a causa delle<br />
politiche economiche e della recente crisi, è e probabilmente sarà per<br />
sempre tagliata fuori dai mercati internazionali, destinata quindi ad un<br />
irreversibile processo di impoverimento.<br />
Chi parte non sono criminali o avanzi di galera, sono persone che nel<br />
loro paese avevano un lavoro, una famiglia, sono persone che hanno<br />
studiato e che proprio per questo si ribellano ad una società repressiva e ad<br />
una sempiterna condizione di povertà che, come una spada di Damocle,<br />
pende sempre sulle loro teste ricordandogli chi è ad essere nato nella parte<br />
ricca del mondo. Sono persone che, risparmiando per anni, riescono a<br />
racimolare i soldi necessari a partire e, una volta pronti, scoprono che il<br />
viaggio tanto sognato è una fuga disperata tra le dune del deserto, a cavallo<br />
ndanomal<br />
L'Odissea di un viaggio<br />
Flavia Tiburzi<br />
Passano i minuti e la stazione pian piano inizia a<br />
riempirsi della gente che solitamente prende i treni<br />
successivi. Finalmente, si ode il fischio del treno che sta<br />
arrivando, a testimonianza che i quaranta minuti sono<br />
passati. Però adesso si presenta il problema principale:<br />
riuscire a salire sulla vettura! Difatti la gente è<br />
moltissima e se non si è fortunati, ovvero se non ti si<br />
ferma la porta proprio davanti, si rischia di non farcela<br />
ad entrare. Il treno si ferma e (miracolo!) capitiamo di<br />
fronte all’ingresso. Entriamo, ma la gente sembra quasi<br />
impazzita: spinge, spintona, sgomita. I vagoni sono<br />
pieni, i “gabbiotti” che danno sulle porte “straripano”<br />
di gente, ne riesco a contare circa una quarantina.<br />
Siamo tutti ammucchiati, uno addosso all’altro, peggio<br />
degli animali. Dopo qualche minuto inizia a mancare<br />
l’aria e, come è già capitato altre volte, qualche persona<br />
si sente male o sviene, ma l’unica cosa che si può fare è<br />
adagiarla su un sedile, dopo aver fatto “scomodare”<br />
qualche signore. In poche parole un viaggio infernale.<br />
Se ci si pensa è una cosa inaccettabile! Paghiamo un<br />
biglietto di un euro ogni giorno ed è questo il servizio<br />
che ci viene fornito: treni mai puntuali, tenuti in<br />
condizioni pessime, privi di riscaldamento o di aria<br />
condizionata, con limitata capienza di persone. Una<br />
situazione vergognosa! Però, purtroppo, quello dei<br />
pendolari è un problema ignorato, nessuno se ne cura,<br />
nemmeno lo stesso Stato. Posso solo sperare che nel<br />
Fortezza Europa<br />
Andreas Iaccarella<br />
Anno II - Numero 7<br />
ondanomala_albertelli@yahoo.it<br />
futuro qualcosa volgerà al meglio, anche se sono molto<br />
scettica al riguardo. Il viaggio disumano è passato. Ci<br />
“sgruppiamo*”, lentamente riusciamo a scendere dal<br />
treno e respiriamo. Una boccata di aria, aria fresca<br />
finalmente!<br />
Ma non è finita qui! Ci aspetta ancora qualche<br />
fermata di Metro prima di poter giungere a scuola.<br />
Ovviamente anche la metropolitana non ci risparmia il<br />
“bagno” di folla! Tanto oramai per noi non è più una<br />
novità, è così tutte le mattine. Dopo un altro viaggio<br />
stipati come sardine, ci affrettiamo a raggiungere<br />
l’edificio scolastico. Arriviamo “solo” alle otto e<br />
quarantacinque così andiamo a farci compilare il<br />
foglietto che permette l’entrata in seconda ora.<br />
Non subisco il supplizio appena raccontato ogni<br />
mattina, ma di viaggi di questo genere ce ne sono stati<br />
fin troppi in soli due anni. Il numero preciso non lo<br />
saprei quantificare, ma ciò che so per certo è che ormai<br />
ho perso fiducia e speranza nei trasporti pubblici<br />
Italiani. Pertanto,ogni mattina, posso solo sperare di<br />
non leggere sul tabellone luminoso della stazione più<br />
dei soliti cinque minuti di ritardo che porta il mio<br />
treno.<br />
Sposi”.<br />
* Una delle espressioni inventate da Manzoni ne “I Promessi<br />
di vecchi camion carichi di varia umanità.Soffrono di fame e di sete<br />
sognando la loro terra promessa fino a quando non prendono coscienza di<br />
essere solamente granelli di polvere risucchiati dagli ingranaggi perfetti<br />
delle politiche europee. La disperazione, la frustrazione di rendersi conto<br />
di aver speso i risparmi di una vita e la loro stessa esistenza per andarsi ad<br />
infrangere contro le barriere poste dall'Europa.E questi, questi uomini e<br />
queste donne che avranno per tutta la vita marchiata a fuoco sul volto la<br />
loro sconfitta, sono i più fortunati. Sono scampati alle stragi dimenticate<br />
del Sahara, ai naufragi e ai massacri silenziosi delle polizie di confine. Si<br />
calcola, basandosi solamente su fonti governative che, dal 1988 ad oggi,<br />
13.771 persone siano “morte di frontiera”. Migliaia di uomini, donne e<br />
bambini che sono stati schiacciati dal loro stesso sogno, dalla loro volontà<br />
di rivalsa; annientati semplicemente per aver desiderato condurre una vita<br />
degna di questo nome, aspirazione decisamente troppo grande per i<br />
regnanti della Fortezza Europa.<br />
Eh già, perché quella che in tutta l'Africa è vagheggiata come una<br />
terra incantata di promesse e opportunità, una specie di nuova<br />
America del XXI secolo, è in realtà una vera e propria fortezza,<br />
circondata da un'inespugnabile barriera di acqua.Il Mediterraneo ha<br />
ormai perso la sua antica valenza di mare nostrum, di punto di<br />
scambio e di unione tra le civiltà, per diventare null'altro che una<br />
muraglia invisibile innalzata a proteggere la ricchezza e la purezza<br />
del “vecchio continente” dalla disperazione, dal disordine eppure<br />
dalla calda vivacità dell'Africa.<br />
Tra il 2002 e il <strong>2009</strong> il governo italiano ha fornito alla Libia del<br />
colonnello Gheddafi, a scopo di deterrente contro i flussi migratori:<br />
jeep4x4, camion, gommoni, 6 unità navali della Guardia di Finanza e soldi in<br />
quantità di circa 5 miliardi di dollari. Ha inoltre finanziato la costruzione di<br />
tre centri di reclusione in territorio libico(Kufrah, Sabha, Gharyan) i quali,<br />
nonostante le continue violazioni dei diritti umani, sono stati dichiarati<br />
dall'Ue "accettabili alla luce del contesto generale".<br />
Coloro i quali giungono a destinazione sono dunque un ristretto gruppo<br />
di persone frutto della selezione innaturale compiuta dalle politiche<br />
europee. Allora possiamo facilmente dire, come da anni sostiene il<br />
giornalista Stefano Liberti, che è l'Europa a decidere chi vive e chi muore in<br />
Africa.
<strong>Maggio</strong>/<strong>Giugno</strong> <strong>2009</strong><br />
www.ondanomalapilo.com ndanomal<br />
Lasciami entrare<br />
Federico Borrelli<br />
Tinte fosche ingrigiscono la Stoccolma inizioanni-ottanta<br />
nell'esordiente lavoro<br />
cinematografico, "Låt den rätte komma in", uscito<br />
in Italia come "Lasciami entrare", del regista<br />
Tomas Alfredson.<br />
La tacita condizione che sottomette il<br />
dodicenne Oskar ai colpi sferzati da coetanei bulli<br />
sembra essere incrinata dall'arrivo in città della<br />
giovane Eli. L'incontro dei due determina la<br />
nascita di un'amicizia, per mezzo della quale le<br />
inquadrature paiono voler affrontare temi cruciali.<br />
Il silenzio delle distese nevose vede muoversi<br />
un coro di personaggi afflitti dalla loro solitudine,<br />
che rimangono incapaci di ribellarsi al torpore<br />
che flagella il luogo. Prima conformato<br />
all'immobilismo, il volto assorto del protagonista,<br />
offuscato in apertura scenica da un placido<br />
candore glaciale, sembra poi aggredire la staticità<br />
silente, rischiarato gradualmente, con l'intrusione<br />
di Eli, dal plasmarsi di una nuova consapevolezza<br />
acquisita secondo un fluido sviluppo narrativo.<br />
Alle angosce che dilaniano l'uomo il regista<br />
propone la terapia dell'amicizia, una passione<br />
incontrollata che scioglie nel suo fervore<br />
divampante le rigide strutture cristalline degli<br />
edifici cittadini. Le lingue di fuoco dei due ragazzi<br />
scintillano fino a fondere l'ambiente circostante,<br />
celebrando l'universalità dell'amore, svincolato,<br />
nelle sue molteplici implicazioni, da precetti di<br />
natura morale.<br />
La pellicola solleva più spunti critici, che<br />
rivelano uno stile ancora immaturo: il tentativo di<br />
creare un parallelismo tra la ricostruzione della<br />
dinamica del sentimentalismo e le reazioni<br />
inaspettate a causa dello spessore emotivo<br />
dell'agente, un dodicenne frustrato (da dire che<br />
quest'accusa è più imputabile al romanzo<br />
omonimo di John Ajvide Lindqvist da cui cui è<br />
tratto il lungometraggio) risulta nella forma<br />
adottata inefficace. Tonalità acerbe anche nell'<br />
irrilevanza assegnata alla musica, che si riduce a<br />
commentare la scena, introducendo un<br />
parametro soggettivo<br />
estraneo<br />
all'impersonalità della<br />
muta voce narrante.<br />
Nonostante<br />
questo, l'opera<br />
persegue l'obiettivo<br />
cui mirava:<br />
denunciando la realtà<br />
esistente, si autopone<br />
come certezza che si<br />
appella ad una<br />
sospensione scettica<br />
del giudizio mettendo<br />
in dubbio l' effettivo<br />
riconoscimento<br />
sociale dei diversi<br />
rapporti umani.<br />
Il club degli imperatori<br />
Cecilia Lugi<br />
"Historia est testis temporum, lux<br />
veritatis, vita memoriae, magistra vitae,<br />
nuntia vetustatis." (La storia è testimone dei<br />
tempi, luce della verità, vita della memoria,<br />
maestra di vita, messaggera dell'antichità)<br />
sosteneva Cicerone nel de Oratore. La storia è<br />
l'unica via per imparare a conoscere e a<br />
comprendere fino in fondo il nostro passato, la<br />
vita quotidiana, e il nostro avvenire.<br />
La vita dell'uomo è un ripetersi di<br />
comportamenti e atteggiamenti<br />
che in forme e in vie differenti si<br />
manifestano con guerre,<br />
tradimenti, vittorie, alleanze,<br />
tragedie e trionfi. Questo è<br />
l'insegnamento che William<br />
Hundert (l'ottimo Kevin Kline),<br />
stimato docente di Civiltà Classica<br />
del prestigioso St. Benedict<br />
College, cerca di imprimere, oltre<br />
alle nozioni di storia greco-romana,<br />
nelle menti dei suoi giovani<br />
studenti, figli di esponenti della<br />
classe dirigente statunitense.<br />
Un professore dovrebbe essere<br />
capace di trasmettere ai suoi allievi<br />
non solo le conoscenze e la<br />
passione per la materia, ma<br />
dovrebbe anche essere in grado di<br />
impartire la disciplina e insegnare loro a vivere<br />
e a inserirsi nella società. William Hundert<br />
adempie al suo compito delicato con estrema<br />
cura e impegno, lavorando con una classe<br />
attenta e intraprendente. Questo equilibrio<br />
viene, però, scalfito dall'arrivo del turbolento<br />
Sedgewick Bell (Emile Hirsch), figlio di un<br />
eminente senatore. La spavalderia e<br />
l'arroganza ostentata dal giovane non<br />
intimoriscono il prof. Hundert, il quale, al<br />
contrario, cerca di stimolarlo allo studio e al<br />
rispetto, risultato ottenuto solo dopo aver<br />
conferito col padre, tanto assente quanto<br />
severo e autoritario, dal quale Sedgewick<br />
erediterà l'ambizione, il<br />
carattere sprezzante e la<br />
professione.<br />
Durante la prova finale del<br />
tradizionale torneo del college<br />
per l'attribuzione del titolo di<br />
"Giulio Cesare", al quale Bell era<br />
stato ammesso irregolarmente,<br />
la fiducia che Hundert aveva<br />
riposto nel ragazzo crolla del<br />
tutto. Avendolo sorpreso a<br />
barare, Hundert finisce per<br />
agevolare l'alunno più<br />
meritevole e, profondamente<br />
deluso, si rende conto di aver<br />
inseguito una pallida illusione,<br />
a causa della sua ingenua - e<br />
quasi presuntuosa - pretesa di<br />
poter plasmare l'animo di<br />
Sedgewick. E commette lo<br />
stesso errore 25 anni dopo,<br />
allorché, essendo stato invitato<br />
insieme agli alunni del proprio corso di studi,<br />
FILM<br />
da un Bell ormai quarantenne, e credendo che<br />
questi sia ormai divenuto un uomo moderato<br />
e giusto, accetta di giocare nuovamente il<br />
ruolo dell'arbitro in un remake della gara<br />
d'erudizione in storia classica, e lo scopre per<br />
l'ennesima volta a imbrogliare per aggiudicarsi<br />
la vittoria. La delusione, l'insoddisfazione e<br />
l'impotenza di Hundert sono prova del suo<br />
fallimento professionale, fallimento che, solo<br />
in conclusione, al<br />
protagonista<br />
appare chiaro<br />
essere un caso<br />
isolato, avendo<br />
ricevuto prove<br />
tangibili di<br />
saggezza e<br />
riconoscenza da<br />
parte dei suoi exstudenti.<br />
Come lo<br />
spettatore può<br />
facilmente<br />
prevedere, la<br />
vicenda si chiude<br />
con un monito<br />
severo e<br />
perentorio, che<br />
ricorda<br />
l'ammonimento di Frate Cristoforo a Don<br />
Rodrigo ("Verrà un giorno..."): "Tutti quanti<br />
prima o poi siamo costretti a guardare noi<br />
stessi allo specchio e a vedere chi siamo<br />
davvero. E quando verrà il suo giorno,<br />
Sedgewick, lei avrà di fronte a sé un'intera<br />
esistenza vissuta senza virtù e senza principi. E<br />
per questo ho pietà di lei. Fine della lezione".<br />
Bell continuerà a essere un uomo dalle<br />
molteplici facce, senza principi morali, né<br />
virtù, quale era suo padre, ma ciò che più<br />
getterà Hundert nello sconforto è la<br />
candidatura del meschino uomo d'affari alle<br />
elezioni politiche.<br />
Il regista Michael Hoffman denuncia con<br />
pessimismo e rassegnazione la povertà<br />
d'animo e l'ipocrisia della politica americana,<br />
(e perché non della politica in generale?), che<br />
è sempre stata strumento di potere per<br />
uomini simili a Bell - come la storia insegna -<br />
che come unico obiettivo hanno il<br />
raggiungimento del potere, il prevalere su<br />
tutti e su tutto. Il messaggio più evidente di<br />
questa commedia amara può essere<br />
brevemente riassunto nella celebre frase di<br />
Eraclito, che più volte viene sottolineata ed<br />
esplicitata nel film: "il carattere di un uomo è il<br />
suo destino".<br />
Tuttavia, ciò che più mi ha divertito di<br />
questo film, talvolta fin troppo prevedibile e<br />
scontato, è il metodo d'insegnamento<br />
adottato dal professore, l'idea di far indossare<br />
le "vesti virili" ai propri allievi e l'aria di<br />
competizione che aleggia attorno allo studio e<br />
all'apprendimento della storia romana, che ho<br />
imparato ad amare e ad apprezzare. Sarebbe<br />
didatticamente stimolante poter partecipare a
MUSICA<br />
Fires in Distant<br />
Buildings<br />
Sara Manini<br />
Avrei potuto recensire qualcosa di allegro,<br />
giusto per “allegreggiare” con l’arrivo<br />
dell’estate. Avrei potuto recensire l’ultimo<br />
disco dei Velvet (???). Ma…no: la tentazione di<br />
lasciare un’ ultima recensione “mariottidiana”<br />
sull’ultimo numero<br />
dell’ultimo giornalino<br />
liceale della mia vita è<br />
stata troppo forte,<br />
perché è sempre<br />
meglio male.<br />
Gravenhurst è il<br />
progetto solista di<br />
tale Nick Talbot da<br />
Bristol, giovane<br />
cantautore turbato&malinconico che, stando a<br />
quanto traspare dai testi di quest’album, è un<br />
po’ fissato con i fiumi e i canali di scolo. Il<br />
Talbot sa di Radiohead, ma è molto più<br />
astenico; sa di Simon&Garfunkel, ma è più<br />
mesto assai. La sua timbrica pavida e sottile<br />
regge il gioco ad un onnipresente reverb<br />
confuso, stile “nebbia-di-Fiumicino-allequattro-di-mattina”,<br />
talvolta sfregiato da<br />
attacchi distorti che scongiurano ogni<br />
possibile istinto narcolettico nell’ascoltatore.<br />
E in questo è evidente il disagio psichico del<br />
giovane Nick, combattuto fra armonia e<br />
rumore.<br />
Quest’album di degno alternative rock<br />
vagamente inquietante racchiude diverse perle<br />
di genio musicale malato, prima fra tutte<br />
“Songs from under the Arches”, una straziante<br />
ballata di indescrivibile perfezione; notevoli<br />
anche il singolo “The Velvet Cell” e il brano<br />
conclusivo “See My Friends”, azzeccata cover<br />
dei Kinks, riletta in chiave doorsiana. Ma è<br />
necessario ascoltare ogni traccia per<br />
comprendere il senso che permea questo<br />
lavoro: l’abbandono, l’invidia, le oscure<br />
pulsioni di un uomo quasi astratto, che quasi<br />
si guarda dall’alto in una condizione di<br />
corrotta salvezza, senza altra via d’uscita dal<br />
Nulla che tentare il peggio.<br />
E se il simpatico Nick non fosse stato così<br />
perso e abbattuto senza motivo, ma felice e<br />
contento, non esisterebbe l’insostituibile Fires<br />
in Distant Buildings. Perché stare bene sarà<br />
pure piacevole, ma stare male è senza dubbio<br />
più interessante.<br />
ndanomal<br />
Immaginate la musica più bella mai<br />
eseguita su un palco, in un teatro, davanti<br />
quarantamila persone, con tutta la<br />
scenografia, mantelli luccicanti, e poi urla,<br />
emozioni, tutto. Live.<br />
Yessongs è stato il primo album ufficiale,<br />
interamente dal vivo, triplo- ovvero con tre<br />
dischi di vinile dentro- ad arrivare primo in<br />
classifica. Prima di Yessongs già Close to the<br />
edge, immediatamente precedente, era stato<br />
campione di vendite. Così nel ’72, insieme a<br />
tutta la troupe, gli Yes partono per una<br />
grandiosa tournée attraverso l’Europa,<br />
gli Stati Uniti e il Giappone. All’epoca<br />
vengono accompagnati da circa quaranta<br />
tecnici, con i rispettivi manager. Tecnici<br />
che si occupano delle luci, della<br />
strumentazione, del palco e della<br />
scenografia sotto la direzione artistica di<br />
Roger Dean, che per cinque anni ha<br />
disegnato le stupende copertine degli<br />
album.<br />
Un progetto del genere era sostenuto<br />
dall’Atlantic Records di cui in quel periodo gli<br />
Yes, insieme ai Led-Zeppelin, erano il gruppo<br />
di punta. Il risultato dell'esperimento uscì<br />
nel’73, passando alla storia come uno dei<br />
cardini fondamentali del rock progressive,<br />
come lo possono essere Trilogy degli<br />
Emerson o Valentie Suite di Colosseum. Ma<br />
anche così è dir poco. Gli Yes avevano un<br />
feeling ed un'omogeneità straordinaria sul<br />
palco. Così risuonando i loro dischi<br />
precedenti, questa volta dal vivo, li caricano<br />
di un'energia nuova e di un significato<br />
diverso. Tutto il concetto musicale di<br />
Yessongs rimane puro e autentico e,<br />
nonostante racchiuda in sé i brani di quattro<br />
dischi diversi e quindi due anni di lavoro,<br />
ascoltando il disco si nota una sorta di filo<br />
conduttore tra un lato e l’altro, quasi come si<br />
trattasse di un concept-album. Ad ogni modo<br />
non sarebbe la prima volta che un disco dal<br />
vivo ripropone<br />
con maggiore<br />
efficacia la<br />
musica del<br />
disco in<br />
studio. E<br />
bisogna<br />
ricordare che<br />
si tratta<br />
comunque di<br />
interpreti<br />
straordinari,<br />
provenienti da<br />
una<br />
preparazione<br />
classica- in<br />
modo<br />
particolare<br />
Rick Wakeman-<br />
Anno II - Numero 7<br />
ondanomala_albertelli@yahoo.it<br />
Yessongs (1973)<br />
I dischi che hanno fatto la storia della musica<br />
Luca Davoli<br />
passando poi per il rock ‘n’ roll fino al<br />
progressive, seguendo l’ondata della fine<br />
degli anni sessanta, e imbottendosi le<br />
orecchie senz’altro della musica nera<br />
americana, quindi blues e jazz.<br />
Questo avevano in più gli Yes rispetto agli<br />
altri: vantavano una cultura musicale e un<br />
talento unici, arrivando così ad elaborare<br />
una raffinata sintesi di generi e stili diversi. Il<br />
massimo lo raggiungeranno poi con lo<br />
spirituale Tales from topographic ocean,<br />
1974, concepito- come racconta Jon<br />
Anderson- proprio mentre erano in tournée<br />
tra il ’72 e il ’73. In quest’album gli orizzonti<br />
si allargano in modo spaventoso, ma è<br />
sicuramente legato a Yessongs, quasi ne<br />
fosse il seguito.<br />
The Genius<br />
Claudia Severa<br />
Io non mi lamento [di essere nato<br />
cieco]... poteva andarmi peggio:<br />
pensa se fossi nato negro!<br />
N ell’America segregazionista degli anni ’30, non è<br />
certo d’aiuto nascere nero e per di più povero.<br />
Tanto meno diventare cieco appena bambino e in<br />
seguito trovarsi senza più genitori. Anzi, questa<br />
situazione sarebbe stata senza alcun dubbio presagio<br />
di un’esistenza destinata al fallimento…Ma questo non<br />
fu certo il caso di Ray Robinson Charles (1930-2004),<br />
che oggi, come ben noto, non solo è considerato un<br />
vero e proprio pilastro della musica contemporanea,<br />
ma è ricordato sicuramente per la sua intensa e<br />
coraggiosa voglia di vivere, sempre alimentata da<br />
quello che fu il suo enorme amore per la musica e il suo<br />
talento unico. Questi elementi furono sempre le<br />
colonne portanti della sua realtà, per mezzo delle<br />
quali, non in pochi casi, trovò la forza di superare gravi<br />
disagi –quali la cecità e, in età adulta, la dipendenza<br />
dall’eroina.
<strong>Maggio</strong>/<strong>Giugno</strong> <strong>2009</strong><br />
www.ondanomalapilo.com ndanomal<br />
LIBRI<br />
“Io sono nato con la musica dentro di me. È<br />
l'unica spiegazione che conosco per quello che hoIl<br />
tuo browser potrebbe non supportare la<br />
visualizzazione di questa immagine. realizzato nella<br />
vita.” , diceva Ray. E questo si può udire<br />
chiaramente in ogni suo singolo componimento.<br />
Il suo stile è assolutamente inconfondibile sin<br />
dagli esordi: con l’apertura quasi frenetica del piano<br />
di “Mess Around”, per esempio, diventa pressoché<br />
impossibile ascoltare passivamente e non lasciarsi<br />
trasportare da quel ritmo che strega; lo stesso vale<br />
per la musicalità così leggera e accattivante di “I’ve<br />
Got A Woman”, un movimentato R&B che Ray<br />
Charles compose da un inno gospel ascoltato per<br />
caso in radio. Se questi erano gli anni ’50, con le<br />
memorabili “This Little Girl Of Mine” o “Hallelujah I<br />
Love Her So”, gli anni ’60 furono caratterizzati da<br />
un fascino diverso, più malinconico e dolce,<br />
perfettamente rappresentato dalla sua celebre ed<br />
incantevole versione di “Georgia On My Mind”. E<br />
cosa dire delle sensazioni che riesce a trasmettere<br />
la sua voce accompagnata da quel piano fluido e dai<br />
caratteristici cori soul di “I Can’t Stop Loving You”?<br />
Un sogno –non a caso è stata valutata come una<br />
delle 500 canzoni migliori della storia della musica<br />
della famosa rivista americana “Rolling Stone”-.<br />
Possiamo dire che, in gran parte, la genialità di<br />
Ray fu nella sua “elasticità mentale”, che lo portò a<br />
non limitarsi a seguire un'unica influenza o genere,<br />
per essere così “etichettato” con essa, ma a<br />
sperimentare, creare, mescolando tra loro stili<br />
diversi, come il blues, il gospel, il jazz, il soul... Per<br />
questo molto spesso venne criticato soprattutto dai<br />
religiosi, che ritenevano blasfemo il suo<br />
“sfruttamento”-se vogliamo definirlo in questo<br />
modo- della musica gospel. “Gioco nell’unico modo<br />
in cui Ray Charles sa giocare”, era la sua risposta.<br />
In conclusione, The Genius non solo fu un uomo<br />
estremamente forte e passionale, con un desiderio<br />
ardente di realizzarsi affrontando difficoltà anche<br />
piuttosto consistenti sempre con quel suo<br />
caratteristico filo di ironia , ma a questo aggiunse<br />
talento puro: non ebbe mai timore di sondare nuovi<br />
territori musicali, non si ritirò mai dal voler stupire i<br />
suoi ascoltatori, fu un “pioniere”, come è spesso<br />
stato detto. E, a mio parere, questo fece di lui un<br />
artista nel vero senso della parola.<br />
La città delle bestie<br />
Valeria Tiburzi<br />
La citta delle bestie e’ un romanzo di Isabel<br />
Allende, scritto per gli adolescenti, ma<br />
adatto anche ad un pubblico adulto. Narra la<br />
storia di Alex, un normalissimo ragazzo<br />
americano, amante della lettura, della musica e<br />
dell’avventura. All’improvviso la madre si<br />
ammala gravemente ed il giovane viene affidato<br />
alla nonna Kate, un’intrepida giornalista<br />
membro dell’International Geographic. Kate e’<br />
in viaggio per l’Amazzonia, alla ricerca di una<br />
bestia leggendaria, in grado di<br />
paralizzare con il suo odore chi la<br />
incontra e decide di portare con se<br />
anche suo nipote.<br />
Fanno parte della spedizione<br />
personaggi particolari e fuori dal<br />
comune: il severo professore Leblanc, il<br />
riservato fotografo inglese Timothy<br />
Bruce e il suo assistente messicano<br />
Gonzàlez, la bellissima dottoressa<br />
Torres e César, la guida brasiliana con<br />
sua figlia Nadia di 13 anni.<br />
Quest’ultima, durante il viaggio<br />
stringe amicizia con Alex e i due<br />
diventano presto amici inseparabili.<br />
Vivranno insieme le emozioni di<br />
questo viaggio incredibile, immersi<br />
nella natura e verranno a contatto con<br />
animali selvatici, spiriti magici e<br />
sciamani dagli straordinari poteri. Scopriranno<br />
anche che alcuni membri della spedizione<br />
vogliono sterminare gli Indios e solo alla fine<br />
riusciranno a scoprire il segreto della Bestia e a<br />
s alvare gli indigeni.<br />
Un ritmo<br />
incalzante,<br />
descrizioni<br />
dettagliate e tanta<br />
capacita di<br />
trasmettere<br />
emozioni sono le<br />
caratteristiche<br />
principali che<br />
rendono questo<br />
romanzo<br />
straordinariamente<br />
avvincen te, mai noioso e<br />
assolutamente da leggere.<br />
Mia è la vendetta<br />
Giorgia Fanari<br />
Se è vero che scrivere rende eterni, Edward Bunker ne è un esempio. Nonostante Bunker sia<br />
venuto a mancare 4 anni fa, il suo ultimo manoscritto, dal titolo “Mia è la vendetta” è stato<br />
pubblicato in anteprima mondiale proprio in Italia, come un addio dello scrittore ai suoi lettori che<br />
hanno imparato a conoscerlo e ad amarlo grazie all’impegno e alla passione della sua traduttrice<br />
italiana, la professoressa Emanuela Turchetti, insegnante di inglese nel nostro liceo.<br />
Ambientato nei carceri statunitensi, il libro si articola in 5 storie in cui Bunker, autore anche della<br />
autobiografia “Educazione di una canaglia”, riporta le molte esperienze avute nel corso della sua<br />
vita, descrivendo con minuzia di particolari agghiaccianti luoghi e persone che popolano l’ambiente<br />
carcerario, dai secondini ai “morti che camminano”. Il razzismo , lo scontro fisico tra bianchi e neri<br />
in America è già vivo nel 1927, anno in cui si ambienta il primo racconto ed è uno dei fili conduttori<br />
dell’opera, che l’occhio per niente moralista di Bunker inquadra dando dell’America una sua<br />
personale lettura. I colpi di scena non mancano, il libro si legge tutto d’un fiato, soprattutto grazie<br />
alla caratterizzazione dei personaggi che, seppur delinquenti, riescono a coinvolgere il lettore fino<br />
al punto di farlo sperare in una loro evasione o in una loro miracolosa assoluzione ai processi.<br />
GAZA: Restiamo umani<br />
Vittorio Arrigoni, 7 €, Manifestolibri<br />
Armando Pitocco<br />
“Immagina dei teneri gattini, e mettili<br />
dentro una scatola. Ora sigillala bene, e<br />
con tutto il tuo peso saltaci sopra con forza, sino a<br />
quando non senti scricchiolare gli ossicini, e<br />
l'ultimo miagolio soffocato. Immagina ora lo<br />
sdegno che susciterebbe una scena simile<br />
nell'opinione pubblica mondiale, le denunce delle<br />
organizzazioni animaliste” Così parla il dr Jamal<br />
dell'ospedale di Al Shifa,<br />
di fronte a sé ha delle<br />
scatole. “Israele ha<br />
rinchiuso centinaia di<br />
civili in una scuola<br />
dell'ONU e l'ha<br />
schiacciata con il peso<br />
delle proprie bombe. La<br />
reazione del mondo?<br />
Quasi nulla. Tanto valeva<br />
nascere animali, non<br />
palestinesi”. Il chirurgo<br />
ora apre la scatola: arti<br />
mutilati, braccia e<br />
gambe dei feriti<br />
provenienti dalla scuola<br />
ONU di Al Fakhura a<br />
Jabalia.<br />
“Gaza: Restiamo Umani” è la testimonianza<br />
terribile e vera di quella che è stata l'ennesima<br />
strage, l'ennesimo insulto alla nostra umanità, che<br />
quest'inverno s'è compiuto in Palestina. L'autore è<br />
Vittorio Arrigoni, volontario dell'International<br />
Solidarity Movement (ISM), che ogni giorno lotta a<br />
Gaza con le armi della nonviolenza: si offre come<br />
scudo umano contro gli attacchi israeliani, nelle<br />
autoambulanze durante i bombardamenti, nei<br />
campi per difendere gli agricoltori dai cecchini di<br />
Tsahal (l'esercito di “difesa” israeliano).<br />
Arrigoni è stato probabilmente l'unico<br />
giornalista italiano che ha raccontato dall'interno<br />
l'assedio di Gaza, pubblicando sul suo blog<br />
(guerrillaradio.iobloggo.com) la cronaca della<br />
strage. Quegli stessi articoli ora sono raccolti tutti<br />
insieme in questo libro eccezionale, da comprare<br />
e diffondere.<br />
Leggetelo e apprenderete finalmente come<br />
stanno le cose in Palestina. Proverete finalmente<br />
orrore della guerra e la ripudierete in ogni sua<br />
forma. Capirete che l'unico modo per eliminarla e<br />
costruire la pace è una reazione nonviolenta di<br />
massa, di indignazione globale, boicottando e<br />
isolando i criminali, e tutti coloro che li<br />
appoggiano, li giustificano, o semplicemente<br />
tacciono.<br />
Dopo averlo letto non saremo più capaci di<br />
rimanere complici silenziosi. E non ci basterà<br />
pretendere la pace e la giustizia per la Palestina,<br />
ma la vorremo anche per lo Sri Lanka,<br />
l'Afghanistan, il Pakistan, l'Iraq, la Somalia, e per<br />
qualsiasi altro paese nel mondo.
ndanomal<br />
Anno II - Numero 7<br />
ondanomala_albertelli@yahoo.it
<strong>Maggio</strong>/<strong>Giugno</strong> <strong>2009</strong><br />
www.ondanomalapilo.com ndanomal
Salviamo le capre dell’ Eritrea!<br />
***<br />
W la “Posa Poseidonica”! Angelo non<br />
ci fare brutti scherzi! Ti vogliamo bene<br />
***<br />
By Roscia Focosa e Dolce Morte -<br />
***<br />
Elisabetta, Chiara e Giorgia, il<br />
prossimo anno il giornalino non sarà<br />
più lo stesso senza di voi! By lettori<br />
appassionati<br />
***<br />
-Ginnasio, ci mancherai da morire!<br />
Cex & Flo<br />
***<br />
Cex: ”Ago! Ripeti dopo di me…Sexy<br />
Sadie, what have you done?...<br />
***<br />
Ago: “…you made a fool of everyone!”<br />
***<br />
Baci! Flops & Cex P.S.: Ago, sei una<br />
mamma/nonna!<br />
***<br />
Per il proprietario della vespetta verde<br />
parcheggiata sotto scuola: Chi sei?!<br />
Due fan ginnasiali del tuo locomotore!<br />
***<br />
All'imperatore che regna sovrano in 5<br />
b: datti una calmata e poni un limite al<br />
tuo estro. Sai che fine fece Caligola?<br />
***<br />
Teatro<br />
ndanomal<br />
La Posta<br />
“A chi`, mo o’dai un goccio d’Ace?<br />
Carcola te sto a vole` troppo<br />
bene!”Ahahah! Solo al mare co voi<br />
potevamo becca` certa gente!XD Vi<br />
voglio bene, quella dell’Ace!<br />
***<br />
E` nato il fan-club di Marco Valerio e<br />
GiulioCesare!<br />
***<br />
Spatocco tranquillo, le dimensioni<br />
non contano! Sei cmq il piu` figo! G.<br />
***<br />
Che ce frega del Ricciardi noi c’avemo<br />
Pisty Gol Pisty Gol, Pisty Goool!<br />
***<br />
Al nano del IB con il piercing sulla<br />
lingua: se e` vera la legge della “L” sei<br />
il migliore della scuola! Ti aspetto<br />
ogni giorno alla macchinetta, voglio il<br />
tuo numero! Puffetta ‘93<br />
***<br />
L’Angelo e il Demone marchiano a<br />
fuoco Kake! Angelo, ti adoro trpp<br />
***<br />
La sfida del mese:far dire a Giovanni<br />
"Sassari, Sassuolo e sul Gran Sasso"<br />
***<br />
Certa gente... Coerenza ZERO! Tanti<br />
bei discorsi e poi... vero Giovanni?<br />
***<br />
Oh , yes... we love orsetto gommoso e<br />
Nel cortile della Sede Succursale, Sabato 6 <strong>Giugno</strong> (ore 21.00), si svolgerà lo spettacolo di teatro.<br />
L'opera rappresentata sarà la tragedia degli Atridi raccontata da vari autori, partecipate numerosi!<br />
Rigoroso<br />
Inquisitore<br />
Celebra<br />
Conversione<br />
Innominato<br />
Adora<br />
Rotolare<br />
Dado<br />
Interrogando<br />
Acrostici<br />
Filosofeggia<br />
Ostentando<br />
Genialità<br />
Leonardesche<br />
Intricando<br />
Equazioni<br />
Teoremi<br />
Triangoli<br />
Algoritmi<br />
Sublima<br />
Cattedrali<br />
Obelischi<br />
Templi<br />
Onora<br />
Giotto<br />
Neoclassici<br />
Evoca<br />
Leggende<br />
Località<br />
Archeologiche<br />
Cecilia Lugi<br />
Anno II - Numero 7<br />
ondanomala_albertelli@yahoo.it<br />
rimmel!<br />
***<br />
Violè... 'sti giorni troppi capricci,<br />
vero?! = D<br />
***<br />
Il prossimo anno ci mancheranno il<br />
prof. Ricciardi ed il suo malefico dado<br />
a 30 facce!<br />
***<br />
Demone (o Polipo..XD) ti<br />
adorooooooooooo! Dal tuo Angelo…<br />
A Dario IB: occhi aperti a scuola…P.S<br />
Posticino sul motorino e non<br />
solo….By Anonima<br />
***<br />
"Avete il morbooo! Untori!!!"<br />
***<br />
A Nico del IB sei proprio un cucciolo!!<br />
***<br />
A Tito del IIA: “Hai delle mutandine<br />
celestine fantastiche proprio…..!!”<br />
***<br />
Per l'ultima edizione di ondanomala<br />
della nostra vita da liceali(si spera) la<br />
mia prima e ultima dedica! Love of my<br />
life you hurted me...ma comunque<br />
non posso fare a meno di amarti...-El-<br />
***<br />
A Dario del IC: perché non mi<br />
rispondi? Sai che sei veramente<br />
carino!!!!<br />
Ringraziamo i collaboratori di<br />
questo numero:<br />
Federico Borrelli, Andreas<br />
Iaccarella, Cecilia Lugi, Sara<br />
Manini, prof.ssa Agnese Pica, Chiara<br />
Ridolfi, Irene Rossi, Claudia<br />
Severa, prof. Giuseppe Valente,<br />
Arianna Ventrelli<br />
DIRETTORE:<br />
Elisabetta Raggio<br />
REDATTORI:<br />
Chiara Borrelli<br />
Luca Davoli<br />
Giorgia Fanari<br />
Armando Pitocco<br />
Lorenzo Raffio<br />
Valeria Tiburzi<br />
IMPAGINAZIONE:<br />
Lorenzo Raffio