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25Dossier<br />

Usura<br />

L’Ilva di Taranto<br />

54<br />

1 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong><br />

6 Traffico<br />

di rifiuti<br />

Kosovo, dove regna l’impunità<br />

61


numero 11 | novembre 2012<br />

Il giornale è dedicato a Gian carlo Siani<br />

simbolo dei giornalisti uccisi dalle mafie<br />

Fondatore Luigi Ciotti<br />

Direzione Manuela Mareso (direttore responsabile)<br />

Livio Pepino (condirettore)<br />

Redazione<br />

Stefania Bizzarri, Marika Demaria, Davide Pati (Roma), Matteo Zola<br />

Comitato scientifico<br />

Enzo Ciconte, Mirta Da Pra, Nando dalla Chiesa, Daniela De Crescenzo,<br />

Alessandra Dino, Sandro Donati, Lorenzo Frigerio, Tano Grasso,<br />

Leopoldo Grosso, Monica Massari, Diego Novelli, Stefania Pellegrini<br />

Collaboratori<br />

Fabio Anibaldi, Pierpaolo Bollani, Ferdinando Brizzi, Maurizio Campisi,<br />

Gian Carlo Caselli, Stefano Caselli, Elena Ciccarello, Rinaldo Del Sordo,<br />

Stefano Fantino, Jole Garuti, Andrea Giordano, Gianluca Iazzolino,<br />

Piero Innocenti, Alison Jamieson, Alain Labrousse, Bianca La Rocca,<br />

Davide Mazzesi, Giovanna Montanaro, Marco Nebiolo, Dino Paternostro,<br />

Davide Pecorelli, Antonio Pergolizzi, Osvaldo Pettenati, Guido<br />

Piccoli, Francesca Rispoli, Lillo Rizzo, Pierpaolo Romani, Adriana<br />

Rossi, Peppe Ruggiero, Paolo Siccardi, Elisa Speretta, Lucia Vastano,<br />

Monica Zornetta<br />

Progetto grafico<br />

Avenida grafica e pubblicità (Mo)<br />

Impaginazione<br />

Acmos adv<br />

In copertina<br />

Gavins Photo<br />

Fotolito e stampa<br />

Giunti Industrie Grafiche S.p.A. Stabilimento di Prato - Tel. 0574 6291<br />

Direzione, Redazione<br />

corso Trapani 91, 10141 Torino, tel. 011/3841074<br />

fax 011/3841047, redazione@<strong>narcomafie</strong>.it, www.<strong>narcomafie</strong>.it<br />

Registrazione al Tribunale di Torino il 18.12.1992 n. 4544<br />

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30 euro (estero 49), 50 euro abbonamento sostenitore<br />

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dell’art. 13, L.675/96 sarà possibile esercitare i relativi diritti, fra cui<br />

consultare, modificare e far cancellare i dati personali scrivendo a:<br />

Associazione Gruppo Abele, Responsabile Dati, c.so Trapani 95, 10141<br />

Torino<br />

Questo numero è stato chiuso in redazione il 10/12/2012<br />

L’elenco delle librerie in cui è possibile acquistare <strong>narcomafie</strong><br />

è disponibile alla pagina web www.<strong>narcomafie</strong>.it/librerie.htm<br />

www.<strong>narcomafie</strong>.it<br />

2 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong>


I costi della<br />

mancata<br />

prevenzione<br />

C’è, nelle società contemporanee,<br />

una costante sempre più evidente:<br />

il rifiuto degli ultimi. A infastidire<br />

la società sana non è più<br />

la miseria ma la sua visibilità (con<br />

la sgradevolezza che, spesso, la<br />

accompagna). Ciò, peraltro, non<br />

può essere decentemente affermato<br />

(almeno in una società con<br />

forti radici cattoliche) e ha bisogno<br />

di alibi dicibili. Il più diffuso è<br />

che gli ultimi, gli scarti devono<br />

essere lasciati a se stessi perché<br />

occuparsi di loro comporta costi<br />

che la società della crisi non può<br />

affrontare. E l’alibi, in tempi di<br />

pensiero unico, diventa un mantra<br />

indiscusso e indiscutibile.<br />

L’alibi è falso ma la sua ossessiva<br />

ripetizione lo trasforma in verità<br />

che tranquillizza le coscienze e<br />

la politica.<br />

L’inganno si fonda su un’affermazione<br />

suggestiva: quella secondo<br />

cui il welfare costa mentre<br />

l’inerzia dello Stato è gratis<br />

(anzi è fonte di risparmio). Non<br />

è così. Non esistono diritti «che<br />

non costano»: la tutela dei diritti<br />

classici (dalla proprietà alle<br />

libertà individuali) ha determinato<br />

nei secoli, senza obiezioni<br />

di carattere economico, la predisposizione<br />

di apparati costosissimi<br />

(i più costosi, compara-<br />

tivamente, di ogni Stato), che<br />

vanno dalla polizia, alla magistratura,<br />

alle prigioni e via seguitando.<br />

La questione non è,<br />

dunque, l’esistenza delle risorse<br />

ma la loro dislocazione.<br />

Mentre, sotto la spinta di una<br />

crisi economica strutturale,<br />

l’emarginazione cresce, la guerra<br />

alla povertà – che ha caratterizzato<br />

lo Stato sociale – lascia il<br />

posto alla guerra ai poveri. Così<br />

nella storia sono nati, tra l’altro,<br />

il carcere e il manicomio. Prendiamo<br />

il carcere. Dal 1986 il<br />

numero dei detenuti è in crescita<br />

costante; dal 30 giugno 1991<br />

alla stessa data del 2012 è più<br />

che raddoppiato. Il 31 luglio 2012<br />

c’erano nei 206 istituti di pena<br />

per adulti del Paese 66.009 persone,<br />

di cui 2.818 donne e 23.590<br />

stranieri, e due anni prima – antecedentemente<br />

agli ultimi interventi<br />

legislativi tesi ad allentare<br />

la pressione sul carcere – il loro<br />

numero era arrivato sino al<br />

68.258. Ad esse, per completare<br />

l’area delle persone soggette a<br />

misure di privazione della libertà,<br />

vanno aggiunti 490 minorenni.<br />

Il dato rappresenta la situazione<br />

statica, fotografata al 31<br />

luglio di ogni anno. Ma, se si fa<br />

riferimento – come più corretto<br />

3 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong><br />

di Livio Pepino<br />

e indicativo dei termini della<br />

situazione – agli ingressi in carcere<br />

nell’anno, essi sono stati,<br />

per quanto riguarda gli adulti,<br />

84.641 (dato relativo al 2010).<br />

L’incidenza dei detenuti sugli<br />

abitanti in un giorno dato è di<br />

11 ogni 10.000 (e, dunque, poco<br />

più di uno ogni mille, compresi<br />

vecchi e neonati); ma se si fa<br />

riferimento al numero degli ingressi<br />

annui in area penale l’incidenza<br />

cresce a quasi due ogni<br />

mille. Se poi si passa dalla quantità<br />

alla qualità, poco meno del<br />

50% dei detenuti il 31 dicembre<br />

2005 era ristretto per delitti contro<br />

il patrimonio o per violazioni<br />

della legge sulla droga e il<br />

14,8% per delitti contro la persona<br />

(comprensivi di lesioni e<br />

percosse); inoltre 17.469 (pari al<br />

29,34%) erano tossicodipendenti<br />

o alcol dipendenti e 19.836<br />

(pari al 33,32%) stranieri.<br />

Si tratta di dati noti. Ma meno<br />

conosciuto è il fatto che l’aumento<br />

del carcere non è determinato<br />

dalla crescita della criminalità.<br />

Al contrario la curva dell’andamento<br />

dei reati e quella delle<br />

presenza in carcere, lungi dal<br />

coincidere, si divaricano in maniera<br />

crescente, posto che queste<br />

ultime continuano ad aumentare<br />

proprio mentre i reati più<br />

gravi e quelli che creano maggior<br />

allarme sociale segnano una flessione<br />

netta e costante dopo aver<br />

avuto il picco massimo, per lo<br />

più, nei primi anni Novanta. Il<br />

dato è evidente anche per chi<br />

non vuol vedere. Ciò che non si<br />

affronta sul piano del sociale<br />

viene (malamente) governato con<br />

lo strumento penale e il carcere<br />

diventa un contenitore di poveri<br />

e marginali. Un contenitore<br />

terribile (se è vero che i suicidi<br />

di detenuti, dal 2000 ad oggi,<br />

sono stati 717) ma anche costosissimo.<br />

Secondo l’elaborazione<br />

della associazione “Ristretti Orizzonti”,<br />

infatti, negli ultimi dieci<br />

anni il sistema penitenziario italiano<br />

è costato alle casse dello<br />

Stato circa 29 miliardi di euro,<br />

con un costo medio giornaliero<br />

per ogni singolo detenuto di 138,7<br />

euro (e ciò senza contare i costi<br />

della costruzione delle strutture<br />

e il valore degli immobili destinati<br />

alla custodia). I conti sono<br />

presto fatti e dimostrano – pur<br />

senza cedere ad automatismi<br />

semplificatori – che la repressione<br />

costa più della prevenzione<br />

e il carcere più degli interventi<br />

di sostegno. E non è una consolazione<br />

rilevare che accade per<br />

le persone ciò che vale per il<br />

territorio, dove le spese per la<br />

prevenzione continuano ad essere<br />

tagliate mentre è sotto gli<br />

occhi di tutti che tenere sotto<br />

controllo gli argini di un fiume<br />

costa molto meno che ricostruire<br />

le case e le strade distrutte da<br />

un’alluvione (anche a prescindere<br />

dai costi umani)…<br />

Il discorso si farebbe lungo e ne<br />

mancano qui il tempo e lo spazio.<br />

Ma una cosa è acquisita: i tagli<br />

della spesa sociale non c’entrano<br />

nulla – ma proprio nulla – con<br />

la crisi. O meglio hanno a che<br />

fare con una particolare lettura<br />

della crisi: quella secondo cui<br />

essa è l’occasione per regolare i<br />

conti con l’utopia dell’uguaglianza.<br />

Ma questa, appunto, è un’altra<br />

storia...


Rifiuti in Campania<br />

Il ricatto della<br />

munnezza<br />

Faccendieri, bancari, imprenditori senza scupoli: questo il<br />

volto dell’“emergenza” rifiuti in Campania. Una storia<br />

che “parla” in veneto, fatta di manipolazioni, debiti e raggiri.<br />

Al centro dell’inchiesta Enerambiente: vincitrice dell’appalto<br />

per la raccolta rifiuti nel capoluogo campano<br />

di Roberta Polese<br />

6 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong>


Quando il fumo denso di diossina<br />

si espandeva all’ombra<br />

del Vesuvio, quando Napoli<br />

soffocava nella morsa dei rifiuti<br />

che andavano a fuoco, c’era<br />

chi, dall’altra parte dell’Italia,<br />

gridava allo scandalo. Era<br />

il presidente della Regione<br />

Veneto Luca Zaia, che tuonò<br />

duro contro lo scempio che<br />

stava avvenendo in Campania:<br />

«Se i turisti non vengono da<br />

noi è colpa vostra», diceva<br />

rivolgendosi ai napoletani,<br />

colpevoli, a suo dire, di rovinare<br />

l’immagine dell’Italia<br />

intera all’estero. Forse Zaia<br />

non poteva immaginare che<br />

dietro quelle nuvole tossiche<br />

accese agli angoli delle strade<br />

di Napoli c’era un suo compaesano<br />

che, con la collaborazione<br />

di una cricca di veneti,<br />

avrebbe stretto l’amministrazione<br />

Jervolino nella morsa<br />

del ricatto, pagato sindacalisti<br />

senza scrupoli per aizzare i<br />

lavoratori contro il Comune,<br />

costringendolo ad accettare<br />

condizioni svantaggiose pur<br />

di risolvere l’emergenza.<br />

L’affaire Enerambiente. Ad<br />

alzare il velo sulla gestione<br />

dei rifiuti a Napoli tra l’estate<br />

e l’autunno del 2010 è stato il<br />

nucleo tributario della Guardia<br />

di finanza di Napoli, che,<br />

lo scorso giugno, ha eseguito<br />

un’ordinanza di custodia cautelare<br />

in carcere emessa dal<br />

gip di Napoli Isabella Iaselli.<br />

Delle 16 persone indagate 11<br />

sono venete. In cella finisce<br />

ancora una volta Stefano Gavioli,<br />

55enne veneziano residente<br />

a Treviso, a capo di<br />

Enerambiente, società che si<br />

era aggiudicata l’appalto per<br />

il prelievo dei rifiuti nel capoluogo<br />

napoletano e in altri<br />

comuni campani. In cella con<br />

Gavioli, già arrestato per altri<br />

business sospetti a Catanzaro,<br />

finisce anche sua sorella Maria<br />

Chiara, che siede nel Cda di<br />

Slia, altra società del gruppo<br />

di famiglia.<br />

E poi ci sono faccendieri e<br />

bancari: il consulente legale<br />

veneziano Giancarlo Tonetto<br />

(già suo difensore in<br />

altri procedimenti penali),<br />

i co-amministratori Enrico<br />

Prandin (Rovigo), Paolo Bellamio<br />

(Padova), il tecnico di<br />

Enerambiente Loris Zerbin,<br />

il presidente del collegio sindacale<br />

della società, il 63enne<br />

veneziano Giorgio Zabeo (già<br />

sindaco del collegio in Sirma<br />

e Slia, altre due aziende veneziane<br />

di Gavioli fallite negli<br />

ultimi anni), la fida direttrice<br />

dell’ufficio finanziario di Enerambiente<br />

Stefania Vio, 38enne<br />

di Padova. E poi ci sono altre<br />

tre figure rilevanti, soprattutto<br />

per il tessuto economico del<br />

Nordest: sono tre funzionari<br />

della Banca di credito cooperativo-Banca<br />

del Veneziano, che<br />

avrebbero stornato fatture false<br />

di Enerambiente e contribuito<br />

a traghettare 15 milioni di<br />

euro della banca nelle tasche<br />

di Gavioli. Si tratta di Alessandro<br />

Arzenton, 50enne ex<br />

direttore generale della banca<br />

(poi dimissionato), Manuela<br />

Furlan, 50enne direttrice<br />

della filiale dove si appoggiava<br />

Enerambiente, e Mario<br />

Zavagno, 63enne veneziano<br />

responsabile dell’ufficio crediti<br />

della sede centrale. Sul fronte<br />

meridionale invece finiscono a<br />

Poggioreale Giuseppina Totaro,<br />

61enne napoletana co-amministratrice<br />

di Enerambiente,<br />

Giovanni Faggiano, brindisino,<br />

amministratore delegato della<br />

7 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong><br />

società per conto di Gavioli,<br />

Vittorio D’Albero, esponente<br />

sindacale Fiadel e dipendente<br />

in aspettativa della De Vizia<br />

spa, e Gaspare Giovanni Alfieri,<br />

titolare di una coop che,<br />

secondo le accuse, sarebbe<br />

stata “comprata” da Gavioli.<br />

E poi altre figure marginali,<br />

come un imprenditore tedesco<br />

e la moglie dell’amministratore<br />

delegato Faggiano. Il reato che<br />

mette insieme tutti gli arrestati<br />

è associazione per delinquere<br />

finalizzata, a diverso titolo e<br />

con vari ruoli, alla corruzione,<br />

estorsione, violenza e minaccia,<br />

riciclaggio, bancarotta<br />

fraudolenta, falso in bilancio e<br />

ricorso abusivo al credito.<br />

L’appalto, la società svuotata<br />

e le coop. Il business<br />

della veneziana Enerambiente<br />

a Napoli comincia attorno al<br />

2005, quando si era aggiudicata<br />

l’appalto di Asia, la società “in<br />

house” del comune di Napoli,<br />

per il prelievo dei sacchetti dei<br />

rifiuti da destinare a discariche<br />

e inceneritori. L’indagine<br />

che precede gli arresti non<br />

parte dalla Guardia di finanza<br />

ma dalla Digos del capoluogo<br />

campano. E in prima istanza<br />

Enerambiente di Gavioli appare<br />

come parte offesa. Era il<br />

settembre del 2010 e i dipendenti<br />

della Davideco, coop che<br />

lavorava per Gavioli, devastano<br />

gli uffici di Enerambiente a<br />

Napoli. Sono arrabbiati perché<br />

dicono che Gavioli non li paga<br />

da mesi, e si stava spargendo<br />

la voce che il patron veneziano<br />

volesse addirittura liberarsi di<br />

loro sciogliendo il contratto. In<br />

realtà qualcosa di anomalo appare<br />

sin dall’inizio. Le indagini<br />

rivelano che l’accordo tra la<br />

Spa e la cooperativa Davideco,<br />

Come ha fatto ad<br />

accumulare tutti<br />

questi debiti<br />

un’azienda che<br />

da 5 anni lavora<br />

con il settore<br />

pubblico e vince<br />

appalti in tutta<br />

la Campania?


Mentre<br />

i manager<br />

si preparano<br />

agli incontri<br />

ufficiali, ci sono<br />

altri funzionari<br />

che muovono<br />

le pedine<br />

dal basso<br />

oltre ad essere stabilito per<br />

un periodo che andava oltre<br />

quello dell’appalto tra Asia ed<br />

Enerambiente, prevedeva un<br />

compenso di 148mila euro al<br />

mese, mentre in concreto venivano<br />

fatturati in favore della<br />

cooperativa importi di gran<br />

lunga superiori (oltre 330mila<br />

mensili). A spiegare l’arcano<br />

in procura sono Girolamo<br />

Scuteri e Salvatore Fiorito,<br />

presidenti della coop. I due<br />

rivelano un “accordo occulto”,<br />

come si legge nell’ordinanza:<br />

la cooperativa, in cambio delle<br />

commesse ottenute, versava<br />

una somma di denaro a Fag<br />

giano (amministratore dele<br />

gato di Enerambiente, braccio<br />

destro di Gavioli) e a un altro<br />

funzionario, i quali provve<br />

devano a loro volta a oliare i<br />

meccanismi per ottenere un<br />

monopolio degli appalti con<br />

Asia e l’assenza di controlli<br />

sulle concrete modalità di ge<br />

stione che avrebbero precluso<br />

il subappalto, sia da parte di<br />

Asia che del Comune.<br />

Sulla base di queste accuse<br />

Faggiano viene arrestato. In<br />

carcere dice che fino al 2010<br />

ha lavorato a stretto contatto<br />

con Stefano Gavioli e che aveva<br />

semplicemente seguito le sue<br />

direttive. Faggiano non ci sta<br />

infatti a fare la parte di quello<br />

che paga da solo. E comincia<br />

a scalpitare. In una conversazione<br />

registrata in carcere<br />

mentre parla con la moglie<br />

Monica Dentamauro (accusata<br />

di riciclaggio e sottoposta poi<br />

ai domiciliari) dice: «Fino a dicembre<br />

2009 quando c’ero io la<br />

società era sana, l’avevo detto<br />

a Gavioli di farla riempire, poi<br />

da agosto 2010 questi hanno<br />

fatto un casino ed ora io devo<br />

pagare». Faggiano ha capito<br />

8 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong><br />

dove voleva andare a parare il<br />

magistrato che lo interrogava:<br />

aveva capito, e lo dice alla<br />

moglie, che si puntava a quel<br />

milione e 400mila euro spesi<br />

per fatturazioni mai avvenute.<br />

Insomma già all’inizio del<br />

2010 i nodi di Enerambiente<br />

cominciano a venire al pettine.<br />

I magistrati autorizzano a mettere<br />

sotto controllo i telefoni<br />

del management dell’azienda<br />

veneziana. E nel frattempo la<br />

finanza comincia a fare le pulci<br />

ai bilanci di Enerambiente.<br />

Il 10 marzo 2011 viene deliberato<br />

lo scioglimento della<br />

spa Enerambiente, che, come<br />

prevede la legge, continuerà<br />

a proseguire la sua attività<br />

aziendale al solo fine di portare<br />

a compimento gli appalti<br />

in corso di esecuzione. Il 28<br />

marzo Gavioli, il legale Tonetto<br />

e un terzo avvocato presentano<br />

la richiesta di ammissione<br />

al concordato preventivo. È<br />

ancora in corso il conflitto di<br />

attribuzione tra Napoli e Venezia<br />

che ha chiesto il fallimento<br />

dell’azienda. Ma ai fini pratici<br />

conta un dato fondamentale:<br />

la società ha un buco di 50<br />

milioni di euro.<br />

“Senza di me la città è finita”.<br />

Come ha fatto ad accumulare<br />

tutti questi debiti<br />

un’azienda che da cinque anni<br />

lavora con il settore pubblico e<br />

vince appalti in tutta la Campania?<br />

Gli investigatori cercano<br />

di vederci chiaro. Le fasi più<br />

calde di tutta la vicenda avvengono<br />

nell’estate del 2010.<br />

Il termovalorizzatore di Acerra<br />

è rotto, a Terzigno ci sono le<br />

rivolte contro gli sversamenti<br />

in discarica. Nelle strade di<br />

Napoli si accumulano rifiuti,<br />

che vanno a fuoco ogni notte,<br />

i lavoratori sono arrabbiati.<br />

Ma, stando alla Finanza, c’è<br />

qualcuno che tiene le fila di<br />

tutto, muove gli operai e tiene<br />

per la gola il Comune. L’obiettivo<br />

di Gavioli è provocare<br />

tensione nell’amministrazione<br />

locale e costringerla a scendere<br />

a patti: lui vuole che Napoli<br />

compri mezzi obsoleti a scatola<br />

chiusa.<br />

«Loro devono comprare i miei<br />

camion, senza i miei camion<br />

la città è finita, ma io voglio<br />

prendere più soldi», dice Gavioli<br />

all’imprenditore tedesco<br />

che verrà coinvolto nella<br />

“sceneggiata” da fare davanti<br />

ai funzionari di Asia e del Comune.<br />

È il primo ottobre 2011<br />

e, infatti, il giochino viene a<br />

galla proprio in quel periodo.<br />

Gavioli vuole che Asia compri<br />

i suoi mezzi sovrapprezzo in<br />

tempi brevissimi, sotto minaccia<br />

di mollarli lì con tutte le<br />

loro immondizie e revocare<br />

il servizio. Napoli non si può<br />

permettere di lasciare andare<br />

Gavioli, sarebbe il collasso<br />

della città, per cui c’è la disponibilità<br />

ad accettare, ma<br />

prima vorrebbero fare delle<br />

perizie. «Non ci provate neanche,<br />

altrimenti ci alziamo e ce<br />

ne andiamo» risponde il legale<br />

Giancarlo Tonetto al termine<br />

di un incontro in cui il Comune<br />

presenta le sue ragioni. Si<br />

compra a scatola chiusa, così<br />

vuole Gavioli, stando a quanto<br />

ricostruisce la procura. E il<br />

veneziano imbastisce anche<br />

una recita per far capire ai funzionari<br />

di Asia e ai politici che<br />

sta facendo sul serio: chiama<br />

l’imprenditore tedesco Adolf<br />

Lutz (arrestato anche lui) e dice<br />

al Comune che se i camion non<br />

li comprano loro allora subentrerà<br />

il tedesco, e quest’ultimo


non è intenzionato a proseguire<br />

il servizio di raccolta. Qualche<br />

giorno prima dell’incontro lo<br />

contatta al telefono e lo prepara.<br />

Per farsi capire, usa poche<br />

parole: «Tu vieni qui con carta<br />

intestata, carta ufficiale, come<br />

che io venduto a te tutti i camion,<br />

io ho bisogno di dire<br />

che tu hai comprato i camion,<br />

capisci? noi facciamo come<br />

commedia».<br />

Mentre i manager si preparano<br />

agli incontri ufficiali, ci sono<br />

altri funzionari che muovono<br />

le pedine dal basso. La frase<br />

più forte la pronuncia Tonetto<br />

al telefono con Pina Totaro,<br />

co-amministratice di Enerambiente<br />

a Napoli, il braccio<br />

operativo di Gavioli in città.<br />

La conversazione inizia tra<br />

lo stesso Gavioli e la Totaro.<br />

Totaro dice a Gavioli che il<br />

Comune sta cercando di prendere<br />

tempo. Lui le risponde<br />

che allora è guerra, ma che<br />

«la guerra non la dobbiamo<br />

fare noi, la devono fare i dipendenti»<br />

quella stessa notte.<br />

Poi passa il telefono a Tonetto<br />

che si trova nella stanza con<br />

lui. La Finanza sta registrando<br />

tutto: «Li dobbiamo costringere»<br />

e quindi propone di non<br />

chiedere subito una risposta<br />

facendo fare intanto «un po’<br />

di casino ai nostri questa notte,<br />

non bisogna effettuare il prelievo,<br />

così domani tratteremo<br />

meglio». Totaro a quel punto<br />

muove la sua pedina numero<br />

uno: il sindacalista “comprato”<br />

Vittorio d’Albero.<br />

Ecco quindi la strategia: gli<br />

operai devono imbufalirsi e<br />

i rifiuti devono rimanere sulle<br />

strade, così Enerambiente<br />

otterrà quello che vuole dal<br />

Comune. Vengono manipolate<br />

anche le informazioni trasmes-<br />

se in Tv. «Il Tg5 darà la notizia<br />

che Enerabiente avanza dieci<br />

milioni di euro da Asia, e per<br />

questo motivo non potremo<br />

pagare gli stipendi» dice Totaro<br />

a Gavioli, che gli risponde:<br />

«Brava Pina, hai fatto bene».<br />

Subito dopo Totaro chiama<br />

un altro manager di Gavioli,<br />

Enrico Prandin, perché blocchi<br />

tutti i bonifici in uscita:<br />

«abbiamo da fà a sceneggiata»<br />

fino a quando non scoppierà<br />

la rivolta. E la rivolta è fomentata<br />

da D’Albero, sindacalista<br />

della Fiadel, che si tiene in<br />

contatto non solo con Totaro,<br />

ma anche con Stefania Vio, direttore<br />

dell’ufficio finanziario<br />

di Enerambiente.<br />

Intanto dalle casse della società<br />

vengono fatti sparire soldi a<br />

raffica, attraverso fatture per<br />

prestazioni mai erogate. Nel<br />

frattempo la banca di credito<br />

cooperativo copre, con “coscienza”<br />

secondo gli investigatori,<br />

flussi di denaro per un<br />

totale di 15 milioni di euro,<br />

anche attraverso anticipi di<br />

fatture false. Per i reati fallimentari<br />

è stato anche indagato,<br />

in seconda battuta alla fine<br />

di luglio, il presidente della<br />

federazione delle Bcc venete<br />

Amedeo Piva. Sul fronte Napoli<br />

intanto i giorni passano, il<br />

Comune comincia a muoversi<br />

e si muove anche la Finanza.<br />

Che nel frattempo scopre altri<br />

altarini dell’imprenditore di<br />

Venezia.<br />

Vent’anni di business, tra<br />

arresti e inchieste. È stata<br />

proprio la procura di Napoli<br />

infatti a trasmettere a quella di<br />

Catanzaro, che sta indagando<br />

sugli sversamenti illegali nella<br />

discarica di Alli. E si scopre<br />

che c’è Gavioli anche dietro<br />

9 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong><br />

a quel business. All’inizio del<br />

2011 parte da Catanzaro un<br />

ordine di custodia cautelare per<br />

reati ambientali e Gavioli va in<br />

carcere. In una intercettazione<br />

telefonica con Loris Zerbin,<br />

l’imprenditore veneziano dice,<br />

a proposito del percolato: «Se<br />

la vasca si rovescia da un lato<br />

è un disastro». Pochi giorni<br />

dopo la sorella Maria Chiara,<br />

dice a un finanziere che Stefano<br />

sta per partire, sta per andare<br />

in Canada dove vivono la sua<br />

compagna e il figlio e dove lui<br />

avrebbe già portato dei soldi. Di<br />

qui l’impulso all’arresto della<br />

procura calabrese. Ma nemmeno<br />

quello è primo guaio di<br />

Gavioli. In Veneto il suo è un<br />

nome famoso. Come famosi<br />

sono gli avvocati che l’hanno<br />

seguito in tutte le sue vicende:<br />

da Nicola Quaranta, avvocato<br />

di “Gianpi” Tarantini al trevi-<br />

Ecco la strategia:<br />

gli operai devono<br />

imbufalirsi e<br />

i rifiuti devono<br />

rimanere<br />

sulle strade, così<br />

Enerambiente<br />

otterrà quello che<br />

vuole dal Comune


La storia<br />

di Gavioli parte<br />

da lontano:<br />

cominciò negli<br />

anni 70 guidando<br />

una piccola<br />

macchina pulitrice<br />

nel petrolchimico<br />

di Marghera,<br />

fu l’inizio<br />

della sua scalata<br />

nel mondo<br />

dei rifiuti<br />

giano Francesco Murgia, che<br />

lavora per i Savoia, all’attuale<br />

difensore, l’avvocato Gian Piero<br />

Biancolella, legale che fu anche<br />

al servizio di Callisto Tanzi.<br />

La storia di Gavioli parte da<br />

lontano: cominciò negli anni 70<br />

guidando una piccola macchina<br />

pulitrice nel petrolchimico<br />

di Marghera, e da lì iniziò la<br />

sua scalata nel mondo dei rifiuti.<br />

Nel 1998 compra Sirma,<br />

azienda di Marghera che si<br />

occupa di tegole, e due anni<br />

dopo compra anche i cantieri<br />

Tencara, che hanno messo il<br />

loro timbro anche sul Moro di<br />

Venezia e l’America’s cup. Li<br />

vende però nel 2003 e quattro<br />

anni dopo abbandona anche<br />

Sirma. Nell’ordinanza di custo<br />

dia cautelare emessa da Napoli,<br />

e che porta in carcere Gavioli<br />

e i suoi collaboratori, si parla<br />

anche di tutto il castello di<br />

imprese che ruotano attorno<br />

all’imprenditore. Società che,<br />

secondo la Finanza, vengono<br />

fatte nascere, morire (solo formalmente)<br />

e che poi ripartono<br />

più leggere con i concordati<br />

concessi dai tribunali. Tutto<br />

legale, fino a prova contraria,<br />

ma, come dice l’ordinanza di<br />

Napoli, «Enerambiente nasce<br />

con un destino segnato». Gavioli<br />

sa di essere sul filo di<br />

lana. Lo dice in una conver<br />

sazione registrata alla fine del<br />

2011 mentre parla con il suo<br />

commercialista Enrico Prandin:<br />

«La Guardia di finanza è<br />

andata in Sirma», Gavioli: «Chi,<br />

quelli di Catanzaro?» Prandin:<br />

«No quelli di Napoli», Gavioli:<br />

«Avremo tutta la Guardia di<br />

finanza d’Italia» Prandin: «Si<br />

questi vanno su e giù per noi».<br />

La visita in Sirma dei militari<br />

non è casuale, perché sembra<br />

che anche in quel caso (200<br />

10 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong><br />

operai lasciati senza lavoro) sia<br />

stato messo in piedi lo stesso<br />

schema di svuotamento che si<br />

suppone si stato utilizzato per<br />

Enerambiente. Il meccanismo<br />

lo spiega Giovanni Faggiano,<br />

l’amministratore delegato che<br />

finisce in galera prima di tutti.<br />

Parlando con la moglie le spiega:<br />

«Lui (Gavioli) tiene debiti<br />

pazzeschi a livello personale,<br />

quindi lui voleva Enerambiente<br />

come cassaforte, capito? Come<br />

ha fatto con Slia, l’ha svuotata e<br />

poi l’ha buttata a mare, grande<br />

figlio di puttana (…) e ha fatto<br />

lo stesso con Sirma, anche da<br />

Sirma ha prelevato tutto, lui<br />

tiene un accertamento fiscale<br />

di 36 milioni per Sirma». Enerambiente<br />

viene creata nel 2010<br />

dalle ceneri dalla Slia spa: dalla<br />

scissione di Slia spa nascono<br />

Slia Technologies e Enerambiente:<br />

nella prima viene fatta<br />

confluire la parte buona della<br />

società, nella seconda vengono<br />

riversati tutti i debiti. Il 21 dicembre<br />

del 2009 Enerambiente<br />

incorpora anche la Società<br />

meridionale discariche (creata<br />

con la sovvenzione della cassa<br />

del Mezzogiorno) e la Sirma<br />

servizi srl, costituita nel 1991.<br />

Tutte le società sono di Gavioli.<br />

Secondo la Finanza fusioni e<br />

scissioni gli servono solo per<br />

riversare i debiti nelle società<br />

destinate a morire e mettere<br />

da parte i soldi buoni. Sono gli<br />

stessi investigatori a descrivere<br />

le scissioni come fughe dai<br />

debiti. Il binario parallelo in<br />

cui corrono Enerambiente, che<br />

sta facendo soffocare Napoli<br />

nei rifiuti, e Sirma, che lascia a<br />

piedi centinaia di operai (e un<br />

debito di milioni di euro), viene<br />

descritta nei dettagli nell’ordinanza<br />

del Gip: «L’operazione<br />

di realizzazione di un bidone<br />

industriale da parte di Gavioli si<br />

compie definitivamente quando<br />

il 4 agosto del 2010, davanti al<br />

notaio Forte di Treviso, realizza<br />

la scissione di Enerambiente e<br />

Enertech, con solo centomila<br />

euro di capitale sociale». Nella<br />

Enertech trasferisce tutte le<br />

cose buone di Enerambiente,<br />

lasciando a quest’ultima i debiti.<br />

In pratica il signor Gavioli dopo<br />

aver indebolito una società la<br />

spacca in pezzettini e butta a<br />

mare la parte debitoria, e mette<br />

via la parte buona che sottrae ai<br />

creditori stessi. Questa storia<br />

si sarebbe ripetuta in Sirma,<br />

quando ha sottratto alla società,<br />

poi liquidata, il patrimonio<br />

immobiliare, e si è ripetuta in<br />

Tencara. Un giochino che si<br />

riversa sulle spalle delle centinaia<br />

di operai che protestano<br />

davanti ai cancelli senza lavoro<br />

e senza stipendio.<br />

Gavioli e gli altri arrestati sono<br />

stati tutti ammessi alla misura<br />

dei domiciliari dal Tribunale del<br />

riesame. Ma, come se non bastasse,<br />

a fine luglio si è scoperto<br />

un nuovo retroscena: a fare da<br />

garante per le fideiussioni presentate<br />

da Gavioli a Marano di<br />

Napoli, Frattamaggiore, Acerra e<br />

in provincia di Brindisi c’è una<br />

compagnia assicurativa romena<br />

che si chiama City Insurance. Il<br />

27 luglio una sentenza del Tar<br />

blocca ogni nuovo contratto<br />

alla compagnia, e lo fa in virtù<br />

di risultanze dell’Isvap, ovvero<br />

l’inconsistenza del patrimonio<br />

della società, e delle indagini del<br />

Gico di Venezia: City Insurance<br />

è collegata a Dionisio Pacquadio,<br />

proprietario di Liginvest, società<br />

che presentava fideiussioni<br />

negli appalti presentati da ditte<br />

collegate ai clan Dell’Aquila e<br />

Mallardo di Napoli.<br />

Ma questa è un’altra storia.


Sciacchitano dopo Cisterna alla Dna?<br />

Lo scorso 8 novembre il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso ha<br />

nominato come suo numero due il sostituto Giusto Sciacchitano (nella foto,<br />

ndr), ndr che succede nel ruolo di procuratore aggiunto ad Alberto Cisterna, il<br />

magistrato indagato per corruzione in atti giudiziari a seguito delle accuse<br />

di Antonino Lo Giudice, il collaboratore di giustizia autoaccusatosi di essere<br />

l’ideatore degli attentati alla Procura di Reggio del 2010. Cisterna è stato prosciolto<br />

il 26 novembre: i giudici non hanno creduto alla testimonianza del<br />

pentito, che aveva sostenuto l’intervento del magistrato nella scarcerazione<br />

di uno dei suoi fratelli in cambio di un “regalo”, lasciando intendere denaro.<br />

Cisterna ha sempre sostenuto che i contatti con uno dei Lo Giudice fossero strumentali alla<br />

cattura del super ricercato Pasquale Condello.<br />

Sulla nomina di Sciacchitano, che deve ancora essere ratificata dal Consiglio superiore della<br />

magistratura, è insorto Michele Costa, avvocato, ex assessore a Palermo della giunta Cammarata<br />

(Pdl) e figlio del giudice Gaetano Costa, assassinato da Cosa nostra il 6 agosto del 1980.<br />

Costa è tornato a sottolineare l’isolamento in cui Sciacchitano aveva lasciato il padre nel maggio<br />

1980, quando, insieme agli altri sostituti della procura di Palermo (ad eccezione di Vincenzo<br />

Geraci, come ricordano Sandra Rizza e Giuseppe Lo Bianco sul «Fatto Quotidiano»), non solo<br />

si rifiutò di convalidare decine di ordini di cattura contro il clan Gambino-Spatola-Inzerillo, ma<br />

indicò – fatto sempre smentito dall’interessato – ai giornalisti e agli avvocati dei mafiosi il nome<br />

del suo superiore come unico responsabile del provvedimento.<br />

Su Sciacchitano pesano anche le testimonianze di Enzo Alessi (un medico che lo vide tra gli<br />

invitati a casa di Angelo Siino, sebbene in anni in cui ancora non era noto per essere il “ministro<br />

del lavori pubblici” di Totò Riina) e di Massimo Ciancimino, che lo indica come la talpa della<br />

procura di Palermo (e per questo Sciacchitano lo ha citato in giudizio) che avrebbe permesso al<br />

padre Vito di mettere al riparo parte del patrimonio dalla confisca disposta all’epoca da Giovanni<br />

Falcone. Le accuse di Ciancimino nei confronti di Sciacchitano (che portarono all’apertura di<br />

un’inchiesta, poi archiviata) riguardavano anche presunti condizionamenti da parte del magistrato<br />

sull’inchiesta sul gruppo Gas, società che Vito Ciancimino gestiva proprio con l’ex consuocero<br />

di Sciacchitano, Ezio Brancato.<br />

Processo Infinito,<br />

i boss vogliono<br />

i giornalisti in aula<br />

“Vogliamo la stampa a seguire<br />

il processo”. È stata questa la<br />

richiesta avanzata alla Corte<br />

da parte delle decine di detenuti<br />

accusati di appartenere<br />

alla ’ndrangheta, all’apertura<br />

del processo di appello in rito<br />

abbreviato, e quindi a porte<br />

chiuse, per l’inchiesta Infini-<br />

to, per la quale il 20 novembre<br />

2011 in primo grado sono state<br />

condannate 110 persone su 119<br />

accusate. A fare da portavoce è<br />

stato Domenico Lauro, presunto<br />

affiliato alla locale di Cormano:<br />

«Vogliamo maggiore rispetto per<br />

le nostre singole posizioni – ha<br />

detto Lauro – e non vogliamo<br />

che venga celebrato una sorta<br />

di “rito ambrosiano” solo per<br />

noi, senza garanzie. Vogliamo i<br />

giornalisti perché non abbiamo<br />

nulla da nascondere». Una ri-<br />

12 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong><br />

brevi di mafia<br />

chiesta che lascia pensare, visto<br />

che sono decine i giornalisti<br />

minacciati da esponenti delle or<br />

ganizzazioni mafiose nel nostro<br />

paese per averne raccontato le<br />

vicende criminali. Gli imputati<br />

in un primo momento avevano<br />

anche minacciato di revocare il<br />

mandato ai loro legali, per poi<br />

fare marcia indietro «nel rispetto<br />

degli avvocati».<br />

Per il filone processuale che<br />

segue il rito ordinario, invece, il<br />

collegio dell’ottava sezione pe-<br />

a cura di Manuela Mareso<br />

nale presieduto da Maria Luisa<br />

Balzarotti lo scorso 6 dicembre<br />

ha emesso 40 condanne. Il verdetto,<br />

letto nell’aula bunker del<br />

carcere di San Vittore, è stato<br />

accolto con sdegno da parte dei<br />

parenti degli imputati.<br />

Tra i condannati, l’ex dirigente<br />

della Asl di Pavia, Carlo Chiriaco,<br />

accusato di essere il punto<br />

di connessione tra la politica<br />

e la ’ndrangheta («avrebbe favorito<br />

gli interessi economici<br />

della ’ndrangheta garantendo<br />

appalti pubblici e proponendo<br />

varie iniziative immobiliari»),<br />

con 13 anni di carcere e pena<br />

accessoria dell’interdizione<br />

perpetua dai pubblici uffici;<br />

18 anni per Pino Neri, il “capo<br />

dei capi” della Lombardia; 12<br />

anni (più la pena accessoria<br />

della inabilitazione all’esercizio<br />

di imprese commerciali per<br />

dieci anni) per l’imprenditore<br />

Ivano Perego.<br />

Agricoltura, truffe<br />

all’Inps e fondi Ue<br />

alla mafia<br />

Si chiama “Senza terra” una<br />

delle operazioni più eclatanti<br />

condotte recentemente dalla<br />

Guardia di Finanza in Calabria.<br />

Una truffa che passava<br />

dalla costituzione di cooperative<br />

agricole ad hoc nella provincia<br />

di Cosenza (Corigliano<br />

Calabro, Rossano, Cassano<br />

allo Ionio), con centinaia di<br />

lavoratori che svolgevano attività<br />

solo sulla carta presso<br />

terreni di committenti ignari<br />

se non inesistenti; lavoratori<br />

che erano disposti ad antici-


pare all’organizzazione criminale<br />

il denaro necessario a<br />

saldare i contributi, per poter<br />

poi ricevere l’indennità di<br />

disoccupazione, di malattia,<br />

maternità e assegni familiari.<br />

I 37 arrestati sono imprenditori<br />

agricoli, sindacalisti,<br />

consulenti del lavoro, commercialisti,<br />

amministratori<br />

locali, falsi lavoratori e anche<br />

un consigliere provinciale,<br />

Antonio Carmine Caravetta<br />

(Udc), a cui secondo le indagini<br />

sarebbe stato promesso<br />

sostegno elettorale in cambio<br />

di aiuti finalizzati all’ottenimento<br />

della tutela previdenziale<br />

per i lavoratori.<br />

Le organizzazioni criminali<br />

sono capaci di truffare anche<br />

l’Unione europea, non senza le<br />

colpevoli mancanze da parte<br />

delle istituzioni. Un articolo<br />

di Sergio Rizzo sul «Corriere<br />

della Sera» del 19 novembre<br />

rileva che dal 2009 al 2012<br />

la Corte dei Conti ha emesso<br />

circa 50 sentenze per danno<br />

erariale (per un totale di circa<br />

2 milioni di euro) a carico di<br />

noti esponenti della criminalità<br />

organizzata o di persone<br />

sottoposte a misure di polizia,<br />

che non erano dunque nella<br />

posizione di poter incassare<br />

i contributi dell’Agea, l’ente<br />

erogatore alle dipendenze<br />

del ministero delle Politiche<br />

agricole, che non ha effettuato<br />

i dovuti controlli. Tra i beneficiari<br />

figurano anche Gaetano<br />

Riina – il fratello di Totò<br />

Riina, boss dei Corleonesi, in<br />

carcere dal 1993 – e Giuseppe<br />

Spera – fratello di Benedetto<br />

Spera, vicino al boss Bernardo<br />

Provenzano –, condannati al<br />

risarcimento di quanto intascato<br />

impropriamente, ma<br />

solo per una cifra percentuale<br />

proprio perché la condanna<br />

ha riconosciuto anche una<br />

responsabilità dell’Agea: per<br />

Gaetano Riina, in carcere da<br />

4 anni, la condanna d’appello<br />

lo costringe a restituire poco<br />

più di 25mila euro per gli oltre<br />

40mila che aveva incamerato;<br />

38mila euro è invece la somma<br />

calcolata per Giuseppe Spera,<br />

che aveva avuto accesso al<br />

contributo attraverso un’associazione<br />

di categoria e non<br />

personalmente come nel caso<br />

di Riina.<br />

Un asilo troppo<br />

vicino al boss<br />

Rischia di restare vuoto uno<br />

dei due beni confiscati alla<br />

mafia nel territorio di Corigliano<br />

Calabro – comune in<br />

provincia di Cosenza, sciolto<br />

per mafia nel giugno del 2011<br />

–, restituito alla collettività<br />

grazie alla riconversione in<br />

Scuola dell’infanzia. L’entusiasmo<br />

registrato dalle autorità<br />

locali nel giorno dell’inaugurazione<br />

non ha infatti avuto<br />

seguito nella quotidianità. Gli<br />

spazi ristrutturati all’interno<br />

del progetto ministeriale “Più<br />

scuola meno mafia” sono rimasti<br />

deserti perché, come<br />

riportano in una lettera inviata<br />

alle istituzioni alcune mamme<br />

– alle cui obiezioni non era<br />

stato dato spazio nel giorno<br />

dell’apertura –, l’allontana-<br />

13 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong><br />

brevi di mafia<br />

Basilischi:<br />

e dopo gli anni 90?<br />

Il 30 ottobre la Corte di Appello di Potenza,<br />

presieduta dal giudice Vincenzo Autera, ha<br />

confermato – con contenuti sconti di pena – la<br />

sentenza di primo grado emessa nel dicembre<br />

2007 contro la “famiglia dei Basilischi”, riconoscendola<br />

come “associazione a delinquere<br />

di stampo mafioso”, e ha confermato 36 delle<br />

38 condanne del primo grado inflitte a esponenti dell’associazione<br />

con cui camorra e ’ndrangheta si sono dovute<br />

confrontare per i loro interessi in terra lucana. Ventun anni<br />

di carcere per Giovanni Luigi Cosentino (nella foto, ndr.) –<br />

oggi collaboratore di giustizia – considerato il vertice per<br />

sua stessa ammissione: sua anche l’invenzione del rito di<br />

affiliazione. I giudici hanno dunque ricostruito nascita e<br />

sviluppo dell’organizzazione svelata da Michele Danese,<br />

l’uomo che sopravvisse a un agguato che voleva eliminarlo<br />

per il suo rifiuto di sfregiare la compagna di Cosentino, sua<br />

sorella, che aveva tradito il boss mentre si trovava in carcere.<br />

Collaborerà nella ricostruzione anche uno degli autori<br />

dell’agguato a Danese, Antonio Cossidente, che fornirà ai<br />

magistrati i dettagli di come il boss Cosentino sarebbe poi<br />

stato estromesso. Lo storico Nicola Tranfaglia ha commentato:<br />

«Per la famiglia lucana è la fine e i personaggi più importanti<br />

del clan sono catturati e processati, ma questo è quello che<br />

avviene entro la fine degli anni Novanta. E non sappiamo<br />

quasi nulla di quello che è avvenuto negli anni successivi.<br />

[...] La Basilicata, rimasta per più di un secolo e mezzo fuori<br />

da tutte le storie delle mafie, vi è entrata e si può dubitare che<br />

dopo l’esperienza degli anni Novanta ne sia uscita».<br />

mento di un chilometro della<br />

sede dell’asilo, da contrada<br />

Fabrizio Piccolo a contrada<br />

Fabrizio Grande, comporta<br />

difficoltà di trasporto per genitori<br />

impiegati per lo più<br />

come lavoratori stagionali. Per<br />

questo si chiede che il vecchio<br />

plesso, dichiarato inadeguato,<br />

venga ripristinato.<br />

Il caso è attualmente al vaglio<br />

della procura e dell’ufficio<br />

scolastico provinciale. Indiscrezioni,<br />

scrive Domenico<br />

Marino su «Avvenire», lasciano<br />

trapelare che la vera ragione<br />

della mancata frequenza<br />

sia dovuta allo status di bene<br />

confiscato allo ’ndranghetista<br />

Giovanni Battista Vulcano, la<br />

cui famiglia ha conservato la<br />

proprietà del terreno circostante,<br />

dove risiedono anche<br />

gli anziani genitori.


Mafia e politica<br />

ad Altamura<br />

Spunta il nome di Mario<br />

Stacca, sindaco di Altamura,<br />

nell’inchiesta condotta dai<br />

pm della Procura di Bari<br />

Roberto Pennisi e Desiree Di-<br />

geronimo, che sta svelando<br />

intrecci tra mafia, politica<br />

e imprenditoria.<br />

A fare il nome di Stacca è<br />

Valerya Hiblova, vedova del<br />

boss Bartolomeo Dambrosio<br />

(ucciso nel settembre 2010):<br />

«A lui si rivolgevano anche<br />

carabinieri, finanzieri<br />

14 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong><br />

brevi di mafia<br />

e politici, come il sindaco<br />

Stacca che gli chiese di fargli<br />

la campagna elettorale e di<br />

procacciargli voti». Secca la<br />

replica del primo cittadino:<br />

«Non conosco la moglie di<br />

Dambrosio e non ho chiesto<br />

aiuto a nessuno». Hiblova ha<br />

poi sottolineato l’influenza<br />

Una nuova struttura della ‘ndrangheta<br />

Si chiama “Corona” la struttura intermedia nelle gerarchie ’ndranghetiste<br />

finalizzata a custodire e tramandare i valori storici della<br />

’ndrangheta reggina, venuta alla luce a seguito dell’operazione “Saggezza”<br />

portata a termine il 13 novembre dai Carabinieri del comando<br />

provinciale di Reggio Calabria: 39 arresti tra la Locride e le province<br />

di Vibo Valentia, Cosenza e Como. Si ha ora, dopo l’operazione Crimine<br />

del luglio 2010, ulteriore conferma del fatto che la ’ndrangheta<br />

sia un’organizzazione unitaria, verticistica e che le ’ndrine, ovunque<br />

dislocate, restino in contatto tra di loro.<br />

La Corona, si evince dalle carte, sapeva molto sull’omicidio di Francesco<br />

Fortugno, il vicepresidente del Consiglio della regione Calabria<br />

assassinato a Locri il 16 ottobre 2005.<br />

Le accuse sono di associazione di tipo mafioso, estorsione, porto abusivo e detenzione<br />

di armi, usura, illecita concorrenza volta al condizionamento degli appalti pubblici,<br />

minaccia, esercizio abusivo dell’attività di credito, truffa, furto di inerti, intestazione<br />

fittizia di beni. A seguire l’inchiesta, il pm Antonio De Bernardo e il procuratore aggiunto<br />

Nicola Gratteri (nella foto, ndr.), che ha commentato: «L’inchiesta [...] rende lucidamente<br />

uno spaccato di attività criminali che convergono verso un unico obiettivo: un<br />

asfissiante controllo del territorio, perseguito anche con il condizionamento dell’elezione<br />

degli organismi di governo della comunità montana Aspromonte orientale. Come si<br />

evince dalle risultanze investigative [...] tutto doveva passare attraverso accordi garantiti<br />

dai capi “locale”. Finanche il taglio dei boschi ed il commercio del legname, i lavori<br />

di messa in sicurezza delle fiumare erano pratica che doveva essere affrontata dai capi<br />

bastone attraverso i mezzi classici di intimidazione: furti nei cantieri, incendi di autovetture<br />

di titolari di imprese».<br />

L’operazione è stata condotta in cinque anni di indagini con intercettazioni a tappeto sul<br />

territorio: una di queste, inquietanti, lascia presagire una talpa nei vertici dell’antimafia:<br />

nei dialoghi trascritti un uomo delle forze dell’ordine dialoga in modo familiare con il<br />

boss di Canolo e gli fornisce informazioni riservate, riferite da una terza persona che ha<br />

accesso ai dati segreti. Sequestrate quattro imprese per un valore stimato di un milione<br />

di euro e individuate cinque “locali” (struttura che organizza la gestione malavitosa in<br />

un territorio dove sono presenti più ’ndrine) e le relative figure apicali riferibili alle<br />

municipalità di Antonimina (famiglia Romano), Ardore (famiglia Varacalli), Canolo (famiglia<br />

Raso), Ciminà (famiglia Nesci) e Cirella di Platì (famiglia Fabiano).<br />

del marito anche nel gestire<br />

appalti e lottizzazioni, raccontando<br />

storie di imprenditori<br />

di Altamura in cerca<br />

di appoggi. Dambrosio era<br />

un boss capace di influenze<br />

e lontano dagli stereotipi<br />

della criminalità pugliese:<br />

secondo la testimonianza<br />

della vedova, aveva un codice<br />

ereditato dai Siciliani,<br />

a cui le aveva confessato di<br />

essere appartenuto.<br />

Camorra,<br />

un patto<br />

Chiesa-polizia.<br />

L’appello di Sepe<br />

ai parroci<br />

“I parroci neghino il funerale<br />

ai camorristi”. Con<br />

questo anatema il cardinale<br />

Crescenzio Sepe torna sulla<br />

spinosa questione dell’accesso<br />

alla Chiesa da parte di<br />

affiliati alle organizzazioni<br />

criminali. La questura, per<br />

ragioni di sicurezza, ha facoltà<br />

di vietare le esequie<br />

pubbliche, ma anche quelle<br />

private andrebbero impedite<br />

per la forte valenza<br />

sociale che il rito ancora<br />

assume. La Curia napoletana<br />

ha già delle indicazioni<br />

pastorali: i boss non<br />

possono fare da padrini<br />

a battesimi e cresime, né<br />

da testimoni ai matrimoni.<br />

Ma non è così immediato<br />

capire se una vittima della<br />

camorra sia un camorrista:<br />

per questo la Chiesa deve<br />

confrontarsi con le forze<br />

dell’ordine.


Intervista ad Alessandra Cerreti di Emanuela Zuccalà<br />

Prima di lei, nessuna donna<br />

imputata per fatti di ’ndrangheta<br />

aveva osato tradire e raccontare<br />

i segreti di famiglia a<br />

un magistrato. Ma Giuseppina<br />

Pesce, 33 anni, di Rosarno, Calabria<br />

tirrenica, figlia del boss<br />

Salvatore Pesce, ha guardato<br />

negli occhi i propri figli e ha<br />

intravisto per loro un futuro<br />

diverso. Nonostante mettesse<br />

a rischio la propria vita. Di<br />

fronte a lei, un’altra donna:<br />

Alessandra Cerreti, di Messina,<br />

sostituto procuratore alla Direzione<br />

distrettuale antimafia<br />

di Reggio Calabria. Raccoglie<br />

la deposizione di Giuseppina e<br />

15 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong><br />

Essere donna<br />

contro la ‘ndrangheta<br />

Maria Concetta Cacciola, Lea Garofalo, Giuseppina Pesce: volti e nomi di donne<br />

che hanno scelto di denunciare la ’ndrangheta, dopo averla vissuta sulla pelle.<br />

Un magistrato ci racconta il lato femminile dell’organizzazione<br />

porta alla sbarra, nell’inchiesta<br />

All Inside, 76 capi e gregari<br />

della cosca Pesce: 13 di loro<br />

sono già stati giudicati in primo<br />

grado, 11 condannati; per altri<br />

63 imputati il processo è in<br />

corso al tribunale di Palmi.<br />

Cerreti seguiva anche il tragico<br />

caso di Maria Concetta Cac-<br />

ciola, la testimone di giustizia<br />

che non ha retto alle pressioni<br />

della famiglia e si è suicidata<br />

ingerendo acido muriatico, il<br />

20 agosto 2011.<br />

Con il magistrato cerchiamo<br />

dunque di comprendere il lato<br />

femminile della ’ndrangheta.<br />

Donne che fino a oggi sono


imaste nell’ombra: si credeva<br />

si limitassero a cucinare per i<br />

latitanti, senza ricoprire alcun<br />

ruolo attivo nell’organizzazione,<br />

a differenza delle donne di<br />

camorra e di mafia. Oggi, invece,<br />

iniziano a emergere nelle<br />

cronache per la capacità di<br />

ribellarsi a un’organizzazione<br />

criminale tra le più potenti al<br />

mondo, con un fatturato annuo<br />

da 44 miliardi di euro (quanto i<br />

pil di Estonia e Slovenia messi<br />

insieme) e tentacoli ben radicati<br />

anche nel Nord Italia.<br />

Dottoressa Cerreti, dei circa<br />

900 collaboratori di giustizia<br />

presenti oggi in Italia, solo un<br />

centinaio proviene dal crimine<br />

calabrese. Si dice che pentirsi<br />

in seno alla ‘ndrangheta sia<br />

impossibile, per via dei legami<br />

familiari che avvinghiano i<br />

suoi membri. Qualcosa sta<br />

cambiando?<br />

Finora in molti sostenevano<br />

l’impenetrabilità della ’ndrangheta<br />

perché, a differenza di<br />

16 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong><br />

altre mafie, all’interno del<br />

crimine calabrese spesso la<br />

famiglia mafiosa coincide con<br />

quella di sangue. Questo rende<br />

più complesso e tortuoso il<br />

percorso collaborativo e, nel<br />

tempo, ha contribuito a creare<br />

il falso mito dell’invincibilità<br />

della ’ndrangheta. Invece negli<br />

ultimi tre anni sono arrivati i<br />

primi collaboratori a sferrare<br />

colpi durissimi alle cosche.<br />

Che cosa rappresenta il pentimento<br />

di una donna, in questo<br />

contesto?<br />

Le collaborazioni al femminile<br />

sono eccezionali sul piano<br />

sociale e culturale, prima che<br />

su quello giudiziario: non solo<br />

spezzano il muro di omertà,<br />

ma attestano che le donne<br />

possono ribellarsi alla cultura<br />

maschilista che permea la<br />

mafia calabrese, intaccandone<br />

il prestigio criminale.<br />

Si dice anche che le donne di<br />

‘ndrangheta, a differenza di<br />

quelle di camorra, ricoprano<br />

ruoli marginali. Al massimo<br />

sono “sorelle d’omertà”, cioè<br />

vivandiere dei latitanti. Un<br />

altro falso mito?<br />

Certo. Svolgono mansioni preziose<br />

quando gli uomini di<br />

famiglia sono detenuti: portano<br />

le “ambasciate” nei colloqui<br />

in carcere, garantendo così la<br />

sopravvivenza dell’associazione<br />

mafiosa e la prosecuzione<br />

delle attività criminali a questa<br />

ricollegabili, come estorsione<br />

e usura. Inoltre sono cassiere<br />

della cosca o intestatarie fittizie<br />

di beni, ma soprattutto<br />

trasmettono ai figli la mentalità<br />

e il vincolo mafiosi. È<br />

emblematica la “ninna nanna<br />

du malandrineddu”, in cui la<br />

mamma canta al bimbo: «Cresci<br />

in fretta, impugna la pistola<br />

per vendicare tuo padre...».<br />

Qual è la molla che fa scattare<br />

il pentimento in loro?<br />

Queste donne vivono la collaborazione<br />

con la giustizia


come un atto d’amore verso<br />

i figli, per i quali desiderano<br />

un futuro di scelte libere. Non<br />

vogliono che i propri ragazzi<br />

siano destinati a diventare soldati<br />

della cosca e che le ragazze<br />

sposino un mafioso, com’è<br />

toccato a loro, condannate<br />

a un’esistenza scandita dai<br />

colloqui in carcere. E spesso<br />

hanno come uniche finestre<br />

sul mondo internet e i social<br />

network: per quanto le si allevi<br />

secondo modelli obsoleti,<br />

se sono intelligenti e vogliono<br />

aprire i loro orizzonti, basta<br />

un clic. In questo la ’ndrangheta<br />

non può controllarle. A<br />

volte intraprendono relazioni<br />

sentimentali in rete e, per la<br />

prima volta a trent’anni, si<br />

ritrovano a essere corteggiate<br />

non come le figlie del boss<br />

ma come donne qualunque. È<br />

comprensibile che esplodano<br />

emotivamente.<br />

Com’è la vita di una donna<br />

di mafia in Calabria?<br />

Le collaboratrici dicono che,<br />

di norma, a 13 anni la ragazza<br />

viene indotta al matrimonio<br />

per rinsaldare alleanze<br />

mafiose e a 14 mette<br />

al mondo il primo figlio. In<br />

quella subcultura la donna è<br />

un patrimonio: strumento di<br />

alleanza tra famiglie, capace<br />

di procreazione e di trasmettere<br />

ai figli i valori mafiosi. I<br />

bambini maneggiano coltelli<br />

già a 12 anni, e a 14 la pistola.<br />

Ma c’era una donna che<br />

mandava il figlio all’oratorio<br />

contro il volere del marito,<br />

sognando di farlo laureare e<br />

dimostrando che, quando la<br />

madre vuole spezzare il laccio<br />

mafioso, può farcela. Quel<br />

bimbo, oggi, vuole diventare<br />

carabiniere.<br />

Sull’appartenenza mafiosa,<br />

alla fine, vince l’essere donna<br />

e madre.<br />

L’amore per i figli è l’unico<br />

sentimento più forte di quello<br />

che si prova per il padre, il<br />

fratello e il marito. L’unico<br />

che consente di superare il<br />

vincolo familiare e collaborare<br />

con la giustizia, sebbene ciò<br />

che queste donne intendono<br />

recidere non sia il vincolo<br />

affettivo familiare ma soltanto<br />

quello mafioso. Un’altra<br />

spinta può derivare dalla condanna<br />

capitale che alcune di<br />

loro hanno sulle spalle: nella<br />

’ndrangheta, l’adultera è infatti<br />

punita con la morte. E loro<br />

si sentono colpevoli, addirittura<br />

meritevoli di morte. Alla<br />

domanda: «Scusi, suo marito<br />

la tradisce?», rispondono: «Sì,<br />

ma lui è un uomo». Hanno<br />

assorbito quella subcultura,<br />

sentono il loro destino ineluttabile:<br />

la collaborazione,<br />

in questi casi, è vista come<br />

l’unica via di fuga.<br />

Perché Giuseppina Pesce si è<br />

fidata proprio di Alessandra<br />

Cerreti?<br />

Queste donne non si fidano<br />

subito. Per le ragazze nate in<br />

quel contesto, i giudici sono<br />

gli “sbirri”: quelli che, quando<br />

loro erano piccole, hanno<br />

fatto arrestare in piena notte<br />

i loro padri e fratelli. Però<br />

un magistrato donna può<br />

abbattere la barriera del pudore,<br />

che in loro è fortissima.<br />

Una volta, con un collega,<br />

interrogai una collaboratrice<br />

reticente sulla sua relazione<br />

extraconiugale. Lei mi chiamò<br />

in disparte e mi disse:<br />

«Io mi vergogno davanti a<br />

un giudice uomo. Se vuole<br />

lo dico solo a lei».<br />

17 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong><br />

Durante il processo All Inside,<br />

alcuni detenuti gridavano<br />

dalle gabbie il nome di un<br />

suo collega uomo: rifiutavano<br />

di interagire con lei<br />

perché donna...<br />

Per la ’ndrangheta la donna può<br />

non rappresentare un interlocutore<br />

di pari livello. Capita<br />

che i detenuti “sbaglino” il<br />

cognome del pm donna, nonostante<br />

lo conoscano bene<br />

fin dalle indagini, proprio per<br />

dimostrare di non riconoscere<br />

la sua autorevolezza. Mi era<br />

successo anche nel corso dei<br />

processi di terrorismo islamico,<br />

dei quali mi sono occupata al<br />

tribunale di Milano: in quei<br />

casi è addirittura accaduto che<br />

i detenuti mi voltassero le spalle<br />

in aula, costringendomi ad<br />

allontanarli.<br />

Solo con l’omicidio Fortugno<br />

nel 2005 e la strage di<br />

Duisburg nel 2007 si sono<br />

accesi i riflettori nazionali e<br />

internazionali sulla potenza<br />

della ‘ndrangheta. Come mai<br />

tanto ritardo?<br />

La Calabria ha subito un desolante<br />

silenzio informativo. Le<br />

testate nazionali non hanno una<br />

sede qui e gli eventi criminali,<br />

tranne quelli eclatanti, sono<br />

trattati come beghe calabresi.<br />

Invece le recenti inchieste<br />

condotte dalla nostra procura<br />

insieme a quella di Milano,<br />

prima fra tutte l’indagine Crimine,<br />

hanno dimostrato che la<br />

’ndrangheta è ben altro rispetto<br />

a ciò che si credeva o faceva<br />

comodo credere: non un’accozzaglia<br />

di bande o di pastori<br />

dediti al traffico di droga, bensì<br />

una mafia tra le più potenti,<br />

con il cuore e il cervello nella<br />

provincia di Reggio Calabria e<br />

ramificazioni ovunque.


Perché l’indagine Crimine è<br />

una pietra miliare nella lotta<br />

alla ‘ndrangheta?<br />

Perché ha accertato – e già<br />

abbiamo importanti decisioni<br />

di primo grado – che la<br />

’ndrangheta ha una struttura<br />

unitaria, articolata nei tre<br />

mandamenti tirrenico, jonico<br />

e Reggio città. Ognuno elegge<br />

i propri rappresentanti che a<br />

loro volta designano il capocrimine.<br />

La ’ndrangheta con<br />

coppola e lupara è l’ennesimo<br />

falso mito: è vero che resta<br />

vincolata a tradizioni patriarcali,<br />

e questa coniugazione di<br />

riti tribali e modernità è un<br />

altro suo punto di forza. Ma<br />

c’è anche la ’ndrangheta dei<br />

colletti bianchi: oggi i figli<br />

dei boss calabresi studiano<br />

all’università, sono professionisti.<br />

La Commissione parlamentare<br />

antimafia, in una sua<br />

relazione, la definisce una<br />

“mafia liquida”, insinuata<br />

ovunque.<br />

È esatto. Non c’è solo l’ala<br />

militare da sconfiggere, ma<br />

le sue commistioni a ogni<br />

livello sociale, come le recenti<br />

indagini delle Dda di<br />

Reggio e di Milano hanno<br />

dimostrato: se si trattasse solo<br />

di un gruppo di criminali,<br />

la ’ndrangheta non sarebbe<br />

diventata così temibile. Le<br />

indagini Crimine e Infinito<br />

hanno messo in luce le sue infiltrazioni<br />

in Lombardia, altre<br />

inchieste si sono concentrate<br />

su Piemonte e Liguria... Non<br />

solo: la ’ndrangheta controlla<br />

la politica, e dall’interno: se<br />

prima era il politico a chiedere<br />

voti al boss, oggi è il<br />

boss a tentare di far eleggere<br />

i propri uomini.<br />

18 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong><br />

Di nuovo: perché ce ne siamo<br />

accorti così tardi?<br />

Lo Stato italiano, dopo le stragi<br />

del 1992, ha concentrato il suo<br />

sforzo repressivo in Sicilia. Ciò<br />

ha consentito alla ’ndrangheta<br />

di espandersi, approfittando di<br />

un generale clima di sottovalutazione.<br />

A questo va aggiunta la<br />

mancata reazione della società<br />

civile: nel 2011, dopo le bombe<br />

e il bazooka al procuratore<br />

di Reggio Calabria Giuseppe<br />

Pignatone, la gente calabrese<br />

si è spontaneamente riunita<br />

sotto gli uffici della procura<br />

per manifestare il proprio sostegno<br />

ai magistrati. Non era<br />

mai accaduto prima.<br />

In Calabria l’assenza dello<br />

Stato è evidente, a partire<br />

dalla Salerno-Reggio, l’eterna<br />

incompiuta, “il corpo di reato<br />

più lungo d’Italia”...<br />

Non condivido: lo Stato in Calabria<br />

c’è e credo che l’azione<br />

giudiziaria degli ultimi tempi<br />

lo abbia dimostrato. È evidente<br />

che l’azione repressiva non<br />

basta: il resto è compito della<br />

politica nazionale e locale. Sì,<br />

le indagini del mio ufficio hanno<br />

messo in luce che i lavori<br />

sulla Salerno-Reggio Calabria<br />

sono di esclusivo appannaggio<br />

della ’ndrangheta. Siamo però<br />

riusciti di recente a ottenere la<br />

collaborazione di imprenditori<br />

coraggiosi che hanno denunciato<br />

i loro aguzzini, consentendoci<br />

di arrestarli. Da queste<br />

parti si tratta di un enorme<br />

passo avanti.<br />

Lei ha iniziato la carriera a<br />

Milano, per poi venire a Reggio<br />

nel 2010. Un caso o una<br />

scelta?<br />

Presso il tribunale di Milano<br />

ho vissuto un’esperienza pro-<br />

fessionale e umana eccezionale.<br />

Da meridionale, tuttavia,<br />

sentivo il dovere di fare di più<br />

per la mia terra afflitta dalla<br />

criminalità organizzata. È stata<br />

una scelta vissuta come un atto<br />

doveroso. Sono arrivata qui<br />

il 20 gennaio 2010, nel pieno<br />

della stagione delle bombe<br />

in procura, ma anche di un<br />

nuovo impulso nella lotta alla<br />

’ndrangheta: l’allora procuratore<br />

Giuseppe Pignatone e il<br />

procuratore aggiunto Michele<br />

Prestipino avevano compreso<br />

che, se la ’ndrangheta è una e<br />

forte, per sconfiggerla le forze<br />

dell’ordine e le procure d’Italia<br />

devono lavorare in squadra,<br />

com’è avvenuto con l’indagine<br />

Crimine condotta in sintonia<br />

tra le procure di Reggio e Milano.<br />

I risultati non si sono<br />

fatti attendere: 2.297 arresti e<br />

due miliardi e 100 milioni di<br />

euro di beni sequestrati in soli<br />

quattro anni.<br />

Quali sono i prossimi passi<br />

da compiere?<br />

Nel maxi processo a Cosa nostra,<br />

i giudici Falcone e Borsellino<br />

ottennero una sentenza<br />

definitiva che dimostrava che<br />

la mafia siciliana esiste. In Calabria<br />

non abbiamo una sentenza<br />

analoga: a ogni processo<br />

dobbiamo dimostrare prima<br />

l’esistenza della ’ndrangheta<br />

poi l’appartenenza del singolo<br />

imputato. Un lavoro immane.<br />

Se la sentenza Crimine diverrà<br />

definitiva, sancendo l’esistenza<br />

e l’unitarietà della ’ndrangheta,<br />

il panorama giudiziario cambierà<br />

totalmente. Se pensa che<br />

la ’ndrangheta è stata inserita<br />

nominalmente tra le associazioni<br />

mafiose solo con un decreto<br />

legge del febbraio 2010, capirà<br />

quanto ancora ci sia da fare.


Trentesimo anniversario<br />

19 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong><br />

Un poliziotto<br />

semplice<br />

È lungo l’elenco delle vittime di mafia dimenticate. Una di<br />

queste è Calogero Zucchetto, giovane e brillante agente di<br />

polizia che con il suo lavoro aveva dato fastidio ai boss<br />

di Elisa Latella


Palermo, 14 novembre 1982.<br />

Trent’anni fa veniva ucciso a<br />

colpi di pistola il poliziotto<br />

Calogero Zucchetto, ventisette<br />

anni. Erano trascorsi appena<br />

due mesi dall’assassinio del<br />

generale Carlo Alberto dalla<br />

Chiesa, a cui i giornali, per la<br />

rilevanza della figura, avevano<br />

dedicato pagine intere e i telegiornali<br />

ampi servizi. Nei giorni<br />

successivi a quel 14 novembre<br />

1982, le cronache siciliane dedicarono<br />

invece poco spazio<br />

alla morte del giovane agente,<br />

sottovalutando i collegamenti<br />

con gli eventi precedenti e con<br />

il lavoro da lui svolto.<br />

In servizio 24 ore al giorno.<br />

Zucchetto aveva partecipato<br />

alle prime scorte del giudice<br />

Falcone, aveva collaborato con<br />

il commissario Ninni Cassarà<br />

nella squadra mobile di Palermo.<br />

In particolare, si occupava<br />

della ricerca di latitanti mafiosi,<br />

faceva da esca in ambienti<br />

mafiosi per riuscire a mettere<br />

insieme i pezzi di un puzzle<br />

20 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong><br />

apparentemente incomprensibile,<br />

in un periodo in cui non<br />

era ancora iniziato il fenomeno<br />

del pentitismo. Zucchetto aveva<br />

collaborato alla stesura del<br />

rapporto “Greco più 161”, che<br />

tracciava un quadro della guerra<br />

di mafia iniziata nel 1981,<br />

dei nuovi assetti delle cosche,<br />

segnalando in particolare la<br />

crescita esponenziale del clan<br />

dei corleonesi guidato da Totò<br />

Riina. Come ricostruisce Saverio<br />

Lodato nel suo libro Dieci<br />

anni di mafia. La guerra che lo<br />

Stato non ha saputo vincere,<br />

Zucchetto era un poliziotto di<br />

strada. «Trascorreva nottate<br />

intere nelle discoteche e nelle<br />

paninerie palermitane. Aveva<br />

ottimi agganci anche nel mondo<br />

grigio della prostituzione,<br />

delle case di appuntamenti,<br />

della sale corse, del mercato<br />

ortofrutticolo, punti di riferimento<br />

naturali, questi, d’una<br />

varia umanità che a Palermo<br />

spesso incontra la mafia sul<br />

suo cammino». E ancora:<br />

«Spesso con il suo vespone,<br />

anche quando non era in servizio,<br />

se ne andava in giro per<br />

i viottoli degli agrumeti di<br />

Ciaculli, gli occhi bene aperti<br />

a spiare i movimenti degli<br />

uomini dell’esercito del boss<br />

Michele Greco, soprannominato<br />

il papa». La mattina del<br />

28 ottobre proprio da quelle<br />

parti, il poliziotto di strada<br />

intravede il latitante Salvatore<br />

Montalto, poi il killer Pino<br />

Greco denominato “scarpuzzedda”<br />

e Mario Prestifilippo,<br />

altro tiratore scelto. Zucchetto<br />

è solo, chiede rinforzi da una<br />

cabina telefonica, ma li perde<br />

di vista e deve rinunciare alla<br />

cattura. Il blitz nella villa del<br />

latitante Salvatore Montalto<br />

avverrà solo il 7 novembre.<br />

Medaglia d’oro al valore civile.<br />

Il 14 novembre 1982 era<br />

domenica. Zucchetto venne<br />

ucciso alle 21 e 25 con cinque<br />

colpi di pistola calibro 38. La<br />

mafia aveva voluto eliminare<br />

l’ultimo anello, quello che<br />

non stava in ufficio, ma in<br />

strada, dove vedeva e capiva<br />

troppo. Lo sapevano i suoi<br />

superiori Montana e Cassarà,<br />

vittime anni dopo: alle “famiglie”<br />

dedite al traffico di eroina<br />

certa polizia non piaceva.<br />

Gli autori dell’assassinio di<br />

Calogero Zucchetto vennero<br />

in seguito individuati proprio<br />

in Mario Prestifilippo e Pino<br />

Greco. Come mandanti furono<br />

condannati i componenti<br />

della cupola mafiosa: Totò<br />

Riina, Bernando Provenzano,<br />

Calogero Ganci e altri. A<br />

Calogero Zucchetto è stata<br />

conferita una medaglia d’oro<br />

al valor civile per aver pagato<br />

con la vita un’intuizione che<br />

aveva precorso i tempi. Una<br />

strada a Palermo oggi porta<br />

il suo nome.<br />

In occasione del 28° anniversario<br />

l’associazione dei familiari<br />

vittime della mafia ha ricevuto<br />

e pubblicato l’affettuosa lettera<br />

di un collega. I due erano<br />

stati insieme in servizio alla<br />

Squadra Mobile di Palermo,<br />

nella sezione investigativa di<br />

Cassarà. Ecco la frase più significativa<br />

di questo ricordo:<br />

«L’onestà era la linfa con la<br />

quale nutriva il suo comportamento,<br />

dettato dalla necessità<br />

di riaffermare la legalità in<br />

Sicilia. Noi due non avemmo<br />

tanto tempo per stare insieme,<br />

come invece avevamo in<br />

animo di fare… ma l’amicizia<br />

che ci legò, anche se per pochi<br />

mesi, Cosa nostra non riuscì a<br />

togliercela».


21 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong><br />

Denunciare<br />

a Palermo<br />

«Sono stato per anni vittima di<br />

usura e di racket. Poi ho deciso<br />

di denunciare». Bernardo è un<br />

artigiano ceramista di Palermo.<br />

Fino al 1998 ha avuto un<br />

piccolo laboratorio con otto<br />

dipendenti. «Gli affari andavano<br />

bene, ma di artigianato non<br />

ci si arricchisce, soprattutto<br />

quando lavori la ceramica. Mio<br />

malgrado, riuscivo ad andare<br />

avanti. Stavo ristrutturando<br />

casa, e avevo bisogno di 40<br />

milioni». Bernardo si rivolge<br />

allora a un conoscente per il<br />

prestito. «Mi viene data subito<br />

la somma, ma con il vincolo<br />

di pagare due milioni al mese.<br />

In poco tempo quel debito è<br />

diventato di 120 milioni. Mi<br />

erano morti tre figli in cause<br />

disastrose, e quello che mi è<br />

rimasto in vita soffre di una grave<br />

malformazione che richiede<br />

cure specifiche e costose. Non<br />

ce la facevo più a pagare. Così,<br />

sono stato costretto a rivolgermi<br />

a un altro usuraio, per pagare<br />

il primo. Mi ha fatto un prestito<br />

di 15 mila euro, anche<br />

quelli destinati a triplicarsi<br />

in poco tempo. Non potevo<br />

più vivere». Nel 2003 Bernardo<br />

decide di vendere quella<br />

casa che gli era costata tanto.<br />

«Ho preso un appartamento<br />

in affitto, dove vivo tutt’ora,<br />

che d’inverno diventa invivibile<br />

perché ci piove dentro e<br />

l’umidità ci entra nelle ossa.<br />

I soldi, però non sono bastati<br />

comunque. Gli usurai, legati al<br />

clan dei Lo Piccolo di Palermo,<br />

cominciano a intimidirmi. Prima<br />

erano solo minacce verbali.<br />

“Se non paghi ti ammazziamo<br />

dicevano”, oppure “Se ci tieni<br />

alla tua famiglia comportati<br />

bene”. Poi, man mano, tutto è<br />

diventato ancor più tragico. Mi<br />

hanno sparato due colpi di pistola<br />

per strada, mancandomi,<br />

fortunatamente. Forse era solo<br />

un avvertimento. Una mattina,<br />

davanti al cancello di casa,<br />

ho trovato il disegno di una<br />

sagoma di un uomo trafitto da<br />

un coltello. Poi sono arrivate<br />

le percosse, mi hanno rotto<br />

un braccio. A quel punto ho<br />

chiamato il numero verde di<br />

un’associazione antiracket e ho<br />

raccontato tutto». La telefonata<br />

è poi passata alla polizia di<br />

Palermo, che ha convinto l’imprenditore<br />

siciliano a denunciare<br />

tutto. «Ho vissuto e vivo<br />

momenti di povertà e solitudine<br />

spaventose. Mi sono rivolto alla<br />

Caritas per avere da mangiare<br />

per me e per la mia famiglia,<br />

anche se ho ricevuto 20 mila<br />

euro del Fondo Antiusura che<br />

mi sono serviti solo a ripianare<br />

parte dei debiti che avevo<br />

contratto. Così è iniziata la mia<br />

solitudine. Amici e parenti mi<br />

hanno lasciato solo, come se il<br />

colpevole fossi io. Denunciare,<br />

in queste zone, viene quasi<br />

considerato un disvalore. Non<br />

avevo neanche più l’auto, che<br />

loro stessi mi avevano prima<br />

distrutto e poi rubato. Adesso<br />

sono a pezzi. Avrei bisogno<br />

di lavorare, perché nessuno<br />

più viene nel negozio di chi<br />

ha denunciato. È come se il<br />

colpevole, in tutta questa storia<br />

fossi io. Vorrei partecipare alle<br />

fiere, per tentare di rimettermi<br />

in piedi. Non voglio regali, ma<br />

solo un’opportunità da parte<br />

dello Stato per lavorare. Così,<br />

ho scritto una lettera. Prima<br />

al sindaco Orlando e in questi<br />

giorni al nuovo presidente della<br />

regione Rosario Crocetta. Nella<br />

nota chiedo aiuto, e di potere<br />

andare alle fiere pubbliche senza<br />

pagare, perché soldi non ne<br />

ho. Alle istituzioni chiedo solo<br />

una possibilità, quella di vivere<br />

una vita più dignitosa. A dicembre,<br />

sicuramente riceverò lo<br />

sfratto, perché non riesco a pagare<br />

l’affitto. Intanto, il processo<br />

va avanti. Io ho denunciato tre<br />

estortori, ma la strada è ancora<br />

lunga. Dall’amministrazione di<br />

Palermo mi è arrivata risposta.<br />

Forse a breve avrò la possibilità<br />

di presenziare alle fiere. Però<br />

sto ancora aspettando. Non mi<br />

arrendo. Partecipo alle manifestazioni,<br />

vado nelle scuole a<br />

raccontare la mia storia e a dire<br />

che denunciare è importante.<br />

Altrimenti si è doppiamente<br />

vittime».<br />

di Laura Galesi<br />

Storie di chi si ribella ogni giorno<br />

nuoveresistenze resistenze resistenze resistenze resistenze resistenze resistenze


cosenostre<br />

l’antimafiacivile<br />

22 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong><br />

Antimafia<br />

all’ombra della<br />

madonnina<br />

di Marika Demaria<br />

Novembre è stato, per la Lombardia,<br />

un mese all’insegna<br />

dell’antimafia. Al centro delle<br />

iniziative i beni confiscati e il<br />

loro riutilizzo sociale, concerti,<br />

presentazioni di libri, dibattiti,<br />

celebrazioni di anniversari.<br />

L’adesione è stata massiccia,<br />

termometro di una società che<br />

non vuole farsi narcotizzare<br />

da chi persevera nel dichiarare<br />

che “la mafia al Nord non<br />

esiste”. Eclatanti, a tal proposito,<br />

furono le affermazioni di<br />

Letizia Moratti e Gian Valerio<br />

Lombardi, nel 2010 rispetti-<br />

vamente sindaco e prefetto<br />

di Milano, che negavano con<br />

forza l’esistenza delle mafie<br />

su quei territori. Pochi mesi<br />

dopo – la notte tra il 13 e il 14<br />

luglio – si registrarono oltre<br />

trecento arresti, frutto della<br />

maxi operazione “Crimine-<br />

Infinito” che ha percorso l’asse<br />

Milano-Reggio Calabria.<br />

Negare la presenza delle mafie<br />

è come negare l’evidenza.<br />

Non a caso, lo slogan della<br />

prima edizione del Festival<br />

dei Beni confiscati alle mafie<br />

(organizzato dal Comune di<br />

Milano in collaborazione con<br />

Libera e l’Agenzia nazionale<br />

per l’amministrazione e la destinazione<br />

dei beni sequestrati<br />

e confiscati) era “La Mafia non<br />

esiste”, firmato in corsivo dalla<br />

stessa mafia.<br />

Tre giorni di eventi culturali<br />

ospitati in diciannove immobili<br />

confiscati alla criminalità, oltre<br />

a tre luoghi ristrutturati ex novo<br />

e restituiti alla collettività. Il<br />

primo era un ex negozio sito al<br />

numero 25 di via Cenisio, assegnato<br />

all’Associazione Aldo<br />

Perini, che si occupa dell’assistenza<br />

ai malati di Sclerosi<br />

laterale amiotrofica (Sla). Un<br />

appartamento in via Canonica<br />

87 è invece stato affidato<br />

alla Fondazione Don Gnocchi<br />

al fine di ospitare ragazzi con<br />

disabilità, mentre i genitori<br />

dei bambini ricoverati presso<br />

gli ospedali pediatrici milanesi<br />

potranno essere ospitati<br />

presso la struttura Pio Istituto<br />

di Maternità, alla quale è stato<br />

affidato l’appartamento di via<br />

Baldinucci 13.<br />

Sabato 10 novembre è stata inoltre<br />

inaugurata la “Bottega dei<br />

sapori e dei saperi” all’interno<br />

della quale si possono acquistare<br />

i prodotti biologici frutto<br />

del lavoro delle cooperative


sociali che sorgono sui terreni<br />

confiscati alle mafie. Una realtà,<br />

quella della confisca dei beni<br />

alla criminalità organizzata, che<br />

è radicata anche in Lombardia:<br />

secondo i dati dell’Agenzia Nazionale<br />

per l’amministrazione e<br />

la destinazione dei beni sequestrati<br />

e confiscati, infatti, questa<br />

regione si colloca al quinto<br />

posto in Italia per numero di<br />

beni confiscati alle mafie, con<br />

807 immobili attualmente confiscati.<br />

Nella sola città di Milano<br />

si contano circa trecento beni,<br />

tra immobili e aziende, sottratti<br />

alle mafie.<br />

Il primo festival dei beni confiscati<br />

alle mafie è stata l’occasione<br />

per presentare al pubblico<br />

l’ultimo libro di Nando dalla<br />

Chiesa e Martina Panzarasa<br />

“Buccinasco. La ’ndrangheta<br />

al Nord” (Einaudi). La pubblicazione<br />

ha scatenato feroci<br />

polemiche, che hanno trovato<br />

spazio anche sul sito del Comune.<br />

Proprio in questa vetrina<br />

telematica è stata pubblicata<br />

una lettera aperta a firma del<br />

sindaco di Buccinasco Giambattista<br />

Maiorano, il quale, facendosi<br />

portavoce, lamenta il fatto<br />

che gli autori del libro hanno<br />

fornito un’immagine distorta<br />

della cittadina: «Buccinasco<br />

non è sinonimo di male – si legge<br />

– non basta essere calabresi<br />

e neppure portare un cognome<br />

compromesso per essere un<br />

poco di buono. È questa l’immagine<br />

che non condivido e<br />

che il libro, malgrado l’intento<br />

che si propone, rischia di dare<br />

della nostra città».<br />

In difesa del sociologo e del<br />

libro – che nell’arco di un<br />

mese è andato in ristampa – si<br />

è schierata anche l’associazione<br />

Libera, di cui Nando dalla<br />

Chiesa è presidente onorario.<br />

In una nota si legge che «non<br />

esprimiamo solo solidarietà<br />

ma corresponsabilità. Ancora<br />

una volta Libera sceglie di stare<br />

da una parte precisa, quella di<br />

Nando dalla Chiesa e di tutti<br />

coloro che si spendono con<br />

professionalità e scrupolo per<br />

raccontarci i passi giusti per<br />

combattere le mafie e costruire<br />

percorsi di verità e giustizia».<br />

Queste due parole – verità e<br />

giustizia – catapultano idealmente<br />

in una serie di altri<br />

eventi che si sono succeduti a<br />

Milano e dintorni a novembre.<br />

In particolare, nella settimana<br />

dal 19 al 25, si sono svolti<br />

dodici incontri organizzati<br />

dalle associazioni Libera, Saveria<br />

Antiochia Omicron, dalla<br />

scuola di formazione politica<br />

Antonino Caponnetto e dal<br />

Coordinamento delle scuole<br />

per la legalità e la cittadinanza<br />

attiva. Docenti universitari,<br />

magistrati, scrittori hanno tenuto<br />

lezioni delineando i contorni<br />

sempre più a geometria<br />

variabile del fenomeno delle<br />

mafie ed offrendo significativi<br />

spunti di riflessione ed esempi<br />

concreti di contrasto della<br />

criminalità organizzata.<br />

L’apice di questi incontri si è<br />

toccato il 24 novembre, giorno<br />

del terzo anniversario della<br />

scomparsa e della morte di<br />

Lea Garofalo.<br />

Proprio in quei giorni era giunta<br />

la notizia che in un terreno a<br />

San Fruttuoso, a Monza, erano<br />

23 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong><br />

stati ritrovati dei resti carbonizzati<br />

di un corpo. L’esame<br />

del Dna ha rivelato che si tratta<br />

del cadavere di Lea Garofalo:<br />

determinante il referto di una<br />

radiografia, che combaciava<br />

con un’altra in possesso della<br />

figlia Denise. La notizia non<br />

svuota di brutalità l’efferatezza<br />

del delitto, ma fa intravedere<br />

una speranza: un funerale e<br />

una degna sepoltura per Lea,<br />

un luogo dove deporre un fiore<br />

alla sua memoria. La vicenda<br />

della giovane testimone di giustizia<br />

che ha avuto il coraggio<br />

di denunciare la ’ndrangheta,<br />

la sua famiglia d’origine e i<br />

membri della famiglia che aveva<br />

cercato di costruirsi segna<br />

una pagina importante della<br />

lotta alle mafie, una lotta interna,<br />

al femminile, dove le donne<br />

si sacrificano per il bene dei<br />

propri figli, per garantire loro<br />

un futuro degno di tale significato.<br />

Ma c’è un’altra donna,<br />

ancora più giovane, che continua<br />

la sua battaglia, sfidando<br />

paura e omertà: Denise Cosco,<br />

la figlia di Lea Garofalo.<br />

A lei, al suo coraggio, alla sua<br />

vita sotto protezione sono andati<br />

i pensieri delle persone<br />

che nel pomeriggio di sabato<br />

hanno partecipato alla manifestazione<br />

“Le radici del domani”<br />

nel corso della quale, davanti<br />

alla biblioteca del parco<br />

Sempione a Milano, il presidio<br />

di Libera intitolato proprio<br />

alla memoria della testimone<br />

di giustizia, di concerto con<br />

l’amministrazione comunale,<br />

ha piantato un albero in ricordo<br />

di Lea Garofalo. Esattamente<br />

lì, dove delle telecamere basculanti<br />

di sorveglianza hanno<br />

registrato gli ultimi attimi che<br />

madre e figlia hanno trascorso<br />

insieme, quel 24 novembre<br />

2009. Prima che Carlo Cosco<br />

arrivasse per accompagnare<br />

Denise dai propri zii, prima<br />

che Lea rimanesse da sola a<br />

camminare lungo quel marciapiede,<br />

prima che Carlo Cosco<br />

tornasse per portarla verso il<br />

suo tragico destino.<br />

Sempre sabato 24, in contemporanea<br />

all’evento milanese,<br />

a Monza moltissimi cittadini<br />

deponevano fiori davanti alla<br />

targa posta all’ingresso del<br />

cimitero, che recita: “Il Comune<br />

di Monza ricorda Lea<br />

Garofalo, esempio di madre<br />

coraggio, testimone per la legalità”.<br />

A poche centinaia di<br />

metri, il terreno di San Fruttuoso<br />

posto sotto sequestro<br />

dai Carabinieri, sul quale si<br />

sono consumati gli ultimi atti<br />

di quella che ha tutti i contorni<br />

di una tragedia greca.


dialogo tra antimafia virtuale e antimafia reale a cura di Marcello Ravveduto<br />

La forza di internet sta nella pos<br />

sibilità di arrivare nei posti più<br />

lontani rimanendo davanti ad<br />

uno schermo. Così con un click<br />

ho soddisfatto la mia curiosità di<br />

visualizzare un narcocorrido di<br />

cui avevo sentito parlare. Cos’è?<br />

Una genere musicale che racconta<br />

le storie dei narcos messicani. La<br />

canzone è El papa de los pollitos (Il<br />

papà dei pulcini, che in gergo sono<br />

gli uomini dei cartelli della droga).<br />

Il papà, chiaramente, è il boss. Ho<br />

tentato di tradurre il testo e, se non<br />

ho fatto troppi errori, dovrebbe<br />

essere questo: «Levati che mi togli<br />

la luce./ O ti muovi o ti sposto./<br />

Tu sai che non scherzo/ ho una<br />

pessima reputazione /…/ Sono il<br />

papà dei pulcini./ Finché vivo, la<br />

piazza/ mi appartiene. Decido io/<br />

qual è l’obiettivo e chi non / è ben<br />

disposto con me è morto./ Io non<br />

rispetto le gerarchie./ Nemmeno il<br />

mio “corno di capra” (in gergo il<br />

mitragliatore Ak-47 nda)./ Tu sai<br />

che io sono il capo/ E che nessu<br />

no può farcela con me./ È meglio<br />

che mi si rispetti/ perché i miei<br />

uomini sono cattivi./ Basta poco<br />

per metterli in moto/ colpiscono<br />

chi sbaglia con crudeltà./<br />

Continuo a reclutare gente./ La mia<br />

impresa (il narcotraffico) è garantita/<br />

dallo stato di Sinaloa/ …/<br />

Ho i nervi d’acciaio,/ è un’eredità<br />

di famiglia./ Non temo nessuno./<br />

Sono cresciuto in stile siciliano/<br />

per questo in qualsiasi campo/ il<br />

mio cartello sale sempre più in<br />

alto./ Tu sai che sono il capo/ e<br />

che non sono molto mansueto./ È<br />

meglio che mi si rispetti/ …»<br />

Il boss si contraddistingue per la<br />

sua reputazione di delinquente<br />

pronto ad usare i suoi uomini per<br />

colpire con micidiali armi automatiche<br />

chiunque, amici e nemici,<br />

senza rispetto per le gerarchie<br />

24 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong><br />

Il papà dei pulcini<br />

interne. Uomini coraggiosi (dove<br />

coraggio è sinonimo di crudeltà) la<br />

cui valenza risiede nella capacità<br />

di scatenare una violenza senza<br />

fine, affidata ai colpi mortali del<br />

corno di capra. Il narcotraffico<br />

è fonte di lavoro per migliaia di<br />

persone, divenuto parte integrante<br />

dell’economia nazionale, garantita<br />

direttamente dai più alti livelli<br />

istituzionali («La mia impresa è<br />

garantita/ dallo stato di Sinaloa»).<br />

Infine il capo, per darsi un tono<br />

di superiorità mafiosa, afferma di<br />

essere cresciuto in «stile siciliano».<br />

Si tratta di uno stereotipo utilizzato<br />

per richiamare un contesto<br />

criminale, in grado di influire sulla<br />

mentalità collettiva attraverso un<br />

capillare controllo del territorio,<br />

connotato da un potere intimidatorio<br />

totalizzante. È evidente<br />

che nell’atteggiamento pacchiano<br />

e gradasso del protagonista non<br />

vi è nulla che possa aderire alla<br />

concezione dell’essere mafioso.<br />

Ma l’evocazione della Sicilia<br />

serve a rafforzare le sue qualità<br />

di uomo d’onore. Ciò conferma<br />

l’esistenza di una mitologia in cui<br />

la mafia rappresenta una specie di<br />

empireo criminale in cui possono<br />

sedere solo i boss che hanno un<br />

incontestabile carisma. Il video<br />

è più esplicito delle parole. Nella<br />

prima immagine si vede una mano<br />

caricare un mitragliatore. Subito<br />

dopo, un uomo (Mario Quintero<br />

il vocalist dei Los Tucanos de Tijuana)<br />

spara raffiche di pallottole<br />

verso la telecamera. Le scene si<br />

alternano tra la posa da “pappone”<br />

del protagonista e la storia di un<br />

narcotrafficante di Tijuana, capitale<br />

dello stato messicano Bassa<br />

California. Lo status symbol è un<br />

super Suv in cui si aggira ricevendo<br />

fasci di banconote da uomini<br />

appostati agli angoli della strada.<br />

Tra questi un ragazzo lo tratta con<br />

aria di sufficienza come se fosse<br />

uno qualsiasi. Il set si sposta nel<br />

privé di un night club. Il boss sta<br />

discutendo di affari, intorno ad<br />

un tavolo da biliardo, con i suoi<br />

“pollitos” (si vede una piantina<br />

dei cunicoli sotterranei in cui la<br />

droga raggiunge gli Usa, eludendo<br />

il controllo della dogana). La<br />

riunione viene interrotta quando<br />

alcuni trascinano dentro il giovane<br />

spavaldo che lo aveva ignorato. Gli<br />

tira i capelli e lo schiaffeggia. Poi<br />

gli infilano il dito indice in una<br />

ghigliottina trancia sicari e zac!<br />

L’indisponente si accascia al suolo<br />

e vien buttato fuori. Come nulla<br />

fosse accaduto si brinda e, mentre<br />

i narcos sorseggiano champagne, si<br />

compiono una serie di regolamenti<br />

di conti: un uomo grassoccio colpito<br />

da due fucili a canne mozze; due<br />

sgherri malmenati nei pressi di un<br />

deposito; un politico assassinato<br />

all’uscita di un edificio; due cinesi<br />

che contrabbandano orologi; altri<br />

due trafficanti a cui sottraggono i<br />

guadagni. Infine si ode un colpo<br />

di pistola e appare il titolo della<br />

canzone. Los Tucanes sono uno<br />

dei gruppi più famosi del genere,<br />

talmente bravi che il procuratore<br />

generale di Tijuana li ritiene coinvolti<br />

nel narcotraffico. Il teorema<br />

applicato dai magistrati è trasparente<br />

come l’acqua: se conoscono<br />

così bene le avventure dei narcos<br />

significa che li conoscono e se li<br />

conoscono vuol dire che sanno<br />

dove stanno. Immaginate cosa accadrebbe<br />

se un simile teorema fosse<br />

applicato ai nostri neomelodici. Ma<br />

non pensiamoci queste sono cose<br />

che accadono in Messico dove in<br />

sei anni (2006-2012) hanno ammazzato<br />

39 cantanti perché a furia<br />

di cantare le gesta dei narcos si sono<br />

del tutto immedesimati…


25 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong><br />

Usura<br />

inchiesta<br />

La relazione della Direzione nazionale antimafia, il rapporto<br />

di Sos impresa, le indagini condotte a ogni latitudine del Paese<br />

tracciano drammatici contorni del fenomeno usura. Una<br />

piaga che costringe alla chiusura decine di aziende al giorno,<br />

mettendo in ginocchio migliaia di famiglie. Eppure le denunce<br />

non aumentano. Anzi, lo strozzinaggio gode di ottima salute,<br />

come rileva il documentato dossier di Libera che Narcomafie<br />

pubblica in questo numero


Usura<br />

Il Bot<br />

delle mafie<br />

C’è chi la crisi la combatte e c’è, invece, chi la cavalca facendo<br />

affari, investendo, controllando il territorio, assumendo personale<br />

e prestando soldi. Fiumi di soldi. Tutto e subito, ma<br />

con gli interessi, naturalmente. È usura di mafia, quella gestita<br />

dalla criminalità organizzata. Clan che, da tempo, hanno capito<br />

come fare soldi con i soldi<br />

di Peppe Ruggiero<br />

Sono ben 54 i clan mafiosi che<br />

negli ultimi ventiquattro mesi<br />

compaiono nelle inchieste e<br />

nelle cronache giudiziarie che<br />

riguardano i reati associativi<br />

con metodo mafioso finalizzati<br />

all’usura. Sono presenti i “soliti<br />

noti”, il gotha delle mafie: dai<br />

Casalesi al clan D’Alessandro,<br />

dal clan Cordì ai Casamonica,<br />

dai Cosco alla ‘ndrina dei De<br />

Stefano, dai Terracciano ai Fasciani,<br />

dai Mancuso ai Parisi,<br />

dai Mangialupi al clan della<br />

Stidda. E con tassi usurari che<br />

cambiano di regione in regione.<br />

In Puglia, per esempio, i clan<br />

hanno raggiunto il 240% di tassi<br />

annui; in Calabria, nel vibonese,<br />

i clan hanno un tariffario pari<br />

al 257%, nel cosentino e nella<br />

locride si scende a 200%. Nelle<br />

metropoli si registra il record:<br />

a Roma, con tassi anche vicino<br />

al 1.500%, che scendono però<br />

a 400% a Firenze e a 150% a<br />

Milano. I tassi sono altalenanti<br />

anche nelle province. I clan nel<br />

nord-est padovano chiedono<br />

fino al 180% annuo, nel mode-<br />

26 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong><br />

nese tra il 120 e il 150%, mentre<br />

ad Aprilia, nel basso Lazio, si<br />

è raggiunta la cifra record di<br />

1.075% di tasso annuo. Cifre<br />

che ci parlano di soldi, tantissimi<br />

soldi e di un giro di affari<br />

talmente enorme che quantificarlo<br />

con esattezza è impresa<br />

pressoché impossibile, anche<br />

perché ciò di cui si parla è solo<br />

la punta di un’iceberg; è solo<br />

quello che si riesce ad intravedere<br />

attraverso le denunce e le<br />

successive inchieste giudiziarie:<br />

rispetto all’enorme portata di<br />

questo affare è cronicamente<br />

scarso il dato delle denunce, per<br />

tanti motivi, figuriamoci ora in<br />

tempo di crisi, figuriamoci con<br />

l’attuale fame di denaro. «Ritornerei<br />

a restituirgli quello che gli<br />

ho pagato. Se non fosse stato per<br />

loro il mio negozio ora sarebbe<br />

sparito», diceva determinato<br />

(ma anche arrabbiato con le<br />

banche) una vittima dopo aver<br />

rimborsato agli emissari del clan<br />

D’Alessandro, Castellammare di<br />

Stabia, un prestito con il 120%<br />

di interessi.<br />

Un affare strategico. Tuttavia,<br />

nonostante l’enorme sommerso,<br />

alcuni dati riferiti ai sequestri<br />

operati dalla magistratura in giro<br />

per l’Italia ai danni di alcuni clan<br />

mafiosi nel corso di importanti<br />

inchieste giudiziarie, ci offrono<br />

uno spaccato che comunque rende<br />

l’idea: oltre 41 milioni di euro<br />

al clan Terracciano emigrato in<br />

Toscana, circa 100 milioni all’imprenditore<br />

usuraio di Sabaudia,<br />

Salvatore Di Maio, 70 milioni<br />

di euro il tesoro sequestrato al<br />

clan Moccia nel napoletano. E<br />

ancora oltre 10 milioni di euro<br />

al clan Valle Lampada che dalla<br />

Calabria hanno messo radici<br />

nell’hinterland milanese, circa<br />

7 milioni di euro il tesoretto di<br />

usura sequestrato all’ex contrabbandiere<br />

Mario Potenza, grazie<br />

alle dichiarazioni del boss pentito<br />

della camorra napoletana Salvatore<br />

Lo Russo; oltre 15 milioni al<br />

clan Parisi in Puglia, 5 milioni<br />

al clan calabrese Facchineri che<br />

operava in Lombardia, oltre 10<br />

milioni il tesoretto del clan dei<br />

Casamonica a Roma. Sono alcune


istantanee di questo dossier che<br />

Libera vuole intitolare “L’usura,<br />

il Bot delle mafie”, prendendo<br />

l’immagine dei buoni del tesoro<br />

dal pm Vincenzo Luberto, che la<br />

usò all’indomani dell’operazione<br />

“Star price 2”, nella quale, secondo<br />

l’accusa, diverse somme<br />

di denaro frutto dei proventi<br />

dell’usura sarebbero state utilizzate<br />

per finanziare alcune attività<br />

commerciali. Il tutto per un giro<br />

d’affari vicino ai 10 milioni di<br />

euro, gestito da tre potenti gruppi<br />

mafiosi del cosentino. Un “bot”,<br />

quello delle mafie, che è sempre<br />

più “delocalizzato”, rispondendo<br />

così alla natura strategica di questo<br />

affare quando è gestito dalla<br />

criminalità organizzata: permette<br />

ai clan di entrare silenziosamente<br />

in territori vergini dal punto di<br />

vista dell’aggressione mafiosa e<br />

nello stesso tempo permette di<br />

far confluire nell’economia pulita<br />

fiumi di soldi sporchi, da riciclare.<br />

E dunque i casalesi fanno<br />

affari in Veneto e in Toscana, la<br />

’ndrangheta occupa le regioni<br />

del Nord Italia – Lombardia, Piemonte<br />

ed Emilia –, mentre Cosa<br />

nostra rimane legata al suo territorio<br />

di origine. Un’usura, quella<br />

gestita dalle mafie, che si mostra<br />

stabile nelle grandi metropoli,<br />

e che negli ultimi anni penetra<br />

velocemente e in silenzio nelle<br />

ricche città di provincia.<br />

Aziende nel mirino. Che siamo<br />

davanti a un fenomeno mafioso<br />

di entità preoccupante lo dimostrano<br />

anche i dati provenienti<br />

dalle informazioni Uif (Unità di<br />

informazione finanziaria) della<br />

Banca d’Italia su segnalazioni di<br />

operazioni sospette: solo secondo<br />

i riferimenti della Guardia di<br />

finanza, a fronte delle oltre 18<br />

mila segnalazioni per le quali<br />

nel periodo 2010-2011 si è<br />

completato l’approfondimento<br />

investigativo, 8.365 (circa il 46%)<br />

sono confluite in procedimenti<br />

penali aperti presso varie procure<br />

per riciclaggio e reimpiego<br />

di proventi criminali, usura,<br />

abusivismo finanziario, truffa,<br />

reati tributari. Insomma, i clan<br />

hanno fatto di questa attività un<br />

ramo fondamentale della loro<br />

impresa, avendo la possibilità<br />

di riciclare gli immensi proventi<br />

del traffico di droga o del giro<br />

delle scommesse, e in tal modo<br />

penetrando a fondo nel tessuto<br />

dell’economia legale. Nel loro mirino<br />

aziende redditizie e attività<br />

commerciali floride che in tempo<br />

di crisi – anche quelli meglio<br />

strutturati – hanno la necessità<br />

urgente di accedere a crediti<br />

per non perdere commesse e di<br />

conseguenza essere tagliati fuori<br />

dal mercato. In questi casi solo<br />

l’usuraio mafioso può essere in<br />

grado di movimentare e rendere<br />

disponibili ingenti somme di<br />

denaro in breve tempo. E con<br />

i soldi, accompagnati da una<br />

costante violenza psicologica ma<br />

anche fisica, il passo successivo<br />

è inevitabile: il prestito ad<br />

usura, che da un lato permette<br />

al titolare dell’azienda di salvarla<br />

(questo è ciò che crede),<br />

dall’altro il clan si impossessa<br />

di fatto di quell’azienda e di<br />

quell’attività economica trasformandola<br />

in una propria<br />

lavanderia. Con rischi vicini<br />

allo zero, perché l’usura, e a<br />

maggior ragione quella mafiosa,<br />

è un reato che non si denuncia.<br />

È un reato che si basa spesso<br />

sulla mancata percezione della<br />

vittima di essere stritolato in<br />

un affare illecito (lui sta solo<br />

salvando la sua azienda, anche<br />

se a costi un po’ più alti….!),<br />

si basa sull’omertà, e su un<br />

rapporto vittima-usuraio ma-<br />

27 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong><br />

fioso che segue la dipendenza<br />

psicologica, quasi fisica. E per<br />

paura, ma talvolta anche per<br />

vergogna, difficilmente qualcuno<br />

si presenta dinanzi alle<br />

forze dell’ordine per denunciare.<br />

Questo emerge anche dagli<br />

atti di inchieste come “Infinito”,<br />

della Dda di Milano, che aveva<br />

portato a oltre 170 arresti e a 110<br />

condanne con rito abbreviato, e<br />

dove gli investigatori avevano<br />

scoperto che oltre al traffico di<br />

droga e alla detenzione di armi<br />

(kalashnikov, mitragliette Uzi,<br />

bombe a mano), l’organizzazione<br />

si occupava di usura ed estorsioni<br />

nei confronti di imprenditori<br />

locali, soprattutto di origini calabresi.<br />

Emblematiche le parole del<br />

procuratore aggiunto di Milano<br />

Ilda Boccasini. Quasi nessuno<br />

ha denunciato le vessazioni,<br />

restando in un clima di omertà<br />

che ha ostacolato le indagini.<br />

Boccassini ha ricordato come di<br />

fronte ai «tanti episodi di intimidazione<br />

e violenza subiti dagli<br />

imprenditori lombardi, questi<br />

dicano “noi non abbiamo ricevuto<br />

minacce, mentre noi sappiamo<br />

dalle indagini che non è così”».<br />

«È evidente – ha detto Boccassini<br />

– che la classe imprenditoriale<br />

ha convenienza a rivolgersi alle<br />

organizzazioni criminali piuttosto<br />

che allo Stato». Il procuratore<br />

aggiunto ha poi ricordato che<br />

molte vittime, magari di origine<br />

calabrese e gravate da debiti, sono<br />

portate a rivolgersi «alle persone<br />

sbagliate» per appianare i loro<br />

problemi. «Il dato inquietante è<br />

che questa situazione permane<br />

– ha proseguito Boccassini –;<br />

fin quando la classe imprenditoriale<br />

nazionale non capirà<br />

che stare con lo Stato è più<br />

pagante che stare con l’antistato,<br />

non penso che il problema si<br />

risolverà domani».<br />

Usura


Usura<br />

Il bilancio dei cravattari<br />

Aumenta<br />

l’usura dei clan,<br />

ma le denunce<br />

crollano.<br />

Un rapporto<br />

di Sos Impresa<br />

fotografa<br />

il fenomeno<br />

di Laura Galesi<br />

Capitali dell’usura italiane si confermano<br />

Roma e Napoli. Un’usura<br />

sommersa, camaleontica, violenta,<br />

“mordi e fuggi”, che segna uno scarto<br />

incredibile tra le richieste di aiuto e<br />

la realtà giudiziaria. Ma le denunce<br />

continuano a diminuire, complice<br />

la crisi economica. Secondo i dati<br />

di Sos Impresa, dal 2010 al 2012<br />

hanno chiuso in Italia circa 450mila<br />

aziende commerciali e artigianali.<br />

«Una stima prudenziale fa ritenere<br />

che almeno un terzo di queste ha<br />

cessato la propria attività per grave<br />

indebitamento da usura». L’usura<br />

incravatta e costringe alla chiusura<br />

cinquanta aziende al giorno, e ha<br />

bruciato, solo nel 2011, 300mila<br />

posti di lavoro. A questo fenomeno si<br />

aggiunge quello dell’indebitamento<br />

medio delle famiglie. Sono 600 mila<br />

gli italiani invischiati in patti usurai,<br />

di questi un terzo sono commercianti.<br />

Il Lazio e la Campania si confermano<br />

le regioni a più alto rischio usura, ma<br />

anche le altre, sia del Mezzogiorno<br />

che del Nord produttivo, sono state<br />

gravemente colpite dal fenomeno.<br />

Sono questi dati che fanno comprendere<br />

la vastità e la pervasività<br />

di un fenomeno che, purtroppo,<br />

cresce incontrastato nel silenzio.<br />

“Nell’anno che si chiude, al nostro<br />

numero verde sono arrivate più di<br />

3.500 richieste di aiuto – spiega Lino<br />

Busà presidente di Sos Impresa –,<br />

ma paradossalmente le denunce<br />

continuano a diminuire, rendendo<br />

il reato del tutto invisibile. Secondo i<br />

dati della Dia, le denunce sono state<br />

solo 230 nel 2011, un risultato che<br />

porterebbe a dire che l’usura non<br />

esiste. Eppure l’enorme quantità di<br />

denaro sequestrato agli usurai, tra<br />

l’altro in continuo aumento, ci conferma<br />

un fenomeno vasto e pervasivo.<br />

Dal 1996, che rappresenta l’anno di<br />

introduzione della Legge 108, a oggi,<br />

si assiste a un calo sistematico delle<br />

denunce. Il numero dei reati segnalati<br />

non permette agli studiosi di rilevare<br />

l’entità del fenomeno. Prendendo in<br />

considerazione l’ultimo triennio,<br />

emerge che nel 2009 a fronte di 369<br />

28 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong><br />

casi di usura si sono verificati 736<br />

arresti, nel 2010 su 228 casi ci sono<br />

stati 1.332 arresti, nel 2011 230 casi<br />

e 1.223 arresti. Il meccanismo rileva<br />

dunque cinque persone arrestate per<br />

ogni caso di usura.<br />

L’usura di oggi ci appare con un<br />

doppio volto da esibire a seconda<br />

delle regole da rispettare per la concessione<br />

del prestito, delle garanzie<br />

richieste, delle tipologie d’approccio:<br />

“la faccia pulita e quella sporca”.<br />

Per Sos Impresa, l’usura dalla faccia<br />

pulita può assumere diverse aspetti.<br />

Un primo gruppo è costituito da<br />

pseudo- società di intermediazione o<br />

di servizi finanziari. «Un fenomeno<br />

in espansione che gioca sulla fiducia<br />

nutrita da una persona bisognosa<br />

nei confronti di una struttura, apparentemente<br />

legale e impersonale». I<br />

prestiti di queste finte finanziarie non<br />

sono mai di grossa entità e i tassi di<br />

interesse iniziali sono abbastanza<br />

tollerabili, così che il meccanismo<br />

di usura o truffa scatta sul tasso di<br />

interesse che non è mai scalare, ma<br />

fisso, o sull’obbligo di acquisto di<br />

altri servizi tanto inutili, quanto onerosi.<br />

Un secondo gruppo è costituito<br />

da una ristrettissima minoranza di<br />

“professionisti insospettabili”. Sono<br />

strutture costituite da investitori<br />

professionisti, che operano di sponda<br />

con alcuni bancari infedeli, dai quali<br />

ricevono una clientela selezionata, e<br />

intervengono per operazioni superiori<br />

a 20 mila euro. Un terzo gruppo è<br />

costituito più direttamente da pochi<br />

bancari. «Sono loro stessi che, conoscendo<br />

le difficoltà economiche<br />

del malcapitato, si autopropongono<br />

per un prestito personale. Tutti e tre<br />

i gruppi hanno una finalità comune:<br />

agiscono non solo per lucrare<br />

sugli interessi, con la modalità del<br />

rinnovo degli assegni, ma puntano<br />

a una azione espropriativa. L’obiettivo<br />

è svuotare il malcapitato di<br />

ogni suo bene e attività economica».<br />

L’Italia d’altronde sembrerebbe una<br />

Repubblica fondata sul debito. L’ultimo<br />

dato, in ordine di tempo, viene<br />

dall’Istat. Il 56%, una famiglia su<br />

due, si trova in una situazione di<br />

crisi economica. Il 38, 4% delle famiglie<br />

italiane non saprebbe affrontare<br />

un’emergenza il cui costo è superiore<br />

a 800 euro e mentre il 46% rinuncia<br />

alle vacanze, il 17,9% non usa più il<br />

riscaldamento neanche per la casa<br />

durante la stagione invernale. In un<br />

solo anno, la quota di individui che<br />

vivono in famiglie deprivate, ovvero<br />

con tre o più sintomi di disagio<br />

economico, è salita dal 16 al 22,2%.<br />

A livello territoriale, la maggiore<br />

concentrazione di famiglie povere<br />

è nel Mezzogiorno (22,7% contro<br />

5,2% del centro-nord).<br />

La crescita dell’usura mafiosa.<br />

Tradizionalmente le organizzazioni<br />

mafiose e criminali si sono dedicate<br />

solo marginalmente a questo tipo di<br />

reato, spesso limitandosi al pizzo.<br />

Da qualche anno però le cose sono<br />

nettamente cambiate. La criminalità<br />

mafiosa è cresciuta acquisendo quote<br />

sempre più ampie del mercato del<br />

prestito a nero. Dal 2008 al 2011,<br />

la presenza dei clan nell’usura è<br />

raddoppiata, passando dal 20 al 40<br />

per cento. Questo fenomeno non<br />

tralascia le regioni del nord e centro<br />

Italia, dove alcune famiglie hanno<br />

affinato il sistema di penetrazione al<br />

di fuori delle regioni di tradizionale<br />

radicamento, che parte dalle condizioni<br />

di difficoltà economiche. Sos<br />

Impresa ha esaminato i diversi casi di<br />

usura dal 2008 al 2011 e ha mostrato<br />

come l’usura criminale mafiosa copra<br />

zone sempre più ampie di mercato<br />

nazionale. Questa forma di usura ha<br />

trovato forza anche per il modificarsi<br />

del mercato del “prestito a strozzo”.<br />

Infatti, cresce da parte delle vittime<br />

l’entità di capitale richiesto. Si tratta<br />

di somme cospicue che il prestatore<br />

di quartiere non è in grado di soddisfare,<br />

mentre l’usuraio del clan,<br />

spesso il “ragioniere” che gestisce<br />

la liquidità derivante dal traffico di<br />

droga e dalle scommesse, nel giro di<br />

poche ore può rispondere alle richieste<br />

più impegnative. «Avevo chiesto<br />

50 mila euro per mantenere in piedi


la mia azienda – racconta Antonio,<br />

imprenditore campano – . Ero in crisi,<br />

e mi sono rivolto a un conoscente.<br />

Non sapevo fosse un usuraio. Avrei<br />

dovuto restituire la somma a poco<br />

a poco, con un piccolo interesse<br />

mensile, ma in breve tempo questo<br />

debito si è triplicato. A quel punto,<br />

non ero più in grado di pagare, loro<br />

volevano impossessarsi della mia<br />

azienda. Alla fine ho denunciato,<br />

ora ho ripreso a lavorare e gli affari<br />

lentamente crescono». Mafia Spa<br />

è il più grande agente economico<br />

del paese. Una holding company,<br />

articolata su un network criminale,<br />

fortemente intrecciato con la<br />

società, l’economia, la politica.<br />

Un sistema, in grado di muovere<br />

un fatturato che si aggira intorno ai<br />

138 miliardi di euro, con un utile<br />

che supera i 78 miliardi al netto<br />

di investimenti e accantonamenti.<br />

Questi elementi, hanno prodotto un<br />

cambio di mentalità. Molti boss non<br />

considerano più spregevole questa<br />

attività e si forgiano del titolo di<br />

usuraio mafiso, colui che interviene<br />

a sostegno di chi ha bisogno di somme<br />

rilevanti, come possono essere<br />

commercianti o imprenditori che<br />

hanno la necessità di movimentare<br />

notevoli somme per non essere<br />

tagliati fuori dal mercato o per non<br />

perdere le commesse. «È sotto questo<br />

duplice aspetto che l’usura entra<br />

nell’interesse mafioso e cioè quello<br />

di offrire un servizio funzionale,<br />

per accrescere il consenso sociale<br />

e per continuare ad affermare un<br />

criterio di sovranità nei luoghi<br />

in cui agisce, come svolgere una<br />

funzione alternativa al riciclaggio,<br />

consentendo di costruire legami<br />

stabili con settori dell’economia<br />

legale”. Acquisire costanti flussi<br />

di liquidità, infatti, consente di<br />

realizzare quello che, in termini<br />

economici, viene definito laundering,<br />

riferendosi a quella fase che<br />

mira ad allontanare i capitali dalla<br />

loro origine illecita, consentendo<br />

anche che gli stessi utili possono<br />

essere reinvestiti in altre attività.<br />

Giustizia tartaruga. Il fenomeno<br />

dell’usura, però, resta ancora avvolto<br />

nel silenzio. Sono più di 400<br />

le persone assistite da Sos Impresa<br />

negli ultimi anni. Si tratta prevalentemente<br />

di uomini (le donne che denunciano<br />

sono ancora poche, solo il<br />

27%), hanno meno di cinquant’anni<br />

e spesso operano nel commercio.<br />

L’iter giudiziario, secondo quanto<br />

scrive Sos Impresa nel rapporto<br />

presentato in occasione del “No<br />

Usura Day” del 21 novembre 2012,<br />

rappresenta una delle note dolenti<br />

del fenomeno usuraio. Solo il 10%<br />

delle vittime che denunciano può<br />

contare sull’assistenza legale, anche<br />

se il più delle volte viene fornita<br />

dalle stesse associazioni antiusura<br />

presenti sul territorio. Nel 9% dei<br />

casi entro due anni dalla denuncia<br />

si arriva alla chiusura dell’inchiesta<br />

e al rinvio a giudizio dei cravattari,<br />

ma più spesso l’indagine si trascina<br />

per almeno quattro anni, e<br />

circa il 70% viene poi archiviato,<br />

trasformando, di fatto l’usura in<br />

un reato depenalizzato. “Sono<br />

passati ben 16 anni – continua<br />

Busà – da quando venne approvata,<br />

sulla spinta dell’indignazione<br />

popolare, la legge 108/96, e già<br />

nel decimo anniversario avevamo<br />

chiesto una profonda revisione<br />

della normativa, soprattutto in quelle<br />

fasi che hanno fallito nel corso<br />

del tempo. Questo ci porta a dire<br />

che, mentre l’usura diventa sempre<br />

più pericolosa, è più complicato<br />

fare emergere il reato in tutta la sua<br />

gravità. Dobbiamo uscire dall’immobilismo,<br />

le vittime non possono<br />

più attendere”. Da anni, infatti, è<br />

stata depositata in Parlamento<br />

una proposta di legge, rimasta nel<br />

dimenticatoio. L’appello delle associazioni<br />

e fondazioni antiracket<br />

e antiusura è allo sforzo comune<br />

per trovare un’ampia intesa su un<br />

nuovo testo, «altrimenti – dice il<br />

presidente – l’unica alternativa,<br />

sarà quella di iniziativa popolare,<br />

su cui cominceremo a lavorare e<br />

raccogliere le firme».<br />

29 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong><br />

Cresce lo spread d’usura. L’usura<br />

e il credito illegale sono fenomeni<br />

centrali, legati allo stato di benessere<br />

del Paese. Nel mercato del credito<br />

al nero, infatti, per antonomasia<br />

anticiclico, i calcoli degli interessi<br />

seguono le vicende economiche e<br />

finanziarie. La faccia nera della<br />

crisi emerge dal quotidiano con<br />

la crescita spropositata di “Compro<br />

oro”, una sorta di crocevia di<br />

attività illegali, compresi i prestiti<br />

a tassi usurai, così come emerso<br />

dall’operazione Fort Knox dello<br />

scorso novembre, coordinata dalla<br />

Procura di Arezzo. La guardia<br />

di finanza, infatti ha smantellato<br />

un’organizzazione con base in Svizzera,<br />

che si occupava di riciclaggio,<br />

frode fiscale, nonché esercizio abusivo<br />

del commercio dell’oro. Una<br />

vicenda che ha visto 118 indagati<br />

in 11 regioni italiane tra cui Lombardia,<br />

Toscana, Puglia, Campania<br />

e Sicilia. Nel mirino delle fiamme<br />

gialle di Arezzo e Napoli sono finiti<br />

i negozi specializzati “Compro oro”,<br />

gioellerie, comprese 23 società del<br />

distretto orafo di Arezzo. Un sistema<br />

che ha portato, in un solo anno, a<br />

163 milioni di euro di scambi tra<br />

oro e denaro realizzati dal gruppo<br />

organizzato. Sovraindebitamento e<br />

usura, insomma, stanno diventando<br />

quotidiani negli strati sociali,<br />

rendendo rischiosa l’attività della<br />

piccola impresa commerciale e<br />

dell’artigianato di vicinato dei ceti<br />

più poveri. Questo meccanismo però,<br />

negli ultimi anni si rivolge anche a<br />

quei soggetti che un tempo venivano<br />

considerati immuni dall’usura. La<br />

classe media, infatti, rappresenta<br />

quella vasta area di sovraindebitamento<br />

che spesso sfocia nel girone<br />

dantesco del mercato clandestino<br />

del denaro, nel quale il “prestito a<br />

strozzo” è la sua componente patologica<br />

distruttiva di vite e di futuro. La<br />

condanna parte dalla identificazione<br />

sociale di essere un “cattivo pagatore”,<br />

fino a essere emarginato dal<br />

sistema del credito legale e finire<br />

in quello illegale.<br />

Usura


Usura<br />

Viaggio dove<br />

i soldi sparano<br />

più delle lupare<br />

Attraversare l’Italia incontrando un pezzo di Paese che quotidianamente<br />

è strozzato nell’economia, nei rapporti sociali, nella vita delle persone<br />

dall’usura mafiosa. Un viaggio che non fa tappa solo nelle regioni a<br />

tradizionale presenza mafiosa: gli affari non conoscono confini<br />

geografici, si fanno indistintamente in tutto il territorio nazionale.<br />

Anzi, è soprattutto a causa dell’usura che non esistono più territori<br />

che possano davvero considerarsi immuni dalla presenza mafiosa<br />

di Peppe Ruggiero<br />

30 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong>


Campania, nel nome di Iovine.<br />

L’usura permette ai clan<br />

di controllare il territorio soltanto<br />

con i soldi; silenziosamente,<br />

non più con il clamore<br />

delle lupare. In Campania,<br />

secondo l’ultima Relazione<br />

annuale della Direzione nazionale<br />

antimafia, la dislocazione<br />

dei clan camorristici<br />

che si muovono in questa<br />

direzione è varia. La fama dei<br />

leader storici è ancora spesa<br />

nell’ambito del mercato criminale.<br />

Ad esempio, coloro<br />

che sono legati al boss dei<br />

casalesi, Antonio Iovine, continuano<br />

a muoversi sul terreno<br />

dell’usura e delle correlate<br />

estorsioni, nonostante il loro<br />

capo sia stato arrestato verso<br />

la fine del 2010. Uno degli<br />

affiliati non esita a minacciare<br />

la vittima con queste parole:<br />

«Non pensare che adesso che<br />

è stato arrestato Iovine Antonio<br />

non c’è più nessuno che<br />

faccia le sue veci. Tu i soldi<br />

ce li devi dare…». Talvolta<br />

si sono registrate modalità<br />

estorsive più particolari, come<br />

a Castellammare di Stabia,<br />

dove si è accertato che in taluni<br />

casi il clan D’Alessandro<br />

ha operato anche su input<br />

di esponenti della politica<br />

locale. Senza trascurare, infine,<br />

le estorsioni realizzate<br />

per conseguire i profitti di<br />

prestiti usurari. Si tratta di un<br />

fenomeno che naturalmente<br />

non può che incrementarsi<br />

in periodi di crisi economica,<br />

quando i finanziamenti<br />

erogabili mediante i normali<br />

canali di credito diventano<br />

più difficili, e di conseguenza<br />

anche il mercato del credito<br />

viene a essere inquinato dalle<br />

organizzazioni camorristiche.<br />

In tali ipotesi, le estorsioni<br />

acquistano una valenza diversa,<br />

nel senso che non costituiscono<br />

solo lo strumento<br />

per accumulare rapidamente<br />

liquidità da distribuire tra gli<br />

affiliati, ma si pongono come<br />

mezzo per incrementare le<br />

risorse finanziarie destinate<br />

all’attività usuraria e – in<br />

definitiva – consentono al<br />

clan di fagocitare l’impresa<br />

che è costretta a ricorrere a<br />

queste perverse forme di finanziamento.<br />

Ci spostiamo di<br />

pochi chilometri. Hinterland<br />

napoletano. Terra di camorra.<br />

Molti commercianti di Afragola<br />

vengono sottoposti a usura<br />

dal clan Moccia, che riscuote i<br />

suoi crediti attraverso condotte<br />

estorsive, riuscendo pure<br />

– imponendo la negoziazione<br />

di assegni – a riciclare denaro.<br />

Non diversa la situazione in<br />

provincia di Avellino dove<br />

sia il clan Pagnozzi (a San<br />

Martino Valle Caudina) sia il<br />

clan Cava, insieme agli ultimi<br />

affiliati liberi del clan Russo<br />

di Nola (a Roccarainola)<br />

sono impegnati nell’esercizio<br />

dell’attività usuraria verso<br />

imprenditori poi costretti con<br />

minacce di tipo mafioso a<br />

restituire interessi calcolati a<br />

tassi elevatissimi. A sud del<br />

capoluogo, e soprattutto nella<br />

piana del Sele, epigoni dello<br />

“storico” clan Marandino si<br />

erano distinti in passato per<br />

azioni criminose orientate<br />

a condizionare l’andamento<br />

della produzione e della distribuzione<br />

di prodotti agricoli<br />

e lattiero caseari: come più<br />

di un’indagine ha dimostrato,<br />

le fenomenologie prevalenti si<br />

presentano con manifestazioni<br />

di attività estorsive connesse<br />

a pratiche usurarie. Anche<br />

nel Battipagliese, con silenti e<br />

31 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong><br />

non meno insidiose condotte<br />

di usura, soggetti ricollegabili<br />

al risalente gruppo criminale<br />

dei cosidetti “Garibaldi” – che<br />

vide protagonisti vari appartenenti<br />

alla famiglia camorrista<br />

dei Nigro – hanno tartassato<br />

attività di imprenditori in<br />

condizioni di difficoltà economica<br />

e finanziaria.<br />

La camorra delocalizza in<br />

Veneto. Una camorra campana<br />

specializzata nella “delocalizzazione”,<br />

con destinazione<br />

Veneto. Si fa riferimento – si<br />

legge nella relazione della<br />

Direzione nazionale antimafia<br />

– a un procedimento penale<br />

per il reato di associazione<br />

per delinquere di tipo mafioso<br />

finalizzata alla commissione<br />

di reati di estorsione, usura,<br />

sequestro di persona, detenzione<br />

di armi e altro, ai danni<br />

di circa un centinaio di vittime,<br />

soprattutto persone svolgenti<br />

attività imprenditoriale<br />

in diversi centri della regione<br />

e nel limitrofo Trentino. L’attività<br />

di indagine si è svolta<br />

tra il settembre del 2010 e il<br />

marzo del 2011, e al suo esito<br />

il gip di Venezia, nell’aprile<br />

2011, ha emesso ordinanza di<br />

custodia cautelare in carcere<br />

nei confronti di 27 indagati,<br />

25 dei quali accusati del delitto<br />

associativo, per avere fatto<br />

parte dell’associazione per<br />

delinquere di stampo mafioso,<br />

collegata al cosiddetto “clan<br />

dei casalesi”, in cui i singoli<br />

associati si avvalevano della<br />

forza di intimidazione del<br />

vincolo associativo e della<br />

condizione di assoggettamento<br />

e di omertà da esso derivante<br />

per commettere delitti di<br />

ogni genere e principalmente<br />

delitti di usura, estorsione,<br />

Usura


Usura<br />

detenzione e porto di armi,<br />

danneggiamenti, sequestro<br />

di persona, esercizio abusivo<br />

dell’attività finanziaria, falsi<br />

in scritture private, nonché<br />

per acquisire il controllo di<br />

attività economiche, di concessioni,<br />

di autorizzazioni e<br />

per realizzare vantaggi e profitti<br />

ingiusti e per finanziare<br />

persone detenute in Campania,<br />

e, fra l’altro allestendo<br />

ed esercitando abusivamente<br />

a Padova un’attività di intermediazione<br />

finanziaria e<br />

di riscossione di crediti; assoggettando<br />

a usura oltre 50<br />

imprenditori operanti nel distretto<br />

di Venezia e taluni altri<br />

nelle limitrofe regioni e anche<br />

in Sardegna; compiendo nei<br />

confronti di molti di essi atti<br />

di estorsione per costringerli a<br />

versare i ratei usurari ovvero<br />

a cedere, a un prezzo di gran<br />

lunga inferiore al reale, le<br />

loro aziende, le partecipazioni<br />

societarie, beni immobili<br />

e mobili; impossessandosi,<br />

attraverso l’attività usuraria,<br />

delle aziende dei debitori sottoposti<br />

ad usura e dei beni<br />

commerciati o prodotti dalle<br />

stesse, o anche trasferendone<br />

la titolarità ad imprese<br />

intestate a propri sodali, ed<br />

infine anche appropriandosi<br />

delle società delle vittime<br />

intestandole agli associati.<br />

Il gruppo criminale in questione<br />

era promanazione della<br />

più potente organizzazione<br />

criminale campana, appunto<br />

il “clan dei casalesi”, segno<br />

questo di quella strategia di<br />

“delocalizzazione” di cui fin<br />

qui ripetutamente si è detto,<br />

e che può rappresentare il<br />

sintomo di una più ampia<br />

strategia se lo si rapporta al<br />

dato, anch’esso già posto in<br />

32 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong><br />

evidenza, dell’assenza in quel<br />

territorio di altri insediamenti<br />

di diversa matrice mafiosa. A<br />

rafforzare questa impressione<br />

è il fatto che la descrizione<br />

delle modalità di svolgimento<br />

dell’azione delittuosa fanno<br />

ben comprendere come si<br />

siano esportate nel territorio<br />

veneto tattiche criminali del<br />

tutto corrispondenti a quelle<br />

poste in essere nel territorio di<br />

origine del “clan dei casalesi”.<br />

In pratica, gli indagati non si<br />

sono posti alcuna remora nel<br />

compiere atti di intimidazione<br />

(aggressioni, percosse, lesioni,<br />

sequestri di persona anche a<br />

scopo di estorsione, sottrazione<br />

di beni e documenti)<br />

anche con uso di armi, allo<br />

scopo di seminare il terrore e<br />

di diffondere l’omertà.<br />

Non c’è solo la finanza. È stata<br />

smentita così la convinzione<br />

che si è andata formando<br />

nel passato, secondo cui nel<br />

Nord-Italia i sodalizi criminali<br />

del meridione avessero<br />

cura di modulare le loro manifestazioni<br />

alla diversa realtà<br />

territoriale, operando, cioè,<br />

soprattutto sul terreno economico<br />

finanziario attraverso<br />

gli investimenti dei cospicui<br />

proventi delle attività criminose<br />

svolte altrove. Colpisce,<br />

ancora, l’elevato numero di<br />

imprenditori coinvolti in un<br />

così breve periodo, indice<br />

della pervasività del sodalizio.<br />

Ed ancor di più il silenzio<br />

delle vittime, quasi vedessero<br />

dei salvatori nei loro aguzzini,<br />

al punto che gli inquirenti<br />

hanno dovuto far ricorso a<br />

strumenti di infiltrazione per<br />

sfondare il muro dell’omertà.<br />

E si confermano, ancora e<br />

infine, le mire imprendito-<br />

riali della camorra, attraverso<br />

l’acquisizione di imprese<br />

preesistenti che, piuttosto<br />

che morire per decozione,<br />

continuano a esistere sotto<br />

una diversa regia. L’organizzazione<br />

attenzionata costituisce<br />

l’evoluzione criminale di una<br />

società di vigilanza e sicurezza<br />

(con oggetto sociale esteso<br />

alla riscossione crediti), che,<br />

costituitasi nel settembre del<br />

2009 a Padova, aveva iniziato<br />

un’attività di concessione<br />

di prestiti usurari, prevalentemente<br />

rivolgendosi ad<br />

imprenditori del nord-est in<br />

difficoltà finanziaria, con l’applicazione<br />

di tassi di interesse<br />

mensili oscillanti tra il 10 ed<br />

il 15%. Proprio grazie all’attività<br />

collaterale di riscossione<br />

crediti, fin dal dicembre del<br />

2009, la società in questione<br />

aveva cominciato a rilevare<br />

le pendenze creditorie delle<br />

sue vittime (spesso, infatti, gli<br />

imprenditori si rivolgevano<br />

alla struttura per problemi<br />

di liquidità dovuti ai ritardi<br />

di pagamento da parte dei<br />

clienti), sia per riscuotere i<br />

debiti, sia per individuare<br />

altri imprenditori in difficoltà<br />

finanziarie cui erogare prestiti<br />

usurari. In poco tempo, la<br />

società aveva la sua attività<br />

criminale, riuscendo a rilevare,<br />

già nei primi tre mesi<br />

dell’indagine, un centinaio<br />

di posizioni usurarie.<br />

La documentazione raccolta<br />

dagli inquirenti ha consentito<br />

di ricostruire nei dettagli la<br />

tecnica utilizzata dall’associazione<br />

criminale per infiltrarsi<br />

nel tessuto imprenditoriale<br />

del Veneto, per poi propagarsi<br />

nelle regioni limitrofe (Friuli,<br />

Trentino, Emilia Romagna).<br />

Infatti, fin dal gennaio del


2010, la società aveva promosso<br />

campagne pubblicitarie<br />

su giornali ed emittenti<br />

televisive locali del Veneto e<br />

dell’Emilia Romagna, proponendo<br />

servizi di riscossione<br />

crediti e di finanziamento<br />

senza garanzie. Attraverso la<br />

concessione di finanziamenti<br />

ad altissimo tasso d’interesse,<br />

con ratei mensili di rimborso,<br />

nonché praticando l’attività<br />

estorsiva per il conseguimento<br />

delle pretese usurarie,<br />

l’organizzazione criminale<br />

aveva acquisito dalle sue vittime<br />

non solo una rilevante<br />

quantità di denaro liquido,<br />

ma anche quote societarie e<br />

i crediti verso i clienti, alcuni<br />

dei quali in difficoltà<br />

economiche. I debitori degli<br />

usurati, a loro volta, erano<br />

sottoposti a condotte estorsive<br />

ovvero avevano ricevuto la<br />

proposta di essere finanziati<br />

dalla società, ovviamente con<br />

tassi usurari elevati. L’attività<br />

espansiva del gruppo è<br />

stata poi favorita dal ruolo<br />

di alcuni intermediari che,<br />

pur estranei per provenienza<br />

alla matrice camorristica della<br />

società, sono stati assorbiti<br />

subito e a pieno titolo nel<br />

reato associativo e hanno agito<br />

nella veste di procacciatori<br />

di vittime da sottoporre ad<br />

usura o, in qualche raro caso,<br />

agendo in proprio, ma con<br />

fondi messi a disposizione<br />

dall’associazione criminale<br />

e, con il supporto di questa,<br />

nell’attività di riscossione<br />

forzosa in caso di insoluti o<br />

ritardi di pagamento. In tale<br />

ottica, le dinamiche delittuose<br />

hanno ottenuto una rapidissima<br />

espansione del volume<br />

di affari e, conseguentemente,<br />

del corrispettivo guadagno<br />

netto (favorito dall’imposizione<br />

del pagamento degli interessi<br />

con frequenza mensile<br />

cosi da massimizzare lo sfruttamento<br />

illegale nel minor<br />

tempo possibile), che veniva<br />

immediatamente trasferito in<br />

Campania, utilizzando conti<br />

correnti postali, e qui riscossi<br />

con numerosissimi prelevamenti<br />

in contanti.<br />

L’organizzazione criminale,<br />

a seguito della mancata riscossione<br />

del denaro contante<br />

preteso (circostanza spesso<br />

materialmente impossibile,<br />

considerati gli elevati tassi<br />

d’interesse praticati e lo stato<br />

di difficoltà finanziaria degli<br />

imprenditori vittima), è riuscita<br />

a ottenere l’intestazione<br />

di quote societarie, ovvero<br />

dell’intero capitale sociale<br />

delle società finanziate, cosicché<br />

sono state trasferite<br />

in poco tempo nelle disponibilità<br />

degli associati e dei<br />

loro prestanome decine di<br />

società commerciali. Infine,<br />

l’indagine ha messo in luce<br />

un fenomeno usurario, all’interno<br />

del quale molte vittime,<br />

pur perfettamente coscienti<br />

di introdursi in un circuito<br />

perverso e senza vie di uscita,<br />

avevano assunto tale decisione,<br />

perché oggettivamente<br />

costrette dalla consapevolezza<br />

della impossibilità di ottenere<br />

gli indispensabili finanziamenti<br />

dal circuito bancario.<br />

Puglia, pacchetti “all inclusive”.<br />

Dalla Campania,<br />

passando per il Nord-est, arriviamo<br />

in Puglia. Nell’ottobre<br />

2010 venivano eseguite 26<br />

ordinanze cautelari (operazione<br />

“Bocciulo”) nei confronti<br />

di persone appartenenti al<br />

clan Parisi, operante a Bari,<br />

33 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong><br />

e accusate di associazione<br />

per delinquere finalizzata<br />

all’usura, alla commissione<br />

di estorsioni, riciclaggio ed<br />

esercizio abusivo del credito.<br />

Le indagini hanno avuto<br />

inizio nel febbraio del 2008<br />

sulla base di una denuncia<br />

presentata da un imprenditore<br />

barese operante nel settore<br />

della ristorazione, dopo tre<br />

anni di vessazioni, minacce<br />

e danneggiamenti: era stato<br />

costretto a pagare in tre anni<br />

tassi usurari annuali che oscillavano<br />

dal 120 al 240% e poi a<br />

vendere una delle attività (un<br />

esercizio commerciale attivo<br />

nel settore della ristorazione)<br />

e le due auto di proprietà.<br />

Gli sviluppi investigativi facevano<br />

emergere le rilevanti<br />

dimensioni della rete delle<br />

vittime del racket usurario:<br />

imprenditori e commercianti,<br />

ma anche persone dedite al<br />

gioco d’azzardo, che venivano<br />

“reclutate” nei circoli privati<br />

(a Modugno, in particolare)<br />

con promesse di grandi vincite<br />

nei casinò d’Oltreadriatico.<br />

Venivano proposti loro pacchetti<br />

viaggio “all inclusive”<br />

verso Slovenia, Croazia, San<br />

Pietroburgo e Cipro: vitto e<br />

soggiorno gratuiti in esclusivi<br />

alberghi con il solo impegno<br />

di comprare al casinò fiches<br />

per 5 mila euro. Vito Parisi<br />

guadagnava 200 euro per ogni<br />

“turista” inviato, oltre al 10%<br />

delle perdite da gioco.<br />

Oltre all’esecuzione delle 26<br />

ordinanze di custodia cautelare,<br />

sono stati sequestrati agli<br />

indagati beni per un valore<br />

complessivo di 15 milioni<br />

di euro.<br />

Sempre nell’ambito pugliese,<br />

nella città di Taranto è risultata<br />

ancora una volta attiva e<br />

Usura


Usura<br />

“vivace” la consorteria degli<br />

Scarci, che da sempre estende<br />

i suoi interessi anche in<br />

Basilicata, e in modo particolare<br />

nel Metapontino, a<br />

Policoro e Scanzano Ionico.<br />

Agli esponenti di vertice del<br />

clan – Francesco Scarci, i suoi<br />

fratelli Andrea e Giuseppe,<br />

i loro rispettivi figli Michele<br />

e Salvatore – e altri sette<br />

soggetti appartenenti al clan<br />

sono state applicate dal Gip<br />

presso il tribunale di Lecce (il<br />

27 settembre 2011, successivamente<br />

al periodo in esame,<br />

nel procedimento cosiddetto<br />

Octopus) misure cautelari personali<br />

coercitive per i reati di<br />

associazione di tipo mafioso,<br />

trasferimento fraudolento di<br />

valori, atti di concorrenza con<br />

violenza e minaccia, estorsione<br />

e usura commesse con<br />

metodo mafioso e con finalità<br />

di agevolazione mafiosa,<br />

nonché detenzione illegale<br />

di esplosivo: quest’ultimo<br />

reato, gravemente allarmante,<br />

sia per le caratteristiche<br />

dell’esplosivo, sia per la quantità,<br />

sia per l’uso che se ne<br />

sarebbe potuto fare (che non<br />

si è riusciti ad accertare), si<br />

riferisce al ritrovamento nella<br />

disponibilità del gruppo criminale<br />

in questione di ben<br />

50 kg di esplosivo a elevato<br />

potenziale tipo Goma (dello<br />

stesso tipo di quello utilizzato<br />

per l’attentato alla stazione<br />

di Madrid), occultato in un<br />

fondo rustico sulla via Porto<br />

Mercantile di Taranto (in<br />

zona cittadina, densamente<br />

abitata).<br />

Sicilia, da vittime a reclutatori.<br />

In Sicilia, il ricorso a<br />

condotte delittuose di tipo<br />

usurario da parte di qualificati<br />

34 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong><br />

sodalizi criminali è stato attestato<br />

da numerose operazioni<br />

di polizia, che hanno anche<br />

dimostrato come si sia tentato<br />

di instaurare un ciclo criminoso<br />

autoalimentante, all’interno<br />

del quale le iniziali vittime<br />

erano costrette a divenire<br />

reclutatori di nuovi “clienti”<br />

in sofferenza finanziaria. A<br />

tale proposito, si ricordano i<br />

riscontri dell’operazione denominata<br />

“Brillantina”, nella<br />

quale personale della squadra<br />

mobile di Messina e del commissariato<br />

Messina sud, il 10<br />

gennaio 2011, eseguiva un’ordinanza<br />

di custodia cautelare<br />

in carcere, emessa dal gip del<br />

locale tribunale, nei confronti<br />

di 7 persone e la misura<br />

cautelare degli arresti domiciliari<br />

per un altro indagato,<br />

perché appartenenti a una<br />

organizzazione criminale, che<br />

operava nel capoluogo messinese,<br />

dedita, principalmente,<br />

all’usura e, occasionalmente,<br />

all’estorsione. Tra gli indagati,<br />

si segnala la significativa<br />

presenza di un noto esponente<br />

di spicco della criminalità<br />

organizzata del cosiddetto<br />

“clan Mangialupi”. L’indagine<br />

traeva spunto dalla segnalazione,<br />

ricevuta dal personale<br />

del commissariato di polizia<br />

di Stato di Messina nord, di<br />

un’estorsione posta in essere<br />

da uno degli indagati, in danno<br />

di un giovane istruttore di<br />

nuoto. Le susseguenti indagini<br />

tecniche consentivano di<br />

accertare il coinvolgimento,<br />

nelle fattispecie dei reati, di<br />

tutti gli indagati, ma anche dei<br />

comportamenti assunti da talune<br />

vittime, che diventavano,<br />

a loro volta, intermediari e garanti<br />

delle soluzioni debitorie<br />

di altri “clienti”, in cambio<br />

di trattamenti di favore nella<br />

soluzione dei propri debiti. Il<br />

principale indagato riceveva<br />

quotidianamente, presso il<br />

suo studio, le sue vittime,<br />

concedendo prestiti usurari<br />

ed incassando i relativi crediti,<br />

intrattenendo anche relazioni<br />

sessuali con numerose<br />

donne, che venivano filmate<br />

all’insaputa delle medesime.<br />

I filmati venivano successivamente<br />

utilizzati a fini di<br />

ricatto. In quelle circostanza,<br />

venivano trovati significativi<br />

elementi di riscontro nelle<br />

dichiarazioni rese da talune<br />

delle vittime, che infrangevano<br />

il muro dell’omertà, rivelando<br />

la natura usuraria dei<br />

rapporti intercorsi e veniva<br />

rinvenuto un imponente materiale<br />

cartaceo, riconducibile<br />

a un’ampia e sistematica attività<br />

illecita, comprendente sia<br />

l’usura sia, verosimilmente,<br />

falsi e truffe.<br />

Emilia, impronte mafiose. Risaliamo<br />

la Penisola e ritorniamo<br />

al Nord. Altra operazione<br />

di rilievo, portata a termine<br />

nel mese di febbraio 2011, è<br />

quella denominata “Vulcano”,<br />

nella quale i carabinieri del<br />

Ros eseguivano un provvedimento<br />

di fermo, emesso dalla<br />

Dda di Bologna, nei confronti<br />

di 10 persone responsabili di<br />

avere promosso, costituito diretto<br />

e, comunque, partecipato<br />

a un’associazione per delinquere<br />

armata di tipo mafioso,<br />

operante nella Repubblica di<br />

San Marino e lungo la riviera<br />

romagnola. Tale sodalizio,<br />

caratterizzato dalla forza di<br />

intimidazione del vincolo associativo<br />

e dalle conseguenti<br />

condizioni di assoggettamento<br />

e di omertà, era finalizzato al


controllo economico di attività<br />

e alla commissione di una<br />

indefinita serie di delitti, fra<br />

i quali la detenzione di armi,<br />

le estorsioni, le minacce, le<br />

lesioni personali, l’usura ed<br />

altri reati contro il patrimonio.<br />

I gravi indizi di colpevolezza<br />

sono stati ritenuti sussistenti<br />

sulla scorta delle dichiarazioni<br />

rese dalle vittime dei<br />

reati e delle attività tecniche,<br />

evidenziando anche che un<br />

altro gruppo criminale si era<br />

poi sostituito al precedente<br />

nella gestione delle attività<br />

usurarie ed estorsive. In sintesi,<br />

le investigazioni hanno<br />

consentito di identificare<br />

sul territorio una pluralità<br />

di soggetti dediti al crimine,<br />

sostanzialmente riconducibili<br />

a tre gruppi malavitosi<br />

apparentemente distinti.<br />

L’identificazione dei suddetti<br />

gruppi e la loro qualificazione<br />

secondo la mappa criminale<br />

del napoletano, luogo di<br />

provenienza geografica degli<br />

indagati, hanno consentito di<br />

ricostruire la filiazione degli<br />

indagati dal clan dei “casalesi”<br />

e dal clan “Mariniello” di<br />

Acerra. L’impronta “mafiosa”<br />

delle condotte degli indagati<br />

si concretizza non solo per<br />

la qualificazione dei gruppi<br />

criminali e per la tipica finalità<br />

di «acquisire in modo<br />

diretto o indiretto la gestione<br />

e il controllo di attività economiche»,<br />

ma anche per la<br />

chiarezza dei riscontri investigativi<br />

sulle condotte estorsive<br />

poste in essere, desunte dalle<br />

dichiarazioni delle vittime,<br />

dalle attività tecniche e dai<br />

servizi di osservazione e pedinamento<br />

espletati, che, in<br />

più occasioni, hanno evidenziato<br />

la presenza di persone<br />

giunte dal napoletano per la<br />

consumazione di minacce e<br />

violenze.<br />

Lombardia, denunciare fa<br />

paura. Spostiamoci più su,<br />

ci fermiamo in Lombardia. È<br />

stata denominata operazione<br />

Black Hawks, coordinata dal<br />

colonnello Marco Menegazzo,<br />

comandante del Gico della<br />

Guardia di finanza. Ha portato<br />

all’arresto di 23 persone<br />

accusate a vario titolo e in<br />

alcuni casi con l’aggravante<br />

del metodo mafioso, di riciclaggio,<br />

usura, estorsione,<br />

truffa, corruzione, sostituzione<br />

di persona, trasferimento<br />

fraudolento di valori, associazione<br />

a delinquere, furto<br />

aggravato e ricettazione. E con<br />

il sequestro di beni mobili e<br />

immobili per un valore di 5<br />

milioni di euro. Arrestati due<br />

cugini Facchineri, Vincenzo<br />

già in carcere e Giuseppe,<br />

entrambi esponenti di un clan<br />

arrivato in Lombardia negli<br />

anni 80 e con solidi rapporti<br />

con i Bellocco e i Pesce. Una<br />

montagna di soldi da reinvestire<br />

nell’economia legale,<br />

prestiti a tassi usurai fino al<br />

20 per cento, riciclaggio in<br />

appartamenti e auto di lusso,<br />

con il potere intimidatorio<br />

della ’ndrangheta verso chi<br />

non si piegava alla volontà<br />

dei clan. «Prendo una denuncia<br />

per estorsione io perché<br />

vado e lo massacro...», minaccia<br />

in un’intercettazione del<br />

10 settembre 2008 Vincenzo<br />

Facchineri, a capo dell’organizzazione<br />

insieme al cugino<br />

Giuseppe. «Io stasera vado<br />

alla casa e scasso a tutti e due,<br />

prima spacco il figlio e poi<br />

spacco il padre e poi vediamo<br />

come esce la macchina dopo<br />

35 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong><br />

due minuti». I due cugini Facchineri,<br />

con altri sei membri<br />

dell’organizzazione, gestivano<br />

i prestiti a tassi altissimi, poi<br />

terrorizzavano gli imprenditori<br />

che non riuscivano a pagare.<br />

Dall’indagine, coordinata<br />

dal pm Giuseppe D’Amico,<br />

è emerso anche che i mediatori<br />

erano spesso proprio le<br />

vittime. Infatti, chi agiva per<br />

conto della famiglia calabrese<br />

dei Facchineri, Orlando Purita<br />

e Gianluca Giovannini,<br />

erano loro stessi vittime dei<br />

componenti della ‘ndrina.<br />

Se tardavano nei pagamenti<br />

erano botte da orbi. I cugini<br />

Facchineri, Vincenzo e Giuseppe,<br />

prestavano denaro ai<br />

due mediatori con un tasso<br />

d’interesse usurario del 15%<br />

al mese. A loro volta, Purita e<br />

Giovannini si rifacevano effettuando<br />

prestiti a terzi con un<br />

tasso del 20% e truffando alcuni<br />

imprenditori del settore<br />

nautico. In uno degli episodi<br />

di usura riportati nell’ordinanza,<br />

Purita e Giovannini<br />

si facevano dare e promettere<br />

dal cliente indicato come<br />

«l’amico del vecchietto», in<br />

corrispettivo del prestito di 40<br />

mila euro, interessi del 20%<br />

mensile. E, per riscuotere, era<br />

sufficiente fare i nomi dei cugini<br />

Facchineri, appartenenti<br />

alla ’ndrangheta.<br />

Metodi del terrore confermati<br />

da un altro imprenditore<br />

che racconta agli uomini del<br />

Nucleo di polizia tributaria<br />

e del Gico di essere tornato<br />

a casa, una sera, di aver trovato<br />

i Facchineri e di essere<br />

stato «sequestrato due giorni,<br />

chiuso in un garage a Baggio,<br />

e riempito di botte». «Eppure<br />

– spiegano i comandanti della<br />

tributaria Vincenzo Tomei e<br />

Usura


Usura<br />

del Gico Marco Menegazzo –<br />

nessuno di questi imprenditori<br />

ha denunciato. È un aspetto<br />

molto preoccupante».<br />

Calabria, gli squali della locride.<br />

Sono richieste pesantissime<br />

quelle con cui il sostituto<br />

procuratore della Dda di<br />

Reggio Calabria, Antonio De<br />

Bernardo, ha concluso la propria<br />

requisitoria al processo<br />

Shark (letteralmente squali,<br />

ma nel gergo di New York il<br />

termine indica i “cravattari”),<br />

che si è svolto con rito<br />

ordinario presso il tribunale<br />

di Locri lo scorso 22 ottobre.<br />

Al di là di due assoluzioni<br />

piene da ogni tipo di accusa,<br />

chieste dal pm per i fratelli<br />

Giuseppe e Leonardo Zucco,<br />

la pubblica accusa ha chiesto<br />

più di un secolo di carcere<br />

per capi, gregari e personaggi<br />

della cosca Cordì, accusati<br />

a vario titolo di associazione<br />

a delinquere di stampo<br />

mafioso, detenzione, porto<br />

d’armi, estorsione, procurata<br />

inosservanza della pena, assistenza<br />

agli associati, usura,<br />

attività finanziaria abusiva e<br />

riciclaggio. Ventidue anni e<br />

9mila euro di multa sono stati<br />

chiesti per Gerardo Guastella,<br />

16 anni per Salvatore Cordì,<br />

16 anni e 50mila euro di multa<br />

per Antonio Bonavita, 14 anni<br />

e 40mila euro di multa per<br />

Rocco Aversa, 7 anni e 3mila<br />

euro di multa per Vincenzo<br />

Cecere, 7 anni per Fabio Modafferi,<br />

6 anni per Francesco<br />

Tedesco e 4 anni per Luca<br />

Leonardo Bonfitto. Per Rocco<br />

Iennaro invece è stata chiesta<br />

l’assoluzione per 416 bis<br />

ma 8 anni e 20mila euro di<br />

multa per riciclaggio, mentre<br />

per Franco Maiorana è stata<br />

36 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong><br />

invocata l’assoluzione per il<br />

reato di esercizio abusivo del<br />

credito ma 9 anni per usura<br />

e associazione mafiosa. Sei<br />

sono invece gli anni di reclusione<br />

che il pm De Bernardo<br />

ha invocato per Pasquale D’Ettore,<br />

ex dirigente del Locri<br />

Calcio, accusato di essere la<br />

testa di legno dei Cordì negli<br />

anni in cui il clan gestiva la<br />

società. Il sostituto ha inoltre<br />

accusato di falsa testimonianza,<br />

chiedendo l’immediata<br />

trasmissione degli atti alla<br />

Procura della Repubblica, per<br />

alcuni soggetti sfilati sul banco<br />

dei testimoni nel corso delle<br />

udienze. Si tratta in molti<br />

casi di vittime dei Cordì e dei<br />

loro emissari che di fronte ai<br />

giudici hanno sempre negato<br />

o ridimensionato le pressioni<br />

del clan. Ad aprire una breccia<br />

nel regno di sopraffazione<br />

e omertà imposto dai Cordì<br />

su Locri, erano state al contrario<br />

proprio le denunce di<br />

due imprenditori finiti nella<br />

morsa dell’usura, Rocco Rispoli<br />

e Luca Rodinò, le cui<br />

rivelazioni hanno permesso<br />

ad inquirenti e investigatori<br />

di ricostruire la rete del potente<br />

clan della Locride. Per<br />

Rocco Rispoli, rimasto senza<br />

lavoro, il Comune di Locri<br />

ha deliberato di assumerlo<br />

alle proprie dipendenze equiparandolo<br />

alle vittime della<br />

mafia. L’inchiesta prende il<br />

via nel settembre del 2009<br />

su disposizione della Dda<br />

di Reggio Calabria che porta<br />

all’arresto di 25 persone appartenenti<br />

al clan Cordì di Locri.<br />

I fermi sono stati eseguiti<br />

dai Carabinieri della compagnia<br />

di Locri e del Nucleo<br />

Investigativo del comando<br />

provinciale di Reggio Cala-<br />

bria, dalla squadra mobile di<br />

Reggio Calabria e dal commissariato<br />

di Siderno. Le accuse<br />

nei confronti degli arrestati<br />

riguardano l’associazione per<br />

delinquere di tipo mafioso,<br />

con l’aggravante dell’essere<br />

l’associazione armata, finalizzata<br />

alla commissione di<br />

estorsioni, usura e armi. Le indagini<br />

hanno evidenziato una<br />

pluralità di atti a contenuto<br />

intimidatorio, commessi con<br />

l’utilizzo di armi e, soprattutto,<br />

sull’attività di usura.<br />

Particolare rilevanza è stata<br />

la collaborazione prestata<br />

dalle vittime. Nell’ordinanza<br />

di misura cautelare del Gip<br />

Carlo Alberto si analizza il<br />

complesso quadro criminale<br />

emerso a conclusione di una<br />

lunga attività d’indagine che<br />

si è concentrata sul particolare<br />

fenomeno dell’usura nella Locride,<br />

area che, come altre realtà<br />

ad altissima penetrazione<br />

della criminalità organizzata,<br />

vede gestire questo importante<br />

settore economico-criminale<br />

direttamente da soggetti già<br />

condannati per associazione<br />

di tipo mafioso. Si legge<br />

nell’ordinanza: «In un quadro<br />

locale di estrema desolazione<br />

sociale ed economica, l’aspetto<br />

fondamentale di questa<br />

indagine è sicuramente costituito<br />

da una novità molto<br />

positiva per questa realtà: due<br />

soggetti vittima dell’usura<br />

hanno denunciato i loro usurai!<br />

Due cittadini hanno avuto<br />

fiducia nei carabinieri di Locri<br />

e nella Direzione distrettuale<br />

antimafia di Reggio Calabria,<br />

denunciando, per la prima<br />

volta, i loro strozzini, ben<br />

sapendoli appartenere alle<br />

pericolosissime consorterie<br />

criminali locali. Tali denun-


«Sono soggetto al reato di usura da<br />

parte di alcuni soggetti di Locri,<br />

dei quali nel corso del presente<br />

verbale riferirò i nomi. I fatti hanno<br />

avuto inizio l’1 marzo 2003, ricordo<br />

con esattezza la data in quanto è<br />

il compleanno di mia moglie. In<br />

tale data sono venuto a conoscenza<br />

della situazione economica di mio<br />

cognato Carabetta Alessandro, fratello<br />

di mia moglie; quella mattina<br />

il Carabetta si è presentato nel mio<br />

ufficio in Via Marconi n. 19, mio ex<br />

ufficio, per dirmi che si trovava in<br />

grossissime difficoltà in quanto aveva<br />

contratto un debito enorme con<br />

delle persone, mettendo nei guai la<br />

sorella Maria Carmela ed il padre<br />

Ercole. Io sono rimasto sorpresa di<br />

quanto dettomi e gli ho raccomandato<br />

di non dire niente in famiglia<br />

in quanto avremmo ragionato con<br />

più calma sulla situazione. Egli<br />

invece all’ora di pranzo ha riferito<br />

tutto ai suoi genitori ed alla sorella<br />

Maria Carmela. Io ero a casa mia<br />

e sono stato chiamato perché mio<br />

suocero si era sentito male. Arrivato<br />

a casa dei miei suoceri subito dopo<br />

giungeva il dottor Rulli, medico di<br />

famiglia, che ha prestato le cure<br />

del caso a mio suocero, il quale si<br />

era sentito male in conseguenza<br />

di quanto mio cognato gli aveva<br />

detto. Non era la prima volta che<br />

mio cognato versava in condizioni<br />

economiche disastrate; infatti già<br />

altre due volte si era trovato in tale<br />

situazione. Nei giorni successivi<br />

ho avuto degli incontri con i miei<br />

suoceri e mio cognato per chiarire la<br />

sua situazione debitoria in maniera<br />

definitiva e chiara. Infatti ci siamo<br />

messi a tavolino ed abbiamo scritto<br />

su un foglio di carta tutti i debiti che<br />

mio cognato aveva accumulato nel<br />

tempo.(..) Alla fine in tale riunione<br />

vista la somma di debiti che aveva<br />

accumulato, circa euro 262.000<br />

(duecentosessantaduemila), avevamo<br />

deciso io e mia moglie di non<br />

impegnarci a sanare tale debito, in<br />

quanto non era nelle nostre possibilità,<br />

ed anche perché non era<br />

la prima volta che mio cognato<br />

si trovava in tale situazione. Poi<br />

invece mio suocero parlandomi mi<br />

ha convinto di salvare almeno mia<br />

cognata cercando di recuperare gli<br />

assegni della sorella che il fratello<br />

si era preso. A questo punto mia<br />

cognata si recava presso la stazione<br />

Carabinieri di Locri dove formalizzava<br />

la sottrazione degli assegni da<br />

parte del fratello. Ricordo che si<br />

era recata alla stazione circa due<br />

settimane dopo le riunioni che<br />

avevamo avuto. Quindi con tale<br />

denuncia in mano mi recavo dai<br />

creditori, che per la maggior parte<br />

conoscevo per il mio lavoro e per i<br />

rapporti sociali, al fine di recuperare<br />

gli assegni di mia cognata ed<br />

uno di mio suocero, al quale mio<br />

cognato lo aveva sottratto senza<br />

avvertirlo.<br />

Prima di andare da queste persone<br />

avevamo cercato di organizzarci in<br />

famiglia per recuperare i soldi per<br />

sanare le situazioni più critiche:<br />

in particolare mia cognata Maria<br />

Carmela mi avrebbe dato le entrate<br />

del negozio, mentre mio suocero<br />

avrebbe fatto un mutuo sulla casa<br />

dove abito io, e avrebbe recuperato<br />

dei soldi da amici fidati. A questo<br />

punto sono andato da Guastella<br />

Gerardo per recuperare un assegno<br />

di 6.250 euro, poi da Floccari Ennio<br />

per due assegni, una di 3.300 euro<br />

ed uno di 10.500 euro, poi da Cecere<br />

Vincenzo per quattro assegni per<br />

un totale di 25.000 euro. Preciso<br />

che non mi è chiara la situazione<br />

del Cecere in quanto non sono in<br />

grado di stabilire se vi è usura da<br />

parte sua oppure lui fa da tramite<br />

per delle altre persone.(..) Poi un<br />

altro debito l’ho sanato con gente di<br />

Africo, in particolare Criaco Leo, il<br />

quale fa il calciatore; nel 1999-2000<br />

ha giocato nel Locri ed attualmente<br />

so che gioca nella Villese. Il fratello<br />

Bruno è titolare di una ricevitoria<br />

di Enalotto e Totocalcio a Bianco.<br />

Con il Criaco ho avuto l’incontro a<br />

Locri organizzato da mio cognato<br />

Alessandro, il quale mi ha detto che<br />

37 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong><br />

un suo amico mi avrebbe chiamato<br />

per incontrare il Criaco in parola.<br />

Infatti, qualche tempo dopo sono<br />

stato chiamato da tale Maiorana<br />

Antonio per andare a casa sua per<br />

incontrare il Criaco Leo. L’incontro<br />

a casa del Maiorana era dovuto al<br />

fatto che il Criaco, che all’epoca<br />

giocava a calcio nella Rosarnese,<br />

passava da casa Maiorana per<br />

prendere il cognato, tale Leveque<br />

Dino, cosicché è stato organizzato<br />

l’incontro. Nella circostanza ero da<br />

solo con il Criaco Leo davanti casa<br />

Maiorana; al Criaco ho rappresentato<br />

che gli assegni che lui aveva<br />

ricevuto da mio cognato Alessandro<br />

erano stati denunciati da mia<br />

cognata Maria Carmela e pertanto<br />

egli non avrebbe potuto incassarli.<br />

Il Criaco non mi ha restituito subito<br />

gli assegni in quanto egli mi ha detto<br />

che non era l’interessato ma solo<br />

un tramite di altra persona, della<br />

quale non mi ha mai fatto il nome.<br />

Comunque ogni volta che riuscivo<br />

a coprire l’importo dell’assegno<br />

il Criaco me ne restituiva uno.<br />

La somma complessiva che mio<br />

cognato doveva restituire al Criaco<br />

si aggirava sui 37.000 euro. Ancora<br />

oggi con al Criaco dovrei restituire<br />

9.500 euro, in quanto gli avevo<br />

consegnato un assegno di 6.000<br />

euro dato a mio cognato Alessandro<br />

da un suo amico, tale Ascioti<br />

Vincenzo di Locri.(..) Per quanto<br />

riguarda il tasso di interesse e le<br />

modalità di consegna del danaro<br />

posso dire che tutte le persone da<br />

me nominate nel presente verbale<br />

incassavano il 10% di interesse<br />

al mese ad eccezione di Guastella<br />

Gerardo il quale pretendeva il 15%.<br />

Il prestito e gli interessi venivano<br />

così pagati: se alla fine del mese<br />

mio cognato aveva la possibilità di<br />

sanare il prestito doveva consegnare<br />

il prestito più l’interesse, altrimenti<br />

alla scadenza del mese solamente<br />

l’interesse.<br />

Al fine di aiutare mio cognato<br />

Alessandro sono stato costretto<br />

ad impegnarmi al pagamento dei<br />

La denuncia di Luca Rodinò<br />

Usura


Usura<br />

debiti e di conseguenza le persone<br />

vengono da me per riscuotere.<br />

Cosicché ho dovuto contrarre dei<br />

debiti ad usura per sanare la situazione<br />

chiedendo in prestito i<br />

soldi a Floccari Ennio varie volte<br />

ed attualmente ho accumulato un<br />

debito di 24.000 euro che avrei<br />

dovuto dare in un’unica soluzione<br />

il 30 aprile 2005. Alla scadenza ho<br />

incontrato il Floccari per dirgli<br />

che non avevo possibilità di pagare<br />

alla scadenza e di lasciarmi<br />

qualche giorno in più (…). Alle<br />

successive 18.30 sono andato a<br />

casa del Floccari Ennio in contrada<br />

Lucifero, esattamente in un palazzo<br />

posto sul lato destro della strada<br />

in terra battuta dopo il negozio dei<br />

mobili della famiglia Floccari. Ad<br />

aspettarmi c’era Floccari Ennio ed<br />

il fratello Silvio ed appena arrivato<br />

Ennio mi ha chiesto subito i soldi<br />

ed io ho risposto che non li aveva<br />

al che egli mi ha aggredito colpendomi<br />

con calci, pugni e con un<br />

bastone, dicendo che egli doveva<br />

dare i soldi ad altre persone e che<br />

di conseguenza li pretendevano<br />

da lui. Alla fine mi ha intimato di<br />

portargli i soldi entro le ore 21.00<br />

dello stesso giorno sempre a casa,<br />

minacciando la mia famiglia di sicure<br />

ripercussioni. A questo punto<br />

interveniva il Floccari Silvio dicendo<br />

che se il fratello avrebbe avuto<br />

dei problemi egli avrebbe ucciso me<br />

ed anche qualcuno della mia famiglia.<br />

Logicamente io non mi sono<br />

presentato all’appuntamento anche<br />

perché non avevo i soldi. Alle ore<br />

10.00 circa del giorno seguente il<br />

Floccari Ennio mi ha chiamato sul<br />

cellulare dimostrandosi contrariato<br />

per il mancato appuntamento della<br />

sera precedente, intimandomi di<br />

andare a casa sua per le 13.00 di<br />

quel giorno, ovvero di sabato 7,<br />

cosa che io non ho fatto. Tuttavia<br />

c’è andato un mio parente Rodinò<br />

Bruno per cercare di prendere<br />

del tempo con il Floccari Ennio.<br />

Il Rodinò Bruno mi ha riferito<br />

del comportamento contrariato<br />

38 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong><br />

da parte del Floccari, il quale ha<br />

detto che la situazione è gravissima<br />

e che voleva i soldi entro sabato<br />

prossimo. (…) Devo riferire di un<br />

episodio verificatosi tra luglio ed<br />

agosto del 2004, allorquando avevo<br />

contratto un debito iniziale di circa<br />

5.000 euro con Guastella Gerardo<br />

ed in tale periodo non riuscivo<br />

a pagare il dovuto e pertanto gli<br />

interessi aumentavano del 15%. Un<br />

giorno mi trovavo nel mio ufficio<br />

di via Cosmano n. 87, nel quale mi<br />

trovo attualmente, ed il Guastella si<br />

presentava di sera intorno alle ore<br />

20.00 per riscuotere dopo tanti rinvii<br />

che avevo fatto. Lui insisteva ed<br />

io per tutta risposta gli dicevo che si<br />

poteva prendere la macchina, una<br />

Citroen Picasso targata BH920BW,<br />

intestata a mia moglie Carabetta<br />

Roberta. Il Guastella accettava<br />

subito la proposta e si prendeva<br />

le chiavi, dicendomi che avrebbe<br />

tenuto la macchina a garanzia del<br />

saldo debito. Subito arrivava la<br />

figlia minore per portare la macchina,<br />

che veniva parcheggiata<br />

davanti la casa del Guastella. (...)<br />

Qualche tempo dopo per sanare il<br />

debito con il Guastella ho deciso<br />

di fargli il passaggio di proprietà<br />

della macchina, avvenuto presso<br />

lo studio del notaio D.ssa Clara<br />

Fazio di Siderno. Il passaggio<br />

di proprietà è stato fatto a nome<br />

di Audino Simona di Locri. Per<br />

quanto riguarda il debito che<br />

ho con Cecere Vincenzo devo<br />

specificare che il Criaco mi ha<br />

chiesto ad inizio anno 2004 di<br />

fargli un lavoro a casa della sorella<br />

poiché essa si doveva sposare. Io<br />

che nell’estate del 2003 avevo<br />

emesso delle cambiali a favore<br />

del fratello del Criaco Leo, delle<br />

quali alcune ho saldato ma delle<br />

altre dovevo ancora saldare, gli<br />

dicevo che non ero in grado di<br />

fare questi lavori, ma che tuttavia<br />

gli avrei trovato una ditta in grado<br />

di fare tali lavori. Infatti chiedevo<br />

al Cecere di fare i lavori ed<br />

egli sistemava l’abitazione della<br />

sorella del Criaco per dei lavori<br />

che equivalevano a 25000 euro.<br />

Tuttavia il Criaco pagava al Cecere<br />

solamente 13.500 euro e gli diceva<br />

che i restanti glieli avrei dati io in<br />

quanto ero suo debitore. Il Cecere<br />

non sapendo come giustificare il<br />

mancato pagamento dei lavori alla<br />

moglie in quanto aveva problemi<br />

familiari, si è impegnato con delle<br />

persone di cui io non conosco il<br />

nome a ricevere del denaro; tuttavia<br />

mi diceva che gli interessi li avrei<br />

dovuti pagare io. Non riuscendo a<br />

sostenere la spesa degli interessi<br />

del 10% gli chiedevo di poter pagare<br />

in un’unica soluzione tutta<br />

la somma e le persone creditrici<br />

gli riferivano che la somma totale<br />

con gli interessi non pagati era di<br />

15000 euro da pagare entro il 30<br />

aprile. Tuttavia a tale data non riuscivo<br />

a saldare tale debito pertanto<br />

chiedevo al Cecere di protrarre la<br />

data di scadenza e queste persone<br />

per spostare la data del pagamento<br />

dichiaravano che era necessario<br />

pagare altri 1000 euro.<br />

Il 4 maggio il Cecere si trovava<br />

nuovamente con queste persone per<br />

spostare ulteriormente il pagamento<br />

ma questi, dopo averlo minacciato<br />

con la pistola, per quanto riferitomi<br />

dal Cecere, gli dicevano che doveva<br />

pagare immediatamente almeno<br />

1500 euro. Il Cecere si presentava<br />

quindi a casa mia alle ore 20.10 e<br />

piangendo mi diceva che per le<br />

ore 20.30 doveva portargli i soldi<br />

richiesti. Quindi con un giro di<br />

telefonate riuscivamo a recuperare<br />

i 1500 euro».<br />

Che lei sappia ci sono altre persone<br />

sotto usura?<br />

Sì, ve ne sono parecchie. In particolare<br />

so che sono sotto usura:<br />

Cecere Vincenzo, Gallo Renato, che<br />

gestisce un’impresa edile in Locri,<br />

Aligi Santo, che vende computer<br />

all’uscita di Locri Nord, direzione<br />

Siderno, Ascioti Vincenzo, che faceva<br />

l’imbianchino, Tecnicon s.r.l.<br />

nella persona di La Greca Vincenzo,<br />

il quale è siciliano di Cammarata


della provincia di Agrigento, che<br />

va da Bonavita Antonio, che lavora<br />

nella forestale, a chiedere soldi. Poi<br />

so di Careri Francesco, che vendeva<br />

macchine Opel, Procopio Francesco,<br />

che potrebbe essere uscito da<br />

questo problema con i suoi parenti<br />

Circosta, anche perché ha venduto<br />

il palazzo dove si trova la filiale<br />

della Poste nelle vicinanze del distributore<br />

Esso; poi Cinanni Santo,<br />

che aveva una pizzeria, che faceva<br />

angolo in piazza Portosalvo con il<br />

passaggio a livello, in Siderno che<br />

recentemente ha venduto. Custureri<br />

Paolo, che vende materiale di<br />

rivestimenti ed ha il negozio nelle<br />

vicinanze del semaforo che si trova<br />

a nord di Locri, che ha debiti con<br />

Floccari e Bonavita Antonio ma<br />

che talvolta gli incassa gli assegni e<br />

poi gli restituisce i soldi. La stessa<br />

operazione la fa con i Floccari,<br />

Iennaro Rocco che penso sia il<br />

titolare dell’agenzia immobiliare<br />

la Piramide che si trova sopra il<br />

pizzeria “Mister Fantasy”. Poi sotto<br />

usura vi è Cusato Paolo che aveva<br />

un supermercato in piazza stazione<br />

e che ora non so se è riuscito a<br />

pagare i debiti».<br />

Ma non finisce qui. Si legge nell’ordinanza:<br />

«L’assenza di ogni cautela<br />

da parte degli usurai o mediatori<br />

usurai che dir si voglia, tanto da<br />

“negoziare” l’attività delittuosa<br />

proprio all’interno degli stabili<br />

ove abitano o addirittura all’interno<br />

degli uffici o delle attività<br />

commerciali delle vittime, induce<br />

a ritenere che costoro sono<br />

ben consapevoli di poter vantare<br />

una capacità di persuasione nei<br />

confronti degli usurati che non<br />

può trarre nutrimento se non dai<br />

sentimenti di assoggettamento ed<br />

intimidazione che derivano, nella<br />

realtà in cui le vicende sopra<br />

descritte vivono, dai legami con<br />

le consorterie mafiose che gli indagati<br />

possiedono e che si fanno<br />

sicuramente forza intimidatrice<br />

con la loro appartenenza».<br />

ce, unite alla costante opera<br />

di monitoraggio svolta da<br />

questa Polizia Giudiziaria,<br />

attraverso le varie articolazioni<br />

dell’Arma dei carabinieri,<br />

nel tessuto sociale della città<br />

di Locri, consentono oggi di<br />

tracciare con estrema chiarezza<br />

un’allarmante quadro del<br />

fenomeno delittuoso. In questi<br />

abitati tristemente conosciuti<br />

alla ribalta nazionale quali<br />

culla di una cultura mafiosa<br />

globalmente esportata, una<br />

serie di fattori di svantaggio<br />

economico uniti ad una<br />

profonda arretratezza culturale<br />

fanno si che il ricorso<br />

al prestito usuraio, erogato<br />

spesso a tassi di interesse<br />

che, come si vedrà, superano<br />

il 200 % annuo (con casi del<br />

20% mensile), sia tuttora una<br />

pratica assai diffusa e, per<br />

alcune fasce sociali, addirittura<br />

l’unica via di accesso al<br />

credito. La piaga dell’usura si<br />

sposa in questa terra “difficile”<br />

con una radicata cultura<br />

dell’omertà e con un’atavica<br />

diffidenza nelle istituzioni<br />

statali, ragion per cui – ed<br />

in assoluta controtendenza<br />

con il trend nazionale – le<br />

denunce sono qui un evento<br />

del tutto sporadico: le due<br />

denunce acquisite dai carabinieri<br />

di Locri rappresentano,<br />

nel panorama sociale della<br />

Locride, una vera novità, ma<br />

costituiscono un segnale positivo<br />

che, incoraggiato, potrà<br />

sicuramente dare maggiori<br />

risultati nella lotta contro la<br />

criminalità organizzata. La<br />

mancanza di denunce ha, per<br />

anni, lasciato il campo del<br />

tutto libero agli usurai, molti<br />

dei quali svolgono oramai da<br />

decenni questa “professione”<br />

al punto tale di aver con la<br />

39 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong><br />

stessa accumulato ingentissimi<br />

capitali. Si sa che l’usura,<br />

fenomeno di grande allarme<br />

sociale, altera il mercato incidendo<br />

in maniera significativa<br />

sia sulla libertà di impresa<br />

sia sulla libera concorrenza”.<br />

Nelle carte dell’inchiesta si<br />

osserva un tipo di usura particolare,<br />

cosiddetta di secondo<br />

livello, gestita direttamente<br />

dalla ‘ndrangheta: un tipo di<br />

usura che interessa le imprese<br />

e che mira alla proprietà<br />

dell’azienda stessa. Non vi<br />

è alcun dubbio di mettere in<br />

discussione l’esistenza di un<br />

“locale” della ’ndrangheta<br />

operante nella città di Locri<br />

e dell’esistenza di due gruppi<br />

criminali contrapposti. Infatti,<br />

con le numerosissime operazioni<br />

di polizia e le conseguenti<br />

condanne emesse dalla<br />

magistratura nei vari livelli<br />

di giudizio, veniva affermata,<br />

senza ombra di dubbio<br />

e in maniera inconfutabile,<br />

l’esistenza a Locri di due cosche<br />

avverse, aventi struttura<br />

essenzialmente familiare e<br />

fra loro in contrapposizione<br />

a volte pacifica altre volte,<br />

invece, incandescente. In<br />

particolare, tali sentenze delineavano<br />

con esattezza le<br />

cosche Cordì e Cataldo, individuando<br />

gli esponenti di tali<br />

famiglie nei capostipite Cordì<br />

Antonio e Cataldo Giuseppe<br />

quali reggenti di sodalizi capaci<br />

di controllare e di gestire<br />

sul territorio le più lucrose<br />

attività illecite. Leggiamo ancora<br />

nell’ordinanza: «Il ciclo<br />

dell’usura ’ndranghetista<br />

utilizza il “prestito” iniziale<br />

come strumento di accesso<br />

alla proprietà dell’impresa da<br />

cui far transitare poi denaro<br />

riciclato: dal prestito iniziale<br />

Usura


Usura<br />

si passa, infatti, al condizionamento<br />

della vita dell’impresa<br />

attraverso l’imposizione di<br />

fornitori e servizi, fino alla<br />

creazione indotta di uno stato<br />

di crisi dovuta all’insolvenza<br />

di chi era in debito con<br />

l’azienda stessa. Una volta entrati<br />

in possesso dell’azienda<br />

il meccanismo si interrompe<br />

per ripetersi in altre realtà imprenditoriali.<br />

È proprio questo<br />

il caso dell’usurato Rocco<br />

Rispoli il quale è proprietario<br />

di una struttura agrituristica<br />

dal forte richiamo turistico<br />

nella medioevale città di Gerace,<br />

azienda peraltro molto<br />

conosciuta nella Locride, che<br />

di sicuro fa gola alle cosche locali<br />

e che è chiaramente finita<br />

nel mirino degli usurai che la<br />

stanno prosciugando».<br />

Com’è ormai noto, una delle<br />

maggiori problematiche che<br />

impegnano quotidianamente<br />

le cosche mafiose calabresi è<br />

quella connessa al riciclaggio<br />

di ingenti somme di denaro<br />

provenienti dalle illecite attività<br />

dalle stesse praticate, in<br />

special modo le somme provenienti<br />

dal traffico di sostanze<br />

stupefacenti e dalle estorsioni.<br />

Uno dei mezzi maggiormente<br />

utilizzati dalle consorterie<br />

mafiose per ripulire il denaro<br />

così illecitamente guadagnato<br />

è quello di prestare soldi a<br />

piccoli imprenditori e privati<br />

cittadini che versano in difficoltà<br />

economiche, ad interessi<br />

esorbitanti. Così facendo le<br />

organizzazioni criminali conseguono<br />

il duplice vantaggio<br />

di impiegare in modo redditizio<br />

i proventi di altre attività<br />

delittuose e di penetrare e<br />

controllare ulteriormente il<br />

tessuto economico e sociale<br />

della zona di influenza. L’in-<br />

40 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong><br />

chiesta “Shark” ha consentito<br />

di accertare come questa cosca<br />

mafiosa sia stata particolarmente<br />

attiva nel settore<br />

dell’usura e dell’esercizio<br />

abusivo del credito, attività<br />

decisamente redditizie e poste<br />

in essere con le consuete modalità<br />

violente e intimidatorie.<br />

Dalle carte dell’inchiesta si<br />

rileva come l’attività usuraria<br />

si connetta agli altri reati della<br />

consorteria, confermando come<br />

l’usura sia uno dei metodi più<br />

invasivi attraverso i quali le<br />

organizzazioni criminali riescono<br />

a penetrare i gangli vitali<br />

della società civile, soffocando<br />

il libero mercato e condizionando<br />

il sistema economico<br />

del territorio di Locri.<br />

Effetto “a cascata”. Altro<br />

dato saliente emerso dalle investigazioni<br />

è rappresentato,<br />

poi, dalla peculiare posizione<br />

di coloro che, vittime di usura<br />

da parte degli esponenti delle<br />

consorterie mafiose sopra<br />

menzionati, a loro volta si<br />

ritrovano a prestare somme<br />

di denaro a terzi, applicando<br />

anch’essi elevati tassi usurari;<br />

tali soggetti nella duplice<br />

veste di usurato e di usuraio,<br />

pressati dalla esigenza di soddisfare<br />

le esose pretese dei<br />

loro più pericolosi creditori,<br />

finiscono con l’adottarne il<br />

metodo, applicando ai loro<br />

debitori gli stessi criteri di<br />

calcolo degli interessi e spesso<br />

ricorrendo alle stesse tecniche<br />

di “persuasione” per la<br />

riscossione dei crediti (per lo<br />

più, minacce di morte), così<br />

generando una sorta di effetto<br />

“a cascata” a tutto vantaggio<br />

delle organizzazioni criminali<br />

che, a fronte di un limitato<br />

investimento iniziale, si ri-<br />

trovano al proprio servizio un<br />

disperato esercito di frenetici<br />

procacciatori di danaro che<br />

garantisce alla consorteria un<br />

flusso costante di contanti o<br />

assegni.<br />

Le attività delittuose in trattazione<br />

vengono svolte con le<br />

modalità intimidatorie tipiche<br />

delle consorterie mafiose. Il<br />

più delle volte è la stessa caratura<br />

criminale dell’usuraio,<br />

la sua nota appartenenza o<br />

vicinanza alle organizzazioni<br />

criminali, i suoi precedenti<br />

giudiziari vissuti al fianco<br />

di noti esponenti mafiosi, a<br />

costituire un primo elemento<br />

di intimidazione e a far sì che<br />

l’usurato, consapevole degli<br />

enormi rischi cui si espone,<br />

sia sollecito nei pagamenti<br />

e, quindi, nella ricerca delle<br />

somme necessarie a versare<br />

almeno la rata di interessi.<br />

Questo effetto intimidatorio<br />

viene molto spesso ulteriormente<br />

amplificato dall’usuraio,<br />

il quale lascia intendere<br />

alla vittima che tutto, o parte<br />

del denaro prestato, provenga<br />

da soggetti sovraordinati nella<br />

gerarchia criminale e, quindi,<br />

ancor più pericolosi. Non di<br />

rado, poi, la vittima viene<br />

indotta a pagare mediante minacce<br />

esplicite o simboliche<br />

di morte, ovvero mediante<br />

percosse. Importante il passaggio<br />

evidenziato dell’ordinanza<br />

di misura cautelare<br />

dove si legge che gli accertamenti<br />

investigativi vengono<br />

supportati da una dettagliata<br />

denuncia formalizzata il 12<br />

maggio 2005 da Luca Rodinò<br />

(vedi box p. 37), che indicava<br />

dettagliatamente episodi<br />

e personaggi tutti gravitanti<br />

nell’ambito delle criminalità<br />

organizzata locale.


Il tesoro<br />

scippato<br />

Come si può evincere dalle carte delle inchieste e dai sequestri<br />

delle forze dell’ordine, nel corso degli anni si è formato un vero<br />

e proprio “tesoro”: il capitale sociale della Banca dell’usura. Una<br />

banca che ha filiali a Napoli, in terra di Calabria, nella Capitale,<br />

nel nord Italia e in Puglia. E non si tratta solo di soldi liquidi ma,<br />

soprattutto, di proprietà immobiliari, società di capitali, ville di<br />

lusso, fuoristrada<br />

di Peppe Ruggiero<br />

In seguito alle dichiarazioni del<br />

pentito boss della camorra Salvatore<br />

Lo Russo, la Direzione<br />

investigativa antimafia scopre<br />

un tesoro di oltre 7 milioni di<br />

euro in contanti appartenente<br />

all’ex contrabbandiere degli<br />

anni di Zaza-Mazzarella, l’usuraio<br />

Mario Potenza, morto per<br />

problemi cardiaci il 25 gennaio<br />

2012 all’età di 83 anni. La<br />

banca dell’usura aveva le sue<br />

casseforti dietro le mura di un<br />

anonimo appartamento popolare<br />

al vico Storto al Pallonetto<br />

a Santa Lucia a Napoli. Mura<br />

maestre imbottite di denaro<br />

contante. Un’intera giornata<br />

di lavoro a picconate da parte<br />

degli uomini della Dia a caccia<br />

del tesoro. Quando gli investigatori<br />

a tarda sera finiscono di<br />

contare, il bottino ammonta a<br />

cinque milioni 537mila trecento<br />

euro, banconote da cin-<br />

quecento euro, oltre a 284 mila<br />

830 euro in assegni ancora da<br />

incassare. Quelli a scadenza posticipata<br />

firmati dalle vittime.<br />

Da sommare ai due milioni di<br />

euro trovati all’interno di una<br />

valigia a casa del figlio dell’usuraio<br />

Salvatore, al settimo piano<br />

dello stesso palazzo.<br />

Più o meno le stesse logiche<br />

di occultamento che ritroviamo<br />

di recente sulle labbra di<br />

un mafioso all’inizio della sua<br />

collaborazione: «Se lo Stato mi<br />

volta le spalle, ho dove andare<br />

ad attingere. E non certamente<br />

in Banca». Cifre che neanche<br />

le sedi centrali degli istituti<br />

di credito hanno disponibili<br />

nell’immediatezza, ma che invece<br />

aveva il signore dell’usura.<br />

Il blitz delle forze dell’ordine,<br />

infatti, conferma la credibilità<br />

del boss pentito di Miano<br />

Salvatore Lo Russo. È stato<br />

41 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong><br />

lui a indicare ai pm dell’antimafia<br />

Sergio Amato ed Enrica<br />

Parascandolo il tesoro dell’<br />

usura. «Tempo fa – racconta Lo<br />

Russo ai magistrati – due miei<br />

cugini avevano bisogno di denaro.<br />

Così li mandai da Mario<br />

Potenza ‘o chiacchiarone. Era<br />

molto conosciuto come usuraio<br />

perché faceva prestiti di cifre<br />

molto importanti. Grosse quantità<br />

di denaro consegnate in<br />

pochi giorni e con buoni tassi di<br />

interesse. A differenza di tanti<br />

altri non prendeva più dell’uno<br />

e mezzo, il due per cento sul<br />

prestito». Insomma, un “usuraio<br />

onesto”. Che però aveva<br />

accumulato un patrimonio in<br />

contanti. Nel luglio del 2011,<br />

a due mesi dal ritrovamento<br />

del tesoretto di Santa Lucia,<br />

gli uomini della Dia si sono<br />

presentati in alcuni tra i più<br />

noti e frequentati ristoranti e<br />

Usura


Usura<br />

pub partenopei per notificare<br />

il sequestro preventivo delle<br />

attività commerciali. Locali che<br />

sarebbero stati aperti e portati<br />

avanti, anche e soprattutto con<br />

i soldi messi a disposizione<br />

dalla famiglia Potenza, ritenuti<br />

gli usurai del Pallonetto Santa<br />

Lucia, e dal boss, oggi collaboratore<br />

di giustizia, Salvatore<br />

Lo Russo. Nella lista nera dei<br />

17 esercizi tra cui locali della<br />

catena di “Pizza Margherita”,<br />

luoghi rinomati lungo il lungomare<br />

liberato di via Caracciolo<br />

e gestiti – secondo l’ accusa –<br />

da rampanti manager che non<br />

hanno esitato a tirare dentro<br />

anche usurai e camorristi. Il<br />

vecchio usuraio del Pallonetto<br />

aveva però un piccolo difetto:<br />

gli piaceva raccontare tutto<br />

quello che gli succedeva. Lui<br />

parlava, e le forze dell’ordine<br />

intercettavano. E parlava di<br />

storie di usura. Di soldi portati<br />

all’estero. Almeno 15 milioni<br />

in Svizzera sequestrati grazie<br />

alla cooperazione della Procura<br />

federale di Lugano. Il ritratto<br />

dell’anziano del Pallonetto che<br />

emerge dalle numerose intercettazioni<br />

ambientali è quello<br />

di un uomo attaccato al denaro<br />

più che alla libertà personale e<br />

alla vita stessa. Dai numerosi<br />

colloqui tra l’ottantenne ex<br />

contrabbandiere e i suoi familiari<br />

si apprende innanzitutto<br />

che l’uomo, nonostante fosse<br />

ai domiciliari, usciva di casa<br />

per incontrare e minacciare le<br />

persone alle quali aveva prestato<br />

denaro. Ma soprattutto,<br />

come sottolinea nell’ordinanza<br />

il gip Maria Vittoria Foschini,<br />

emerge che per Potenza i soldi<br />

erano la cosa più importante;<br />

purché avesse riavuto il suo<br />

denaro, l’usuraio sarebbe stato<br />

disposto a rimanere in carcere<br />

42 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong><br />

per anni. «Mi facevo 8 anni di<br />

carcere – dice ad esempio in<br />

uno dei colloqui intercettati<br />

– basta che mi rimanevano i<br />

soldi! Perché tu da carcerato<br />

esci; come muori carcerato,<br />

così devi morire anche fuori!<br />

Però basta che mi rimangono<br />

i soldi». Di lì a poco, Potenza<br />

ribadisce il concetto e spiega<br />

che, per lui in passato come<br />

ora per i figli, la vita in carcere<br />

è stata addirittura comoda<br />

e piacevole: «Finché non mi<br />

tocchi i soldi, carceratemi.<br />

Sette mesi, 8 mesi, un anno...<br />

stiamo a posto! Perché se hai<br />

i soldi e sei carcerato, rimane<br />

solo la libertà, poi c’hai tutto!<br />

Il primo pensiero che non hai è<br />

per la tua famiglia: la famiglia<br />

tiene i soldi, mangia. Io, quando<br />

stavo carcerato parevo ‘nu<br />

magrebino». L’anziano ex contrabbandiere<br />

non sospettava di<br />

essere intercettato. Parlando<br />

con la nuora Antonella, ragionava<br />

sul fatto che, se fossero<br />

state piazzate delle cimici, lui<br />

e i suoi familiari avrebbero<br />

rischiato grosso: «Se stavamo<br />

sotto, per quello che io ho detto<br />

qua sopra qua, dovevano fare<br />

altri sei processi». Era ai domiciliari,<br />

Potenza, ma continuava<br />

a rincorrere il denaro prestato,<br />

minacciando e insultando i<br />

suoi “clienti”.<br />

Roma, città aperta all’usura.<br />

Il 13 luglio 2011 il giudice per<br />

le indagini preliminari di Roma<br />

Tommaso Picazio emette l’ordinanza<br />

di custodia cautelare<br />

in carcere in un luogo di cura<br />

per Giuseppe De Tomasi, 74<br />

anni, ex boss della mala romana<br />

vicino alla Banda della<br />

Magliana, e per altre dieci persone,<br />

tra cui i due figli (Arianna<br />

e Carlo Alberto) e la moglie<br />

Anna Maria Rossi. Per alcuni<br />

ci sono gli arresti domiciliari.<br />

La richiesta di arresto è arrivata<br />

dal procuratore aggiunto<br />

antimafia Giancarlo Capaldo e<br />

dai sostituti Simona Maisto e<br />

Francesco Minisci. De Tomasi,<br />

detto “Sergione”, è accusato di<br />

aver messo in piedi un giro di<br />

usura da centinaia di migliaia<br />

di euro, che ha coinvolto<br />

commercianti, ex carabinieri,<br />

imprenditori. Due anni di indagini<br />

della Squadra mobile di<br />

Roma per l’operazione denominata<br />

“Luna nel pozzo” hanno<br />

portato all’arresto cautelare di<br />

undici persone, con le accuse<br />

a vario titolo di usura, riciclaggio,<br />

ricettazione, estorsione,<br />

esercizio abusivo del credito. In<br />

pratica De Tomasi aveva messo<br />

in piedi un gruppo criminale a<br />

conduzione familiare, nel quale<br />

i figli, la moglie, il genero e l’ex<br />

fidanzata del figlio avevano<br />

dei ruoli precisi e funzionali.<br />

Praticavano tassi di usura che<br />

andavano fino al 150 per cento<br />

all’anno. Alcune persone<br />

del gruppo erano poi dedite al<br />

“recupero crediti”, con minacce<br />

verbali e atti intimidatori.<br />

Una holding familiare in cui<br />

tutti avevano un ruolo preciso:<br />

dai semplici “autisti’’ a<br />

coloro i quali erano destinati<br />

a riscuotere le somme dalle<br />

vittime. Una sorta di gruppo<br />

criminale tra congiunti basato<br />

su un imponente giro di usura<br />

e la gestione di sale da gioco.<br />

“Familiare’’ anche il nascondiglio<br />

di parte del tesoro della<br />

banda: un cuscino dove sono<br />

stati trovati 30mila euro. Ma il<br />

patrimonio per quanto intestato<br />

a una rete di prestanome, parla<br />

chiaro: le indagini, durate quasi<br />

due anni, hanno permesso di<br />

ricostruire l’impressionante


giro di affari che ruotava prevalentemente<br />

intorno alla famiglia<br />

di Giuseppe De Tomasi,<br />

detto “Sergione”, che si può<br />

quantificare in movimenti di<br />

denaro per oltre 100mila euro a<br />

settimana. Sequestro di 10 immobili,<br />

9 società, 12 automezzi<br />

e 3 circoli dove si praticava<br />

il gioco d’azzardo. 10 auto di<br />

gran lusso, 3 circoli ricreativi. I<br />

conti correnti sequestrati sono<br />

21 oltre allle quote azionarie<br />

di 10 società. Condannato nel<br />

2002 con sentenza definitiva<br />

a 3 anni e 3 mesi per associazione<br />

a delinquere, De Tomasi<br />

non è mai stato uno che spara,<br />

la sua arma è il libretto degli<br />

assegni, il suo campo d’azione<br />

gli investimenti, l’usura, il<br />

riciclaggio.<br />

E sempre nella Capitale dominano<br />

i Casamonica. Un valore<br />

complessivo di beni sequestrati<br />

che sfiora i 10 milioni<br />

di euro e un volume di affari<br />

annuale delle società, anche<br />

queste sequestrate, di circa<br />

40 milioni di euro. E poi 15<br />

aziende e quote di 34 società,<br />

oltre al sequestro di 165 conti<br />

correnti, auto di lusso, ville e<br />

appartamenti. È un patrimonio<br />

da capogiro quello posta<br />

sotto sequestro dalla divisione<br />

anticrimine della questura di<br />

Roma nel marzo del 2010. Un<br />

patrimonio creato per ripulire<br />

denaro illecito del clan<br />

frutto di usura. L’operazione,<br />

chiamata dagli agenti dell’anticrimine<br />

“Crime Contact”, era<br />

partita da alcuni accertamenti<br />

patrimoniali. Tutte le persone<br />

coinvolte nell’inchiesta si<br />

erano dichiarate nullatenenti,<br />

mentre il giro di affari fatto di<br />

attività di consulenze, forniture<br />

e gestione per i supermercati,<br />

servizi di pulizia e raccolta e<br />

smaltimento dei rifiuti, fruttavano<br />

diversi milioni di euro<br />

all’anno. Le società avevano<br />

sede sulla via Nomentana, a<br />

Fonte Nuova, dove la polizia ha<br />

posto i sigilli. Se c’è una banda,<br />

nella storia criminale capitolina,<br />

che ha davvero meritato<br />

la definizione di “clan”, sono<br />

loro, i Casamonica. Famiglie<br />

di Sinti, gli zingari abruzzesi<br />

cristiani, ormai stanziali, imparentati,<br />

da sempre, con la<br />

famiglia Di Silvio e, occasionalmente,<br />

con altre dinastie rom<br />

come i Cena e i De Rosa, unite<br />

da un viluppo indissolubile di<br />

matrimoni e interessi comuni.<br />

L’ultimo censimento del clan,<br />

fatto da Vittorio Rizzi, ex capo<br />

della squadra mobile di Roma,<br />

parla di almeno un migliaio di<br />

affiliati. Un impero che ha i<br />

suoi capisaldi tradizionali nelle<br />

zone a sud est della capitale:<br />

Romagnina, Anagnina, Porta<br />

Furba, Tuscolano e giù, verso<br />

sud, fino a Frascati. Orgogliosi<br />

della loro indipendenza, i Casamonica<br />

stringono alleanze<br />

operative ma solo da pari a pari:<br />

il carattere rissoso e guascone<br />

dei sinti impedisce ogni forma<br />

di sudditanza. Da almeno<br />

cinque anni, secondo polizia e<br />

carabinieri, i Casamonica sono<br />

diventati il braccio armato dei<br />

più grossi usurai romani. Enrico<br />

Nicoletti, l’ex cassiere della<br />

Magliana, aveva inaugurato un<br />

innovativo sistema di scambio:<br />

due creditori recalcitranti ceduti<br />

agli uomini del clan in<br />

cambio di uno docile e pronto<br />

a pagare le rate dei prestiti.<br />

Perché quando arrivano loro,<br />

i Casamonica, non c’è scampo:<br />

si paga e basta, niente scuse e<br />

niente dilazioni.<br />

Lo sa bene Vittorio, il nome<br />

è ovviamente di fantasia, ma<br />

43 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong><br />

la persona no. Quella è reale,<br />

come reale è l’aggressione<br />

usuraia subita dai Casamonica.<br />

Quando lo incontriamo due<br />

anni fa è spaventato, non sa più<br />

come pagare e vuole solo fuggire.<br />

Di denunciarli non vuole<br />

neanche sentire parlare.<br />

Milioni di assegni in bianco.<br />

Dalla Capitale all’agro pontino<br />

la distanza è breve. Ma i soldi<br />

aumentano. Per “aiutare”<br />

colleghi in difficoltà prestava<br />

soldi a un tasso del 50 per<br />

cento. Aveva accumulato una<br />

ricchezza notevole, tanto che<br />

la Finanza, lo scorso maggio,<br />

gli ha sequestrato 150 immobili<br />

per un valore complessivo di<br />

oltre 100 milioni di euro, tra<br />

cui hotel e centri sportivi, e una<br />

Jaguar XJ220, prodotta in soli<br />

281 esemplari, del valore di<br />

mezzo milione di euro. Nicola<br />

Di Maio, destinatario di un’ordinanza<br />

di custodia cautelare<br />

agli arresti domiciliari eseguita<br />

dalla Guardia di Finanza<br />

di Napoli contestualmente a<br />

un decreto di sequestro del<br />

Tribunale di Nola (Na), aveva<br />

in cassaforte assegni circolari<br />

e bancari emessi senza data,<br />

ed in alcuni casi anche senza<br />

l’indicazione del beneficiario,<br />

per un valore di oltre 2 milioni<br />

e mezzo di euro. Il 74enne<br />

custodiva anche numerosissimi<br />

documenti riguardo a<br />

una cinquantina di rapporti<br />

di natura commerciale, tutti<br />

garantiti da cambiali, metodo<br />

diffuso tra gli usurai. Di Maio<br />

è finito nel mirino degli investigatori<br />

dopo la denuncia di<br />

una delle sue tante vittime,<br />

in gran parte imprenditori del<br />

settore autotrasporti, che ha<br />

deciso di ribellarsi dopo aver<br />

accumulato, in tempi brevissi-<br />

Usura


Usura<br />

mi, un debito di circa 600mila<br />

euro a fronte dell’acquisto di<br />

autoveicoli. L’imprenditore,<br />

vessato dai tassi di interesse sul<br />

prestito chiesto al 74enne, si<br />

è rivolto alle forze dell’ordine,<br />

denunciandolo. A quel punto<br />

gli inquirenti hanno avviato<br />

immediatamente le indagini,<br />

durate quasi due anni, nei confronti<br />

di Di Maio, noto imprenditore<br />

con svariati interessi<br />

commerciali, tra i quali la vendita<br />

di autoveicoli industriali<br />

e le speculazioni immobiliari,<br />

che risultava avere un patrimonio<br />

sproporzionato rispetto al<br />

reddito dichiarato.<br />

Le indagini, coordinate dal<br />

procuratore della Repubblica<br />

del tribunale di Nola, Paolo<br />

Mancuso, hanno anche permesso,<br />

grazie alle testimonianze<br />

rese dagli stessi imprenditori<br />

vessati, di risalire al metodo<br />

usato da Di Maio, che applicava<br />

interessi usurai anche sugli<br />

stessi interessi già maturati<br />

sul debito accumulato dalle<br />

sue vittime. Di Maio, grazie<br />

all’illecito arricchimento, ed<br />

al numero di vittime cadute<br />

nella sua ‘rete’, era riuscito ad<br />

accumulare un patrimonio di<br />

dimensioni spropositate, per<br />

un valore che supera i 100<br />

milioni di euro, con beni intestati<br />

anche alla moglie e alla<br />

figlia, disseminati in Campania<br />

e nel Lazio dove, a Sabaudia, il<br />

74enne aveva un centro sportivo,<br />

oltre a quello posseduto a<br />

Marigliano, nel napoletano.<br />

L’imprenditore usuraio Di Maio<br />

viene anche citato nelle pagine<br />

della relazione della Direzione<br />

nazionale antimafia del 2010:<br />

«Va ricordato che nell’ottobre<br />

2010 è stato disposto il sequestro<br />

anticipato dei beni riconducibili<br />

a Di Maio Salvatore:<br />

44 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong><br />

immobili, esercizi commerciali,<br />

quote di partecipazione in<br />

società per 30 milioni di euro.<br />

Il provvedimento, che muove<br />

dal presupposto che il Di Maio<br />

sia uno dei prestanome del clan<br />

Cava di Quindici (Av), evidenzia<br />

come lo stesso sia dedito<br />

ad usura, turbativa d’asta ed<br />

estorsioni in collegamento con<br />

esponenti della criminalità<br />

organizzata».<br />

Beni per un valore di 41 milioni<br />

di euro tra società, immobili,<br />

yacht, conti correnti e persino<br />

cavalli: questo il tesoro del clan<br />

camorristico Terracciano. Nel<br />

febbraio del 2012, le fiamme<br />

gialle fiorentine hanno sottoposto<br />

a sequestro i seguenti<br />

beni: 44 società, 31 immobili<br />

(sparsi sul territorio nazionale,<br />

di cui 21 nella sola Toscana),<br />

31 autoveicoli, 1 yacht di lusso,<br />

17 cavalli, 67 rapporti finanziari,<br />

2 cassette di sicurezza.<br />

Un clan della camorra che ha<br />

operato per anni in Toscana,<br />

ha spadroneggiato nel settore<br />

dei locali notturni acquisendoli<br />

con metodi mafiosi, ha gestito<br />

bische clandestine, ma soprattutto<br />

ha prestato denaro a usura<br />

praticando tassi fino al 1.000%<br />

e terrorizzando gli imprenditori<br />

finiti nella spirale dei debiti,<br />

realizzando colossali profitti.<br />

Il sequestro è stato disposto<br />

in via preventiva per sottrarre<br />

disponibilità economica a soggetti<br />

indiziati di appartenere al<br />

clan, che avevano un tenore di<br />

vita sproporzionato rispetto ai<br />

redditi dichiarati. Sono 71 le<br />

persone intestatarie dei beni<br />

finiti nel mirino delle Fiamme<br />

gialle, tra cui 8 membri del<br />

clan: i fratelli Carlo e Giacomo<br />

Terracciano, i figli di quest’ultimo<br />

Francesco e Antonio, oltre<br />

a Francesco Lo Ioco, residente<br />

in Sicilia, Michele di Tommaso,<br />

in Basilicata, e gli imprenditori<br />

Alberto Paolo Mancin e Paolo<br />

Posillico, entrambi di Prato. Il<br />

gruppo si avvaleva poi di 63 tra<br />

familiari e prestanome, attraverso<br />

cui cercava di impedire la<br />

riconducibilità del patrimonio<br />

all’organizzazione criminale.<br />

Esemplare il caso di una donna<br />

della famiglia dei Terracciano:<br />

dichiarava al fisco 3mila euro<br />

di reddito, ma era proprietaria<br />

di uno yacht da 300mila e in un<br />

solo anno aveva movimentato<br />

denaro per oltre un milione di<br />

euro. In Toscana, per la precisione<br />

a Prato, i Terracciano,<br />

già affiliati alla nuova camorra<br />

organizzata del boss Raffaele<br />

Cutulo, si sono trasferiti dalla<br />

Campania nel 1991.<br />

Usura a tasso agevolato. Il 20<br />

luglio del 2011, gli investigatori<br />

della Guardia di finanza<br />

sequestrano il tesoro di quelli<br />

che sono ritenuti gli usurai più<br />

influenti della città di Palermo,<br />

con decine di clienti che fanno<br />

la fila per essere ricevuti. Sono<br />

i fratelli Giuseppe e Maurizio<br />

Sanfilippo, 59 e 51 anni, originari<br />

del villaggio Santa Rosalia:<br />

accusati di aver inventato<br />

l’usura col tasso agevolato, il<br />

2-3% al mese. Così i Sanfilippo<br />

avrebbero conquistato persino<br />

pensionati e casalinghe in cerca<br />

di facili crediti per mandare<br />

avanti la famiglia. I finanzieri<br />

del comando provinciale di<br />

Palermo hanno intercettato per<br />

mesi i due fratelli e poi hanno<br />

convocato in caserma le loro<br />

vittime, ma solo in tre hanno<br />

collaborato. Due imprenditori<br />

in crisi e una casalinga che<br />

aveva bisogno di 20mila euro<br />

per gli studi universitari dei<br />

figli. Ma non sono bastate tre


denunce per una richiesta di<br />

misura cautelare. I pm Dario<br />

Scaletta e Marco Verzera hanno<br />

però disposto il sequestro<br />

preventivo dell’ impero economico<br />

dei due fratelli. E il gip<br />

Fernando Sestito ha convalidato<br />

il provvedimento. Così, i<br />

finanzieri hanno fatto scattare<br />

i sigilli a un patrimonio da 7<br />

milioni di euro, costituito da<br />

18 immobili (tra ville, appartamenti,<br />

locali commerciali,<br />

magazzini e garage), 11 automobili<br />

di lusso (soprattutto<br />

berline e suv), quattro moto<br />

e 16 conti correnti contenenti<br />

oltre 115mila euro. Contro i due<br />

fratelli ci sono ora i racconti<br />

sofferti di tre vittime. In realtà,<br />

le denunce erano molte di più,<br />

ma poi è accaduto l’ irreparabile.<br />

Una delle vittime, che ai<br />

finanzieri aveva negato persino<br />

l’evidenza delle intercettazioni,<br />

avrebbe avvertito i Sanfilippo<br />

delle indagini in corso. E a<br />

quel punto sarebbe scattata<br />

un’opera di persuasione: i due<br />

fratelli avrebbero contattato i<br />

loro clienti, ma senza maniere<br />

forti. In cambio del silenzio,<br />

avrebbero offerto addirittura<br />

di abbonare alcuni debiti, restituendo<br />

degli assegni consegnati<br />

a garanzia. Così l’offerta ha convinto<br />

molte vittime a ritrattare<br />

la denuncia: «Abbiamo avuto<br />

solo dei prestiti leciti, niente<br />

altro», dicono.<br />

Ma la ritrattazione a catena<br />

non ha impedito il sequestro<br />

dei beni, che può scattare anche<br />

per un solo episodio. L’<br />

inchiesta prosegue.<br />

“Se non mi dai i soldi ti spezzo”.<br />

“Se divento cattivo, sono<br />

capace di tutto”. La minaccia<br />

non aveva bisogno di spiegazioni.<br />

Lo sapevano bene i tre<br />

imprenditori, un titolare di<br />

un’officina di auto ricambi e<br />

due meccanici, che avevano<br />

chiesto ciascuno un prestito<br />

di 200mila euro. Avrebbero<br />

dovuto restituire i soldi con un<br />

interesse del 70%, altrimenti il<br />

“Toro”, lo strozzino, Giuseppe<br />

Rubini, 50 anni, arrestato dalla<br />

guardia di finanza nel marzo<br />

del 2011 nell’ operazione<br />

“Belfagor” sarebbe passato ai<br />

fatti. «Se non mi dai i soldi, ti<br />

spezzo» gridava l’ usuraio ai<br />

debitori. Troppa la sproporzione<br />

tra i redditi dichiarati<br />

e il tenore di vita. Così, dopo<br />

lunghi accertamenti patrimoniali,<br />

i militari del nucleo di<br />

polizia tributaria della guardia<br />

di finanza di Bari, in collaborazione<br />

con lo Scico di Roma,<br />

hanno sequestrato beni immobili,<br />

rapporti finanziari, polizze<br />

assicurative e gioielli riconducibili<br />

a Rubini. Un patrimonio<br />

di oltre 7 milioni di euro. Il<br />

provvedimento di sequestro<br />

è stato emesso dal tribunale<br />

di Bari, sezione per le misure<br />

di prevenzione in applicazione<br />

della normativa antimafia.<br />

Rubini è finito nel blitz che<br />

il 2 marzo 2011 smascherò il<br />

clan dell’ usura che operava al<br />

quartiere Libertà di Bari: furono<br />

arrestati in cinque tra cui il boss<br />

Giuseppe Mercante per i reati<br />

di usura, estorsione, riciclaggio<br />

e ricettazione. Rubini agiva<br />

però fuori dal clan: prestava<br />

denaro pretendendo interessi<br />

usurai sino al 70 per cento su<br />

base annua e minacciava di<br />

morte le sue vittime.<br />

Quando l’aguzzino è un tuo<br />

fan. C’era anche l’attore Vincenzo<br />

Barbetta, protagonista<br />

del film “Un camorrista perbene”,<br />

tra i 55 arrestati dalla<br />

45 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong><br />

squadra mobile napoletana su<br />

mandato della Dda avvenuto<br />

nel luglio del 2010. Nell’atto<br />

di accusa risultano tutti<br />

collegati al clan Moccia di<br />

Afragola. Immobili, ditte di<br />

abbigliamento, autolavaggi<br />

e atelier di abiti da sposa e<br />

anche una scuola di danza:<br />

un totale di 70 milioni di<br />

euro sottratti alla camorra<br />

dal sequestro ordinato dalla<br />

magistratura. Beni acquistati<br />

con i proventi del credito<br />

usurario, una delle attività più<br />

praticate dai Moccia. Barbetta<br />

era solo uno dei tanti che<br />

orbitavano intorno all’ organizzazione<br />

messa sotto pesanti<br />

accuse dagli investigatori. Un<br />

gruppo, quello dei Moccia di<br />

Afragola, molto presente sulla<br />

scena della camorra negli anni<br />

Novanta, e che ora tiene un<br />

profilo basso, ma conserva il<br />

potere con ogni mezzo.<br />

Spietati, crudeli, non si facevano<br />

scrupolo di sottoporre<br />

a violenze di ogni genere<br />

le donne che non pagavano<br />

gli usurai. Come nel caso di<br />

Caterina, una giovane donna<br />

costretta per tre volte ad avere<br />

rapporti sessuali con Antonio<br />

Iorio, che, dopo un prestito, le<br />

imponeva una rata di 500 euro.<br />

Non potendo onorare il debito,<br />

doveva sottostare alla violenza.<br />

Danni anche alla cantante<br />

neomelodica Cinzia Oscar, che<br />

aveva come impresario proprio<br />

l’attore Barbetta: in questo caso<br />

gli usurai del clan Moccia,<br />

invece della somma di denaro<br />

“dovuta”, si fecero consegnare<br />

dalla Oscar un furgone che<br />

valeva molto di più. Ironia<br />

della sorte, gli aguzzini della<br />

cantante erano anche suoi fan e<br />

andavano a caccia dei biglietti<br />

dei suoi spettacoli.<br />

Usura


Usura<br />

Il “galateo”<br />

degli strozzini<br />

Ventilate minacce, violente promesse di morte, ritorsioni su<br />

membri della famiglia. Dalle inchieste sull’usura mafiosa è possibile<br />

stilare una sorta di “galateo” dei cravattari<br />

di Peppe Ruggiero<br />

«Non ti permettere più di riattaccarmi<br />

il telefono in faccia perché<br />

dove ti trovo, ti spacco la testa con<br />

la mazza, hai capito?». Minacce<br />

emergono dalle intercettazioni<br />

telefoniche dell’operazione<br />

“Diamante” con cui il Gico della<br />

Guardia di finanza di Firenze ha<br />

arrestato cinque persone, due<br />

campani legati al clan Bidognetti<br />

dei Casalesi, e tre toscani, con le<br />

accuse di usura ed estorsione.<br />

All’altro capo del filo c’è una<br />

delle vittime dell’usura che cerca<br />

di sviare il discorso: «Senti, vieniti<br />

a prendere la macchina», si<br />

sente l’accento toscano. E l’altro,<br />

con chiaro accento campano,<br />

insiste con le minacce per riavere<br />

i soldi prestati a tassi d’interesse<br />

che potevano arrivare al 405%.<br />

«La macchina? Io voglio i soldi<br />

non la macchina, perché dove<br />

ti incontro ti spacco la testa con<br />

la mazza. Vabbuò senti a me ...<br />

subito dopo le feste sto a Firenze».<br />

E la vittima, chiaramente<br />

impaurita, acconsente a vedere<br />

il suo usurario: «Quando vieni<br />

a Firenze tu mi chiami, e dove<br />

sono, sono, io vengo». «Dobbiamo<br />

parlare io e te perché i<br />

46 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong><br />

fiorentini mi hanno fatto due p...<br />

che stanno scoppiando – dice il<br />

campano alludendo ai complici<br />

trovati nel capoluogo toscano –.<br />

Tutta questa banda di m.... che<br />

hai conosciuto tu. Le mie palle<br />

non ce la fanno più a portarvi<br />

a cavallo. Ti giuro su mia figlia<br />

devo venire a spaccare le corna a<br />

quattro o cinque persone a Firenze».<br />

Anche un’altra telefonata<br />

evidenzia il tenore con cui gli<br />

usurai del clan dei Casalesi intimidivano<br />

imprenditori e privati<br />

toscani in difficoltà. «Invece di<br />

fare le tue cose mettiti in pari<br />

con le persone, invece di creare<br />

disagio agli altri! Hai capito?»,<br />

si sente dire in una telefonata<br />

intercettata. E un’altra vittima<br />

del clan fiancheggiatore dei<br />

Casalesi prova a dire: «Ma io<br />

ho già parlato con chi deve<br />

avere. Ho già parlato con loro<br />

ieri mattina». «No – dice l’usuraio<br />

– mi hanno chiamato e mi<br />

hanno detto che hai preso tempo<br />

ancora». Poi ancora minacce:<br />

«A te quando ti piglio ti faccio<br />

vedere; poi vai a chiamare i carabinieri,<br />

vai a chiamare chi ti<br />

pare, va bene?».<br />

Sequestri e sevizie. In un articolo<br />

di «Repubblica», edizione<br />

Roma, a firma Massimo Lugli,<br />

dell’ottobre del 2011, si racconta<br />

la storia di due imprenditori<br />

caduti nelle mani di una coppia<br />

di usurai, due fratelli di 24 e 28<br />

anni, Sergio e Andrea Gioacchini,<br />

arrestati dagli agenti di Vittorio<br />

Rizzi, ex capo della mobile e di<br />

Antonio Franco, dirigente del<br />

commissariato di Ostia, con una<br />

sfilza di imputazioni che vanno<br />

dall’usura al sequestro, dalle<br />

lesioni alla rapina. Una storia<br />

atroce dove una delle vittime,<br />

in particolare, è stata massacrata<br />

di botte e terrorizzata. Lo hanno<br />

sequestrato, picchiato, umiliato,<br />

torturato davanti alla sua giovane<br />

compagna. Gli hanno bruciato<br />

la pelle del torace con un accendino,<br />

gli hanno trapassato<br />

la mano destra con un lungo<br />

coltello per poi disinfettare e<br />

bendare sommariamente la ferita,<br />

senza nemmeno permettergli<br />

di andare al pronto soccorso.<br />

L’hanno costretto a presentarsi<br />

in banca, gli hanno svuotato i<br />

conti e le cassette di sicurezza,<br />

l’hanno rapinato di tutti i preziosi


che aveva e perfino della tessera<br />

di un centro commerciale. Tutto<br />

comincia quando l’imprenditore<br />

cinquantenne che gestisce,<br />

tra l’altro, il luna park dell’Eur,<br />

alcune agenzie immobiliari e<br />

diverse altre attività, si trova ad<br />

avere urgentemente bisogno di<br />

contante. Una dipendente lo indirizza<br />

dai due fratelli che hanno<br />

qualche precedente penale. L’uomo<br />

ottiene un prestito di 50 mila<br />

euro a un interesse capestro del<br />

10% mensile. Sta di fatto che la<br />

somma da restituire cresce ogni<br />

mese in più e l’uomo si ritrova<br />

debitore di una cifra che oscilla<br />

tra i 560 mila e gli 800 mila euro<br />

visto che gli interessi si sommano<br />

al debito e vengono ricalcolati a<br />

ogni scadenza mancata. A questo<br />

punto entra in scena il secondo<br />

imprenditore, un uomo di origine<br />

sarda che vive ad Anzio. I<br />

due stabiliscono un accordo: un<br />

ristorante di via Benedetto Croce<br />

in cambio di alcuni appartamenti<br />

nella cittadina del litorale. Una<br />

manovra che dovrebbe garantire<br />

un po’ di ossigeno a entrambi ma<br />

che, per qualche motivo, fallisce.<br />

A quel punto, l’imprenditore di<br />

Anzio diventa il bersaglio degli<br />

usurai. Per dieci giorni l’uomo,<br />

dopo le torture e con le mani<br />

bendate, accompagnerà i suoi<br />

aguzzini in banca, da un notaio<br />

per la cessione di un terreno<br />

all’Infernetto. Poi, finalmente, le<br />

due vittime trovano il coraggio<br />

di sporgere denuncia.<br />

Come terrorizzare le vittime.<br />

Nel galateo c’è anche chi fa un<br />

corso accelerato per usurai. I consigli<br />

arrivano da Mario Potenza,<br />

ex contrabbandiere degli anni di<br />

Zaza-Mazzarella. Dopo l’arresto<br />

dei figli Bruno e Salvatore, che<br />

prima lo aiutavano nel “recupero<br />

crediti”, Potenza si trova a dover<br />

rimpiazzarli. Si rivolge così a un<br />

vicino di casa, Raffaele Terminiello,<br />

anch’egli arrestato nell’ambito<br />

dell’inchiesta della Direzione<br />

investigativa antimafia del gennaio<br />

2012. A lui fa addirittura<br />

delle lezioni, una sorta di corso<br />

accelerato per usurai: gli spiega<br />

come terrorizzare le vittime, incitandolo<br />

a non mostrare per loro<br />

alcuna pietà. «Acchiappalo per i<br />

capelli come ti dico io! Piglialo<br />

malamente a questa latrina. Digli:<br />

ha detto lo zio (lo stesso Potenza,<br />

ndr) che stanno ridendo sopra i<br />

morti... digli che se viene lo zio<br />

vi schiatta la faccia!». E ancora:<br />

«Ha detto il nonno, ha detto lo<br />

zio: se si scoccia si fa 4 anni di<br />

carcere, se viene lì ti salta addosso».<br />

«Ancora pensi che io vengo<br />

a casa tua, non mi faccio vedere<br />

né da tua figlia né da tua moglie,<br />

io voglio l’uomo, non sono come<br />

quei luridi strozzini».<br />

Usuraio e gentiluomo. C’è anche<br />

questo nel “galateo” del perfetto<br />

usuraio. Le minacce erano destinate<br />

solo al debitore. Fuori le<br />

donne e fuori la famiglia. Perché<br />

gli usurai del clan Mercante Diomede<br />

erano «persone oneste e<br />

ragionevoli». Si definivano così al<br />

telefono con le loro vittime. «Puoi<br />

stare sicuro – dice al telefono<br />

l’usuraio Leonardo Fortunato<br />

ad un imprenditore a cui aveva<br />

prestato dei soldi – se tu mi lasci<br />

con tua moglie e lasci i soldi nel<br />

letto, stai sicuro che io non la<br />

tocco, a me mi ammirano tutti<br />

per sto fatto». Sono conversazioni<br />

tra “uomini d’onore” quelle che<br />

si leggono nelle 170 pagine di<br />

ordinanza di custodia cautelare<br />

emessa dal gip del tribunale di<br />

Bari Michele Parisi per l’operazione<br />

antiusura “Belfagor” della<br />

Guardia di finanza di Bari. A<br />

finire in manette sono stati cinque<br />

47 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong><br />

presunti affiliati al clan Mercante-<br />

Diomede. Primo fra tutti il boss<br />

Giuseppe Mercante, detto “Pinuccio<br />

il drogato”, pluripregiudicato<br />

di 57 anni che recentemente<br />

aveva finito di scontare in carcere<br />

una condanna di due anni per<br />

contrabbando di sigarette.<br />

L’usuraio sembra il tuo miglior<br />

amico. Le udienze del processo<br />

«Infinito», nato dall’omonima<br />

inchiesta della Direzione distrettuale<br />

antimafia di Milano che<br />

nel 2010 spedì in carcere 160<br />

persone in Lombardia, offrono<br />

un inquietante spaccato. Sfilano<br />

di fronte ai giudici e al pubblico<br />

ministero Alessandra Dolci, le<br />

vittime dell’usura. È il caso di<br />

Emma Beluzzi, anziana di Mornico,<br />

che per anni ha gestito in<br />

paese una trattoria, che portava<br />

il suo nome. Tramite il figlio<br />

Giovanni Giacomelli conosce<br />

anche lei «il signor Mimmo»,<br />

Domenico Pio, di Montebello<br />

Jonico, che secondo la Dda è un<br />

noto usuraio della «locale» di<br />

Desio, in Brianza, dove per locale<br />

si intende il nucleo territoriale di<br />

base della ’ndrangheta. Nel 2008<br />

la trattoria è in difficoltà, «avevo i<br />

rappresentanti da pagare, ho chiesto<br />

i soldi a mio figlio che non li<br />

aveva e mi ha detto di rivolgermi<br />

al Mimmo... Lui mi ha dato cinquemila<br />

euro. Gli altri ad andare<br />

a 11 mila li ha avuti lui (il figlio,<br />

ndr) per pagare la macchina». I<br />

pm contestano quest’ultima parte<br />

della deposizione. L’anziana afferma<br />

ripetutamente in udienza,<br />

in contraddizione con le prime<br />

deposizioni ai carabinieri di Desio,<br />

di aver ottenuto cinquemila<br />

euro e di averne ridati 11.400 per<br />

coprire anche un prestito ricevuto<br />

dal figlio per acquistare un’auto.<br />

L’accusa sostiene che i seimila<br />

euro di differenza rappresentano<br />

Usura


Usura<br />

L’interesse finale, la mafia<br />

I tratti sono quelli dell’usura di sempre.<br />

I silenzi, l’omertà, la complicità delle<br />

vittime; e poi la violenza, che prima<br />

ancora di passare sul piano fisico è<br />

sottomissione e pressione psicologica.<br />

Con ritorsioni sulle persone ma anche<br />

sulle cose. Dall’indagine “Ultimate”<br />

condotta qualche anno fa dalla Dda di<br />

Potenza e che scoperchiava il pentolone<br />

di un calcio aggredito e controllato<br />

da un clan mafioso del posto che faceva<br />

capo al boss Antonio Cossidente, viene<br />

fuori – secondo l’accusa – un rapporto<br />

usuraio gestito da un commercialista,<br />

Aldo Fanizzi, indicato dalla procura<br />

come “il ragioniere del clan”. A un suo<br />

compare a cui dà istruzioni su come<br />

recuperare il credito da un commerciante<br />

dice: «gli ho fatto un piacere,<br />

te lo posso dire tranquillamente…<br />

Dice: Aldo, vedi, devo fare un servizio,<br />

fammi un assegno di mille e<br />

cinquecento euro. Va bene, io gli faccio<br />

l’assegno, è arrivato pure alla Banca<br />

due mesi fa, a ottobre. Oggi, domani<br />

e dopodomani, … lo telefono, non<br />

risponde al telefono… Lo dobbiamo<br />

recuperare… Lui ha pure una Fiat<br />

Uno, questo signore! Eventualmente<br />

ci prendiamo la macchina, non c’è<br />

problema». Come dire: cambiano le<br />

regioni, cambiano i volti, cambiano<br />

le cifre ma le modalità di recupero si<br />

assomigliano sempre di più!<br />

L’usura di sempre insomma. Ma con<br />

una sola variante, un interesse aggiunto,<br />

che fa la differenza: le mafie. Se a gestire<br />

l’usura sono i clan, allora cambia tutto;<br />

ogni cosa si amplifica e diventa tutto<br />

più difficile: con loro l’usura non cammina<br />

mai da sola, è sempre crocevia di<br />

mille altri affari sporchi, non ultimi il<br />

riciclaggio e le scommesse.<br />

Con le mafie i soldi scorrono in mille<br />

rivoli tra finanziarie, prestanomi e società<br />

similari, e più i soldi camminano<br />

e più diventa difficile individuarli.<br />

Con le mafie non è solo questione di<br />

aggressione alla piccola economia<br />

familiare, ma è un’intera economia che<br />

viene dopata, con ricadute facilmente<br />

immaginabili – nell’era della globalizzazione<br />

– sui sistemi produttivi, sui<br />

mercati, sulla finanza.<br />

Con le mafie hanno vita dura anche<br />

48 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong><br />

gli strozzini, quelli che hanno sempre<br />

agito in proprio, e anche le loro<br />

vittime: i primi, perché in tempi di<br />

crisi non disponendo anch’essi di<br />

liquidità, sono costretti a rivolgersi agli<br />

unici che danno soldi, tanti e subito,<br />

i clan; i secondi perché sono costretti<br />

a pagare interessi che comprendono<br />

anche quelli che i loro carnefici devono<br />

pagare al clan finanziatore.<br />

Con le mafie, infine, aumenta l’omertà,<br />

perché se comunemente non si denuncia<br />

per vergogna, con loro non si<br />

denuncia per paura, e perché dinanzi<br />

alle scarcerazioni dei carnefici una<br />

cosa è incontrare per strada, il giorno<br />

dopo, il classico cravattaro, e una cosa<br />

è incontrare l’affiliato del clan.<br />

I fotogrammi sparsi riportati in questo<br />

dossier, che per forza di cose e per<br />

la natura stessa del fenomeno, non<br />

poteva essere esaustivo, ci dicono<br />

di un Paese strozzato. Ce lo dicono<br />

le tante inchieste della magistratura,<br />

ma ce lo dicono anche le tante vittime<br />

che in questi anni abbiamo incontrato<br />

negli otto sportelli “Sos Giustizia” di<br />

Libera, sparsi per l’Italia.<br />

Ascoltarli, sostenerli, accompagnarli<br />

alla denuncia è importante; accompagnarli<br />

durante i processi perché non<br />

si ritrovino da soli faccia a faccia con<br />

quei clan che gli hanno tolto tutto,<br />

è importante; ma non è sufficiente.<br />

Anche sul fronte dell’usura mafiosa,<br />

anzi, soprattutto sul fronte dell’usura<br />

mafiosa, non possiamo camminare e<br />

muoverci da soli ma c’è bisogno di un<br />

lavoro d’insieme che ci veda protagonisti<br />

con altri attori importanti, dalle<br />

istituzioni allo stesso sistema bancario:<br />

perché non c’è nessun patto di stabilità<br />

che tenga dinanzi all’urgenza di denaro<br />

di tanti imprenditori che lavorando<br />

con il pubblico vivono da un lato il<br />

danno di ritardati pagamenti perché<br />

quel “patto” non sblocca ciò che gli è<br />

dovuto, e dall’altro la beffa di banche<br />

che non intendono aspettare quei ritardi.<br />

I clan intercettano quel segmento<br />

di disperazione e rispondono subito<br />

e in contanti.<br />

Come dire: confiscare i beni ai mafiosi,<br />

ma fare anche di tutto perché i mafiosi<br />

non entrino in possesso di quei beni.<br />

in realtà il tasso d’usura, superiore<br />

al 100 per cento. Tanto che<br />

la stessa anziana ammette «di<br />

aver chiesto al Mimmo» di poter<br />

versare con un po’ di ritardo la<br />

terza rata per saldare il prestito,<br />

ottenendo una risposta negativa:<br />

«Emma ti voglio bene – risponde<br />

il calabrese – ma in questo momento<br />

io non posso aiutarti».<br />

L’usuraio se la prende solo con<br />

la donna, non con il figlio.<br />

In un’intercettazione telefonica,<br />

che i magistrati leggono<br />

in aula, si delinea ancora di<br />

più la verità. «Signora io non<br />

voglio farle del male – passa a<br />

dare del lei, Domenico Pio –.<br />

Al limite do tutto all’avvocato<br />

e le faccio fallire il locale. Non<br />

voglio farle certe porcherie,<br />

però deve capire in quale m...<br />

mi ha messo suo figlio».<br />

Ancora su «Repubblica» Roma<br />

dell’11 gennaio un articolo di<br />

Massimo Favale fotografa un’altra<br />

sfaccettatura del galateo dell’usuraio.<br />

Si legge nell’articolo «che<br />

l’usuraio sembra il tuo migliore<br />

amico, sembra l’unico amico che<br />

hai, l’unico che ti aiuta. Quello<br />

a cui puoi chiedere 20 euro il<br />

venerdì, per andare a comprare il<br />

latte. Solo che poi, il lunedì gliene<br />

devi restituire 100. E se non lo<br />

fai, allora cominciano i guai».<br />

E i guai, per Fausto Bernardini,<br />

ex presidente di un’associazione<br />

sportiva a Roma, arrivano sotto<br />

forma di minacce, aggressioni<br />

verbali e fisiche, paura. Oltre,<br />

ovviamente, ai tanti soldi versati:<br />

300mila euro, a fronte di un<br />

prestito iniziale di 10mila. Storie<br />

comuni delle vittime di usura.<br />

«Una sera si presentano a casa.<br />

Mi appendono fisicamente al<br />

cancello, intimandomi di pagare<br />

entro il giorno dopo oppure mi<br />

avrebbero spezzato le gambe e<br />

rapito mia figlia».


Quando<br />

l’economia<br />

è in crisi,<br />

esplode l’usura<br />

Una raccolta di interviste a personalità impegnate sul piano sociale<br />

e istituzionale contro racket e usura. “Contrappunto in tempo di<br />

crisi”, pubblicato da Solidaria, è il titolo scelto dai curatori Giovanni<br />

Abbagnato e Salvatore Cernigliaro per dar voce agli aspetti più complessi<br />

e meno conosciuti di due fenomeni in espansione, che stanno<br />

mettendo in ginocchio la vita di troppe persone. Per gentile concessione<br />

degli autori e della casa editrice, ne pubblichiamo un estratto<br />

intervista a Dario Scaletta di Angelo Meli<br />

49 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong><br />

Usura


Usura<br />

Il racket e l’usura proliferano<br />

in tempi di crisi. Ci sono pochi<br />

soldi, le banche stringono<br />

i cordoni della borsa, chiedono<br />

maggiori garanzie, si fanno più<br />

diffidenti. E l’usuraio è lì, con la<br />

sua disponibilità immediata di<br />

denaro contante, più affabile del<br />

solito, meno strozzino. Disposto<br />

ad agevolare l’imprenditore in<br />

difficoltà anche a costi contenuti,<br />

sino a fare diventare la vittima<br />

«grata» per l’assistenza ricevuta.<br />

Una vittima che non denunzierà<br />

mai se non messo veramente alle<br />

strette. Lo scenario è disegnato<br />

dal sostituto procuratore della<br />

Repubblica della Direzione distrettuale<br />

antimafia di Palermo,<br />

Dario Scaletta, da anni sul fronte<br />

della lotta a racket e usura. Nato<br />

a Palermo, ma originario di Trabia,<br />

ha studiato e si è laureato<br />

in Giurisprudenza a Palermo.<br />

Entrato in magistratura nel 2002,<br />

dal 2004 lavora alla Procura e<br />

dal 2009 è in Dda, alla scuola di<br />

Roberto Scarpinato, nel gruppo<br />

«Mafia ed economia»; dal 2012<br />

fa parte del Consiglio Giudiziario<br />

presso la Corte di Appello di<br />

Palermo. Formazione internazionale,<br />

studi specialisti in Nord<br />

Europa e Stati Uniti, negli anni<br />

ha rafforzato le sue competenze<br />

nell’aggressione patrimoniale<br />

alla criminalità organizzata. Sue<br />

le indagini tra le tante, quelle che<br />

hanno portato alla confisca del<br />

patrimonio di Aiello Michele il<br />

re delle clinica Villa Santa Teresa,<br />

di Badalamenti Gaetano, e alla<br />

condanna di numerosi usurari<br />

come Gino l’Americano, Tutrone<br />

Fabio, Basile Marcello, Orlando<br />

Salvatore.<br />

Come sono cambiati vittima e<br />

usuraio negli ultimi anni?<br />

Diciamo che apparentemente<br />

non è cambiato niente o meglio<br />

50 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong><br />

il fenomeno si è ulteriormente<br />

aggravato. Perché di fronte alle<br />

difficoltà economiche attuali il<br />

ricorso al credito ordinario, al<br />

credito bancario in particolare,<br />

si è reso sempre più arduo, più<br />

difficile. Sia perché gli istituti di<br />

credito hanno irrigidito i criteri<br />

e i parametri per affidare i nuovi<br />

clienti sia perché nello stesso<br />

tempo i clienti hanno sempre<br />

maggiori difficoltà ad offrire delle<br />

garanzie adeguate per ottenere<br />

questi finanziamenti. Con la<br />

conseguenza che il ricorso al<br />

credito ad usura si è reso molto<br />

più diffuso e questo sulla base<br />

di due aspetti: il primo legato<br />

alle grosse disponibilità di<br />

liquidità da parte del crimine<br />

organizzato (in una situazione di<br />

particolare difficoltà economica<br />

il ricorso al mercato illegale si<br />

è ulteriormente accresciuto), il<br />

secondo aspetto è dato dalla<br />

strategia commerciale attuata da<br />

diversi usurai. Una delle ultime<br />

indagini su due storici usurari<br />

originari del Villaggio Santa<br />

Rosalia, abbiamo verificato una<br />

cosa stranissima che ha una sua<br />

logica imprenditoriale: hanno<br />

applicato dei tassi di usura proprio<br />

minimi, cioè poco sopra la<br />

soglia di usura.<br />

Questo che cosa ha consentito?<br />

La possibilità, per esempio, di<br />

concedere dei prestiti a tassi,<br />

diciamo, quasi agevolati, quasi<br />

più convenienti di quelli che<br />

potrebbero applicare gli istituti di<br />

credito, creando un meccanismo<br />

perverso: l’usurato si sente quasi<br />

gratificato, perché trova chiuse<br />

le porte degli istituti di credito e,<br />

invece, trova disponibili queste<br />

persone che danno anche senza<br />

garanzia. Ultimamente abbiamo<br />

notato che non sempre vengono<br />

più dati in pegno gli assegni<br />

post datati, in quanto il credito è<br />

garantito dal prestigio criminale<br />

dell’usuraio. Così diffuso, così<br />

consolidato, tanto da rendere le<br />

vittime grate e pronte a pagare:<br />

sanno che nel momento in cui<br />

non riscuotono periodicamente<br />

le rate dei prestiti, gli usurai non<br />

concedono più prestiti e gli usurati<br />

non hanno più la possibilità<br />

di continuare a sopravvivere.<br />

Ormai la vera garanzia è la<br />

violenza?<br />

Ma anche la violenta crisi che<br />

ha prosciugato le casse delle<br />

imprese. Siamo arrivati al punto<br />

che, in alcuni casi, i commercianti<br />

chiedevano prestiti per<br />

pagare la luce del negozio, per<br />

potere fare la spesa al supermercato.<br />

Parliamo di prestiti di<br />

200-300 euro a settimana, roba<br />

veramente minima. In un’altra<br />

indagine abbiamo visto che<br />

persone, apparentemente della<br />

“Palermo bene”, professionisti,<br />

commercianti che giravano in<br />

Land Rover, andavano in vacanza<br />

in Sardegna, poi ricorrevano<br />

al prestito usuraio per le spese<br />

correnti.<br />

Qual è stato l’effetto di questo<br />

atteggiamento di “apertura”<br />

da parte degli usurai?<br />

Una contrazione del fenomeno<br />

delle denunce. Perché, ovviamente,<br />

nel momento in cui<br />

questa sindrome di Stoccolma<br />

risulta ulteriormente accentuata,<br />

perché si vede nell’usuraio il<br />

proprio benefattore, che applica<br />

addirittura il 2% mensile contro<br />

una media del 10%, non si<br />

ha più coraggio di denunciarlo.<br />

Manca la rabbia dello sfruttato<br />

contro lo sfruttatore. Nella<br />

media i tassi sono del 120%<br />

annuo. Nel caso specifico di<br />

questi due grossi usurai, veniva


applicato il 2% mensile, tassi<br />

ritenuti irrisori dalle vittime<br />

beneficiarie.<br />

Come si possono superare le<br />

criticità che hanno portato al<br />

calo delle denunce?<br />

Una cosa è certa: per contrastare<br />

l’usura ci vuole il contributo<br />

della persona offesa, soltanto in<br />

casi eccezionali siamo riusciti a<br />

dimostrare la sussistenza della<br />

condotta usuraia a prescindere<br />

dalla collaborazione dell’offeso.<br />

E in un caso, messo con le spalle<br />

al muro, è stato costretto ad ammettere,<br />

ma ha ammesso solo il<br />

prestito che avevamo accertato<br />

grazie ad un’intercettazione dove<br />

era concordato tasso, entità del<br />

prestito e durata. La difficoltà e<br />

la semplicità della contestazione<br />

del delitto di usura sussiste nel<br />

fatto che è un reato “matematico”,<br />

nel senso che per la sua<br />

realizzazione necessitano tre<br />

elementi: entità del tasso, entità<br />

del prestito e durata. Se hai<br />

questi tre elementi la prova del<br />

reato è raggiunta e la responsabilità<br />

penale è una conseguenza<br />

inevitabile. Ma se manca uno di<br />

questi tre elementi ogni tentativo<br />

di contestare il reato è vano. Se<br />

il prestito dura un mese, il tasso<br />

avrà una certa entità, se dura tre<br />

mesi il tasso avrà un’altra entità.<br />

Il meccanismo è che molto spesso<br />

i prestiti non sono a lunga scadenza,<br />

si determina un periodo<br />

di uno-due mesi, massimo tre<br />

mesi, alla scadenza del quale<br />

si provvede o alla restituzione<br />

dell’intero capitale o nella maggior<br />

parte dei casi a un rinnovo.<br />

Al terzo mese si pagano solo gli<br />

interessi, la parte relativa al rinnovo.<br />

Una vera propria novazione<br />

del prestito, la costituzione di un<br />

nuovo rapporto e la corresponsione<br />

dei soli interessi.<br />

Quanto ci vuole a individuare<br />

e determinare un caso di<br />

usura?<br />

Il fattore tempo è un’altra criticità<br />

che è emersa anche sotto il<br />

profilo del contrasto al fenomeno<br />

dell’usura dal punto di vista<br />

patrimoniale. In sei mesi bisogna<br />

concludere le indagini con<br />

una richiesta di misura cautelare<br />

personale e reale, altrimenti si<br />

perde il fattore sorpresa. L’usura<br />

è un reato per il quale è possibile<br />

utilizzare le intercettazioni<br />

telefoniche e ambientali, ma<br />

non rientrando tra i reati di cui<br />

all’articolo 51 comma 3 bis c.p.p.,<br />

alla scadenza dei sei mesi è obbligatoria<br />

la comunicazione alla<br />

persona sottoposta ad indagine<br />

della richiesta di proroga: se si<br />

vuole lavorare sotto traccia si<br />

ha un periodo limitato di sei<br />

mesi, altrimenti devi comunicare<br />

l’avviso di proroga. In tal modo<br />

l’usuraio viene a conoscenza di<br />

indagini che lo riguardano, potrà<br />

in tal modo mettere al sicuro i<br />

suoi beni traferendoli a terzi in<br />

buona fede, potrà contattare le<br />

vittime concordando la versione<br />

da fornire agli investigatori, potrà<br />

inquinare e distruggere le prove<br />

del reato. In sei mesi è necessario<br />

riuscire ad avviare un’attività di<br />

carattere tecnico, individuare<br />

o quanto meno incominciare<br />

ad avere un’idea dei potenziali<br />

clienti-vittime di usura. Una regola<br />

certa è che l’usuraio non ha<br />

solo un cliente ma una pluralità<br />

di clienti e che il cliente non ha<br />

solo un usuraio ma una pluralità<br />

di usurai. Quando si mette sotto<br />

intercettazione una persona<br />

offesa si conosce il panorama<br />

dei suoi fornitori, queste sono<br />

regole derivate dall’esperienza.<br />

In questi sei mesi individuiamo<br />

gli usurai, le potenziali persone<br />

offese, dopo di che avviamo una<br />

51 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong><br />

serie di indagini di carattere anche<br />

patrimoniale in modo tale<br />

che prima della comunicazione<br />

dell’avviso di proroga delle indagini<br />

preliminari riusciamo ad<br />

ottenere l’arresto in flagranza di<br />

reato dell’usuraio e, aggredendolo<br />

anche dal punto di vista<br />

patrimoniale, sottoponiamo a<br />

sequestro tutto il suo patrimonio<br />

immobiliare e mobiliare. Alla<br />

luce della previsione normativa<br />

di cui all’art. 12 sexies del<br />

D.L. n. 306/1992 è possibile nei<br />

confronti dei soggetti condannati<br />

per il delitto di usura ottenere la<br />

confisca di tutto il loro patrimonio,<br />

direttamente a loro intestato<br />

e indirettamente intestato a familiari<br />

o terzi intestatari fittizi, che<br />

risulti sproporzionato rispetto<br />

alle proprie disponibilità e\o<br />

alla loro attività economica. Con<br />

la conseguenza ulteriore che in<br />

seguito all’arresto dell’usurario e<br />

al sequestro del suo patrimonio<br />

è più facile, anche attraverso il<br />

risalto mediatico dato al risultato<br />

delle indagini, che le altre vittime<br />

si sentano più disponibili ad<br />

ammettere di avere ricevuto dei<br />

prestiti a condizioni usurarie.<br />

Non c’è modo di annullare gli<br />

effetti dell’azione di aggressione<br />

patrimoniale?<br />

Un’altra criticità che abbiamo<br />

riscontrato, soprattutto nel contrasto<br />

di carattere patrimoniale,<br />

è che gli usurai cominciano ad<br />

attivare dei meccanismi per cercare<br />

di superare la sproporzione<br />

attraverso, per esempio, il ricorso<br />

alle vincite al Totocalcio o al<br />

Lotto. Si tratta anche di centinaia<br />

di migliaia di euro, valori questi<br />

che, accreditati sui propri conti<br />

corrente, vanno in qualche modo<br />

a compensare le loro disponibilità.<br />

Risulta particolarmente<br />

difficile contestare che gli usurai<br />

Usura


Usura<br />

hanno effettivamente svolto quel<br />

tipo di scommessa in quanto la<br />

ricevuta è un titolo al portatore,<br />

pertanto, non è possibile ricollegare<br />

il possessore dello scontrino<br />

con colui che aveva fatto<br />

effettivamente la scommessa.<br />

Si dovrebbe trovare il modo di<br />

registrare ogni giocata in modo<br />

da avere certezza tra lo scommettitore<br />

e il beneficiario finale della<br />

vincita. In un caso, comunque,<br />

attraverso attività di carattere tecnico,<br />

è stato possibile verificare<br />

come il rivenditore avesse contattato<br />

l’usuraio, informandolo<br />

della ingente vincita. In seguito<br />

l’usuraio in persona aveva contattato<br />

il vincitore offrendo in<br />

contanti la somma maggiorata di<br />

due mila euro. Chi non accetta<br />

soldi subito?<br />

All’usuraio si può contestare<br />

anche l’esercizio abusivo del<br />

credito?<br />

Per contestare l’esercizio abusivo<br />

del credito è necessario<br />

individuare diversi clienti. In<br />

alcuni casi, non solo quando è<br />

impossibile contestare l’usura<br />

perché non si riesce a dimostrare<br />

il superamento della soglia<br />

nell’applicazione del tasso<br />

d’interesse, unitamente al delitto<br />

di usura viene contestato anche<br />

l’esercizio abusivo del credito;<br />

ciò, tuttavia, presuppone che<br />

l’attività di finanziamento sia<br />

non episodica e isolata ma continuata<br />

e diffusa. Ma il fenomeno<br />

nuovo è quello dell’usura<br />

bancaria. Cioè la possibilità di<br />

contestare l’usura agli istituti<br />

di credito quando applicano un<br />

tasso di interesse superiore al<br />

tasso soglia. Il problema si è posto<br />

con riguardo alla individuazione<br />

degli oneri che l’utente sopporta<br />

per l’utilizzo del credito e che<br />

devono considerarsi rilevanti<br />

52 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong><br />

ai fini della determinazione del<br />

tasso usurario. La questione si<br />

è in particolare posta con riferimento<br />

alla commissione di<br />

massimo scoperto che, secondo<br />

le istruzioni della Banca d’Italia<br />

non dovevano essere prese in<br />

considerazione a tal uopo. La<br />

Suprema Corte ha di recente<br />

avuto modo di confermare e<br />

ribadire che indipendentemente<br />

dalle istruzioni e direttive<br />

dell’organo di vigilanza, stante<br />

il chiaro tenore letterale dell’art.<br />

644 c.p., ai fini della determinazione<br />

del tasso usurario devono<br />

considerarsi rilevanti tutti gli<br />

oneri che l’utente ha sopportato<br />

in relazione all’utilizzo del credito.<br />

Con la conseguenza che agli<br />

organi di vertice dell’istituto di<br />

credito deve essere ascritta la responsabilità<br />

penale per il delitto<br />

di usura. Infatti, ha precisato la<br />

Corte di cassazione (Cass. Pen. n.<br />

46669 del 2011 Sez. II) che, sul<br />

piano dell’elemento psicologico,<br />

i dirigenti degli istituti di credito<br />

non potessero essere scusati<br />

adducendo un errore riferibile<br />

al calcolo dell’ammontare degli<br />

interessi trattandosi di una interpretazione<br />

che, oltre ad essere<br />

nota all’ambiente bancario, non<br />

presenta in sé particolari difficoltà.<br />

Il carattere dirompente di tali<br />

considerazioni è dato dal fatto<br />

che accertato il superamento del<br />

tasso con riguardo ad uno specifico<br />

rapporto, attesa l’applicazione<br />

diffusa e seriale delle medesime<br />

condizioni contrattuali a tutti i<br />

clienti, la configurazione del delitto<br />

di usura assume dimensioni<br />

esponenziali.<br />

Come si può incentivare/costringere/convincere<br />

a denunciare<br />

l’usura?<br />

Come nella corruzione il pubblico<br />

ufficiale con il privato han-<br />

no interessi in comune, anche<br />

nell’usura la denuncia è molto<br />

difficile. Molto spesso ci si arriva<br />

quando si è alle estreme conseguenze.<br />

Va anche considerato che<br />

molto spesso l’usurato non è una<br />

persona specchiata, bisogna valutare<br />

con attenzione e riscontrare<br />

attentamente quello che dice e non<br />

prendere tutto per buono.<br />

E il rapporto con la mafia?<br />

Molto spesso Cosa nostra tollera<br />

la condotta usuraia, non partecipa<br />

in prima persona, però sicuramente<br />

in quest’ultimo periodo<br />

c’è una maggiore interconnessione<br />

perché in un momento in<br />

cui l’attività economica langue,<br />

le occasioni di investimento per<br />

Cosa nostra sono sempre più<br />

ridotte. Così l’enorme liquidità<br />

che deriva dal traffico di stupefacenti<br />

e l’attività estortiva viene in<br />

alcuni casi reinvestita attraverso<br />

il mercato usuraio: il capitale<br />

viene pulito e remunerato perché<br />

si ha un immediato guadagno<br />

derivante dalla riscossione degli<br />

interessi. È un’attività «sicura»:<br />

le vittime sono costrette a pagare<br />

o comunque pagano.<br />

Non c’è concorrenza tra usurai<br />

storici e usurai della mafia?<br />

No, la mafia usa la rete degli<br />

«sportelli», vale a dire, gli usurai<br />

storici. La gente conosce<br />

l’usuraio sotto casa e di lui si<br />

fida. Nei vari quartieri si sa chi<br />

presta denaro a usura. Quindi<br />

anche il mafioso che vuole fare<br />

questo reinvestimento si rivolge<br />

all’usuraio il quale ha esperienza,<br />

conoscenza del territorio,<br />

autorevolezza.<br />

Dispone degli strumenti necessari,<br />

tecnici e normativi,<br />

per contrastare l’usura efficacemente?


Nel campo dell’usura gli strumenti<br />

sono adeguati, soprattutto<br />

alla luce delle ultime modifiche<br />

legislative. Puntiamo<br />

soprattutto al profilo patrimoniale:<br />

quando l’usuraio viene<br />

ristretto nelle patrie galere ha<br />

finito di lavorare, è già una<br />

punizione. Inoltre, siccome si<br />

tratta di una tipica forma di<br />

manifestazione di reato che si<br />

caratterizza per la sua spiccata<br />

dimensione economica, una<br />

sanzione effettiva ed efficace<br />

è quella di contrastare l’usuraio<br />

sul piano economico e<br />

patrimoniale, quindi potere<br />

confiscare i beni, mobili e<br />

immobili, il denaro, i titoli, le<br />

eventuali attività commerciali<br />

frutto dei proventi dell’usura.<br />

E devo dire che ultimamente<br />

con le riforme sull’anagrafe<br />

dei conti correnti, si è fatto un<br />

notevole passo in avanti: si ha<br />

la possibilità in tempo reale<br />

di conoscere tutti i rapporti di<br />

credito facenti capo all’usuraio.<br />

Ormai abbiamo accesso<br />

a tutta una serie di banche dati:<br />

anagrafe tributaria all’agenzia<br />

delle entrate, agenzia del demanio,<br />

camera di commercio. Con<br />

un clic abbiamo la possibilità<br />

di individuare le disponibilità<br />

immobiliari, i conti correnti, le<br />

società, le partecipazioni, tutti<br />

gli acquisti degli ultimi anni.<br />

Questo ci consente in un periodo<br />

di tempo molto breve di avere<br />

un quadro della situazione che<br />

ci consente di fare questa duplice<br />

aggressione personale e<br />

patrimoniale che costituisce lo<br />

strumento più efficace di contrasto.<br />

Quando la vittima di usura<br />

vede l’usuraio dietro le sbarre e<br />

con tutto il patrimonio sequestrato,<br />

acquisisce molta fiducia nei<br />

confronti dell’attività giudiziaria<br />

e delle forze di polizia e quindi si<br />

rende maggiormente disponibile<br />

a denunciare o a confermare gli<br />

elementi.<br />

Che pene rischia l’usuraio?<br />

Noi siamo riusciti a ottenere<br />

in 7-8 casi anche pene di 4-5<br />

anni. Se c’è l’aggravante mafiosa<br />

raddoppia, però è difficile contestare<br />

l’aggravante mafiosa. È<br />

più semplice la contestazione<br />

dell’usura in concorso con il<br />

delitto di estorsione, si rischiano<br />

sino a 8 anni di carcere. A volte<br />

l’usuraio utilizza violenza o minaccia<br />

per ottenere il pagamento<br />

delle proprie quote e scatta<br />

anche l’estorsione. L’aggravante<br />

mafiosa è difficile perché non è<br />

facile dimostrare che quell’attività<br />

usuraia venga effettuata<br />

nell’interesse dell’organizzazione.<br />

In qualche caso si è visto che<br />

l’attività usuraia era effettuata<br />

nell’interesse di un mafioso,<br />

però poi c’è il problema di dimostrare<br />

che è fatta non tanto<br />

nell’interesse del singolo in sé<br />

quanto piuttosto nell’interesse<br />

dell’organizzazione criminale.<br />

Ricorda storie emblematiche?<br />

Qualcuno che si è redento, ha<br />

smesso di fare l’usuraio, o<br />

vittime che hanno denunciato<br />

per spirito civico?<br />

Ricordo un usuraio, un imprenditore<br />

della «Palermo bene»,<br />

che faceva il commerciante e<br />

che viveva molto al di sopra<br />

delle sue possibilità. Che quotidianamente<br />

andava a riscuotere,<br />

aveva una famiglia, due<br />

figli e dall’oggi al domani si è<br />

trovato catapultato in galera,<br />

forse neanche lui se ne rendeva<br />

pienamente conto che era un<br />

usuraio. È stato condannato a<br />

4 anni, un periodo di detenzione<br />

domiciliare e, infine, dopo<br />

essere stato affidato in prova<br />

53 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong><br />

ai servizi sociali, ha ricominciato<br />

a lavorare onestamente.<br />

C’è chi invece ha continuato<br />

a fare l’usuraio nonostante le<br />

denunce e gli arresti. In un’intercettazione<br />

abbiamo sentito:<br />

«È da 30 anni che faccio questa<br />

vita e non mi era mai successo<br />

niente. Creare un impero e<br />

finire». Era un usuraio storico<br />

del quartiere Capo, il famoso<br />

Gino l’americano, soprannominato<br />

“mister 10%”. È stato<br />

condannato insieme alla moglie<br />

perché, pur essendo in carcere<br />

riusciva a dare indicazioni dicendo<br />

dove bisognava andare,<br />

quanto bisognava ricevere. C’è,<br />

poi, il caso di un’assicuratrice<br />

che ha denunziato non so<br />

quanti usurai, una quindicina,<br />

confermando l’assunto secondo<br />

cui chi si rivolge a un usuraio<br />

si rivolge a una pluralità di<br />

usurai. Loro sono stati condannati<br />

e la signora continua<br />

a svolgere regolarmente la sua<br />

attività imprenditoriale.<br />

“Contrappunto in tempo di<br />

crisi”, a cura di Giovanni<br />

Abbagnato e Salvatore Cernigliaro.<br />

Contributi di Emanuela<br />

Alaimo, Fausto Maria Amato,<br />

Francesco Appari, Lino Busà,<br />

Gianni Barbacetto, Maria Corrao,<br />

Maurizio De Lucia, Rosa<br />

Frammartino, Barbara Giangravè,<br />

Claudio Gittardi, Sebastiano<br />

Gulisano, Caterina Massei,<br />

Angelo Meli, Riccardo Milano,<br />

Rosanna Montalto, Antonio Nicaso,<br />

Chiara Pracchi, Marcello<br />

Ravveduto, Vito Rinaudo, Isaia<br />

Sales, Umberto Santino, Dario<br />

Scaletta, Loredana Schirò, Antonio<br />

Specchia, Luca Squeri,<br />

Lorena Tantillo.<br />

Il volume è reperibile online<br />

sul sito www.solidariaweb.org/<br />

vetrina-online.html<br />

Usura


altarisoluzione<br />

Taranto<br />

resiste<br />

L’Ilva di Taranto rappresenta uno dei<br />

maggiori complessi industriali per la<br />

lavorazione dell’acciaio in Europa. Lo<br />

stabilimento siderurgico, grande due volte<br />

e mezzo la città, sorge a ridosso del<br />

quartiere Tamburi e a pochi chilometri<br />

dal centro cittadino.<br />

Già nei primi anni 80, l’Organizzazione<br />

mondiale della sanità definì Taranto una<br />

città a grande rischio ambientale. Le analisi<br />

dell’Istituto superiore di sanità relative al<br />

periodo 2003-2008 sull’area intorno allo<br />

stabilimento confermano un aumento della<br />

mortalità del 10% rispetto a quella attesa,<br />

con un incremento dei tumori del 30%<br />

rispetto alla media nazionale. I quartieri<br />

più colpiti sono Tamburi – nel quale in<br />

ogni appartamento c’è almeno un malato<br />

di cancro – e Paolo VI, costruito alla<br />

fine degli anni 60 per ospitare gli operai<br />

dell’Ilva. Al problema inquinamento in<br />

questi quartieri si aggiunge l’alto tasso<br />

di disoccupazione, che ha portato ad un<br />

Foto e testo di Marika Puicher<br />

54 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong>


55 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong>


56 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong>


57 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong><br />

incremento dello spaccio e della delinquenza.<br />

Il dramma della disoccupazione<br />

ha fatto sì che per anni la maggior parte<br />

dei cittadini tarantini fosse costretta a<br />

scegliere tra la vita e una prospettiva lavorativa,<br />

tacendo di fronte allo scempio<br />

ambientale.<br />

Ma a fronte di una città più remissiva e<br />

impaurita c’è anche una Taranto coraggiosa<br />

e che resiste, composta da pochi ma<br />

tenaci ambientalisti, allevatori, artisti e<br />

semplici cittadini, che da anni si battono<br />

per riqualificare la città e denunciare il<br />

forte inquinamento ambientale prodotto<br />

dalle fabbriche della zona.<br />

Una lotta durata più di vent’anni che<br />

solo recentemente ha portato riscontri,<br />

contribuendo all’avvio di un’indagine da<br />

parte del tribunale di Taranto che il 26<br />

luglio 2012 ha predisposto il sequestro<br />

senza facoltà d’uso dell’intera area a<br />

caldo dello stabilimento siderurgico. Il<br />

30 novembre però è stato approvato dal<br />

Governo il decreto legge “Salva Ilva”, che<br />

permette la ripresa dell’attività produttiva<br />

e commerciale, sospendendo i provvedimenti<br />

di sequestro della magistratura. Il<br />

decreto prevederebbe, in concomitanza<br />

al proseguimento della produzione, una<br />

graduale messa a norma dell’impianto<br />

secondo le direttive europee e istituisce<br />

inoltre un garante per vigilare sull’attuazione<br />

degli adempimenti di bonifica. Il<br />

timore per molti è che questo sia solo un<br />

provvedimento di facciata, l’ennesima<br />

presa in giro, per permettere all’azienda<br />

di continuare a produrre e quindi di<br />

conseguenza ad inquinare indisturbata,<br />

schierandosi ancora una volta dalla parte<br />

della logica del profitto a discapito della<br />

vita dei cittadini di Taranto.<br />

altarisoluzione


a cura di Stefania Bizzarri<br />

rassegna stampa internazionale<br />

Cannabis<br />

made<br />

in Europe<br />

Lisbona Sviluppo delle droghe<br />

sintetiche, calo dei consumi di<br />

cocaina ed eroina e trasforma<br />

zione del Vecchio continente in<br />

terra produttrice di cannabis:<br />

sono queste le ultime tenden<br />

ze rilevate dall’Osservatorio<br />

dall’<br />

Europeo delle droghe e delle<br />

tossicodipendenze (Oedt) e<br />

pubblicate nel rapporto an<br />

nuale divulgato lo scorso otto<br />

bre. L’Osservatorio sottolinea<br />

come sia difficile controlla<br />

re le sostanze sintetiche e la<br />

scarsa informazione sui rischi<br />

dell’assunzione da parte dei<br />

58 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong><br />

consumatori. Nel 2012 sono<br />

state scoperte 50 nuovi tipi<br />

di droghe, la maggior parte di<br />

queste ha effetti simili a quelli<br />

della cocaina. Altri prodotti<br />

molto in voga sono i cannabinoidi<br />

di sintesi come la spice.<br />

Il business gira soprattutto su<br />

Internet: l’Oedt ha registrato<br />

693 siti che vendono sostanze<br />

presentate come legali, contro<br />

i 170 del 2010. Ma l’evoluzione<br />

“maggiore” si è avuta nel<br />

mercato della cannabis. La<br />

tendenza generale è rimpiazzare<br />

le importazioni e vendere<br />

pertanto la cannabis coltivata<br />

in Europa. È sufficiente entrare<br />

in un coffee-shop dei Paesi<br />

Bassi per constatarlo: si produce<br />

e si vende in più locali. Il<br />

Marocco dovrebbe cominciare<br />

a preoccuparsi, avvertono gli<br />

autori del rapporto...<br />

Eln, possibili<br />

negoziati<br />

Bogotà Anche l’Esercito di<br />

liberazione nazionale (Eln)<br />

– secondo gruppo guerrigliero<br />

della Colombia con circa<br />

2.500 combattenti – è pronto<br />

ad avviare “dialoghi esplorativi”<br />

con il governo in vista<br />

della possibile apertura di un<br />

negoziato di pace.<br />

In una “lettera aperta” pubblicata<br />

in Internet, l’Eln ha<br />

annunciato di aver formato<br />

una delegazione incaricata di<br />

stabilire contatti preliminari<br />

con l’amministrazione di Juan<br />

Manuel Santos. Il movimento<br />

armato ha ricordato, così come<br />

hanno fatto le più note Forze<br />

armate rivoluzionarie della<br />

Colombia (Farc), che è stato<br />

lo stesso governo «a rendere<br />

manifesto il proprio interesse<br />

affinché anche l’Eln intraprenda<br />

un processo di dialogo per la<br />

ricerca della pace». Su questa<br />

strada «l’Eln è impegnato per<br />

una soluzione politica intesa<br />

come costruzione collettiva<br />

della nazione, come processo<br />

democratico sociale, politico,<br />

economico e culturale che tenga<br />

conto dei cambiamenti di cui<br />

il paese ha bisogno».<br />

L’annuncio dell’Eln è giunto<br />

con l’avvicinarsi dell’avvio vero<br />

e proprio dei colloqui di pace<br />

tra governo e Farc, cominciato<br />

il 15 novembre all’Avana. Primo<br />

punto in agenda il problema<br />

della terra, un tema – secondo<br />

l’Eln – «che richiede la partecipazione<br />

del movimento contadino<br />

e agrario, dei movimenti<br />

regionali e ambientali».


La selva Maya<br />

minacciata<br />

dai narcos<br />

Città del Guatemala È una<br />

vasta foresta vergine nel nord<br />

del Guatemala: un santuario di<br />

2,1 milioni di ettari che copre il<br />

19% della superficie del paese<br />

e rappresenta il 60% delle aree<br />

protette. È questo il cuore della<br />

riserva degli indigeni Maya e<br />

la dimora di eccezionali e rare<br />

specie animali sottoposte non<br />

solo alle minacce ordinarie<br />

delle regioni tropicali, come<br />

l’abbattimento illegale di alberi,<br />

incendi e bracconaggio.<br />

Questa regione è diventata<br />

zona ideale per i trafficanti<br />

di droga. Gli enti incaricati<br />

alla protezione sono in prima<br />

linea nel denunciare episodi<br />

come la costruzione di piste<br />

di atterraggio abusive da<br />

parte dei cartelli messicani<br />

per movimentare cocaina; o<br />

di immense aziende agricole<br />

da parte delle gang del Salvador<br />

con lo scopo di ripulire<br />

denaro sporco; o il disboscamento<br />

ad opera delle mafie<br />

cinesi impegnate a rivendere<br />

legname pregiato sui mercati<br />

asiatici. Il risultato è che in<br />

pochi anni la foresta è stata<br />

quasi dimezzata.<br />

I primi segnali della presenza<br />

criminale, soprattutto nella<br />

metà occidentale (confinante<br />

con il Messico), risalgono a<br />

dieci anni or sono. Secondo<br />

Roan McNab, direttore del<br />

programma dell’Ong Wildlife<br />

conservation society (Wcs) in<br />

Guatemala, i cartelli operano in<br />

un clima di “totale impunità”<br />

poiché le forze dell’esercito<br />

e di polizia sono insufficienti.<br />

I proprietari delle aziende<br />

di allevamento di bestiame<br />

hanno costruito decine di piste<br />

di atterraggio di cui una è<br />

soprannominata “aeroporto<br />

internazionale” con decine<br />

di aerei abbandonati. Per descrivere<br />

questo fenomeno i<br />

Guatemaltechi utilizzano il<br />

neologismo narcoganadería,<br />

formato a partire dalla parola<br />

droga e allevamento di bestiame.<br />

La criminalità organizzata<br />

infatti ripulisce il denaro investendo<br />

nell’allevamento di capi<br />

da macellare, la cui carne è poi<br />

rivenduta nei mercati messicani.<br />

Al momento la coalizione<br />

internazionale che lotta per<br />

preservare il cuore della riserva<br />

ha registrato qualche risultato.<br />

Grazie al suo programma di<br />

preservazione si sono salvate<br />

dall’estinzione alcune specie<br />

animali ed è stata potenziata<br />

la presenza di forze civili e<br />

militari, ma è la lotta di Davide<br />

contro Golia.<br />

Kosovo,<br />

anno zero<br />

Bruxelles «L’Ue stroncata<br />

sulla missione in Kosovo»,<br />

commenta «Le Figaro» dopo la<br />

pubblicazione di un rapporto<br />

della Corte dei conti europea<br />

sulla gestione della crisi kosovara<br />

da parte dell’Unione.<br />

La Corte sottolinea «il contributo<br />

modesto alle capacità<br />

della polizia del Kosovo», gli<br />

“scarsi progressi” nella lotta<br />

al crimine organizzato e alla<br />

corruzione e le difficoltà di<br />

coordinamento tra la Com-<br />

59 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong><br />

missione europea ed Eulex,<br />

la missione civile destinata<br />

a promuovere lo stato di diritto<br />

in Kosovo. In sintesi il<br />

bilancio parla di «inefficacia<br />

degli aiuti europei, sperpero<br />

finanziario e evidente mancanza<br />

di mezzi umani».<br />

Tuttavia, ricorda «Le Figaro»,<br />

sulla carta l’Ue non ha risparmiato<br />

le energie per sostenere<br />

lo stato di diritto a Pristina.<br />

I kosovari sono in cima alla<br />

lista di tutte le categorie di<br />

aiuti europei. Bruxelles ha<br />

condotto due grosse operazioni,<br />

una affidata alla Commissione<br />

con un’assistenza<br />

finanziaria tradizionale ma<br />

rafforzata, l’altra diretta dal<br />

braccio diplomatico dell’Ue:<br />

la missione Eulex, incaricata<br />

tra le altre cose di gestire elementi<br />

delicati come la polizia,<br />

la giustizia e le dogane. Secondo<br />

la Frankfurter Allgemeine<br />

Zeitung, il giudizio impietoso<br />

della Corte dei conti non ha<br />

nulla di sorprendente. Tutti<br />

gli sforzi internazionali di<br />

state building danno luogo agli<br />

stessi fenomeni. Innanzitutto<br />

la presenza di esperti stranieri<br />

modifica radicalmente<br />

la situazione economica sul<br />

posto, che si tratti del Kosovo<br />

o dell’Afghanistan. Inoltre si<br />

assiste alla nascita di uno<br />

strato di privilegiati e profittatori<br />

– dagli autisti agli<br />

uomini d’affari, passando<br />

per gli interpreti – che hanno<br />

tutto l’interesse a prolungare<br />

la situazione di necessità in<br />

cui si trova il paese. Senza<br />

contare le frizioni tra le<br />

organizzazioni pubbliche e<br />

private o gli scontri con le<br />

realtà locali. Tuttavia sarebbe<br />

giusto che la Corte dei conti,<br />

oltre a evidenziare queste<br />

mancanze, indicasse una via<br />

per rimediare. Perché sostenere<br />

che queste missioni<br />

non dovevano essere avviate<br />

non è e non può essere una<br />

soluzione.<br />

Amnesty, è<br />

crisi di ideali?<br />

Londra È crisi dentro Amnesty<br />

International, l’Ong<br />

che da oltre mezzo secolo si<br />

batte contro la pena di morte<br />

e la tortura. Il consiglio dei<br />

membri, riunito a metà ottobre<br />

nel quartier generale<br />

dell’organizzazione a Londra,<br />

ha deciso di votare la sfiducia<br />

alla propria leadership, accusata<br />

di aver “perso di vista gli<br />

obiettivi” dell’organizzazione.<br />

Una crisi che “minaccia la<br />

stessa esistenza” dell’Ong.<br />

In veste ufficiale il problema<br />

riguarda una riorganizzazione<br />

strutturale dell’associazione,<br />

con il taglio di una ventina di<br />

posti dei 700 esistenti. Ma la<br />

questione “reale” è più profonda<br />

ed è stata definita una<br />

“battaglia per l’anima” del movimento<br />

per i diritti umani. Il<br />

consiglio dei membri ha detto<br />

di non credere più nell’operato<br />

del segretario generale,<br />

Salil Shetty, e dei suoi collaboratori<br />

più stretti. Accuse<br />

cui i vertici hanno replicato,<br />

sostenendo, da un lato che i<br />

membri hanno presentato un<br />

quadro “inaccurato” e difendendo,<br />

dall’altro, il “processo<br />

di rinnovamento” dell’Ong,<br />

che prevede una riduzione dei<br />

dipendenti della sede centrale<br />

di Londra e un rafforzamento<br />

delle sedi regionali.


Sudamerica,<br />

nasce la classe<br />

media?<br />

Washington Nell’ultimo decennio<br />

l’America Latina e i Caraibi<br />

hanno visto raddoppiare il<br />

numero di persone che hanno<br />

fatto il loro ingresso nella classe<br />

media: un risultato che gli economisti<br />

considerano “storico” in<br />

una regione tra le più disuguali<br />

del pianeta.<br />

Secondo un rapporto della<br />

Banca Mondiale, nel 2009, gli<br />

appartenenti alla classe media<br />

– categoria in cui sono incluse<br />

persone che vivono con una<br />

somma tra i 10 e i 50 dollari<br />

al giorno – sono arrivati a 152<br />

milioni, il 50% in più rispetto al<br />

2003. Per Kim Yong Kim, presidente<br />

della Bm, il dato dimostra<br />

che «politiche che promuovono<br />

in modo congiunto la crescita<br />

economica e l’espansione delle<br />

opportunità per i più vulnerabili<br />

si traducono in prosperità» per<br />

milioni di persone. Anche se i<br />

governi della regione «devono<br />

fare ancora molto» per risolvere i<br />

problemi sociali – un latinoamericano<br />

su tre vive in povertà – i<br />

dati raccolti secondo Kim «sono<br />

motivo di soddisfazione». Tra i<br />

fattori di sviluppo più evidenti,<br />

il rapporto inserisce il miglioramento<br />

dell’istruzione, l’aumento<br />

dei posti di lavoro formali e<br />

l’inclusione delle donne nel<br />

mercato del lavoro. Rilevanti<br />

restano le differenze tra i paesi:<br />

il Brasile da solo raccoglie il<br />

40% dei nuovi appartenenti<br />

alla classe media; in Colombia<br />

il 54% della popolazione ha<br />

visto aumentare il reddito tra il<br />

1992 e il 2008, in Messico il 17%<br />

dei cittadini ha fatto il proprio<br />

ingresso nella classe media tra<br />

il 2000 e il 2010. Occorre tuttavia<br />

prestare attenzione alla<br />

cosiddetta “classe vulnerabile”,<br />

nella quale la Bm include chi<br />

vive con una somma tra i quattro<br />

e i 10 dollari al giorno. Si tratta<br />

del 38% della popolazione<br />

globale della regione che resta<br />

relegata in un “limbo” tra poveri<br />

e persone con sufficienti entrate<br />

economiche.<br />

Russia,<br />

il consumo<br />

di eroina<br />

Mosca Ogni anno dall’Afghanistan<br />

arrivano circa 30 tonnellate<br />

di eroina ha affermato recentemente<br />

lo “zar antidroga” russo<br />

Sergei Ivanov in un’intervista alla<br />

radio Ekho Moskvy.<br />

Più volte Mosca ha accusato gli<br />

Stati Uniti di non impegnarsi<br />

a sufficienza per schiacciare<br />

il narcotraffico. L’Afghanistan<br />

produce oltre il 90% dell’eroina<br />

mondiale. Una buona parte va<br />

verso nord, arrivando in Russia<br />

che – spiega Ivanov – non<br />

è un paese di transito, ma di<br />

consumo.<br />

Ivanov ha aggiunto che «l’ammontare<br />

(dell’eroina) è di circa 30<br />

tonnellate» all’anno, che vanno a<br />

sommarsi alle droghe sintetiche<br />

in arrivo dall’Europa.<br />

In precedenza, Ivanov aveva<br />

rivelato che 8,5 milioni di russi<br />

usano narcotici regolarmente o<br />

sporadicamente e 18,5 milioni<br />

hanno provato droghe almeno<br />

una volta nella loro vita. I<br />

morti per droga in Russia sono<br />

100mila all’anno.<br />

60 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong><br />

Crescono<br />

papaveri<br />

Vienna Le coltivazioni di papavero<br />

da oppio in Afghanistan<br />

hanno coperto 154mila ettari nel<br />

2012, il 18% in più rispetto al<br />

131mila registrati l’anno precedente,<br />

secondo l’Opium Survey<br />

2012 Afghanistan, pubblicato il<br />

20 novembre dal ministero della<br />

Lotta alla droga afghano (Mcn)<br />

e l’Ufficio delle Nazioni Unite<br />

contro la Droga e il Crimine<br />

(Unodc). Tuttavia, poiché le<br />

malattie delle piante e il cattivo<br />

tempo avevano danneggiato le<br />

colture, la produzione di oppio<br />

potenziale è calata del 36%<br />

nello stesso periodo da 5.800 a<br />

3.700 tonnellate.<br />

«Gli alti prezzi dell’oppio sono<br />

stati il fattore principale che ha<br />

portato all’aumento della coltivazione<br />

di oppio – ha detto il<br />

direttore esecutivo dell’Unodc,<br />

Yury Fedotov –. Quest’ultimo<br />

chiede uno sforzo costante da<br />

parte del governo afghano e<br />

degli attori internazionali per<br />

affrontare la coltivazione illecita<br />

con un approccio equilibrato<br />

delle misure di attuazione per<br />

lo sviluppo e il diritto».<br />

Quest’anno la coltivazione è<br />

stata concentrata per il 95%<br />

nelle province meridionali e<br />

occidentali, dove l’instabilità e<br />

la criminalità organizzata sono<br />

ben presenti: 72 % in Hilmand,<br />

Kandahar, Uruzgan, Day Kundi<br />

e Zabul province del sud, e il<br />

23% a Farah, Hirat e Nimroz a<br />

ovest. Ciò conferma il legame tra<br />

l’instabilità politica e la coltivazione<br />

di oppio già evidenziata<br />

dal nel 2007.<br />

Nel 2012 il prezzo ai “produttori”<br />

per l’oppio è rimasto ad un<br />

livello relativamente alto di 196<br />

dollari al kg, questo continua a<br />

fornire un forte incentivo per gli<br />

agricoltori ad avviare o riprendere<br />

la coltivazione del papavero<br />

nella prossima stagione.<br />

Come conseguenza delle rese<br />

basse nella coltivazione, il reddito<br />

lordo medio di oppio per<br />

ettaro si è ridotto del 57% dai<br />

10.700 dollari del 2011 a 4.600<br />

nel 2012.


Rapporti Ue-Pristina<br />

61 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong><br />

Kosovo,<br />

la legge<br />

dell’impunità<br />

L’indipendenza del neostato è una realtà consolidata, ma diritti<br />

e legalità sono ancora avulsi dal contesto kosovaro. Eulex e la<br />

“comunità internazionale” non hanno profuso gli sforzi necessari<br />

a garantire equità, imparzialità e giustizia per quei popoli. E<br />

Bruxelles sembra non accorgersene<br />

foto e testo di Matteo Tacconi


I primi ministri,<br />

Hashim Thaci e<br />

Ivica Dacic, si sono<br />

incontrati sotto<br />

l’egida dell’Ue.<br />

L’obiettivo è cercare<br />

compromessi nei<br />

territori contesi. È<br />

tutto un bluff o c’è<br />

qualche prospettiva<br />

di collaborazione?<br />

Alla vigilia del 17 febbraio del<br />

2008, giorno in cui il Parlamento<br />

del Kosovo proclamò unilateralmente<br />

il distacco dalla Serbia,<br />

c’erano tanti faldoni ingombranti<br />

sul tavolo. Nessuno li ha archiviati.<br />

Si discute ancora, senza<br />

soluzioni, dell’assetto delle<br />

province settentrionali. Sono<br />

quelle a maggioranza serba (nel<br />

resto del paese l’etnia albanese<br />

è totalitaria) e lì è Belgrado a<br />

esercitare il controllo, tramite le<br />

cosiddette istituzioni parallele:<br />

banche, valuta, scuole, uffici<br />

pubblici, polizia. Il “conflitto<br />

congelato” a Mitrovica – la città<br />

simbolo delle divisioni, metà<br />

albanese e metà serba (cfr. box<br />

p.66) – e nei comuni limitrofi<br />

del nord impedisce al Kosovo di<br />

esercitare la piena sovranità sul<br />

proprio territorio e si riverbera<br />

negativamente sul processo dei<br />

riconoscimenti internazionali.<br />

Nel momento in cui «Narcomafie»<br />

va in stampa sono 91<br />

i membri dell’Onu che hanno<br />

allacciato relazioni diplomatiche<br />

con Pristina: meno della metà<br />

dei 193 totali. Fino a che punto<br />

– questo si chiedono i giuristi – si<br />

può parlare di Stato?<br />

Come prima, più di prima. Il<br />

problema dei riconoscimenti<br />

si manifesta pure in Europa.<br />

Cinque paesi comunitari (Slovacchia,<br />

Grecia, Romania, Cipro e<br />

Spagna), temendo che la questione<br />

kosovara possa ripercuotersi<br />

all’interno dei propri confini o<br />

alimentare i rispettivi autonomismi,<br />

non hanno ancora stabilito<br />

rapporti di alto profilo con il<br />

governo di Pristina.<br />

C’è comunque una novità. Pristina<br />

e Belgrado hanno recentemente<br />

attivato negoziati diretti. I<br />

rispettivi primi ministri, Hashim<br />

Thaci e Ivica Dacic, si sono in-<br />

62 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong><br />

contrati sotto l’egida dell’Ue.<br />

L’obiettivo è cercare compromessi<br />

pragmatici sugli aspetti<br />

dell’economia, dei trasporti e<br />

della vita quotidiana nei territori<br />

contesi. È tutto un bluff o c’è<br />

qualche prospettiva di collaborazione?<br />

Al momento, sul campo,<br />

non cambia nulla.<br />

Il quadro complessivo resta precario<br />

anche sul fronte dell’economia.<br />

Il tasso dei senza lavoro,<br />

sebbene in assenza di statistiche<br />

certe, lambisce il 45%. Tra i più<br />

penalizzati figurano i giovani,<br />

che rappresentano la principale<br />

componente demografica dello<br />

stato balcanico. Stando alle cifre<br />

diffuse nel 2010 dalla Kosovo<br />

stability initiative, think tank con<br />

sede a Pristina, la disoccupazione<br />

tra i ragazzi con età inferiore<br />

ai 25 anni sarebbe addirittura<br />

pari al 73%.<br />

Il fracasso economico dipende<br />

in parte dalla storia (il Kosovo<br />

era la regione più povera dell’ex<br />

Jugoslavia), in parte dalla guerra<br />

del 1998-1999 con la Serbia. Ma<br />

incide anche, eccome se incide, il<br />

mancato afflusso di investimenti<br />

dall’estero, volano principale<br />

della crescita in ogni processo<br />

di transizione. Dal 2007 al 2010,<br />

ha riportato lo scorso febbraio la<br />

Camera di commercio americana<br />

del Kosovo (AmCham) citando<br />

ricerche della Banca mondiale,<br />

gli investimenti diretti sono calati<br />

del 30%, passando da 603<br />

a 413 milioni di dollari l’anno.<br />

Secondo la stessa AmCham la<br />

contrazione è dovuta a due cause<br />

concomitanti: la crisi globale e<br />

«l’inabilità delle istituzioni di<br />

Pristina di conquistare la fiducia<br />

degli investitori stranieri».<br />

La vecchia guardia. Nei mesi che<br />

hanno preceduto l’indipendenza<br />

del 2008 fioccarono articoli e<br />

inchieste su traffici di droga,<br />

contrabbando di armi, contraffazione,<br />

riciclaggio e altre attività<br />

a forte tasso illecito. Nonché<br />

sulla spartizione in stile mafioso<br />

del territorio, operata dagli<br />

esponenti delle varie consorterie<br />

criminali del Kosovo, alcuni<br />

dei quali fortemente inseriti nel<br />

sistema politico-amministrativo,<br />

se non addirittura eletti nelle<br />

istituzioni o titolari di cariche<br />

importanti. Da allora, anche in<br />

merito a queste problematiche,<br />

non è cambiato granché. La collusione<br />

o sovrapposizione tra<br />

mafie e politica, i traffici (droga,<br />

armi, esseri umani e beni contraf<br />

fatti) e la corruzione endemica<br />

dominano ancora la scena, a<br />

quanto pare.<br />

Non passa giorno, poi, senza<br />

che si parli delle tante inchieste<br />

giudiziarie in corso legate ai<br />

misfatti del passato, come alle<br />

vicende torbide del presente.<br />

Sia le une sia le altre vedono<br />

tra i principali protagonisti gli<br />

ex esponenti dell’Esercito di<br />

liberazione del Kosovo (Uck),<br />

la guerriglia che combatté la<br />

Serbia nel biennio 1998-1999<br />

e che in parte si approvvigionò<br />

di armi e soldi attraverso attività<br />

illecite. Oggi quei signori siedono<br />

in Parlamento, hanno cariche<br />

di governo, presiedono agenzie<br />

statali. Sono la classe dirigente.<br />

Dalla mimetica al doppiopetto.<br />

Il caso più noto, tra quelli che vedono<br />

coinvolti ex militi dell’Uck,<br />

è senza dubbio quello di Hashim<br />

Thaci, ex portavoce dell’Uck, numero<br />

uno del Partito democratico<br />

del Kosovo (Pdk) e attuale primo<br />

ministro. Thaci è al centro dello<br />

scandalo sugli organi espiantati,<br />

al tempo della guerra, dai<br />

corpi dei prigionieri giustiziati<br />

dall’Uck. Erano prevalentemente<br />

di etnia serba. Fu Carla Del Ponte,


ex procuratore capo del Tribunale<br />

per i crimini nell’ex Jugoslavia,<br />

con sede all’Aja, a scoperchiare<br />

la pentola. Ne parlò in “La caccia”,<br />

libro di memorie sulla sua<br />

lunga permanenza in Olanda<br />

(1999-2007). Tre anni più tardi<br />

la commissione appositamente<br />

istituita dal Consiglio d’Europa,<br />

presieduta dallo svizzero Dick<br />

Marty e incaricata di indagare<br />

sulla vicenda, arrivò a ipotizzare<br />

nel suo rapporto finale che<br />

Hashim Thaci e il gruppo della<br />

Drenica, uno delle più influenti<br />

costole della guerriglia albanese,<br />

fossero i protagonisti di molte<br />

delle operazioni criminali di<br />

cui l’Uck si macchiò durante<br />

il conflitto. Inclusa quella del<br />

traffico di organi, il cui schema<br />

– questa grosso modo la ricostruzione<br />

– prevedeva l’uccisione<br />

di serbi e di esponenti di altre<br />

minoranze, il trasporto dei cadaveri<br />

oltre confine in Albania,<br />

l’espianto degli organi e la loro<br />

successiva messa in commercio<br />

sul mercato nero.<br />

Al rapporto Marty, che comunque<br />

non aveva valore legale, è<br />

seguita l’apertura di un’inchiesta<br />

vera e propria, condotta da Eulex,<br />

la missione civile dell’Unione<br />

Europea in Kosovo. È composta<br />

da circa 2mila persone, tra<br />

magistrati, poliziotti, funzionari,<br />

consulenti. A queste vanno<br />

aggiunti circa mille impiegati<br />

locali. Tra i compiti di Eulex,<br />

oltre all’ordine pubblico e alla supervisione<br />

sullo stato di diritto,<br />

figura anche l’amministrazione<br />

della giustizia. In particolare, i<br />

magistrati e i giudici inquadrati<br />

nella missione gestiscono quelle<br />

inchieste e quei processi sensibili,<br />

con imputati eccellenti e<br />

temi spinosissimi, che i tribunali<br />

locali avrebbero difficoltà<br />

a condurre e celebrare.<br />

Eppure sembra che Eulex abbia<br />

il freno a mano tirato e che non<br />

riesca a scavare fino in fondo.<br />

Il nodo del Kosovo è proprio<br />

l’incapacità o la mancata volontà<br />

di procedere contro i potenti. C’è<br />

chi scomoda una parola pesante,<br />

ma non così impropria, almeno a<br />

giudicare dagli eventi in corso. La<br />

parola è impunità e la tesi è che<br />

Eulex e in senso lato la cosiddetta<br />

comunità internazionale (presente<br />

a Pristina con numerose<br />

missioni) non abbiano profuso<br />

gli sforzi necessari a garantire,<br />

in Kosovo, equità, imparzialità<br />

e giustizia.<br />

Il caso del traffico di organi è emblematico,<br />

dicono gli analisti. Gli<br />

inquirenti europei, autorizzati da<br />

Tirana a cercare prove anche in<br />

territorio albanese, non hanno<br />

ancora raccolto indizi eclatanti<br />

e Hashim Thaci non è neanche<br />

iscritto nel registro degli indagati.<br />

Molti dicono che prima o poi il<br />

caso verrà archiviato. Non se ne<br />

farà nulla, com’è successo in altre<br />

situazioni che hanno sfiorato la<br />

reputazione di ex comandanti<br />

dell’Uck.<br />

In Kosovo molti pensano che anche<br />

Fatmir Limaj dribblerà, alla<br />

fine, le insidie giudiziarie che<br />

gli sono piombate addosso negli<br />

ultimissimi tempi. Uomo chiave<br />

del gruppo della Drenica, ex<br />

ministro dei Trasporti. Dicastero<br />

chiave, questo. In tutti i sensi.<br />

Vuoi perché il Kosovo non ha<br />

infrastrutture e si sa, le elezioni<br />

e il consenso si vincono anche<br />

stendendo asfalto. Vuoi perché in<br />

Kosovo, con tutta la corruzione<br />

che c’è, le strade sono il settore<br />

dove si può lucrare di più. Ebbene,<br />

il 16 novembre Limaj è stato<br />

formalmente accusato dai magistrati<br />

di Eulex. Insieme a lui sono<br />

state incriminate sette persone: i<br />

due fratelli Florim e Demir, il suo<br />

63 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong><br />

ex capo di gabinetto Endrit Shala<br />

e altri collaboratori dell’epoca<br />

in cui era ministro. Avrebbero<br />

manipolato gare d’appalto, dato e<br />

ricevuto mazzette. Limaj, inoltre,<br />

è indagato anche per non aver<br />

dichiarato i finanziamenti elettorali<br />

ricevuti quando, correva<br />

l’anno 2007, corse per la carica<br />

di sindaco di Pristina.<br />

Ma, si diceva, tutto questo trambusto<br />

tribunalizio non porterà a<br />

nulla. Questa è almeno la convinzione<br />

dei più. D’altronde Limaj,<br />

uomo di potere e relazioni, è con-<br />

siderato un pesce troppo grosso<br />

per essere condannato. Senza<br />

contare che è già uscito vinci-<br />

tore da due processi, entrambi<br />

fondati sull’accusa di crimini di<br />

guerra. Il primo celebrato presso<br />

il Tribunale dell’Onu per l’ex<br />

Jugoslavia, con sede dell’Aja.<br />

Limaj fu prosciolto nel 2005 e<br />

la sentenza di primo grado fu<br />

confermata in appello due anni<br />

più tardi. Il secondo processo,<br />

istruito e celebrato a Pristina,<br />

sempre su vicende relative al<br />

conflitto, è finito lo scorso mag-<br />

gio. Nella stessa maniera.<br />

Ci si chiede se il prossimo a<br />

mettersi alle spalle le accuse<br />

sarà Nazmi Mustafi, altro nome<br />

eccellente finito sott’inchiesta. È<br />

stato arrestato all’inizio di aprile<br />

con le accuse di corruzione e di<br />

estorsione. Il che suona davvero<br />

paradossale, perché l’uomo,<br />

fino all’arresto, è stato a capo<br />

dell’Agenzia governativa istituita<br />

allo scopo di lottare contro la<br />

corruzione. Mustafi, che non ha<br />

militato nell’Uck, ma che è comunque<br />

legato a Thaci, almeno<br />

così si dice, è stato poi formalmente<br />

incriminato a fine luglio. I<br />

magistrati di Eulex ritengono che<br />

abbia chiesto denaro a individui<br />

“torchiati” dall’agenzia che lui<br />

stesso dirigeva.<br />

Il caso del<br />

traffico di organi<br />

è emblematico.<br />

Molti dicono<br />

che prima o poi<br />

verrà archiviato.<br />

Com’è successo<br />

in altre situazioni<br />

che hanno sfiorato<br />

la reputazione<br />

di ex comandanti<br />

dell’Uck


«Quel cemento sulla<br />

terra degli sfollati»<br />

Intervista a<br />

Massimo Moratti<br />

di M.T.<br />

A ogni conflitto, un’ondata di profughi.<br />

Gente che, a causa della guerra,<br />

delle persecuzioni e dell’insicurezza<br />

si rifugia all’estero oppure – è il caso<br />

delle Internally Displaced Persons<br />

(Idps) – cerca riparo all’interno del<br />

proprio paese, in territori dove non<br />

tuonano i cannoni.<br />

Anche in Kosovo, all’epoca della<br />

guerra, è andata così. Ci fu dapprima<br />

la partenza degli albanesi, vessati<br />

dalle forze serbe. Poi, quando la<br />

Nato costrinse Slobodan Milosevic<br />

alla resa, nel 1999, la situazione si<br />

capovolse. Gli albanesi, che rappresentano<br />

il 90% della popolazione<br />

complessiva del paese, tornarono in<br />

massa. In diversi casi si vendicarono<br />

dei torti subiti in precedenza. Le<br />

forze di peacekeeping e la comunità<br />

internazionale, in quei frangenti di<br />

vero e proprio vuoto legale, non<br />

riuscirono a impedire il controesodo.<br />

I serbi e le altre minoranze della<br />

regione (ashkali, egiziani, turchi),<br />

nonché alcuni albanesi tacciati di<br />

collaborazionismo, se ne andarono.<br />

Meglio, dovettero andarsene.<br />

«A oggi molti di loro non sono ancora<br />

rientrati in possesso dei loro<br />

beni. Lo scenario non è così roseo<br />

come lo descrivono gli organismi<br />

internazionali», assicura Massimo<br />

Moratti, che vanta una pluriennale<br />

esperienza in materia di rifugiati e<br />

sfollati nei Balcani e che da qualche<br />

tempo si occupa proprio dei diritti<br />

di queste persone con il progetto<br />

Further Support to Refugees and IDPs<br />

in Serbia (www.pravnapomoc.org).<br />

È finanziato dall’Ue e ne beneficia<br />

l’Ufficio per il Kosovo i Metohija,<br />

agenzia che, nella scorsa legislatura,<br />

aveva rango ministeriale. «In particolare<br />

– spiega Moratti a «Narcomafie»<br />

– è la situazione dei terreni a essere<br />

più complicata. In tutti questi anni<br />

c’è stato in Kosovo un vero e proprio<br />

boom edilizio. Strisce di terra un<br />

tempo completamente vuote sono<br />

oggi piene di case e uffici, magazzini<br />

e motel, pompe di benzina e<br />

autolavaggi. Per fare un esempio, ai<br />

lati della strada che collega Pristina<br />

a Skopje, la capitale macedone, fino<br />

a qualche anno fa non c’era nulla.<br />

Adesso è una colata di cemento<br />

continua. Dove voglio arrivare? Al<br />

fatto che molte di queste costruzioni<br />

sono state realizzate illegalmente<br />

sui terreni degli sfollati, mentre gli<br />

sfollati erano via».<br />

Com’è potuto accadere tutto questo?<br />

Occorre tornare indietro nel tempo.<br />

Alla fine del conflitto. «Nel 1999-<br />

64 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong><br />

2000 la comunità internazionale<br />

creò l’Housing Property Directorate,<br />

un’agenzia che metteva in piedi dei<br />

meccanismi utili a garantire il diritto<br />

a rientrare in possesso dei propri<br />

beni immobili per tutti i rifugiati<br />

e gli sfollati. Quest’agenzia aveva<br />

competenza sulle case e sugli appartamenti.<br />

Nulla venne stabilito,<br />

invece, a riguardo dei terreni o sulle<br />

proprietà commerciali. È così che di<br />

fatto s’è venuto a creare un vacuum<br />

e in assenza di precise disposizioni<br />

è scoppiata la bolla dell’abusivismo<br />

edilizio».<br />

La faccenda è davvero difficile da<br />

sbrogliare. Perché i terreni sono stati<br />

violati con il cemento e perché ci<br />

sono problemi di ordine burocraticopolitico.<br />

«L’Housing Property Directorate<br />

è confluito nel 2006 nella<br />

Kosovo Property Agency, che ha<br />

la competenza anche sui terreni. Il<br />

problema, tuttavia, è che delle 40mila<br />

istanze sollevate dai reali proprietari<br />

soltanto quelle meno “sensibili” sono<br />

state trattate. Le dispute regolate<br />

sono, in gran parte, quelle riguardanti<br />

appezzamenti non cementificati. I<br />

casi legati a quelli sui quali s’è costruito<br />

non sono stati ancora aperti o<br />

si registrano manomissioni e ritardi»,<br />

specifica Moratti.<br />

Quale sarebbe la causa di questi insabbiamenti?<br />

La politica, fondamentalmente.<br />

Il punto è che le dispute<br />

sulla proprietà, nel momento in cui<br />

salta fuori che i “palazzinari” sono<br />

esponenti della classe dirigente o<br />

personaggi con ottime protezioni,<br />

non vengono gestite come andrebbero<br />

gestite. «Questi casi rognosi non<br />

vengono presi in considerazione, ho<br />

sentito dire. In Kosovo, in generale,<br />

vige un clima di impunità che lo<br />

rende un caso sui generis. In tutta<br />

la regione, alla fine di ogni guerra,<br />

è sempre scattato l’approccio “caccio<br />

il nemico e gli prendo la casa”,<br />

corollario delle teorie sulla pulizia<br />

etnica. Anche in Bosnia il canovaccio<br />

fu questo. I musulmani occuparono<br />

le proprietà degli sfollati serbi, i serbi<br />

quelle dei profughi musulmani, i<br />

croati quelle degli altri due gruppi<br />

nazionali e così via, fino a tornare<br />

all’inizio di questo balletto. All’epoca,<br />

però, la comunità internazionale<br />

puntò a imporre il rispetto di certi<br />

principi e delle leggi. Se qualche<br />

pezzo grosso occupava l’abitazione<br />

o il terreno altrui, gli si faceva<br />

capire che non poteva farlo e costui<br />

se ne andava. In Kosovo, invece, il<br />

messaggio che si sta dando è che la<br />

legge può essere violata».<br />

Il tema della cultura dell’impunità<br />

è stato toccato più e più volte, in<br />

questi anni. Puntualmente, in ogni<br />

occasione, s’è puntato l’indice contro<br />

la comunità internazionale e le sue<br />

due missioni civili: Unmik e Eulex.<br />

A trazione Onu la prima, dispiegata<br />

dall’Ue la seconda. Molti analisti<br />

hanno spiegato che i vertici delle<br />

due missioni, quando una vicenda<br />

un po’ losca vede indagato un alto<br />

esponente della classe dirigente di<br />

Pristina, evitano di andare fino in<br />

fondo a livello inquirente e giudicante<br />

(entrambe hanno competenze<br />

giudiziarie). «Questa difficoltà a confrontarsi<br />

con i poteri forti, nonché a<br />

scontrarcisi, quando questo si rende<br />

necessario, è un po’ una delle cartine<br />

di tornasole del Kosovo. Detto questo<br />

devo dire che noi di Further Support<br />

to Refugees and Idps in Serbia<br />

abbiamo avuto un’esperienza il più<br />

delle volte positiva, quando abbiamo<br />

sollevato dei casi presso i giudici di<br />

Eulex, proprio perché ci si appella<br />

alla loro competenza professionale»,<br />

rimarca Moratti, ricordando una<br />

storia di successo, riguardante però<br />

non un terreno, ma un’abitazione.<br />

«Una signora scappò da Prizren<br />

nel 1999, lasciando la palazzina<br />

di cui era proprietaria. Che ancora,<br />

tuttavia, doveva essere completata.<br />

Era stato realizzato, all’epoca, solo<br />

il primo piano. Ebbene, un albanese<br />

ha occupato l’edificio e sopra il<br />

primo piano ce ne ha costruiti altri<br />

cinque, affittando i lotti persino a<br />

dipendenti delle amministrazioni<br />

internazionali. Abbiamo chiesto a<br />

Eulex di prendere in mano il caso e la


decisione è stata quella di rimuovere<br />

i piani costruiti durante l’assenza<br />

della legittima titolare dell’edificio,<br />

malgrado l’occupante abbia sollevato<br />

un polverone e minacciato a destra e<br />

manca, dimostrando appunto questa<br />

tendenza a sentirsi al di sopra della<br />

legge».<br />

Ma questa è una delle storie positive.<br />

Ce ne sono tante altre che<br />

vedono come potenziali protagonisti<br />

personaggi di spessore del sistema<br />

politico-economico del Kosovo. In<br />

queste occasioni la giustizia non fa<br />

completamente il suo corso, volendo<br />

essere eufemistici. Non solo: c’è<br />

sempre stato un problema di identificabilità<br />

dei soggetti nei confronti<br />

dei quali fare causa. «Molti Idps che<br />

hanno perso la casa perché questa<br />

è stata occupata o distrutta hanno<br />

citato in giudizio Kfor (le forze di<br />

peacekeeping a guida Nato) o Unmik<br />

o le allora autorità di fatto, sotto<br />

stretto controllo dell’Uck (Esercito<br />

di liberazione del Kosovo)», la<br />

guerriglia albanese che imbracciò<br />

le armi contro Belgrado e che da<br />

più parti viene accusata di avere<br />

sovrapposto lotta armata e traffici<br />

criminali. Molti degli ex guerriglieri<br />

sono oggi esponenti della classe dirigente<br />

del paese. «I tribunali – così<br />

chiosa Moratti – non hanno quasi mai<br />

accolto i loro ricorsi, spiegando che il<br />

personale di Kfor e Unmik è coperto<br />

da immunità diplomatica, mentre le<br />

autorità di fatto, sebbene avessero<br />

una struttura tale da configurarle<br />

come un soggetto politico-militare<br />

pienamente identificabile, vengono<br />

considerate dalle toghe come<br />

un’entità non legalmente costituita.<br />

La causa, così, non parte. Chi l’ha<br />

attivata è costretto a pagare le spese:<br />

quattrocento, cinquecento euro. Non<br />

pochi soldi, se comparati al tenore<br />

di vita di queste persone. La beffa<br />

è che non solo queste persone non<br />

vengono compensate per la perdita<br />

delle loro proprietà, ma vengono<br />

anche di fatto “multate” per averci<br />

provato. E ce ne sono circa 18.000<br />

di questi casi».<br />

La strana morte di Dino Asanaj.<br />

L’hanno trovato morto, nella<br />

sua abitazione di Pristina, il 14<br />

giugno scorso. Sulle prime s’è<br />

parlato di omicidio. Poi l’autopsia<br />

ha rivelato che Dino Asanaj,<br />

dal 2008 capo dell’Agenzia governativa<br />

per le privatizzazioni<br />

(Pak), si sarebbe suicidato. Il suo<br />

corpo era sfregiato da una dozzina<br />

di ferite da coltello da cucina<br />

che, sanguinando lentamente<br />

ma inesorabilmente, avrebbero<br />

portato al decesso. Eppure<br />

questa versione è stata messa in<br />

dubbio dal governo di Pristina,<br />

il quale, volendo vederci più<br />

chiaro, ha chiesto l’aiuto degli<br />

esperti dell’Fbi. Aiuto accordato.<br />

Dino Asanaj, d’altronde,<br />

era anche cittadino americano.<br />

Negli Stati Uniti aveva vissuto<br />

per vent’anni e aveva tra l’altro<br />

prestato servizio, al tempo<br />

della guerra in Kosovo, come<br />

rappresentante e portavoce della<br />

causa dell’Uck. Le indagini degli<br />

americani, mentre «Narcomafie»<br />

va in tipografia, non sono ancora<br />

terminate.<br />

Il caso Asanaj tiene banco. Il fatto<br />

è che la morte del funzionario<br />

governativo, ex consigliere di<br />

Hashim Thaci e regista dell’International<br />

Village, esclusivo<br />

complesso di villette alle porte<br />

di Pristina dove risiedono diplomatici,<br />

imprenditori e politici,<br />

presenta un’infinità di ombre.<br />

Troppe. Asanaj era finito sott’inchiesta<br />

all’inizio dell’anno. Su<br />

di lui gravava il sospetto di corruzione.<br />

Secondo gli inquirenti<br />

avrebbe chiesto quattro milioni<br />

di euro all’imprenditore Remzi<br />

Ejupi, che detiene il 20% delle<br />

quote azionarie del Grand Hotel<br />

di Pristina, il più famoso albergo<br />

della capitale kosovara. La tesi<br />

dei responsabili dell’indagine,<br />

si deduce da un articolo pubbli-<br />

65 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong><br />

cato dal sito «SE Times» (www.<br />

setimes.com), dedicato all’area<br />

balcanica, è che quei quattro<br />

milioni avrebbero costituito una<br />

sorta di condizione per non intervenire<br />

sugli affari del Grand<br />

Hotel, privatizzato nel 2006 e<br />

oggetto di tanti interessi, tra cui<br />

quello del tycoon e politico Behgjet<br />

Pacolli.<br />

La struttura che Asanaj dirigeva<br />

può, secondo la legge kosovara e<br />

secondo quanto riferito sempre<br />

dal «SE Times», congelare le<br />

attività di aziende che hanno<br />

partecipato a processi di privatizzazione,<br />

se queste non rispettano<br />

i parametri fissati (posti di lavoro<br />

creati, investimento complessivo<br />

e via dicendo).<br />

Remzi Ejupi, nel momento in cui<br />

la notizia dell’inchiesta a carico<br />

di Asanaj è divenuta di dominio<br />

pubblico, dopo un articolo del<br />

giornale «Koha Ditore» pubblicato<br />

a inizio giugno, ha confermato<br />

che l’ex direttore dell’Agenzia<br />

per le privatizzazioni lo avrebbe<br />

ricattato chiedendogli l’ingente<br />

somma. Asanaj, da parte sua, ha<br />

negato. Pochi giorni dopo è stato<br />

trovato senza vita, in casa sua.<br />

Accanto al cadavere è stata rinvenuta<br />

una lettera, con calligrafia a<br />

lui attribuibile, secondo i periti.<br />

C’erano scritte queste parole:<br />

«Remzi Ejupi, il giornale «Zeri»<br />

e Abdurrahman Konjufca hanno<br />

rovinato la mia vita e quindi ho<br />

deciso di applicare la legge agendo<br />

in questo modo». Per la cronaca,<br />

il giornale «Zeri» appartiene<br />

a Ejupi e Abdurrahman Konjufca<br />

è un imprenditore che ha rilevato<br />

un impianto industriale situato<br />

a Lipjan e deputato alla produzione<br />

di carne di pollo.<br />

La lettera è criptica. Non fa che<br />

alimentare le già numerose domande<br />

che questa storia ha sollevato.<br />

Ejupi era per caso pronto<br />

a lanciare una campagna stampa<br />

contro Asanaj? Quale sarebbe il<br />

ruolo di Abdurrahman Konjufca?<br />

Considerati gli interessi di Asanaj<br />

e di Ejupi nel mattone, è possibile<br />

intravedere sullo sfondo<br />

una lotta per l’accaparramento<br />

delle risorse edilizie del Kosovo?<br />

Che significa «applicare la legge<br />

agendo in questo modo»? Forse<br />

è la prova del suicidio? Perché,<br />

allora, il governo del Kosovo ha<br />

chiesto all’Fbi di fare luce sulle<br />

cause della morte di Asanaj,<br />

dimostrando di non fidarsi dei<br />

medici legali kosovari? Questo<br />

caso può fare luce su quello che<br />

dai più è ritenuto il grande guazzabuglio<br />

delle privatizzazioni?<br />

Le indagini non hanno portato<br />

a risultati e non è possibile formulare<br />

risposte. I kosovari, che<br />

reclamano sempre più insistentemente<br />

verità, dovranno aspettare.<br />

Sperando che anche stavolta non<br />

arrivi la solita fumata nera.<br />

Intanto, la classe politica s’è spaccata.<br />

Il presidente del Parlamento,<br />

Jakup Krasniqi, fedelissimo di<br />

Thaci, ha proposto di congelare,<br />

finché non si sarà fatta la verità<br />

sul caso Asanaj e sulle altre vicende<br />

di corruzione, i processi<br />

con cui lo stato sta dismettendo<br />

le ultime quote pubbliche nel<br />

Grand Hotel, nelle miniere di<br />

Trepca e in Post-Telecom (dove<br />

potrebbe entrare l’ex segretario<br />

di Stato americano Madeleine<br />

Albright). Altri politici si sono<br />

opposti fermamente all’iniziativa<br />

di Krasniqi, dicendo che il meccanismo<br />

della privatizzazione<br />

è ormai in moto e non ha senso<br />

fermarlo.<br />

2014, via da Pristina. Quindici<br />

giugno 2014. È il giorno in<br />

cui Eulex sbaraccherà definitivamente,<br />

lasciando il Kosovo.<br />

La decisione, arrivata lo scorso


La smobilitazione<br />

da parte di Eulex<br />

è la logica<br />

conseguenza<br />

della scelta<br />

di conferire<br />

al Kosovo la<br />

piena sovranità<br />

Mitrovica, il punto più sensibile del<br />

paese e forse di tutta la penisola balcanica.<br />

Una città divisa, spaccata<br />

come una mela. Una città divisa e<br />

fortemente infiltrata dalla criminalità,<br />

tanto serba quanto albanese. Era così<br />

prima dell’indipendenza, va così<br />

oggi. Con l’aggravante che le mafie<br />

non risentono dei dissapori politici<br />

tra le due etnie, ma cooperano senza<br />

porsi grossi problemi. Gli scontri<br />

del luglio 2011 lungo il confine e la<br />

situazione ingarbugliata che permane<br />

anche adesso lungo le frontiere lo<br />

dimostrano.<br />

Tutto è cominciato dopo che il gover- gover<br />

no di Pristina, l’estate scorsa, inviò<br />

unità speciali di polizia alle dogane<br />

del nord, ufficialmente allo scopo di<br />

imporre il rispetto dell’embargo sui<br />

prodotti serbi stabilito dal governo kosovaro<br />

e aggirato grazie all’indulgenza dei<br />

funzionari serbi (sono loro a controllare<br />

i varchi). In realtà l’intento, secondo<br />

gli analisti, era quello di prendere il<br />

controllo delle frontiere.<br />

La reazione della minoranza serba,<br />

comunque, lo impedì. Furono erette<br />

agosto, è il frutto di un negoziato<br />

tra le autorità di Pristina e<br />

Catherine Ashton, responsabile<br />

della politica estera dell’Unione<br />

Europea. La smobilitazione da<br />

parte di Eulex sarà progressiva.<br />

Sono state stabilite le tre diverse<br />

fasi – settembre 2012-marzo<br />

2013; marzo-settembre 2013;<br />

settembre 2013-giugno 2014 –,<br />

durante le quali la missione verrà<br />

diluita e il governo kosovaro<br />

prenderà possesso della piena<br />

titolarità di funzioni che, fino a<br />

oggi, sono rimaste nel portafoglio<br />

di Eulex.<br />

Tutto questo è la logica conseguenza<br />

della scelta di conferire al<br />

barricate (alcune sono ancora lì a<br />

sbarrare la strada) e ingaggiati scontri<br />

con la polizia kosovare e le forze<br />

Kfor, il contingente internazionale<br />

di peacekeeping. A scatenare l’indignazione<br />

serba fu il risentimento<br />

storico nei confronti di Pristina e il<br />

rifiuto di farsi integrare, che significherebbe<br />

anche la perdita dei notevoli<br />

vantaggi economici (a partire dagli<br />

stipendi più alti) offerti da Belgrado.<br />

Ma avrebbe giocato un ruolo anche<br />

Zvonko Veselinovic, presunto mafioso<br />

locale. Sarebbe stato lui, secondo<br />

Kfor e i magistrati internazionali che<br />

operano in Kosovo, a mobilitare i<br />

connazionali, in quanto l’embargo<br />

imposto da Pristina danneggerebbe<br />

i suoi affari, principalmente legati al<br />

contrabbando di carburante.<br />

Veselinovic, secondo diplomatici, giudici<br />

internazionali e polizia kosovara,<br />

ha fatto soldi a palate importando<br />

benzina dalla Serbia senza pagare dazi<br />

e rivendendola a prezzo scontato in<br />

Kosovo. La sua fortuna la deve alla<br />

situazione fluida alle frontiere e al<br />

fatto che esse sono controllate dalle<br />

66 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong><br />

Kosovo la piena sovranità, intrapresa<br />

il 2 luglio dall’International<br />

Steering Group (Isg) for Kosovo,<br />

drappello di 25 Stati che ha monitorato<br />

l’andamento delle cose a<br />

Pristina e dintorni, dall’indipendenza<br />

a oggi. In altri termini, la<br />

seduta dell’Isg ha stabilito che<br />

è venuto il momento di porre<br />

fine al principio di “sovranità<br />

controllata” (secondo qualcuno<br />

è una versione edulcorata<br />

del concetto di protettorato)<br />

finora rimasto in vigore sulla<br />

base del piano Ahtisaari, la<br />

road map che ha scortato<br />

il Kosovo nell’epoca post<br />

indipendenza.<br />

Mitrovica, nulla è cambiato<br />

autorità serbo-kosovare, con cui l’uomo<br />

avrebbe ottimi agganci. Il tentativo<br />

di applicare regole chiare ai valichi<br />

doganali tra Kosovo e Serbia, così,<br />

avrebbe messo in discussione tutto<br />

il suo patrimonio, secondo quanto<br />

riportato l’ottobre scorso dal «New<br />

York Times». Da qui l’impegno a<br />

sostenere la causa serba, pagando<br />

addirittura la gente affinché andasse a<br />

respingere le incursioni della polizia<br />

kosovara e a rendere inapplicabile<br />

l’embargo sui beni importati dalla Ser<br />

bia, per giunta dando filo da torcere<br />

alle forze Kfor, che hanno cercato più<br />

volte di rimuovere le barricate. Senza<br />

successo. In una di queste occasioni<br />

sono stati feriti cinquanta militari del<br />

contingente. Il comando Kfor ritiene<br />

che dietro l’attacco ci sia proprio<br />

Veselinovic, con la sua grana.<br />

Tre sono le ultime notizie che lo<br />

riguardano. La prima è l’arresto, avvenuto<br />

a dicembre in Serbia, con<br />

l’accusa di produzione e trasporto<br />

di armi e materiali esplosivi. Nell’occasione<br />

è stato ammanettato pure il<br />

fratello Zarko.<br />

La domanda a questo punto<br />

è con tutta l’instabilità<br />

che c’è in Kosovo è proprio<br />

necessario togliere le tende<br />

adesso? Il paese non ha<br />

compiuto progressi così notevoli.<br />

Anzi. La corruzione<br />

è all’ordine del giorno. Gli<br />

affari criminali non segnano<br />

battute d’arresto. Ci sono in<br />

corso inchieste importanti,<br />

che toccano personaggi di<br />

primo piano. Forse a Bruxelles<br />

pensano che il Kosovo è<br />

diventato ormai una causa<br />

persa e che quindi tanto vale<br />

andarsene? Si spera di no,<br />

ovviamente.<br />

La seconda, del 22 maggio, è la per- per<br />

quisizione della sua abitazione di<br />

Doljane, abitato non distante da Mitrovica.<br />

I residenti, che lo considerano<br />

un benefattore, hanno protestato<br />

vivamente e cercato di impedire che<br />

i poliziotti inquadranti in Eulex (la<br />

missione civile europea in Kosovo)<br />

svolgessero l’operazione.<br />

La terza non riguarda Veselinovic<br />

personalmente, ma i suoi presunti soci<br />

in affari albanesi, a conferma del fatto<br />

che il crimine trascende le questioni<br />

etniche e le relative inimicizie. Tre di<br />

loro, a giugno, sono stati messi agli<br />

arresti domiciliari. Altre tre hanno<br />

scontato trenta giorni di reclusione.<br />

Tra costoro figura Mentor Beqiri, già<br />

citato nell’articolo del «New York Times»<br />

e ritenuto il principale contatto<br />

di Veselinovic, con cui avrebbe creato<br />

una catena di stazioni di benzina dove<br />

rivendere il carburante importato<br />

illegalmente dalla Serbia. Beqiri era<br />

già stato arrestato nel 2006, nel 2007<br />

e nel 2009. Ogni volta con l’accusa di<br />

evasione fiscale e ogni volta rilasciato<br />

in assenza di prove.


Il mercato degli<br />

allucinogeni sintetici<br />

67 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong><br />

Tulipani, cavalli<br />

e cuori: droghe<br />

d’autore<br />

Rappresentano un mercato florido e sempre più appetibile per la<br />

criminalità organizzata. Difficile catalogarle: la variazione molecolare<br />

della loro struttura chimica rende infatti le “designer drugs”<br />

estremamente mutevoli. E ora si cerca di correre ai ripari<br />

di Piero Innocenti


Tra il 2009 e il 2010<br />

sono state inserite<br />

nelle “tabelle”<br />

allegate alla legge<br />

sugli stupefacenti<br />

molte sostanze, ma<br />

è solo da poco più<br />

di un anno che si<br />

registra una<br />

maggiore attenzione<br />

alle droghe di<br />

origine sintetica<br />

I sequestri avvenuti lo scorso<br />

ottobre a Milano e Roma, rispettivamente<br />

di tre litri di cloridrato<br />

di metamfetamina con circa 300<br />

grammi della stessa sostanza in<br />

cristalli e di un paio di chilogrammi<br />

di amfetamine (quantitativi<br />

di tutto rilievo), hanno<br />

fatto riaccendere i riflettori sul<br />

traffico delle droghe prodotte in<br />

laboratorio. Dando uno sguardo<br />

ai dati statistici degli ultimi anni<br />

(Direzione centrale per i servizi<br />

antidroga del Dipartimento della<br />

Pubblica sicurezza), sebbene in<br />

Italia, sino ad oggi, non sia mai<br />

stato individuato un laboratorio<br />

in cui tali droghe vengono “disegnate”,<br />

lo spaccio è decisamente<br />

fiorente.<br />

Molecole di ultima generazione.<br />

Se i sequestri di stupefacenti,<br />

in generale, rappresentano, ai<br />

fini di un’analisi strategica, un<br />

importante indicatore della tendenza<br />

del consumo quando si<br />

prenda in esame un’adeguata<br />

serie temporale, sembrerebbe<br />

che negli ultimi anni il mercato<br />

degli allucinogeni sintetici sia<br />

sostanzialmente stabile e appetibile<br />

per la criminalità.<br />

Dal gennaio 2008 all’ottobre<br />

2012, il contrasto al traffico di<br />

droghe sintetiche svolto dalle<br />

forze di polizia ha portato alla<br />

denuncia alle procure della Repubblica<br />

di 1.677 persone, di cui<br />

1.227 in stato di arresto. Consistente<br />

il quantitativo globale di<br />

amfetamine e metamfetamine<br />

intercettato: oltre 200 kg e più di<br />

230mila pasticche. Solo in questi<br />

primi nove mesi, 18.927 le dosi/<br />

compresse sequestrate (nel 2011<br />

furono 16.573) e poco più di 38<br />

kg di amfetamine (39 kg nel 2011,<br />

con i sequestri più rilevanti in<br />

Lombardia con 16,8 kg, seguita<br />

dal Lazio con 15 kg e dall’Emilia<br />

68 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong><br />

Romagna con 2,71 kg). Limitatamente<br />

al 2012, le persone<br />

denunciate sono state 330 di<br />

cui 270 arrestate in flagranza di<br />

spaccio. Dal gennaio 2000 ad<br />

ottobre 2012 sono state tolte dal<br />

mercato illecito ben 3.066.308<br />

pasticche di amfetamine, con<br />

il picco dei sequestri nel 2000<br />

(579.349 compresse). Atteso che<br />

la repressione nel settore del nar<br />

cotraffico, per quanto sia innegabile<br />

e lodevole l’impegno della<br />

forze di sicurezza, comporta una<br />

percentuale piuttosto bassa dei<br />

sequestri (si stima dell’ordine del<br />

15-20%) rispetto al volume totale<br />

di droghe immesso sui mercati,<br />

se ne deve dedurre che il mercato<br />

delle “designer drugs” (o “droghe<br />

d’autore”) è ancora piuttosto<br />

florido. Oltretutto il profilo “tabellare”<br />

di tali sostanze è oggetto<br />

di continui aggiornamenti (attraverso<br />

il Sistema nazionale di<br />

allerta precoce attivato presso il<br />

Dipartimento politiche antidroga<br />

della presidenza del Consiglio<br />

dei ministri), in conseguenza<br />

delle ricorrenti rilevazioni della<br />

presenza sul mercato illecito<br />

di nuove molecole di sintesi<br />

che presentano varianti, anche<br />

modeste, rispetto alla struttura<br />

chimica di quelle già note. Tra<br />

il 2009 e il 2010 sono state inserite<br />

nelle “tabelle” allegate alla<br />

legge sugli stupefacenti molte<br />

sostanze, ma è solo da poco più<br />

di un anno che si è registrata una<br />

maggiore attenzione alle droghe<br />

di origine sintetica. Sono, infatti,<br />

dell’11 maggio e del 29 dicembre<br />

2011 i due decreti del ministero<br />

della Salute che hanno proibito<br />

il gruppo dei cannabinoidi sintetici<br />

del gruppo Jwh (dal nome<br />

dell’inventore, il chimico John<br />

W. Huffmann) e di altre sostanze<br />

di “ultima generazione” quali<br />

il “butilone” e l’AM-694. Fonti<br />

qualificate sanitarie riferiscono<br />

che ogni molecola ad effetto<br />

stupefacente può essere sintetizzata<br />

in centinaia di intermedi di<br />

reazione. In relazione a questa<br />

“elasticità” del prodotto, il cui<br />

dosaggio e la stessa composizione<br />

chimica sono ampiamente<br />

variabili, il riconoscimento<br />

della durata e della tipologia<br />

degli effetti sono effettuati dallo<br />

stesso compratore in modo<br />

semplice, attraverso i simboli, i<br />

caratteristici logo impressi sulle<br />

pasticche (ad es.il quadrifoglio, il<br />

tulipano, il cavallo, il cammello,<br />

il dollaro, il cuore e moltissimi<br />

altri). Il bacino di utenza è quello<br />

giovane, di età scolare, il cui<br />

modello di consumo presenta<br />

le caratteristiche della occasionalità<br />

e instabilità.<br />

Il Sud non apprezza? C’è, poi,<br />

una evidente differenziazione<br />

del livello di consumo per area<br />

geografica da cui risulta che il<br />

Centro-Sud è meno interessato al<br />

fenomeno e ciò, probabilmente,<br />

in relazione a fattori ambientali,<br />

di tipo culturale, ma anche alla<br />

maggiore offerta, a livello locale,<br />

di altre sostanze, quali la cannabis<br />

e i suoi derivati. In effetti, con riferimento<br />

al periodo 2009/2011 e ai<br />

primi nove mesi del 2012, si rileva<br />

che, mentre in Lombardia, Emilia<br />

Romagna e Piemonte i sequestri di<br />

pasticche di amfetamine sono stati<br />

dell’ordine di diverse migliaia e di<br />

alcune decine di chilogrammi di<br />

sostanza in polvere, nel Sud Italia<br />

i quantitativi intercettati sono<br />

davvero modesti: in Calabria<br />

solo 8 pasticche e 10 grammi<br />

in polvere; in Basilicata 101<br />

compresse; in Molise 39 compresse<br />

e 100 grammi in polvere;<br />

in Puglia 313 pasticche e 260<br />

grammi in polvere; in Abruzzo<br />

10 grammi in polvere.


Nel corso di un incontro gover- gover<br />

nativo tenutosi a Mosca a metà<br />

ottobre, il presidente russo Vladimir<br />

Putin ha affermato che nei<br />

mesi precedenti, nel Caucaso del<br />

Nord, «479 banditi erano stati<br />

arrestati, 313 terroristi uccisi in<br />

battaglia, e tra essi 43 dei loro<br />

comandanti».<br />

Soltanto alcuni giorni dopo tale<br />

annuncio, il comitato nazionale<br />

antiterrorismo russo comunicava<br />

che nuove, massicce operazioni<br />

delle forze di sicurezza in Cecenia,<br />

Daghestan ed Inguscezia avevano<br />

portato all’uccisione di 49 ribelli e<br />

alla distruzione di 90 loro basi.<br />

Simili, trionfalistici proclami, volti<br />

a rassicurare l’opinione pubblica<br />

sul mantenimento dell’ordine nelle<br />

repubbliche nordcaucasiche,<br />

trasmettono piuttosto l’impressione<br />

che l’offensiva dei gruppi<br />

armati islamisti stia aumentando,<br />

e che una parte significativa del<br />

Caucaso del Nord stia sfuggendo al<br />

controllo delle autorità federali.<br />

In Daghestan, lo scorso mese, le<br />

truppe russe sono ricorse al supporto<br />

aereo, ai tiri d’artiglieria su<br />

zone boschive e all’utilizzo di<br />

veicoli corazzati per contrastare<br />

i ribelli. Già questa primavera 25<br />

mila militari russi di stanza in<br />

Cecenia erano stati trasferiti nella<br />

vicina repubblica daghestana per<br />

combattervi le bande di guerriglieri.<br />

In questi territori aumentano<br />

anche i rapimenti (25 casi nel<br />

periodo gennaio-settembre 2012):<br />

la popolazione locale è convinta<br />

che buona parte di essi sia stata<br />

portata a termine da membri delle<br />

stesse forze di sicurezza.<br />

La vicina Cecenia è invece controllata<br />

con pugno di ferro dal<br />

presidente Ramzan Kadyrov<br />

soprattutto grazie ad un vero e<br />

proprio esercito personale. Il salafismo<br />

armato, però, non è stato<br />

sradicato neppure qui: in agosto<br />

attentatori suicidi sono tornati a<br />

colpire a Grozny.<br />

Anche in Inguscezia si succedono<br />

attentati e controffensive delle<br />

forze di sicurezza. A fine luglio, nel<br />

paese di Galashky, tre ribelli, tra<br />

cui vi sarebbero stati i due fratelli<br />

e comandanti islamisti Avdorkhanov<br />

(uno di essi, Zaurbek, è<br />

stato un luogotenente di Doku<br />

Umarov, l’inafferrabile capo dei<br />

guerriglieri e sedicente “emiro” del<br />

Caucaso del Nord, forse nascosto<br />

appunto in Inguscezia) sarebbero<br />

rimasti vittime dell’esplosione<br />

accidentale dell’ordigno che stavano<br />

preparando. All’inizio di<br />

agosto, però, Kadyrov ha attribuito<br />

il merito dell’uccisione dei tre<br />

militanti alla polizia cecena, che<br />

avrebbe effettuato un’incursione a<br />

Galashky. La presunta operazione<br />

fuori giurisdizione ha acceso una<br />

rovente polemica tra Yunus-Bek<br />

Yevkurov, presidente inguscio, e<br />

Kadyrov, che lo ha accusato di non<br />

fare abbastanza per combattere<br />

il terrorismo, minacciandolo di<br />

rimettere in questione i confini con<br />

l’Inguscezia, al fine di salvaguar<br />

dare la Cecenia dalle incursioni<br />

ribelli.<br />

Attentati contro polizia e militari<br />

sono all’ordine del giorno anche<br />

in Cabardino-Balcaria, dove l’uccisione<br />

di un poliziotto, all’inizio<br />

di questo mese, a Baksan, ha<br />

scatenato massicce operazioni<br />

antiterrorismo.<br />

A quasi un migliaio di chilometri<br />

dalla regione caucasica, in direzione<br />

nordest, attentati attribuiti ad<br />

estremisti islamici salafiti hanno<br />

69 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong><br />

Sochi non può attendere<br />

colpito quest’estate anche la repubblica<br />

del Tatarstan, un tempo<br />

modello di pacifica convivenza<br />

tra musulmani e cristiani. Sembra<br />

così prendere forma il disegno<br />

eversivo di Umarov, che l’anno<br />

scorso incitava i suoi mujaheddin<br />

a spingersi a nord sino alla regione<br />

del Volga per portarvi la jihad.<br />

Il presidente russo Putin ha sempre<br />

temuto un possibile “effetto<br />

domino”. Già nel 2000 era convinto<br />

che, se il Daghestan fosse stato<br />

travolto dall’estremismo, tutto il<br />

Caucaso del Nord avrebbe rischiato<br />

la separazione dalla federazione<br />

(peraltro auspicata dalle istanze<br />

nazionalistiche assai diffuse tra<br />

la popolazione russa), gettando<br />

nell’instabilità persino territori<br />

lontani come il Tatarstan.<br />

Le attuali operazioni antiterrorismo<br />

vengono giustificate con<br />

l’esigenza di riportare ordine nella<br />

regione prima che vi si svolgano<br />

i giochi olimpici invernali del<br />

2014 – a Sochi, sul Mar Nero,<br />

nella provincia di Krasnodar – ma<br />

la posta in gioco è assai più alta:<br />

la Russia non può permettersi<br />

di lasciare nell’instabilità il suo<br />

fronte meridionale. A sudovest<br />

del Caucaso settentrionale c’è la<br />

Georgia (ostile al governo di Mosca).<br />

E al di sotto di quest’ultima<br />

vi è la Turchia, e con essa l’area<br />

d’influenza dei Paesi Nato e delle<br />

forze militari Usa.<br />

Non va infine dimenticato che<br />

se riserve di petrolio – limitate<br />

ma di elevata qualità – sono presenti<br />

in Cecenia, è invece assai<br />

più ricca e promettente la quota<br />

russa estrattiva sul Mar Caspio,<br />

soprattutto grazie al Daghestan,<br />

che vi si affaccia con 400 chilometri<br />

di costa.<br />

di Andrea Giordano<br />

criminalità e dintorni<br />

cronachesommerse


Segnali<br />

70 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong><br />

Napoli<br />

illegal tour<br />

di Guido Piccoli, foto di No Comment<br />

Non è né la prima e nemmeno<br />

l’unica offerta del genere. A<br />

Chicago, come a Medellín o a<br />

Palermo vengono proposte visite<br />

guidate nei luoghi dove<br />

vissero e agirono personaggi<br />

come Al Capone, Escobar, Riina<br />

e altri mafiosi. Gli scopi<br />

sono spesso diversi: si va dal<br />

fine sinceramente cronachistico<br />

o commemorativo a quello<br />

più banalmente commerciale.<br />

Di comune, ci sono quasi sempre<br />

le polemiche generate. E le<br />

polemiche sono infuriate anche<br />

a Napoli, dopo che l’associazione<br />

No Comment, che dal<br />

1999 fa dell’immagine il suo<br />

principale veicolo informativo,<br />

ha invitato cittadini e istituzioni,<br />

compreso il ministro dell’Interno<br />

Annamaria Cancellieri,<br />

al “Naples illegal tour”, una<br />

passeggiata di un paio d’ore<br />

nel centro cittadino per prendere<br />

visione di quelli che sono<br />

definiti «i luoghi cult dell’illegalità<br />

diffusa e della disubbidienza<br />

incivile generalizzata».<br />

Qualche giornale ha bollato<br />

l’iniziativa come scandalistica,<br />

perché si porterebbero a spasso<br />

i turisti per farli «assistere<br />

addirittura a un crimine (dallo<br />

scippo alla sparatoria) senza<br />

intervenire», creando di fatto<br />

una specie di «lunapark criminale».<br />

Un lettore ha sostenuto<br />

che «sono finiti i tempi raccontati<br />

da Nanni Loy nel film Pacco,<br />

paccotto e contropaccotto<br />

ed è ora di smetterla con queste<br />

iniziative di finto folklore». Il<br />

responsabile del progetto sotto<br />

accusa, che si è dato il soprannome<br />

di Tony Laruspa, oltre a<br />

rigettare qualunque sospetto<br />

di lucro («le uniche persone<br />

che accompagniamo sono i<br />

volontari interessati al progetto<br />

di fotografia sociale, il tour<br />

turistico l’ha inventato la stampa,<br />

il corso è completamente<br />

gratuito»), sostiene che l’unico<br />

scopo dell’iniziativa è quello<br />

di far conoscere una realtà sotto<br />

gli occhi di tutti, ma dimen-


ticata e spesso negata da ogni<br />

autorità cittadina e nazionale.<br />

«È come se l’avessimo protocollata.<br />

D’ora in poi, nessuno<br />

potrà più dire di non sapere»,<br />

spiega Tony Laruspa, ricordando<br />

che i territori sotto i riflettori,<br />

almeno per ora, non sono<br />

i palcoscenici privilegiati dalla<br />

cronaca nera che comprendono,<br />

ad esempio, Secondigliano<br />

e Scampia (che il libro e il<br />

film “Gomorra” hanno fatto<br />

conoscere nel mondo) e nemmeno<br />

i disastrati agglomerati<br />

orientali di S.Giovanni a Teduccio<br />

e Ponticelli, teatro di<br />

parecchi omicidi, ma anche di<br />

varie scorribande razziste e<br />

diversi episodi di barbarie sociale:<br />

tutti comunque tanto<br />

periferici e malfamati da essere<br />

considerati e da risultare<br />

“off-limits” non solo per qualunque<br />

straniero, ma anche per<br />

una gran parte dei napoletani.<br />

Ad essere prima visitate e poi,<br />

magari, raccontate per immagini<br />

e telegrafiche didascalie<br />

sono invece tre differenti piazze<br />

del centro storico che i turisti<br />

normalmente percorrono,<br />

in quanto vicine alla stazione<br />

ferroviaria o ad alcuni dei più<br />

famosi monumenti o chiese<br />

della città. Il cosiddetto “Illegal<br />

tour” è infatti collegato ad<br />

un’altra iniziativa di No Comment,<br />

un corso di “fotografia<br />

sociale” on the road (www.<br />

fotografiasociale.it ) iniziato<br />

nel 2006 e rivolto ai giovani<br />

residenti e anche agli studenti<br />

universitari con un duplice<br />

scopo: insegnare loro l’arte fotografica<br />

offrendo una possibilità<br />

occupazionale, ma anche<br />

contribuendo alla conservazione<br />

della memoria storica dei<br />

quartieri, attraverso le interviste<br />

con gli anziani o la testimo-<br />

nianza degli antichi mestieri<br />

in via d’estinzione. «È stato<br />

durante queste lezioni on the<br />

road che abbiamo notato la<br />

presenza, sempre più numerosa,<br />

di un particolare tipo di<br />

turisti: per lo più giovani, spesso<br />

soli o in coppia, comunque<br />

mai a gruppi, vestiti in maniera<br />

sobria, che per fotografare<br />

preferiscono usare molto discretamente<br />

i telefonini. Non<br />

sono affatto degli osservatori<br />

sprovveduti, anzi danno l’impressione<br />

di saper bene cosa<br />

vedere e come muoversi senza<br />

dare nell’occhio», dice Tony<br />

Laruspa. Secondo lui i “travellers<br />

of the reality” – qualche<br />

migliaio tra italiani e stranieri,<br />

soprattutto tedeschi e spagnoli<br />

– aumentano continuamente.<br />

«Tra le persone che abbiamo<br />

conosciuto quest’anno ci sono<br />

due studenti parigini di architettura,<br />

Joe Lawton, un fotografo<br />

di New York, una docente<br />

di lingue proveniente dalla<br />

Svizzera e due ragazze di San<br />

Pietroburgo. Anche il progetto<br />

di Illegal Tour è nato parlando<br />

con un’epistemologa svizzera»,<br />

racconta Tony. Accusati di diffondere<br />

una cattiva immagine<br />

di Napoli o, peggio, di magnificare<br />

l’illegalità, quelli di No<br />

Comment sostengono di limitarsi<br />

a fare denunce circostanziate<br />

e documentate dell’inettitudine<br />

istituzionale, anche in<br />

tema ambientale. Ottenendo,<br />

talvolta, qualche risultato.<br />

Come ad esempio, la rimozione<br />

di animali in putrefazione<br />

e immondizia dalla vasca della<br />

Fontana del Formiello, gioiello<br />

architettonico risalente al<br />

1573 di Porta Capuana, oppure<br />

lo smantellamento di un<br />

accampamento di clochard<br />

provenienti dall’Est europeo<br />

71 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong><br />

sorto sulle aiuole del Maschio<br />

Angioino, ad un centinaio di<br />

metri dal Palazzo San Giacomo,<br />

sede del municipio, e a poche<br />

decine di metri dalle banchine<br />

degli aliscafi e delle navi da<br />

crociera. Oppure, dopo anni,<br />

la collocazione di cestini<br />

dell’immondizia o la rimozione<br />

di alberi secchi e pericolanti,<br />

nel cuore del centro antico.<br />

Spesso, le denunce si riducono<br />

a prese d’atto di un crimine<br />

non solo impunito, ma anche<br />

presumibilmente ignorato dalle<br />

autorità, come la distruzione,<br />

ad opera dei vandali, delle teste<br />

della cosiddetta Fontana di<br />

Masaniello, nel bel mezzo di<br />

piazza Mercato, oppure l’aggressione<br />

quotidiana, ad opera<br />

di baby gang, delle badanti<br />

provenienti dall’Est europeo<br />

che si ritrovano soprattutto in<br />

piazza Enrico De Nicola, o dello<br />

stato di abbandono di giardini<br />

e luoghi di interesse storico.<br />

«Chi ci critica interpreta<br />

la sofferenza civile della denuncia<br />

con lo scandalismo fine<br />

a se stesso», dicono quelli di<br />

No Comment, decisi a continuare<br />

nonostante gli scarsi risultati<br />

delle loro denunce.<br />

Portano ad esempio piazza<br />

Mancini, di fronte alla stazione<br />

Centrale, storico luogo di partenza<br />

di quasi tutti i cortei cittadini,<br />

all’ombra della statua<br />

di Garibaldi, consumata dalla<br />

ruggine e dagli escrementi dei<br />

piccioni, ripulita in occasione<br />

dei 150 anni dell’unità d’Italia.<br />

Un paio d’anni fa, la giunta<br />

diretta da Rosa Russo Jervolino<br />

fece sgomberare lo storico mercatino<br />

che l’occupava in gran<br />

parte, superando una strenua<br />

resistenza dei commercianti,<br />

per lo più abusivi, per fare spazio<br />

ad un parcheggio. Adesso<br />

la piazza è subappaltata da coloro<br />

che governano il territorio<br />

(clan e sottoclan camorristici)<br />

per lo più a maghrebini che<br />

vendono merce contraffatta,<br />

dando vita al rituale quotidiano<br />

di ripiegamenti e riconquiste<br />

degli spazi con le squadre<br />

di polizia municipale. Quindi,


Segnali<br />

dove c’era un mercato, più o<br />

meno stabile sebbene in parte<br />

illegale, adesso c’è un caos più<br />

apparente che reale, in quanto<br />

asservito alle granitiche leggi<br />

della camorra. Come in altre<br />

zone considerate dall’Illegal<br />

tour, c’è un’assegnazione precisa<br />

degli spazi. Da una parte<br />

le bancarelle vere e proprie, da<br />

un’altra lo spazio dove agiscono<br />

i cosiddetti “paccottari”,<br />

impegnati a rifilare agli ingenui<br />

di turno, con la tecnica dello<br />

scambio delle buste dopo un<br />

finto allarme riguardo l’arrivo<br />

delle “guardie”, dalle finte stecche<br />

di sigarette a improbabili<br />

cellulari e tablet. E ancora, i<br />

tavolini dove una squadra formata<br />

da almeno una mezza<br />

dozzina di persone truffa l’isolato<br />

sprovveduto con il gioco<br />

delle tre carte e magari lo spazio<br />

per qualche prostituta diurna.<br />

Isole d’illegalità dove sono<br />

tollerati furti con destrezza<br />

(spesso con l’utilizzo di lunghe<br />

pinze chirurgiche), ma non<br />

scippi o rapine che danneggerebbero<br />

il commercio. Paragonata<br />

alla perfetta organizzazion<br />

e c r i m i n a l e r i s u l t a<br />

imbarazzante l’assenza o la<br />

manifesta incapacità delle au-<br />

72 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong><br />

torità. «Per dimostrarlo, basti<br />

questo dato: la domenica successiva<br />

alla notizia dei nostri<br />

tour, controllando uno dei luoghi<br />

prescelti, il Borgo San Antonio,<br />

detto O’ Buvero, abbiamo<br />

notato che invece le bancarelle<br />

utilizzate per la vendita delle<br />

sigarette di contrabbando<br />

fossero passate da 23 a 33. Un<br />

terzo in più», dice Tony, che<br />

ricorda come sia difficile spiegare,<br />

soprattutto agli stranieri,<br />

le ragioni dell’inerzia istituzionale,<br />

oltretutto nel capoluogo<br />

di una regione che, negli ultimi<br />

25 anni, ha dato i natali a ben<br />

sei ministri degli Interni su<br />

quattordici. È quindi legittima<br />

la domanda formulata nel foglio<br />

che promuove l’Illegal Tour:<br />

«È soltanto la cronica inefficienza<br />

dei governi locali o sotto<br />

sotto c’è una misteriosa ragion<br />

di Stato?». La risposta non<br />

è facile. Secondo quelli di No<br />

Comment all’origine c’è l’impotenza<br />

delle istituzioni che,<br />

non avendo nient’altro da offrire<br />

in termine di occupazione,<br />

appaltano l’amministrazione<br />

del territorio, al di là dei fiumi<br />

di retorica, a chi dimostra di<br />

poterlo e saperlo controllare,<br />

cioè alla malavita. «Ci sareb-<br />

bero altre strade, ma richiederebbero<br />

progetti per il lavoro,<br />

investimenti per la riqualificazione<br />

dei quartieri e comunque<br />

sarebbero successivi al riconoscimento<br />

della realtà per quella<br />

che è, senza fronzoli, decorazioni<br />

o omissioni. Quello che<br />

vediamo è tutt’altro: invece di<br />

mettere le basi per una trasformazione<br />

della realtà, si fa di<br />

tutto per nasconderla o per<br />

camuffarla con la politica dei<br />

Grandi Eventi (dall’America’s<br />

Cup alla Coppa Davis per non<br />

parlare dei vari Forum internazionali),<br />

che possono al massimo<br />

affascinare per un breve<br />

lasso di tempo, proprio come<br />

un arcobaleno, la città lasciandola<br />

comunque tristemente<br />

immutata. Il vero grande evento<br />

per gli ostaggi della Malanapoli<br />

sarebbero vivibilità e una<br />

convivenza civile ordinaria.<br />

Insomma, la normalità», conclude<br />

Tony Laruspa. Non a<br />

caso, il prossimo progetto<br />

dell’associazione ha un titolo<br />

che è tutto un programma, “Il<br />

senso del senso civico”. Soprattutto<br />

a Napoli, la speranza<br />

continua a rivelarsi l’ultima a<br />

morire.


Di riciclaggio si parla spesso, ma<br />

quasi mai si entra nello specifico<br />

del reato: come avviene, quali<br />

vantaggi apporta alla criminalità<br />

organizzata e come lo si può<br />

contrastare. Per capire che cosa si<br />

intenda per “riciclaggio” e quali<br />

siano gli strumenti per contrastarlo,<br />

Giuffré editore ha pubblicato<br />

un volume monografico dal titolo<br />

Il riciclaggio del denaro, a cura<br />

dell’avvocato Ermanno Cappa<br />

e del professor Luigi Domenico<br />

Cerqua, presidente di Sezione<br />

della Corte d’Appello di Milano.<br />

Tra gli autori anche l’ex Procuratore<br />

nazionale antimafia, Pierluigi<br />

Vigna (scomparso il 28 settembre<br />

2012, ndr), e l’avvocato Giorgio<br />

Ambrosoli.<br />

È proprio Vigna a fare il punto<br />

sul reato e sui modi con cui le<br />

mafie riciclano denaro, spesso<br />

con la compiacenza di imprenditori<br />

taglieggiati. Secondo l’ex<br />

procuratore, infatti, il reato del<br />

riciclaggio è andato ampliandosi<br />

negli anni. Dal vecchio contrabbando<br />

di tabacco lavorato di quasi<br />

mezzo secolo fa, si è passati al<br />

traffico di stupefacenti, di armi,<br />

di rifiuti, oltre ai proventi delle<br />

estorsioni, di tangenti e usura, del<br />

traffico di esseri umani. Un fiume<br />

di denaro immesso e “ripulito”<br />

nell’economia legale, pari al 10%<br />

del Pil italiano. Basti pensare che<br />

il fatturato delle organizzazioni<br />

criminali nostrane si aggira tra<br />

i 180 e i 200 miliardi di euro<br />

l’anno, «buona parte dei quali –<br />

scrive Vigna – destinata ad essere<br />

investita nell’economia legale è<br />

oggetto di riciclaggio».<br />

Il riciclaggio, inoltre, è transnazionale<br />

e segue le merci: tabacchi,<br />

stupefacenti, armi, rifiuti, prodotti<br />

contraffatti. Anche le mafie sono<br />

ormai globalizzate. A una tale<br />

pervasività mondiale – sottolinea<br />

Vigna – non corrisponde un’altrettanta<br />

omogeneità sul fronte<br />

legislativo: ogni paese fa a modo<br />

suo e ci sono Stati in cui le leggi<br />

vengono fatte applicare, altri in<br />

cui invece si chiude un occhio.<br />

Le banconote di grosso taglio.<br />

«Dalle elaborazioni effettuate<br />

sui dati pubblicati dalla Banca<br />

Centrale Europea nel 2009 – ricorda<br />

l’ex Procuratore – è emerso<br />

che le banconote da 500 euro<br />

rappresentavano, in valore, il<br />

35% della circolazione di euro,<br />

con una domanda in forte crescita<br />

fin dal 2002, anno in cui<br />

fu introdotta la nostra divisa. In<br />

ambito nazionale, l’analisi della<br />

distribuzione territoriale della<br />

domanda di banconote da 500<br />

euro delle banche presso le filiali<br />

della Banca d’Italia mostra una<br />

significativa concentrazione in<br />

alcune province limitrofe a Paesi<br />

a legislazione fiscale e antiriciclaggio<br />

non stringenti».<br />

Si tratta di una richiesta generalizzata:<br />

secondo quanto emerso<br />

dall’Agenzia inglese sul crimine<br />

organizzato, nel Regno Unito il<br />

50% della domanda di banconote<br />

75 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong><br />

Riciclaggio,<br />

sorridono le mafie<br />

di Emilio Fabio Torsello<br />

da 500 euro verrebbe da organizzazioni<br />

criminali. Nascondere le<br />

banconote di grosso calibro per<br />

portarle all’estero è facile. Basta<br />

un pacchetto di sigarette: arrotolate,<br />

possono entrarci pezzi da 500<br />

euro per un valore complessivo<br />

di 20mila euro. Una valigetta,<br />

invece, può arrivare a nascondere<br />

anche sei milioni di euro. Dai 31<br />

miliardi del 2002, le banconote da<br />

500 euro sono passate «all’odierno<br />

ammontare di 284 miliardi»,<br />

precisa Vigna.<br />

Gli effetti sull’economia legale.<br />

Tra i principali effetti del fenomeno<br />

del riciclaggio, la distorsione<br />

dell’economia legale e la creazione<br />

di monopoli e oligopoli. I<br />

principali settori in cui vengono<br />

reinvestiti i proventi frutto di<br />

operazioni illecite sono l’edilizia,<br />

il commercio, gli appalti pubblici,<br />

l’abbigliamento, il mercato alimentare,<br />

l’industria dello svago<br />

e del lusso, il turismo e la ristorazione,<br />

le strutture sanitarie e lo<br />

smaltimento (legale) dei rifiuti.<br />

L’impresa mafiosa. Alla base del<br />

riciclaggio “inserito” nell’economia<br />

legale, l’impresa mafiosa. Nel<br />

primo dopoguerra si trattava di<br />

aziende guidate da criminali che<br />

si imponevano sul mercato con<br />

lo “stile” proprio delle mafie.<br />

Una situazione facilmente individuabile<br />

che non avrebbe però<br />

potuto reggere a lungo, grazie<br />

anche alla legge sulla confisca<br />

Ermanno Cappa,<br />

Luigi Domenico Cerqua<br />

(a cura di)<br />

IL RIcIcLaGGIo<br />

deL denaRo<br />

Giuffré Editore<br />

pagine 392<br />

euro 46,00


dei beni. Si è così sviluppata<br />

la seconda tipologia di impresa<br />

mafiosa, dove la criminalità non<br />

gestisce direttamente né ha la<br />

titolarità formale dell’azienda<br />

ma “si limita” a esercitare per<br />

via mediata la sua influenza. In<br />

questo secondo caso tutto è in<br />

apparenza pulito.<br />

Una terza tipologia di impresa<br />

funzionale al riciclaggio, invece,<br />

è quella “a partecipazione<br />

mafiosa” e alla quale – scrive<br />

Vigna – si riferisce la descrizione<br />

dell’ associazione di tipo mafioso<br />

quando il Legislatore individua,<br />

tra le altre sue finalità, quella di<br />

«acquistare in modo diretto o<br />

indiretto la gestione o comunque<br />

il controllo di attività economiche».<br />

In quest’ultima tipologia<br />

La situazione italiana sul fronte<br />

della legislazione antiriciclaggio<br />

come si pone nel panorama internazionale?<br />

La legislazione speciale italiana non<br />

ha nulla da invidiare alle altre legislazioni,<br />

europee ed extra-europee. Anzi,<br />

la prima legge antiriciclaggio italiana<br />

risale al 1991 (legge n. 197-1991),<br />

precisamente nel luglio ‘91 e, trattandosi<br />

di legge di conversione di un<br />

decreto risalente a maggio 1991, prese<br />

vigore, appunto, dal mese di maggio<br />

di quell’anno. Orbene, la prima direttiva<br />

comunitaria antiriciclaggio<br />

(91/308/Cee) fu emanata a giugno<br />

1991 e, pertanto, risulta evidente che<br />

la prima legge italiana è precedente<br />

alla prima direttiva comunitaria in<br />

argomento.<br />

L’impianto generale della legge (oggi,<br />

il decreto legislativo n. 231 del 2007,<br />

di recepimento della 3 ˆ direttiva comunitaria<br />

2005/60/Cee) è conforme<br />

ai migliori standard internazionali ed<br />

offre talune punte avanzate: ad esempio<br />

nella definizione molto ampia di<br />

riciclaggio stabilita all’art. 2.<br />

di impresa «il titolare formale<br />

– spiega Vigna – non è un prestanome,<br />

ma rappresenta anche<br />

i propri interessi. L’esponente<br />

mafioso può associarsi a un altro<br />

imprenditore attraverso l’interposizione<br />

di un prestanome oppure<br />

in modo diretto, ma non formalizzato,<br />

costituendo una società di<br />

fatto. In entrambi i casi la presenza<br />

degli interessi mafiosi resta celata<br />

all’esterno. La relazione societaria<br />

si fonda sulla parola, senza alcun<br />

documento che attesti il rapporto<br />

di compartecipazione del mafioso<br />

all’impresa […] alla forza del<br />

documento si sostituisce quella<br />

della mafia».<br />

Rapporti mafia-impresa. Diversi,<br />

secondo alcune analisi<br />

Certo la legge da sola non basta: sono<br />

gli uomini che la applicano, che fanno<br />

la differenza. D’altra parte, vi sono nazioni<br />

“chiacchierate”, che malgrado<br />

la bassa reputazione (giusta o ingiusta<br />

che sia) dal punto di vista della prevenzione<br />

al riciclaggio, sono munite<br />

di leggi formalmente irreprensibili: si<br />

pensi alla Repubblica di San Marino,<br />

che, con buona pace per i detrattori,<br />

dispone da alcuni anni di una legge<br />

antiriciclaggio di tutto rispetto.<br />

Tornando all’Italia, va precisato che la<br />

disciplina del contrasto al riciclaggio<br />

è contenuta non soltanto nella relativa<br />

legge speciale (di cui si parla tanto),<br />

bensì anche nel Codice penale (artt.<br />

648-bis e 648-ter). Qui le criticità<br />

non mancano e, da questo punto di<br />

vista, ci troviamo purtroppo in una<br />

posizione di retroguardia rispetto a<br />

molti altri paesi.<br />

In che termini?<br />

In base al Codice penale italiano, il<br />

riciclaggio si configura come reato<br />

che presuppone necessariamente<br />

la consumazione di un altro reato:<br />

76 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong><br />

convalidate dalle risultanze di<br />

indagine, sono poi i rapporti che<br />

nascono tra le diverse imprese e<br />

le mafie.<br />

Il primo è di concorrenza, con<br />

l’impresa legale che subisce la<br />

concorrenza dell’azienda criminale:<br />

«Questo rapporto – scrive<br />

Vigna – si concretizza ad esempio<br />

in una autolimitazione rispetto a<br />

possibili progetti di investimento<br />

che lo stesso imprenditore legale<br />

si impone per non turbare equilibri<br />

mafiosi o per non esporsi<br />

a possibili appetiti del gruppo<br />

criminale».<br />

Il secondo rapporto è di “protezione-estorsione”,<br />

altrimenti noto<br />

come “pizzo”. C’è poi il rapporto<br />

di convivenza: ad esempio,<br />

non si partecipa a gare di appalti<br />

prima commetto una rapina, poi devo<br />

ripulire questo denaro per renderlo<br />

spendibile e, quindi, lo riciclo: si<br />

tratta di due momenti differenti, che<br />

il Codice tratta in maniera nettamente<br />

separata. In pratica, chi commette la<br />

rapina (e chi concorre nella commissione<br />

di quest’ultima) non è punito<br />

per il riciclaggio del denaro rapinato,<br />

bensì soltanto per la rapina. È il cosiddetto<br />

“privilegio di auto-riciclaggio”,<br />

una incongruenza del nostro Codice<br />

criticata da più parti. Ancor più criticata<br />

se solo si consideri che talvolta il<br />

riciclaggio è punito più gravemente<br />

rispetto al reato presupposto, talché,<br />

colui il quale è preso con le mani nel<br />

sacco a riciclare, spesso, ha paradossalmente<br />

interesse ad autodenunciarsi<br />

quale autore o “concorrente”<br />

del reato-presupposto, per ottenere<br />

una riduzione di pena. Si tratta di<br />

un’incongruenza che penalizza non<br />

poco l’efficacia della repressione del<br />

riciclaggio. Varie sono le proposte di<br />

riforma del Codice penale finalizzate<br />

a recidere questa incongruenza. Spero<br />

che ciò avvenga presto.<br />

pubblici.<br />

Il terzo rapporto è di scambio:<br />

ferma restando l’autonomia delle<br />

due imprese, avvengono reciproci<br />

scambi di favori.<br />

Il quarto rapporto è di “collaborazione<br />

associativa”: l’impresa<br />

legale subappalta lavori all’impresa<br />

mafiosa. Clamoroso il caso<br />

della Parmalat che prima del<br />

“crac”aveva affidato la distribuzione<br />

dei propri prodotti nel<br />

casertano a clan dei Casalesi.<br />

L’ultimo rapporto è di “compartecipazione”:<br />

si tratta dell’impresa<br />

a partecipazione mafiosa.<br />

Su tutte queste tipologie, grava<br />

come un macigno l’enorme disponibilità<br />

economica di denaro<br />

in capo alle imprese mafiose. Se<br />

infatti nell’economia legale i ru-<br />

nessuno può abbassare la guardia<br />

Le mafie riciclano ovunque perché il<br />

riciclaggio dei proventi dell’attività<br />

criminosa costituisce un elemento<br />

irrinunciabile di sopravvivenza: senza<br />

riciclaggio, le mafie non sarebbero<br />

in grado di spendere i quattrini e le<br />

utilità realizzate attraverso la propria<br />

attività criminale.<br />

Indubbiamente la mafie, forti di una<br />

“professionalità” sorprendente, utilizzano<br />

i canali maggiormente fluidi<br />

e per esse rassicuranti, ponendo in<br />

essere, spesso, operazioni transnazionali<br />

comportanti uno scarrozzare<br />

di quattrini fra vari Stati, allo scopo<br />

evidente di far perdere le tracce dei<br />

trasferimenti. Va da sé, inoltre, che<br />

posta la stretta connessione fra il<br />

riciclaggio del denaro e l’evasione<br />

fiscale, gli arcinoti “paradisi fiscali”<br />

costituiscono una meta, perlomeno di<br />

passaggio, pressoché obbligata.<br />

La normativa italiana di contrasto al<br />

riciclaggio: quali i punti deboli?<br />

La normativa antiriciclaggio italiana,<br />

come tutte le leggi, non è scevra<br />

di criticità. Tanto per citarne una


inetti del credito sono chiusi, le<br />

mafie possono attingere a bacini<br />

di denari praticamente sconfinati:<br />

alle aziende lontane dal panorama<br />

criminale, invece, in mancanza di<br />

una protezione da parte dello Stato,<br />

non restano molte possibilità di<br />

sopravvivenza.<br />

L’intermediario finanziario. Per<br />

arginare il fenomeno del riciclaggio,<br />

è stata di recente introdotta la<br />

responsabilità degli intermediari<br />

finanziari, chiamati a segnalare le<br />

operazioni sospette. «La norma in<br />

esame – scrive nel volume Umberto<br />

Ambrosoli – ha introdotto una<br />

prospettiva di portata fondamentale,<br />

trasformando l’intermediario<br />

da garante del cliente a controllore<br />

e sostanziale ausiliario della<br />

manciata, vale la pena di considerare,<br />

prima di tutto, che l’impianto<br />

generale della norma si fonda sostanzialmente<br />

sul principio della c.d.<br />

collaborazione attiva dei destinatari<br />

(banche, finanziarie, fiduciarie, Poste,<br />

professionisti etc.) chiamati, fra<br />

l’altro, a segnalare alla Uif, l’Unità<br />

di informazione finanziaria istituita<br />

presso la Banca d’Italia, le operazioni<br />

sospette di riciclaggio.<br />

È evidente che un sistema che faccia<br />

perno su un meccanismo di mero<br />

sospetto è di per se stesso debole: il<br />

sospetto è un fatto psicologico imperscrutabile,<br />

tanto che la legge, almeno<br />

in linea di principio, rivelandosi<br />

assolutamente “diabolica” la prova<br />

che il sospetto vi sia o non vi sia nella<br />

mente del soggetto tenuto alla segnalazione,<br />

non sanziona penalmente la<br />

mancata segnalazione di operazione<br />

“sospetta”, ma la sanziona soltanto<br />

in via amministrativa.<br />

Vi sono poi varie incongruenze di<br />

tipo tecnico, che riguardano la formulazione<br />

delle norme, spesso di<br />

difficile interpretazione, a scapito<br />

dell’efficacia delle stesse.<br />

Vi è altresì una certa asimmetria fra<br />

il dovere di collaborazione dei desti-<br />

Giustizia». E intervistato da «Narcomafie»,<br />

Ambrosoli specifica:<br />

«Dimensione e complessità dei<br />

rapporti nell’ambito dei quali<br />

azioni di riciclaggio possono<br />

avere luogo, non deve stupire<br />

che lo Stato chieda aiuto a chi di<br />

quei rapporti, in piena fisiologia,<br />

è tipicamente artefice. L’affidare<br />

ai professionisti una parte di<br />

responsabilità nel contrasto al<br />

riciclaggio non è dunque altro<br />

che responsabilizzazione».<br />

Ma tra le possibili soluzioni per<br />

ostacolare il riciclaggio attraverso<br />

la tracciabilità, quella di far pagare<br />

anche cifre minime attraverso<br />

canali elettronici. Una via teorica<br />

che però, secondo Ambrosoli,<br />

ancora non è praticabile. «Il pagamento<br />

elettronico – spiega – ha<br />

natari delle norme e l’attività delle<br />

autorità inquirenti e di polizia, attività<br />

quasi sempre coperta dal segreto.<br />

Vi è infine un certo abbandono degli<br />

operatori i quali, ad esempio, dopo<br />

avere segnalato come sospetto un<br />

cliente, faticano ad operare con lui,<br />

o a chiudere il rapporto, in assenza<br />

di istruzioni precise da parte degli<br />

inquirenti.<br />

Insomma, la legge è perfettibile; tuttavia<br />

è necessaria e irrinunciabile.<br />

Quanto, mediante il riciclaggio, la<br />

criminalità organizzata è ormai<br />

entrata nel sistema legale?<br />

Temo vi sia già entrata in maniera consistente.<br />

La criminalità organizzata<br />

ricicla a più non posso: varie sono le<br />

stime in circolazione e secondo le più<br />

accreditate (Banca d’Italia, Procura<br />

antimafia) ogni giorno, soltanto in<br />

Italia, vengono riciclati 400 milioni di<br />

euro: una “industria” che rappresenta<br />

il 10% del Pil. Le segnalazioni di<br />

operazioni sospette di cui si è detto,<br />

peraltro, sono indubbiamente uno<br />

strumento utile (oltreché necessario)<br />

e danno luogo ogni anno ad investigazioni,<br />

processi e condanne non da<br />

poco. Secondo il Procuratore Antima-<br />

77 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong><br />

dei costi che troppi utenti – anche<br />

potenziali – vivono come eccessivo,<br />

non sempre a torto. Certamente,<br />

intervenendo a riguardo,<br />

la politica potrebbe ottenere il<br />

risultato di meglio contrastare<br />

“il nero” (troppo radicato nelle<br />

abitudini del Paese, così come<br />

di altre economie)».<br />

Ad oggi contro il riciclaggio servono<br />

solo ed esclusivamente i controlli<br />

e le risorse per far applicare<br />

leggi e norme che pure esistono<br />

(vedi l’intervista box sotto, ndr.),<br />

ma che troppo spesso sono armi<br />

di un esercito povero di uomini e<br />

mezzi. Per tacer delle mafie che<br />

continuano a “ripulire” denaro<br />

e capitali frutto di operazioni illecite.<br />

Per la criminalità la crisi<br />

economica è solo un’occasione.<br />

fia, con un fatturato di 150 miliardi di<br />

euro la “holding del riciclaggio” è la<br />

prima azienda del Paese, davanti – ad<br />

esempio – a un colosso come Eni. Con<br />

ciò, non credo – non voglio credere<br />

– che la criminalità organizzata si sia<br />

impossessata dell’impresa Italiana.<br />

Certo è che, con la forza finanziaria<br />

perversa di cui dispone, dobbiamo<br />

considerare l’impresa criminale come<br />

il più temibile competitor dell’impresa<br />

legale e quindi, in ultima analisi,<br />

come il peggior nemico dell’economia<br />

legale. Nessuno può abbassare<br />

la guardia.<br />

nuove forme di riciclaggio: Money<br />

Transfer e compro oro. due piani<br />

diversi per diverse entità di denaro<br />

riciclato?<br />

Sì, i due piani sono diversi, ma lo<br />

sono soltanto dal punto di vista<br />

delle singole strutture organizzative<br />

e delle singole quantità relative<br />

alle operazioni svolte. Al di là di<br />

ciò, credo che il riciclaggio vada<br />

considerato unitariamente come un<br />

fenomeno di inquinamento degli<br />

affari, dell’economia, della democrazia<br />

e della civiltà, da contrastare<br />

senza cedimenti.


del mese a cura di Marika Demaria<br />

SHARE<br />

SHAREle segnalazioni<br />

raccolta fotografica<br />

Una, Letizia, è una delle più<br />

apprezzate fotografe a livello<br />

internazionale. Negli anni in<br />

cui la mafia ha insanguinato<br />

la Sicilia, era sempre in prima<br />

linea, immortalando momenti<br />

drammatici e cruenti della<br />

storia italiana contempora-<br />

nea, dagli anni di piombo ai<br />

giorni nostri. L’altra, Michela,<br />

è una giovane professionista<br />

raccolta iconografica<br />

78 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong><br />

del settore della fotografia.<br />

Entrambe palermitane. Con<br />

lo stesso cognome: Battaglia.<br />

I loro lavori, rispettivamente<br />

“Il dolore della battaglia” e<br />

“Topografia della memoria”,<br />

raccontano luoghi, nomi e<br />

volti di una Palermo, di una<br />

Sicilia degli anni 80 e 90.<br />

Un prezioso cofanetto il cui<br />

contenuto, ha nei mesi scorsi<br />

“La Battaglia<br />

contro la mafia”<br />

dato vita anche a una mostra<br />

fotografica. Due i volumi racchiusi<br />

all’interno del cofanetto:<br />

all’interno della prima<br />

pubblicazione ritroviamo gli<br />

scatti più belli della fotoreporter<br />

palermitana, mentre nella<br />

seconda i luoghi degli eccidi,<br />

della Palermo degli anni 80 e<br />

90, sono descritti con dovizia<br />

di particolari.<br />

Letizia Battaglia e Michela Battaglia, “Storie di mafia” Postcart Edizioni, 2012<br />

Museo della ‘ndrangheta, il libro<br />

Più di 400 pagine per raccontare,<br />

in maniera documentata, con<br />

scritti e fotografie, l’ultimo qua<br />

driennio della storia calabrese.<br />

Le attività delle Procure anti<br />

mafia e Direzione distrettuale<br />

antimafia reggine, la presenza<br />

e il radicamento della ’ndran<br />

gheta nella provincia di Reggio,<br />

la strategia della violenza e del<br />

consenso. E ancora: l’economia<br />

della mafia liquida, la zona gri<br />

gia, i latitanti e i collaboratori di<br />

giustizia. Capitoli scritti da chi<br />

la lotta alla ’ndrangheta l’ha vis<br />

suta e la vive in prima persona,<br />

come magistrato, rappresentante<br />

delle forze dell’ordine, amministratore<br />

pubblico. La prefazione<br />

è affidata al già presidente della<br />

Commissione parlamentare<br />

antimafia Francesco Forgione,<br />

mentre il docente universitario<br />

Enzo Ciconte cura le conclusioni.<br />

L’ultimo capitolo è dedicato<br />

all’“Altra città”: come la Calabria,<br />

Reggio in particolare,<br />

ha deciso di ribellarsi al giogo<br />

mafioso, impegnandosi anche<br />

come società civile.<br />

Claudio La Camera, ricerca iconografica e foto di Adriano Sapone,<br />

Libro bianco sulla ‘ndrangheta, ‘ndrangheta<br />

Aracne editrice, 2012


libri<br />

“Storia di una<br />

testimone<br />

di giustizia”<br />

Nel 1991 Cosa nostra le uccise<br />

il marito Nicola, boss di<br />

Partanna, lasciandola vedova<br />

con una bambina piccola da<br />

crescere e una cognata, Rita,<br />

da proteggere, da tenere per<br />

mano per affrontare insieme<br />

una nuova vita, per fidarsi insieme<br />

di un magistrato, Paolo<br />

Borsellino. Il 26 luglio 1992<br />

Rita Atria si toglierà la vita a<br />

soli 17 anni, a una settimana<br />

di distanza dalla strage di Via<br />

d’Amelio.<br />

A combattere questa battaglia<br />

rimane solo lei, Piera Aiello.<br />

Per la prima volta, la sua storia<br />

raccontata a quattro mani<br />

con il giornalista Umberto<br />

Lucentini, già autore di “Paolo<br />

Borsellino. Il valore di una<br />

vita”, la biografia autorizzata<br />

del magistrato ucciso il 19<br />

luglio 1992.<br />

79 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong><br />

11 vite per<br />

il giornalismo<br />

«Chi ha in mano il testimone ha<br />

una grave responsabilità: non<br />

perderlo, non farlo cadere, essere<br />

degno dello sforzo del compagno<br />

che glielo ha passato, anzi,<br />

tentare di fare meglio». Nella<br />

prefazione scritta da Salvo Vitale<br />

il senso di un progetto promosso<br />

da Navarra editore: 11 giornalisti<br />

contemporanei raccontano tratti<br />

inediti di chi ha pagato con<br />

la vita l’amore per la verità. Le<br />

royalties saranno devolute alla<br />

rivista «Casablanca».<br />

Vivere Napoli<br />

Un racconto realistico e crudo,<br />

uno squarcio della vita di quartiere,<br />

in una città come Napoli.<br />

Poco più di cento pagine per<br />

descrivere con ritmo, con lo<br />

stile di appunti di vita annotati<br />

sul diario personale, storie di<br />

camorristi, tossicodipenden-<br />

In Campania si contano 77 televisioni<br />

e 165 radio locali registrate.<br />

Un “bottino” che non<br />

può non far gola alla camorra<br />

e ai suoi accoliti, costituito da<br />

finanziamenti pubblici – 12<br />

milioni di euro annui –, spot<br />

elettorali, posti di lavoro. Da<br />

tradursi in consenso sociale e<br />

“pulizia” del denaro sporco.<br />

Le prefazioni sono firmate da<br />

Giommaria Monti, direttore di<br />

«Left», e da Amato Lamberti,<br />

scomparso poco dopo la pubblicazione<br />

del libro-inchiesta.<br />

AA. VV.<br />

Passaggio di testimone<br />

Navarra editore, 2012<br />

teatro ti, prostitute. Il protagonista<br />

Entra<br />

in scena<br />

la lotta<br />

alla mafia<br />

«Finché la mafia esiste bisogna<br />

parlarne, discuterne, reagire.<br />

Il silenzio è l’ossigeno grazie<br />

al quale i sistemi criminali<br />

si riorganizzano e la pericolosissima<br />

simbiosi di mafia,<br />

economia e potere si rafforza. I<br />

silenzi di oggi siamo destinati<br />

a pagarli duramente domani».<br />

Così Pietro Grasso, nel suo<br />

“Per non morire di mafia”, incitava<br />

i lettori a occuparsi della<br />

lotta alle mafie, che non deve<br />

essere un dovere di qualcuno,<br />

ma di tutti. La sua biografia<br />

viene riproposta in versione<br />

teatrale da Sebastiano Lo Monaco,<br />

già applaudito interprete<br />

al debutto della pièce.<br />

Per informazioni:<br />

www.teatrocarcano.com<br />

Piera Aiello e<br />

Umberto Lucentini,<br />

“Maledetta mafia”<br />

Edizioni San Paolo, 2012<br />

è un giovane trentenne che,<br />

dopo essere partito per “cercare<br />

fortuna” al Nord, decide, vedendo<br />

le proprie aspettative<br />

deluse, di ritornare a Napoli,<br />

scegliendo la periferia. Con un<br />

finale a sorpresa.<br />

Antonio Montanaro,<br />

Rabbia e camorra,<br />

Round Robin, 2012<br />

“Va in onda la camorra” Alessandro<br />

De Pascale<br />

Telecamorra<br />

Lantana, 2012


Lampedusa,<br />

vietato<br />

morire<br />

Nell’indifferenza mediatica (quasi)<br />

generale Giusi Nicolini, sindaco di<br />

Lampedusa, ha dichiarato che il<br />

cimitero locale dei “senza nome”<br />

(i migranti) è pieno e, quindi, non<br />

si sa più dove collocare le bare di<br />

quei poveracci che non ce l’hanno<br />

fatta, da vivi, a raggiungere la “terra<br />

promessa”. Triste e mortificante<br />

la riflessione del sindaco: «Sono<br />

sempre più convinta che la politica<br />

europea sull’immigrazione consideri<br />

questo tributo di vite umane<br />

un modo per calmierare i flussi, se<br />

non un deterrente». Considerazione<br />

ancor di più umiliante e amara se<br />

si riflette sulla importante presenza<br />

di personalità del mondo cattolico<br />

nel governo “tecnico” e, comunque,<br />

in un governo dove non c’è più<br />

l’ingombro di quei politici leghisti<br />

che tanta parte hanno avuto, in un<br />

recente passato, nella creazione<br />

artificiale della paura e dell’odio<br />

verso gli “invasori”.<br />

Una notizia brutta che si aggiunge<br />

alle molte altre che ancora caratterizzano<br />

quel mondo di disperati,<br />

uomini, donne e bambini,<br />

che arrivano dalle nostre parti per<br />

un’accoglienza e una solidarietà<br />

spesso carenti. Il fenomeno migratorio,<br />

d’altronde, non diminuisce<br />

affatto, anzi. Né possono<br />

essere confrontati (magari per far<br />

contenti quei politici che hanno<br />

strumentalizzato l’immigrazione e<br />

che vedono “nero” dappertutto),<br />

i dati (diminuiti) sugli “arrivi”<br />

del 2012 soltanto con quelli del<br />

2011, quando si registrò il picco<br />

degli sbarchi a causa delle guerre<br />

e rivolte (alcune, apparentemente,<br />

risolte, altre attenuate e altre<br />

ancora in svolgimento), in diversi<br />

paesi del nord Africa.<br />

80 | novembre 2012 | <strong>narcomafie</strong><br />

di Piero Innocenti<br />

Dal primo gennaio di quest’anno<br />

al primo novembre, le forze<br />

di polizia, nei consueti servizi di<br />

controllo sul territorio nazionale,<br />

hanno rintracciato 30.583 stranieri<br />

“irregolari” e di questi 10.850<br />

sono quelli “sbarcati” sulle coste<br />

o, comunque, soccorsi in mare. Dei<br />

30.853 ne sono stati rimpatriati<br />

effettivamente 15.602 attraverso<br />

le procedure previste dalla legge<br />

(respinti alla frontiera, respinti dai<br />

questori, espulsi dal prefetto con<br />

accompagnamento alla frontiera,<br />

espulsi su provvedimento della<br />

magistratura, riammessi nei paesi<br />

di provenienza). Per i rimanenti<br />

14.891, il rimpatrio non c’è stato in<br />

quanto sono stati “inottemperanti”:<br />

all’ordine del questore; all’intimazione<br />

del prefetto; all’ordine del<br />

questore con la denuncia alla magistratura<br />

per la sanzione pecuniaria<br />

conseguente (non ci sono notizie<br />

di sanzioni inflitte dal giudice di<br />

pace che siano state pagate).<br />

Anche dal confronto con i dati degli<br />

sbarchi nel 2010, si vede chiaramente<br />

come i flussi nel corrente<br />

anno continuino ad interessare<br />

l’Italia in modo consistente. La<br />

conferma che le “drastiche” misure<br />

legislative (alcune illegittime) ed<br />

operative (inopportune e ingiuste)<br />

adottate dal ministro dell’Interno<br />

del tempo, il leghista Maroni, non<br />

siano servite a nulla se non a far<br />

morire, in mare o nelle carceri libiche,<br />

centinaia di migranti. Infatti,<br />

se nel 2010 a Lampedusa, Linosa e<br />

Lampione, i migranti sbarcati erano<br />

stati “soltanto” 459, nel 2012, alla<br />

data del 10 novembre, sono stati<br />

ben 3.792. Analogamente per gli<br />

altri “approdi” siciliani quando<br />

nel 2010 furono 805 e nel 2012<br />

ben 2.934. Le cose non sono andate<br />

diversamente sulle coste pugliesi<br />

(1.513 sbarcati nel 2010, contro i<br />

2.393 del 2012) e su quelle calabresi<br />

(1.280 nel 2010 e 1.727 nel 2012),<br />

con stranieri di origine prevalentemente<br />

afghana, irachena e iraniana,<br />

spinti a raggiungere queste coste per<br />

la recrudescenza dei conflitti che<br />

stanno devastando quei Paesi.<br />

Il sindaco di Lampedusa – che,<br />

giustamente, sottolinea come la<br />

morte in mare dei migranti «debba<br />

essere per l’Europa motivo di<br />

vergogna e di disonore» – fa riferimento<br />

all’impiego, per i soccorsi<br />

nei tratti di mare vicino alle coste<br />

libiche, delle “velocissime motovedette”<br />

regalate a Gheddafi dal<br />

nostro Governo nel 2009/2010. La<br />

realtà, anche qui, è avvilente. Sin<br />

dall’aprile 2012, l’ambasciata italiana<br />

a Tripoli, dopo un incontro<br />

con il capo delle Capitanerie di<br />

Porto della Libia, comunicava al<br />

nostro ministero dell’Interno le<br />

«difficoltà a riprendere i pattugliamenti<br />

delle coste in quanto<br />

delle sei motovedette donate a<br />

suo tempo dall’Italia ne restano<br />

quattro, non operative (sic!), per<br />

il cui ripristino occorrerebbe, tra<br />

l’altro, una fornitura urgente di<br />

almeno 15 pezzi di ricambio».<br />

Da allora non si sono avute più<br />

notizie di pattugliamenti “congiunti”<br />

in mare nelle rispettive<br />

acque territoriali secondo il<br />

protocollo tecnico operativo del<br />

2009 firmato dai Capi delle Polizie<br />

italiana e libica.<br />

Questa è la drammatica e vergognosa<br />

realtà. Destinata, purtroppo,<br />

a non cambiare nonostante le belle<br />

e ripetute dichiarazioni pubbliche<br />

dei nostri governanti.


numero 11 | 2012<br />

numero 11 | 2012 | 3 euro<br />

Mensile | Anno XX | Poste italiane S.p.A | SPED. IN A.P. D.L. 353/2003 (conv. in L.27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 1 DCB | To. ISSN 1127-9117<br />

IL CALO DELLE DENUNCE, L’ASCESA<br />

DELLA CRIMINALITà ORGANIZZATA<br />

NELLE MAGLIE<br />

DELL’USURA


SOMMARIO3 |<br />

L’EDITORIALE<br />

I costi della mancata prevenzione<br />

di Livio Pepino<br />

6 | RIFIUTI IN CAMPANIA<br />

Il ricatto della munnezza<br />

di Roberta Polese<br />

12 | I GIORNI DELLA CIVETTA<br />

Brevi di mafia<br />

a cura di Manuela Mareso<br />

15 | INTERVISTA AD ALESSANDRA CERRETI<br />

Essere donna contro la ’ndrangheta<br />

di Emanuela Zuccalà<br />

19 | TRENTESIMO ANNIVERSARIO<br />

Un poliziotto semplice<br />

di Elisa Latella<br />

21 | NUOVE RESISTENZE<br />

Denunciare a Palermo<br />

di Laura Galesi<br />

22 | COSE NOSTRE<br />

Antimafia all’ombra della madonnina<br />

di Marika Demaria<br />

24 | STROZZATECI TUTTI<br />

Il papà dei pulcini<br />

di Marcello Ravveduto<br />

35 | DOSSIER USURA<br />

Il bot delle mafie<br />

di Peppe Ruggiero<br />

Il bilancio dei cravattari<br />

di Laura Galesi<br />

Viaggio dove i soldi<br />

sparano più della lupara<br />

di P. P.<br />

Il tesoro scippato<br />

di P. P.<br />

Il galateo degli strozzini<br />

di P. P.<br />

Quando l’economia è in crisi,<br />

esplode l’usura<br />

intervista a Dario Scaletta<br />

di Angelo Meli<br />

54| ALTARISOLUZIONE<br />

Taranto resiste<br />

testo e foto di Marika Puicher<br />

58 | OCCIDENTI<br />

Rassegna stampa internazionale<br />

a cura di Stefania Bizzarri<br />

61 | RAPPORTI UE-PRISTINA<br />

Kosovo, la legge dell’impunità<br />

di Matteo Tacconi<br />

69 | CRONACHE SOMMERSE<br />

Sochi non può attendere<br />

di Andrea Giordano<br />

72 | SEGNALI<br />

Napoli illegal tour<br />

di Guido Piccoli<br />

75 | SEGNALIBRO<br />

Riciclaggio, sorridono le mafie<br />

di Emilio Fabio Torsello<br />

78 | SHARE<br />

Le segnalazioni del mese<br />

a cura di Marika Demaria<br />

80 | L’OPINIONE<br />

Lampedusa, vietato morire<br />

di Piero Innocenti

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