ESSERE - Gennaio Febbraio 2012.pdf - CSA Arezzo

INCHIESTA: Riflessioni sul perdono
Parliamo di perdono
di Alberto Mancini
Quando parliamo di perdono spesso ci riferiamo a due ‘cose’ fondamentalmente
diverse: a quello che, se vogliamo, possiamo definire ‘perdono’ sociale e
pubblico, della comunità e dello Stato - che solitamente si concretizza in
amnistie, in migliori condizioni di detenzione, in sgravi temporali di pena
per un’eventuale buona condotta, nel non applicare la pena di morte anche
per reati gravissimi come l’omicidio e la strage – e al perdono individuale e
personale, intimo alla persona.
Il primo è governato dagli usi e dalla mentalità etica del singolo popolo, e
dalle conseguenti leggi adottate dai suoi legislatori; il secondo è il risultato di
un’azione misteriosa e delicata, che riguarda chi è perdonato e soprattutto, in
prima persona, chi perdona.
1- Il Diritto statale nell’antichità
Per chi all’interno di una comunità ha commesso un crimine ai danni di uno o
più individui, ed è stato scoperto, è sempre scattato da parte della comunità
stessa un procedimento giudiziario penale che, a seconda dei tempi, delle
comunità o degli Stati, ha avuto le sue precise norme di applicazione e i suoi iter,
nella convinzione che, in mancanza di una pena per i vari reati, la confusione e
l’arbitrio incontrollato dei singoli possono condurre una comunità o un Paese
allo sfaldamento più o meno totale della civile convivenza.
In effetti, anche oggi si ritiene che in uno Stato dove si verificasse l’assenza o
la restrizione e limitazione del Diritto pubblico nei suoi vari aspetti, cioè di quel
Diritto stabilito dai legislatori coerentemente con la mentalità dei cittadini, essi,
tutti, anche i più restii e pacifici, si troverebbero prima o poi nella necessità di
esercitare una continua legittima difesa che presto condurrebbe al ‘Far West’.
Nel mondo antico, a livello del Diritto salvaguardato dallo Stato, il ‘perdono’
non esisteva o quasi. Il Codice di Hammurabi ( 9 - circa 0 a. C), con la