ESSERE - Gennaio Febbraio 2012.pdf - CSA Arezzo
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cambiamenti<br />
bisogno di allontanarsi oltre che di liberarsi da tanta incrostazione, a cercare<br />
almeno per se stessi uno spazio (la curtis) più rispondente alla condizione<br />
umana.<br />
Nonostante ciò, dobbiamo sforzarci di osservare il clima e il contesto socioeconomico<br />
sotto un altro aspetto, meno per le conseguenze che ne discendono<br />
e più per le reazioni soprattutto positive che possono derivarne. Come pure<br />
la recessione che, oltre ad essere un fatto socio-politico-economico, ha<br />
provocato e provoca una rivoluzione nei comportamenti generali di tantissime<br />
persone, nelle aspettative di vita, nella qualità della vita. Questi sono eventi<br />
che di fatto hanno prodotto e producono almeno due conseguenze: fanno<br />
vedere la vacuità di quelle cose che prima erano ritenute importanti, portano<br />
a riconsiderare le cose semplici per cui è bello vivere, vale la pena impegnarsi,<br />
vale la pena ripensarci nella nostra fondamentale natura/condizione di esseri<br />
sociali aperti alla socialità, bisognosi di reciprocità, dipendenti negli affetti e<br />
affamati di libertà.<br />
Non si tratta di demonizzare l’economia di mercato perché più di ogni altra<br />
invenzione ci ha emancipati dalle necessità e soprattutto di dipendere dalla<br />
benevolenza degli altri. Piuttosto è’ da demonizzare il sistema su cui si è<br />
sviluppata l’economia di mercato e le conseguenze sul piano etico e sociale che<br />
sono derivate. Sono queste considerazioni che spingono a ritenere che ciò che<br />
più conta è in fondo una vita felice, anche se ciò vuole significare reinventare lo<br />
stesso modo di vivere. La terra pertanto rappresenta il luogo dell’accoglienza,<br />
della apertura amicale, dei nuovi orizzonti, delle nuove frontiere in cui a<br />
prevalere è l’uomo, il suo bisogno di felicità, di stare con gli altri e con gli altri<br />
cooperare per sentirsi comunità.<br />
Le cose così come sono, la quotidianità fino ad oggi vissuta ci hanno resi<br />
scontenti e insoddisfatti. Abbiamo capito che mentre in noi veniva appagata la<br />
frenesia del possesso contestualmente cresceva il desiderio delle cose ancora<br />
non possedute. Ci siamo resi conto che la nostra è una società individualista ed<br />
egoista, che non crea soggetti liberi ma consumatori coatti.<br />
Non si tratta di demonizzare il consumismo, né di mitizzare l’austerità, bensì la<br />
solidarietà. E’ la solidarietà, un mondo più equo e più rispettoso dei valori di<br />
fondo cui siamo stati legati per molto tempo nella nostra vita, che determina<br />
l’apertura dei mercati e la crescita del benessere. In assenza della solidarietà,<br />
continuiamo ad essere sottomessi alla logica del mercato, mentre il popolo<br />
continua a non avere il diritto di decidere il suo destino perché è il mercato<br />
finanziario a scegliere per lui.<br />
L’alternativa a questo stato di cose è una società conviviale. Una società che<br />
non sia sottomessa alla sola legge del mercato che distrugge alla radice il<br />
sentimento del legame sociale, bensì capace di riscoprire il sentimento del<br />
legame sociale, quel sentimento che per molto tempo è stato la nostra forza e<br />
la nostra salvezza. Quel legame sociale che sta alla base della socialità, della vita<br />
comune, la cui forza è lo spirito del dono, cioè del dare, ricevere, ricambiare.<br />
Dobbiamo ricomporre la frantumazione della socialità usando la reciprocità<br />
come collante, come risorsa e valore, e l’antiutilitarismo quale condizione<br />
necessaria per incrementare una nuova economia, quella della felicità.