ESSERE - Gennaio Febbraio 2012.pdf - CSA Arezzo
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sentito dire: “ti perdono” percependone un qualsiasi senso profondo. Penso<br />
invece che tutte le persone, soprattutto le più fortunate, abbiano conosciuto<br />
la sensazione di benessere che deriva dal sentire solide quelle relazioni che si<br />
temevano compromesse per la propria colpa, reale o immaginaria che fosse.<br />
La nostra serenità dipende da questo bilancio della riconciliazione che ci rende<br />
persona e umani a pieno titolo grazie alla reciproca amorevole accettazione<br />
non compromessa dalle avverse paturnie.<br />
Perdono è essere oggetto di perdono. Un perdono libero non posseduto<br />
da alcuna privativa. È uscire dal buio, dal freddo, dalla solitudine paventati e<br />
ritrovarsi nel calore, nella compagnia, nell’armonia. La pace e l’amore dopo la<br />
tempesta. È questo il processo dolente e benevolo della fatica di vivere (essere<br />
e divenire) facilitato dallo sguardo del padre, dallo sguardo della madre, oggi<br />
così assenti. Un padre che segna le ragioni dell’appartenenza con la legge,<br />
una madre che ne protegge gli affetti con il perdono. Oggi che la loro assenza<br />
lascia una società sempre più polverizzata dalla negazione della colpa capace<br />
di ridicolizzare il bisogno di inclusione del perdonarsi per la ristrettezza di<br />
orizzonti circoscritti ai singoli individui senza colpa e senza perdono.<br />
Sul perdono e la vendetta si misura la nostra felicità ed il senso che vogliamo<br />
dare alla nostra vita.<br />
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