ESSERE - Gennaio Febbraio 2012.pdf - CSA Arezzo
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ubriche<br />
con il proprio esistere. Il genitore che uccide i propri figli, l’amico che uccide<br />
gli amici. La colpa delle vittime che si trasferisce su altre vittime come quel<br />
rosario di fuoco che un bambino si dipingeva sul braccio con un pennarello<br />
rosso dopo aver visto innumerevoli volte la madre bucarsi nelle vene delle<br />
braccia. Potranno allora quelle braccia sorrette con la forza di chi ne regga<br />
il contatto amorevolmente, contenere con devozione l’angoscia degli infiniti<br />
bambini abbandonati da questa processione di imperdonabili genitori? Dalla<br />
risposta a questa domanda può derivare la possibilità di perdonarsi di questa<br />
mamma ed il suo diventare risorsa per i propri orfani.<br />
E ancora che dire di quel cattivo ladrone che ride mentre sprofonda nella notte<br />
dell’angoscia? Mi ricorda tanto il silenzio alienato dei bambini ai funerali dei<br />
genitori che essi hanno uccisi. Un parricidio alle origini stesse della civiltà,<br />
non per questo meno intollerabile, forse solo meno sconvolgente rispetto<br />
all’ordine storico delle cose: i genitori si ritirano all’incedere dei figli. Ancora<br />
una volta nessuno, nemmeno il genitore morto, possono perdonare; né c’è<br />
compensazione per chi uccide le proprie origini, che la storia a volte vuole<br />
rigenerare. Forse questa colpa esige l’espiazione di un viaggio nel deserto<br />
verso altre terre, forse di un viaggio iniziatico al centro di se stessi del proprio<br />
cuore e del proprio dolore fino alla ri/nascita nella/della futura generazione,<br />
della propria paternità, maternità.<br />
E ancora come sopravvivere al mio nemico? Quel nemico che magari è in me,<br />
nella mia famiglia, nella mia comunità, nello spazio adiacente al mio? Con un<br />
odio simmetrico? C’è spazio o tempo per il mio perdono? E chi sono io, e chi<br />
è lui? Forse da qualche parte, anche qui il perdono insegna qualcosa, parla<br />
forse di una riconciliazione possibile, parla di paura, di un amore negato, di<br />
una reintegrazione impensabile, temuta… che io non credo mai impossibile.<br />
Riconciliazione, pace, amore.<br />
E ancora, colpe e bisogno di perdono si temono, si scansano, si cercano, si<br />
desiderano là dove l’amore e la morte mischiano i propri umori nella difficoltà e<br />
nel dolore della separazione e della ricerca di noi stessi; non ricercandosi nella<br />
identità ma nella contaminazione di comunioni senza esclusioni. Nel confronto,<br />
nel contatto, non nello scontro e nel distacco. Un dono che ci riporta a noi<br />
stessi.<br />
Tralascio un altro singolare caso che riguarda una incredibile forma di abuso del<br />
perdono, in sistemi chiusi, tale da rendere superflua la colpa. Questo discorso<br />
ci porterebbe lontani per cui mi fermo alla constatazione che facilmente in tali<br />
nidi così confusi l’identità, le responsabilità sono impedite da una appartenenza<br />
narcotizzata da una rescissione di umanità per l’impedimento di un minimo<br />
confronto con un mondo eccessivamente temuto ed escluso che può sfociare<br />
nella psicopatia.<br />
Comunque il perdono ci riporta a contatto con il nostro essere e quello degli<br />
altri, ci riporta ad integrarci con la nostra vita e quella altrui, a ritrovare la pace<br />
nella comunione dopo la perdita di noi stessi nell’angoscia, nella solitudine,<br />
nel deserto. La nostra salute il nostro benessere sono in proporzione diretta<br />
con le colpe ed il processo di pacificazione che consente il sentirsi amati di<br />
un amore non compromesso dalla colpa. Penso che nessuno di noi si sia mai