ESSERE - Gennaio Febbraio 2012.pdf - CSA Arezzo
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Riflessioni<br />
sul perdono<br />
n.1<br />
<strong>Gennaio</strong>/<strong>Febbraio</strong>
Bimestrale del Centro di Solidarietà di <strong>Arezzo</strong><br />
ANNO XXIV n. 1 - <strong>Gennaio</strong>/<strong>Febbraio</strong><br />
www.csaarezzoonlus.it<br />
DIRETTORE RESPONSABILE<br />
Anna Maria Berni<br />
CONDIRETTORE<br />
Vittorio Gepponi<br />
VICEDIRETTORE<br />
Orazio Scandurra<br />
pag. 4<br />
pag. 5<br />
pag. 7<br />
pag. 19<br />
pag. 24<br />
pag. 26<br />
pag. 28<br />
pag. 30<br />
Segretaria di Redazione<br />
Gabriella Cantarelli<br />
Coordinatore di Redazione<br />
Vivetta De Filippi<br />
Coordinatore Scientifico<br />
Luca Deganutti<br />
Ufficio Stampa<br />
Francesco Baroni<br />
EDITORIALE<br />
Un esercizio di libertà - Anna Maria Berni<br />
CAMBIAMENTI<br />
Economia e felicità - Orazio Scandurra<br />
DIREZIONE E REDAZIONE<br />
Via Teofilo Torri, 42<br />
52100 <strong>Arezzo</strong><br />
Tel. 0575 302038<br />
Fax 0575 324710<br />
Una copia 2,58<br />
Abbonamento ordinario 15,50<br />
Benemerito 25,82<br />
Redazione<br />
Lilia Losi - Luciano Petrai - Emilia Crestini - Orazio Scandurra<br />
Gemma Mondanelli - Pier Luigi Ricci - Alberto Mancini<br />
Hanno collaborato ha questo numero:<br />
O. Scandurra - A. Mancini - V. Gepponi<br />
L. Deganutti - G. Panella - F. Baroni<br />
G. Mondanelli - F. Sensini<br />
L. Petrai<br />
L’INCHIESTA<br />
Riflessioni sul perdono - A. Mancini, G. Mondanelli, F. Sensini, V. Gepponi<br />
RUBRICHE<br />
Imperdonabili - Luca Deganutti<br />
SPAZIO APERTO<br />
Le moderne contraddizioni della nostra coscienza - Luciano Petrai<br />
NOTIZIE DAL CENTRO<br />
Agricoltura sociale - Francesco Baroni<br />
ANGOLO DEL PENSIERO<br />
Il poeta ristretto - Stefano Angiolini<br />
PROFILI D’AUTORE<br />
L’altra faccia della luna - a cura di G. Panella<br />
Certificazione ISO 9001:2008<br />
In copertina: La scelta.<br />
Copertina e impaginazione:<br />
MB ArtWork - 347 2610493<br />
mbartwork@libero.it<br />
Stampa: Tipostampa - Lama (Pg)<br />
Registrazione al Tribunale di <strong>Arezzo</strong><br />
al n. 2 del Registro Stampa 1989<br />
Versamenti intestati a:<br />
C.S.A. Centro di Solidarietà di <strong>Arezzo</strong><br />
c/c postale n. 10834521<br />
Codice IBAN IT 07 B076 0114 1000 0001 0834 521
UNA DOMANDA<br />
AL DIRETTORE<br />
Caro Direttore,<br />
mi spiace essere così critica nei confronti dei media ma ogni giorno di più la<br />
credibilità dei giornali va a….farsi benedire e non sono solo io a dirlo ma anche osservatori più<br />
autorevoli. La mia critica non è rivolta a voi che fate veramente un giornalismo diverso e,<br />
proprio per questo mi interessa sapere da lei caro direttore se considera questo appunto troppo<br />
esagerato.<br />
Direi di no. Il problema della credibilità dei media è in realtà complesso e richiama<br />
molti fattori: dal condizionamento esercitato sulle testate dal potere politico<br />
ed economico, inserzionisti, agli attacchi al pluralismo dell’informazione; dalla<br />
tendenza alla spettacolarizzazione alla professionalità degli stessi giornalisti. Il<br />
giornalismo è anzitutto servizio pubblico che vuole responsabilità, professionalità<br />
e competenza. E i giornalisti devono essere consapevoli che, ogni volta che<br />
c’è un particolare omesso o un concetto distorto o peggio ancora alterato<br />
per presentare uno “scoop”, si viene meno a questa responsabilità ad un’etica<br />
professionale che veramente offusca la credibilità dell’informazione.<br />
Tuttavia lasciami spezzare una lancia in favore dei giornalisti.<br />
Ci sono paesi dove fare giornalismo significa essere degli eroi. Ad esempio<br />
paesi dove le guerre civili li espongono alle violenze delle parti coinvolte dalle<br />
autorità di governo, ai signori della guerra locali e dove, nonostante tutto,<br />
continuano ad operare dando notizie evitando la censura dei poteri locali<br />
nemici della libertà dell’informazione. Ci sono ancora uomini e donne disposti<br />
a rischiare la vita in nome del diritto all’informazione e ad una società più aperta<br />
e democratica: l’altra faccia della medaglia.<br />
Marcia<br />
per il Ce.I.S.<br />
Il Direttore<br />
Stefania Borrelli (prov. <strong>Arezzo</strong>)
EDITORIALE<br />
Un esercizio di libertà<br />
di Anna Maria Berni<br />
E’ quando si decide di andare al di là di noi stessi, al di la dei luoghi comuni,<br />
quando si cerca di scavare in profondità su noi che si può comprendere a<br />
pieno il senso del perdono.<br />
Il perdono richiede sempre coraggio e non può essere messo al servizio dei<br />
nostri interessi altrimenti è solo un surrogato. Il coraggio del perdono non<br />
è quindi semplicemente l’impegno di una “ricerca intellettuale” ma, quella<br />
di guardare a noi stessi con schiettezza senza rifugiarci in fretta nell’accusa<br />
degli altri per giustificare le nostre mediocrità. Il perdono è quel valore stesso<br />
della vita umana che tutti sosteniamo solo a parole. E’ un esercizio di libertà,<br />
una scelta personale come lo è ogni vero atto libero. Lo stesso desiderio di<br />
cambiare il mondo se si cercano più in profondità le sue radici è sostenuto<br />
dalla speranza di una riconciliazione tra gli uomini, speranza che ha bisogno di<br />
una testimonianza individuale per rimanere accesa.<br />
Riconciliazione dunque perdono: un concetto così impalpabile e così al di fuori<br />
del nostro egocentrismo! Eppure penso che arrendersi al perdono non sia mai<br />
una sconfitta ma una vittoria.
CAMBIAMENTI<br />
Economia e felicità<br />
di Orazio Scandurra<br />
Nel precedente numero di Essere, ho riportato i risultati di una recente<br />
indagine che ho giudicato particolarmente significativi. Infatti, la particolarità,<br />
che è anche lo scopo della ricerca, sta nel tentativo che gli estensori hanno<br />
voluto interrogarsi e rispondere principalmente a due domande, cioè: ) La<br />
recessione cosa ha portato in Italia? ) Cosa significa qualità della vita per gli<br />
italiani? Il dato che emerge dalle risposte alle due domande è singolare e oltre<br />
modo significativo se consideriamo la delicata condizione socio-economica e<br />
non solo in cui il nostro Paese oggi si trova. Infatti, se per l’8 % degli intervistati<br />
la felicità conta più del denaro, ritengo che per questi la felicità sia una attività<br />
dell’anima, sia conforme alla virtù per quanto non svincolata dal bisogno di<br />
beni materiali, di salute, di bellezza, di contemplazione.<br />
La felicità non è una astrazione, né una filosofia di vita, né una religione, essa è<br />
plurale perché l’uomo per essere felice ha bisogno di molte cose, soprattutto<br />
di serenità nello spirito e di lavoro quotidiano. Inoltre è legata alla equilibrata<br />
combinazione di vari ingredienti, alcuni sono strumentali altri appartengono<br />
all’uomo stesso come la bellezza, l’amicizia, la virtù. Sono queste cose, la loro<br />
giusta armonizzazione, che rendono una persona felice, la rendono più aperta<br />
verso la società, più propensa a mettersi in gioco, ad aprire il proprio animo<br />
verso nuove esperienze di vita ritenute più esaltanti e meno stressanti. E’ la<br />
condizione comune alle tante persone che, volendo essere felici, sentirsi e vivere<br />
in modo felice, avvertono il bisogno-necessità di liberarsi dai condizionamenti<br />
di una società che ha fallito sul piano economico e su quello dei valori civili.<br />
L’ostentazione del potere esercitato per molto tempo in modo offensivo,<br />
l’esaltazione della propria individualità, dell’io posso, dell’io voglio, le<br />
conseguenze di un consumismo diffuso e mortificante che ha travolto persino<br />
gli stessi sentimenti e gli stessi valori etici e sociali, valori che sono a fondamento<br />
della stessa condizione umana, tutto ciò ha prodotto un generale rigetto, il
cambiamenti<br />
bisogno di allontanarsi oltre che di liberarsi da tanta incrostazione, a cercare<br />
almeno per se stessi uno spazio (la curtis) più rispondente alla condizione<br />
umana.<br />
Nonostante ciò, dobbiamo sforzarci di osservare il clima e il contesto socioeconomico<br />
sotto un altro aspetto, meno per le conseguenze che ne discendono<br />
e più per le reazioni soprattutto positive che possono derivarne. Come pure<br />
la recessione che, oltre ad essere un fatto socio-politico-economico, ha<br />
provocato e provoca una rivoluzione nei comportamenti generali di tantissime<br />
persone, nelle aspettative di vita, nella qualità della vita. Questi sono eventi<br />
che di fatto hanno prodotto e producono almeno due conseguenze: fanno<br />
vedere la vacuità di quelle cose che prima erano ritenute importanti, portano<br />
a riconsiderare le cose semplici per cui è bello vivere, vale la pena impegnarsi,<br />
vale la pena ripensarci nella nostra fondamentale natura/condizione di esseri<br />
sociali aperti alla socialità, bisognosi di reciprocità, dipendenti negli affetti e<br />
affamati di libertà.<br />
Non si tratta di demonizzare l’economia di mercato perché più di ogni altra<br />
invenzione ci ha emancipati dalle necessità e soprattutto di dipendere dalla<br />
benevolenza degli altri. Piuttosto è’ da demonizzare il sistema su cui si è<br />
sviluppata l’economia di mercato e le conseguenze sul piano etico e sociale che<br />
sono derivate. Sono queste considerazioni che spingono a ritenere che ciò che<br />
più conta è in fondo una vita felice, anche se ciò vuole significare reinventare lo<br />
stesso modo di vivere. La terra pertanto rappresenta il luogo dell’accoglienza,<br />
della apertura amicale, dei nuovi orizzonti, delle nuove frontiere in cui a<br />
prevalere è l’uomo, il suo bisogno di felicità, di stare con gli altri e con gli altri<br />
cooperare per sentirsi comunità.<br />
Le cose così come sono, la quotidianità fino ad oggi vissuta ci hanno resi<br />
scontenti e insoddisfatti. Abbiamo capito che mentre in noi veniva appagata la<br />
frenesia del possesso contestualmente cresceva il desiderio delle cose ancora<br />
non possedute. Ci siamo resi conto che la nostra è una società individualista ed<br />
egoista, che non crea soggetti liberi ma consumatori coatti.<br />
Non si tratta di demonizzare il consumismo, né di mitizzare l’austerità, bensì la<br />
solidarietà. E’ la solidarietà, un mondo più equo e più rispettoso dei valori di<br />
fondo cui siamo stati legati per molto tempo nella nostra vita, che determina<br />
l’apertura dei mercati e la crescita del benessere. In assenza della solidarietà,<br />
continuiamo ad essere sottomessi alla logica del mercato, mentre il popolo<br />
continua a non avere il diritto di decidere il suo destino perché è il mercato<br />
finanziario a scegliere per lui.<br />
L’alternativa a questo stato di cose è una società conviviale. Una società che<br />
non sia sottomessa alla sola legge del mercato che distrugge alla radice il<br />
sentimento del legame sociale, bensì capace di riscoprire il sentimento del<br />
legame sociale, quel sentimento che per molto tempo è stato la nostra forza e<br />
la nostra salvezza. Quel legame sociale che sta alla base della socialità, della vita<br />
comune, la cui forza è lo spirito del dono, cioè del dare, ricevere, ricambiare.<br />
Dobbiamo ricomporre la frantumazione della socialità usando la reciprocità<br />
come collante, come risorsa e valore, e l’antiutilitarismo quale condizione<br />
necessaria per incrementare una nuova economia, quella della felicità.
INCHIESTA: Riflessioni sul perdono<br />
Parliamo di perdono<br />
di Alberto Mancini<br />
Quando parliamo di perdono spesso ci riferiamo a due ‘cose’ fondamentalmente<br />
diverse: a quello che, se vogliamo, possiamo definire ‘perdono’ sociale e<br />
pubblico, della comunità e dello Stato - che solitamente si concretizza in<br />
amnistie, in migliori condizioni di detenzione, in sgravi temporali di pena<br />
per un’eventuale buona condotta, nel non applicare la pena di morte anche<br />
per reati gravissimi come l’omicidio e la strage – e al perdono individuale e<br />
personale, intimo alla persona.<br />
Il primo è governato dagli usi e dalla mentalità etica del singolo popolo, e<br />
dalle conseguenti leggi adottate dai suoi legislatori; il secondo è il risultato di<br />
un’azione misteriosa e delicata, che riguarda chi è perdonato e soprattutto, in<br />
prima persona, chi perdona.<br />
1- Il Diritto statale nell’antichità<br />
Per chi all’interno di una comunità ha commesso un crimine ai danni di uno o<br />
più individui, ed è stato scoperto, è sempre scattato da parte della comunità<br />
stessa un procedimento giudiziario penale che, a seconda dei tempi, delle<br />
comunità o degli Stati, ha avuto le sue precise norme di applicazione e i suoi iter,<br />
nella convinzione che, in mancanza di una pena per i vari reati, la confusione e<br />
l’arbitrio incontrollato dei singoli possono condurre una comunità o un Paese<br />
allo sfaldamento più o meno totale della civile convivenza.<br />
In effetti, anche oggi si ritiene che in uno Stato dove si verificasse l’assenza o<br />
la restrizione e limitazione del Diritto pubblico nei suoi vari aspetti, cioè di quel<br />
Diritto stabilito dai legislatori coerentemente con la mentalità dei cittadini, essi,<br />
tutti, anche i più restii e pacifici, si troverebbero prima o poi nella necessità di<br />
esercitare una continua legittima difesa che presto condurrebbe al ‘Far West’.<br />
Nel mondo antico, a livello del Diritto salvaguardato dallo Stato, il ‘perdono’<br />
non esisteva o quasi. Il Codice di Hammurabi ( 9 - circa 0 a. C), con la
inchiesta<br />
8<br />
sua legge dell’ ‘occhio per occhio, dente per dente’, per la nostra mentalità<br />
così spietata e datata, costituì a suo tempo un progresso, perché istituiva la<br />
corrispondenza esatta tra la colpa commessa e la pena. Fino ad allora aveva per<br />
lo più imperato nella regione il principio della ‘vendetta’ che implicava spesso<br />
l’assenza di proporzionalità.<br />
Nei tempi successivi le cose cambiarono ancora, anche se dobbiamo<br />
considerare l’uso inveterato della galera come periodo di segregazione e di<br />
durissima espiazione in ambienti quasi sempre malsani e privi delle più comuni<br />
necessità, l’uso abituale della tortura per le confessioni e della pena di morte,<br />
che, d’altra parte, a tutt’oggi è ancora prevista e applicata in molti Paesi. Il libro<br />
di Cesare Beccaria “Dei delitti e delle pene” - contro l’uso della tortura e a favore<br />
di un’illuminata proporzionalità e della prontezza di applicazione della pena, -<br />
pubblicato nel , fece subito scalpore soprattutto nella Francia illuministica<br />
e nei nuovi Stati americani.<br />
2 – La ‘scoperta’ dei diritti umani<br />
Ciò che ha costituito la chiave di volta, ad esempio per un migliore trattamento<br />
dei condannati nelle carceri, fu – soprattutto nella mentalità dei popoli di matrice<br />
europea – l’affermarsi graduale del rispetto dei diritti civili e della persona, che,<br />
tra l’altro, gli Stati Uniti d’America posero come fondamento programmatico al<br />
proprio costituirsi.<br />
In realtà, riconoscere la necessità di rispettare i diritti umani e civili non rientra<br />
nel concetto di perdono. In questo caso si tratta di una maturazione etica della<br />
mentalità comune, rivolta al rispetto dell’esistenza e della vita di qualunque<br />
essere umano che, proprio in quanto essere umano, nonostante le sue colpe<br />
- a volte terribili e a volte, per la loro efferatezza, inespiabili, secondo il metro<br />
comune, in una sola vita -, è un essere che ha, e dovrà sempre avere, i suoi<br />
diritti inalienabili.<br />
A smuovere in questa direzione etica gli animi, oltre al fondamentale rispetto<br />
verso i propri simili, forse innato nell’uomo - come d’altra parte in tutte, o quasi<br />
tutte, le specie animali –, molto probabilmente hanno contribuito, in modo<br />
determinante, la religione ebraica e due millenni di Cristianesimo. E questo<br />
anche nei confronti degli spiriti lontani da queste religioni e di quelli più inclini<br />
alla negazione del trascendente.<br />
Alla fin fine l’affermazione che tutti gli uomini sono figli di Dio è stata pronunciata<br />
nella Bibbia. E questa ‘idea’ non può non avere ‘lavorato’ nei secoli, generazione<br />
dopo generazione, influendo su ognuno di noi, per quanto concerne i diritti<br />
umani, verso una concezione dell’uguaglianza di tutti gli uomini di fronte agli<br />
uomini.<br />
Ne è forse una prova evidente il fatto che soltanto il mondo occidentale, o<br />
comunque di matrice europea e dunque cristiana - nonostante tutti i suoi passi<br />
indietro al riguardo, i suoi gesti e le azioni terribili di cui in vari tempi, anche<br />
recenti, si è macchiato -, è, seppure con molti limiti, l’unico ambito sociale e<br />
politico nel quale si applicano, o si cercano di applicare, i diritti umani. In tutti<br />
gli altri Stati, quale più quale meno, con pochissime e ristrette eccezioni, si è<br />
ancora piuttosto lontani in tal senso.
La scoperta del concetto di ‘persona’ e dei suoi valori è stata in ciò fondamentale.<br />
E questa è una maturazione nella ragione e anche nell’amore.<br />
3 – I carcerati<br />
È, dunque, fondamentale che non ci si dimentichi mai che anche l’autore del<br />
più efferato delitto è un essere umano.<br />
Questo non significa mettere in libertà chi ha commesso un crimine o trovare<br />
ogni modo per abbreviare la sua giusta detenzione, magari con la falsa<br />
motivazione che le carceri sono troppo affollate. Se in Italia mancano le carceri,<br />
se quelle esistenti non bastano – e, dato l’aumento in questi ultimi decenni<br />
della criminalità e della cosiddetta microcriminalità, è senz’altro vero – occorre<br />
costruirne altre, senza che i partiti di turno al governo abbiano, in vista della<br />
successiva tornata elettorale, il timore politico di perdere voti perché tacciati<br />
di oscurantismo.<br />
La certezza della pena è importante, sia per non tenere in libertà anzitempo<br />
chi ha commesso crimini, che altrimenti può ripetere, sia come dissuasione<br />
preventiva per i malintenzionati e, non secondariamente, per dare un maggiore<br />
senso di sicurezza ai cittadini. Il singolo, con atto personale, può perdonare chi<br />
l’ha danneggiato, ma lo Stato deve essere il garante di una vita normale e più<br />
sicura possibile per tutti.<br />
Piuttosto, gli Organi preposti hanno il dovere di rendere più vivibile la vita a<br />
chi è in carcere, senza naturalmente cadere in leziosità che ai più sarebbero<br />
giustamente incomprensibili, e di impegnarsi davvero per il suo recupero<br />
psicologico e sociale.<br />
4 – Il perdono secondo la Bibbia<br />
Il perdono è un fatto interiore, un atto d’amore, gratuito e disinteressato, così<br />
gratuito da far perdere di vista a chi perdona un torto personale ricevuto, anche<br />
grave o gravissimo. È un atto privato, che tanto più eleva l’uomo quanto più<br />
gli costa perdonare, cioè quanto più grande è il torto o il danno subito da lui<br />
stesso o dai propri cari.<br />
Non deve essere facile perdonare se sei stato ferito profondamente, e se,<br />
soprattutto, sei stato colpito in modo decisivo nella tua persona o nelle persone<br />
cui sei fortemente legato da affetto, ad esempio nella tua famiglia.<br />
Perdonare è un processo più o meno lento, secondo l’entità di ciò che si è<br />
subito e secondo il carattere della persona, è un cammino con se stessi e, se<br />
uno è cristiano, con Dio, perché lo aiuti passo dopo passo.<br />
Perché almeno il cristiano sa che è tenuto a perdonare. Molti brani dell’Antico<br />
Testamento e dei Vangeli sono di grande chiarezza al riguardo. Ne cito alcuni.<br />
Nel Salmo , , leggiamo: “Pesano su di noi le nostre colpe, / ma tu perdoni i<br />
nostri peccati”; e nella preghiera al Padre Nostro, Mt , 9- : …“e rimetti a noi<br />
i nostri debiti / come noi li rimettiamo ai nostri debitori”…<br />
Per ricordarci la fondamentale importanza del perdono, ancora nel Vangelo di<br />
Matteo al cap. 8, versetti - , dopo la domanda di Pietro, Gesù risponde<br />
con una notissima parabola, che forse non è male rileggere:<br />
“Allora Pietro gli si avvicinò e gli disse: «Signore, quante volte dovrò perdonare<br />
inchiesta<br />
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inchiesta<br />
0<br />
al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?» E Gesù gli rispose:<br />
«Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette.<br />
A proposito, il regno dei cieli è simile a un re che volle fare i conti con i suoi<br />
servi. Incominciati i conti, gli fu presentato uno che gli era debitore di diecimila<br />
talenti. Non avendo però costui il denaro da restituire, il padrone ordinò che<br />
fosse venduto lui con la moglie, con i figli e con quanto possedeva, e saldasse<br />
così il debito. Allora quel servo, gettatosi a terra, lo supplicava: Signore abbi<br />
pazienza con me e ti restituirò ogni cosa. Impietositosi del servo, il padrone lo<br />
lasciò andare e gli condonò il debito. Appena uscito, quel servo trovò un altro<br />
servo come lui che gli doveva cento denari e, afferratolo, lo soffocava e diceva:<br />
Paga quel che devi! Il suo compagno, gettatosi a terra lo supplicava dicendo:<br />
Abbi pietà con me e ti rifonderò il debito. Ma egli non volle esaudirlo, andò e lo<br />
fece gettare in carcere, fino a che non avesse pagato il debito.<br />
Visto quel che accadeva, gli altri servi furono addolorati e andarono a riferire al<br />
loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli<br />
disse: Servo malvagio, io ti ho condonato tutto il debito perché mi hai pregato.<br />
Non dovevi forse anche tu avere pietà del tuo compagno, così come io ho<br />
avuto pietà di te? E, sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché<br />
non gli avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il mio Padre celeste farà a<br />
ciascuno di voi, se non perdonerete di cuore al vostro fratello».<br />
In Mc , Gesù, parlando della preghiera, insiste: “Quando vi mettete a pregare,<br />
se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate, perché anche il Padre vostro<br />
che è nei cieli perdoni a voi i vostri peccati”.<br />
E in Mt , : “…ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri<br />
persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste…”.<br />
5 – Il perdono secondo recentissimi studi scientifici<br />
In realtà, coltivare il perdono personale, che si è detto essere un processo<br />
interiore non facile, sembra che sia necessario non solo da parte di chi è di<br />
fede cristiana e intende uniformarsi ai dettami evangelici, ma da parte di tutti,<br />
per il benessere delle relazioni e per la salute stessa di ciascuno, psicologica e<br />
fisica.<br />
E non soltanto per seguire le parole di San Tommaso d’Aquino, il quale già<br />
nel XIII secolo affermava che l’uomo è per sua natura incline all’armonia e<br />
all’unità tra i suoi simili e che, dunque, praticare il perdono è per ognuno di noi<br />
necessario in quanto ristabilisce il legame perduto e la comunione turbata.<br />
Il fatto nuovo e interessante è che dalla metà degli anni ’80 del secolo scorso<br />
sono iniziati studi di numerosi psichiatri, psicologi, psicoterapeuti di fama che in<br />
vari Paesi occidentali hanno condotto indagini ad alto livello teorico-scientifico<br />
con una cospicua produzione di testi, e più recentemente anche con ricerche<br />
empiriche. Da questi studi risulta evidente, a livello terapeutico, per diverse<br />
malattie di origine psicologica, l’utilità clinica del perdonare. Si è scoperto che,<br />
dopo avere perdonato, l’uomo si sente sgravato dalla tensione e come da un<br />
peso, e si trova in una condizione di positiva pace interiore.<br />
Alcuni degli studiosi si sono interessati al valore terapeutico del perdono nel caso<br />
di separazioni e divorzi, ma la teorizzazione va ben oltre e comprende l’ansia, la
depressione e altre malattie psicologiche che hanno inizialmente conseguenze<br />
funzionali e in seguito organiche. Tra altri, alcuni nomi: R. Baumeister, J.W.<br />
Berry, S. Boon, G.V. Caprara, K. Collins, R.D. Enright, J. Exline, F.D. Fincham,<br />
F.K. Fincham, J.T. Godbout, P. Ide, M.E. McCullough, D. Napolitani, J. North, G.<br />
Rossi, E. Scabini, L. Smedes, E.L. Worthington…<br />
Tra questi, R.D. Enright, docente di Psicologia Educativa all’Università di<br />
Madison, nello Stato del Wisconsin (USA), è autore, tra l’altro, del libro<br />
Forgiveness is a Choice ( 00 ), Il perdono è una scelta, tradotto anche in<br />
Italia. Enright ha partecipato al Seminario Internazionale sul Perdono tenuto a<br />
Padova nel gennaio 0 0 e ad altri incontri sull’argomento. Il seminario aveva<br />
come tema “Un dialogo tra psicologia, filosofia, diritto, pedagogia”.<br />
Nonostante l’inconciliabilità da molti asserita tra religione e scienza, a volte,<br />
evidentemente, la religione e la scienza, pur nella loro necessaria autonomia,<br />
non solo sono concordi su cose fondamentali, ma sembrano tenersi per mano<br />
verso un comune obiettivo.<br />
E’ possibile perdonare?<br />
di Gemma Mondanelli<br />
Dovremmo oggi rinominare le cose. Troppe parole sono diventate prive di<br />
significato o hanno assunto significati opposti a quelli originari o hanno perso<br />
quelle sfumature di senso che costituivano la loro utilità e la loro bellezza<br />
espressiva.<br />
Dice Concita De Gregorio nel suo bel libro: “ Così è la vita. Imparare a dirsi<br />
addio”: “ Noi sappiamo di cosa parliamo quando parliamo d’amore? Di Chiesa<br />
e di carità cristiana, di diritto di famiglia, di politica per farci un partito? E la<br />
politica e il lavoro e la scuola e il diritto e la giustizia e il rispetto. Il tempo, il<br />
silenzio. Avete un post-it che vi ricordi cosa sono?”<br />
Anche per la parola “perdonare” dobbiamo rifarci al suo significato originale.<br />
Facile capire l’etimologia: la parola viene da dono, è qualcosa che si dona,<br />
senza tornaconto, senza sperare in una ricompensa, ma soltanto per il piacere<br />
di farlo. La gratificazione è lì, in un gesto gratuito e generoso.<br />
Una volta, più di adesso, perdonare aveva un significato sacro, religioso,<br />
liturgico se il perdono lo andavi a chiedere in un confessionale.<br />
Una festa ancora oggi famosa che ricorre il agosto consiste nell’andare a<br />
chiedere il perdono in un santuario francescano.<br />
Mi ricordo quando si festeggiava al santuario della Verna e pullman pieni di<br />
gente passavano dalla strada sterrata sopra Chitignano dove abitavo d’estate.<br />
Molti dai luoghi circostanti si incamminavano a piedi per raggiungere il<br />
inchiesta
inchiesta<br />
santuario compiendo già una sorta di penitenza fino dalla partenza per essere<br />
degni del perdono. Magari partivano dalle case isolate sui poggi o dai paesi,<br />
digiuni, col sacco in spalla, perché dopo la confessione si sarebbero accostati<br />
alla Comunione per la quale era necessario non aver mangiato fino dalla sera<br />
prima. I frati della Verna erano tutti nei confessionali pronti a perdonare chi con<br />
animo semplice si inginocchiava davanti ad essi. “Padre beneditemi perché<br />
ho peccato”, ognuno esternava i propri dolori, le proprie mancanze, poi dopo<br />
aver recitato l’atto di dolore e avere ricevuto il perdono si appartava un attimo<br />
sulle panche della chiesa, difronte alle ceramiche bianche e azzurre dei Della<br />
Robbia, per dire le Ave Maria e i Padrenostro della penitenza. Un rito semplice<br />
e significativo, una catarsi, un sentirsi l’animo pulito, pronto con un rinnovato<br />
senso del noi e della vita come dono che bisogna onorare con l’onestà del<br />
vivere .<br />
Oggi forse il perdono ha perso il suo significato più profondo ed è una delle<br />
parole che vanno rifondate. Perdonare non significa fare finta di niente difronte<br />
al sopruso, difronte all’invidia, difronte a chi calpesta i nostri diritti. Perdonare<br />
non è accettazione totale dell’errore e dell’errante, giustificazione vigliacca di<br />
tutto quello che accade per tornaconto, ma piuttosto cercare di capire perché<br />
e con il perdono, e con la fermezza morale che gli è dovuta, impegnarsi, ad<br />
esempio, a rifondare un rapporto.<br />
Quando apriamo un quotidiano e ci imbattiamo nel racconto di episodi di<br />
violenza, di delitti orrendi, di malversazione, tutti ci lasciamo sfuggire parole<br />
di odio contro i mostri che hanno potuto macchiarsi di così ingiustificabili<br />
comportamenti. Quasi nessuno in certe circostanze ha parole di perdono,<br />
anche perché il perdono è legato al pentimento ed alla penitenza e non tutti<br />
coloro che hanno sbagliato sono in grado di iniziare e di portare a termine<br />
questo percorso.<br />
Anche perdonare è un percorso difficile. Significa spendere tempo per gli<br />
altri che hanno sbagliato, impegnarsi a migliorare le cose, a comprendere, a<br />
sostenere, ad aiutare senza essere succubi o conniventi dell’errore per quieto<br />
vivere, per stanchezza, per incuria.<br />
Niente è più grande di un perdono costruttivo, bellissima è la mano di Dio<br />
che negli affreschi della cappella Sistina si incontra con quella dell’uomo per<br />
sostenerlo, per amarlo, per educarlo; sempre nell’educazione c’è forza, c’è<br />
sostegno, mai pietismo, mai condivisione dell’errore.
Il perdono è.....<br />
di Francesco Sensini<br />
Una relazione “umana”<br />
Nel vocabolario italiano alla voce perdono troviamo: remissione di una colpa<br />
e del relativo castigo. Remissione dei peccati concessa dalla chiesa. Nel diritto<br />
si parla di perdono giudiziale.<br />
Dunque ci sono sempre due attori. Chi ha commesso la colpa e chi la perdona.<br />
Chi ha commesso peccato e chi lo rimette.<br />
A livello singolo e individuale ci possiamo giustificare ma non ci possiamo<br />
perdonare. In realtà per noi stessi usiamo il termine solo in senso negativo:<br />
non melo posso perdonare.<br />
Anche nel linguaggio corrente si usa spesso l’espressione: scusi, mi perdoni..<br />
In questo caso si chiede scusa e perdono perché stiamo rubando del tempo<br />
ad uno sconosciuto. Si chiede perdono perché si sta costruendo una relazione<br />
con chi non conosciamo e non sappiamo quale sia la sua volontà nei nostri<br />
confronti. La richiesta di perdono dovrebbe renderlo disponibile alla propria<br />
domanda.<br />
Anche nei giornali si trova a volte l’espressione: mi si perdoni….(il paragone,<br />
il riferimento, la citazione)<br />
In questo caso si chiede perdono perchè prevediamo che qualcuno, leggendo,<br />
potrebbe sentirsi offeso, e allora la richiesta di perdono vuole dirgli che la<br />
volontà non è quella di offenderlo.<br />
Se subisco un furto da una persona che non conosco, prevale in me il senso<br />
di giustizia. Se subisco il furto da una persona che conosco e con la quale<br />
ho una relazione amichevole, quel furto non è più “normale”. Vivo due stati<br />
d’animo ben precisi. O lo aggravo, sentendolo non solo come furto ma come<br />
tradimento di una amicizia e di una fiducia o in nome dell’ amicizia metto tra le<br />
soluzioni anche la possibilità del perdono.<br />
Ciò sta a significare che il terreno dove cresce il perdono è quello delle relazioni<br />
umane. Più la relazione è profonda più il perdono trova la sua collocazione.<br />
Question<br />
Quando per un uomo l’altro è solo un numero, una divisa, una istituzione, una<br />
tessera, una idea. … posso parlare di relazione umana.<br />
Se poi l’altro diviene colpevole nei miei confronti, come posso parlare di<br />
perdono?<br />
E’ chiaro allora che il perdono mi aiuta a recuperare la vera identità dell’altro che,<br />
almeno come appartenente alla stessa “razza”umana, è come me. Colpevole,<br />
ma non diverso da me. Per chi crede il perdono aiuta a recuperare la vera<br />
identità dell’altro che, come figlio dello stesso Padre, non è solo come se stessi<br />
ma fratello. Colpevole, ma fratello.<br />
inchiesta
inchiesta<br />
L’amore “cristiano”<br />
Nel vangelo Gesù ha spesso parlato del perdono. Lo ha sempre messo in<br />
relazione al Padre. E nel Padre il perdono è sempre evidenziato come l’aspetto<br />
più profondo del suo amore per tutti gi uomini che sono suoi figli.<br />
Come lo era l’ adultera del vangelo di Giovanni (8, ) che doveva essere<br />
condannata e invece fu perdonata.<br />
Non è infrequente ascoltare o leggere la giustificazioni di genitori per non<br />
dover condannare un loro figlio. Perché loro come familiari non possono che<br />
essere dalla parte del perdono. Quindi chi non vuole perdonare non vuole<br />
riconoscere l’ altro come “familiare”. Un padre per non perdonare un figlio<br />
deve ammettere che quello non è più suo figlio.<br />
Perdonare significa considerare il colpevole come familiare e non come nemico.<br />
Se credo in un solo Dio Padre devo concludere che tutti i suoi figli sono miei<br />
fratelli. E chi condannerebbe o farebbe uccidere il proprio fratello? Un nuovo<br />
Caino.<br />
Il perdono nasce sempre dal di dentro (in questo senso è interiore), ma ha<br />
bisogno di essere visibile attraverso il corpo, proprio come l’amore.<br />
Bellissimo a questo riguardo è l’ episodio della prostituta e Gesù. La donna<br />
non chiede perdono, ma dimostra di volerlo. “Si pose dietro a lui, ai suoi<br />
piedi, piangendo cominciò a bagnare i suoi piedi di lacrime…li asciugava…li<br />
cospergeva (vangelo di Luca , ) .”<br />
Il perdono può essere privato per le colpe private ma deve essere pubblico per<br />
le colpe pubbliche. Tra l’altro il perdono pubblico è quello che fa notizia.<br />
Famoso è il perdono che papa Giovanni Paolo II concesse al suo attentatore.<br />
Quel perdono non aprì le porte del carcere, quel perdono non arrestò il<br />
corso delle indagini, quel perdono non chiuse il caso. Quel perdono disse<br />
all’attentatore che aveva un fratello in più. Quel perdono disse al mondo che i<br />
figli di Dio, pur colpito, perdonano e così allargano la propria famiglia .<br />
Personalmente trovo “provocatorio e diseducante” il fatto che spesso giornalisti<br />
o cronisti chiedano ai familiari delle vittime, ancora incredule dell’accaduto, se<br />
sono disposte a perdonare.<br />
Ho posto questa domanda ai miei studenti:<br />
Quale è la differenza tra un figlio che perdona l’assassino del padre e uno che<br />
non lo perdona.<br />
Non mi hanno saputo esplicitare una risposta. ma hanno detto che chi perdona<br />
vive meglio di chi non perdona. Sintetizzo così la loro intuizione.<br />
Chi perdona, guarda avanti e mantiene viva la propria vita, nonostante, la<br />
mancanza del padre.<br />
Chi non perdona, ferma il tempo e mantiene viva solo la morte del padre.<br />
Question<br />
Gesù sulla croce ha detto: Padre perdona loro perchè non sanno quello che<br />
fanno, li perdono perché sono ignoranti, perché non si rendono conto.<br />
E quelli che invece uccidono con intelligenza, e sanno benissimo quello che<br />
fanno, cosa meritano?<br />
Meritano da parte della giustizia, la condanna. Se poi manifestano pentimento,
meritano da parte dei familiari della vittima, il perdono.<br />
Un fatto “eccezionale”<br />
Se un professore “perdonasse” gli errori dei propri studenti non sarebbe un<br />
buon educatore. Dunque il perdono non educa.<br />
Se un arbitro perdonasse gli errori dei propri giocatori falserebbe il<br />
gioco. Dunque il perdono falsifica.<br />
Se un giudice perdonasse gli errori dei propri imputati<br />
non ci sarebbe giustizia Dunque il perdono è una<br />
ingiustizia.<br />
La vita degli uomini ha bisogno di regole, di<br />
leggi, di norme e gli uomini sono tenuti al loro<br />
rispetto e alla loro applicazione. Se vivessimo<br />
sempre perdonando la vita sarebbe<br />
intollerabile e ingiusta. Nessuno si sentirebbe<br />
obbligato a rispettare le regole e a seguire<br />
la legge. Non esiterebbe il bene il male. E<br />
quindi non esisterebbe uomini responsabili e<br />
irresponsabili.<br />
Il perdono dunque deve limitarsi a particolari<br />
circostanze, a eventi eccezionali. Il che mi fa dire<br />
che l’uomo che perdona è un uomo eccezionale.<br />
Quali sono le cose per cui chiedere o ottenere il<br />
perdono?<br />
Come determinare la gravità delle colpe?<br />
A livello civile e sociale ho la legge. E la legge per essere rispettata e conosciuta<br />
ha bisogno della relativa pena. Se la legge per ogni colpa prevedesse il perdono,<br />
sarebbe come dire che non esistono colpe e tantomeno una scala di valori o<br />
dei principi fondamentali.<br />
Quindi di fronte alle colpe è la legge che deve fare il suo corso.<br />
Ma l’uomo,come figlio di Dio, può andare “oltre” la legge. Cioè può superare<br />
quella “realtà” che la legge ha stabilito. Superarla significa vederla con occhi<br />
diversi.<br />
Per esempio: la legge ha condannato l’assassino di mio marito. La legge ha<br />
detto che quell’uomo è un assassino. La legge ha determinato questa nuova<br />
identità a quell’uomo, in base alla sua colpa. Ma io, moglie della vittima, secondo<br />
il vangelo, posso perdonarlo (non sono certo obbligata). Cioè posso dirgli che<br />
il mio giudizio su di lui non è limitato a quello che ha fatto. Gli riconosco la<br />
possibilità di essere diverso. Anzi il mio perdono è la condizione perchè non<br />
sia più quello che la legge ha stabilito che è. In questo caso il perdono dice al<br />
colpevole che la realtà è molto più grande di quella legata alla sua condanna.<br />
Question<br />
Se un assassino confessa al sacerdote la propria colpa può essere assolto?<br />
Si, se la condizione dell’ assoluzione è il costituirsi alla giustizia.<br />
No, se è un modo per evitare di pagare la colpa.<br />
inchiesta
inchiesta<br />
L’esperienza del perdono<br />
di Vittorio Gepponi<br />
Sono consapevole che affrontare il tema del perdono è impresa a dir poco<br />
ardua. Ma sono anche estremamente convinto che l’unica possibilità di<br />
ricostruire quotidianamente l’umanità devastata dal male di ogni genere è data<br />
proprio dall’abbraccio del perdono. Certo per capire qualcosa di questa realtà<br />
è necessario parlarne dentro un orizzonte cristiano, in quanto al di fuori di<br />
esso risulterebbe una realtà umanamente impossibile da realizzare. E non basta<br />
sicuramente dirsi cristiani perché automaticamente uno, sempre e comunque,<br />
si ritrovi capace di perdonare; anzi, la vita di tutti i giorni è testimone del<br />
contrario. Ma questo per un semplice motivo, perché oggi vivere in modo<br />
cristiano è difficile, tanti sono gli ostacoli sulla strada che ci conduce a Gesù.<br />
La nostra condotta di vita, poi, è essa stessa un impedimento, un ostacolo, in<br />
quanto a noi uomini presuntuosi piace vivere consumando le cose di questo<br />
mondo: il sesso, la ricchezza, l’essere realizzati ad ogni costo. Per ottenere ciò,<br />
e altro ancora, siamo capaci di tutto, e non c’è dubbio che in uno stile di vita<br />
del genere non ci può essere alcuna possibilità dell’esperienza del perdono.<br />
Ciò che non si vuol capire è che l’assenza di perdono rende incapaci di amare<br />
veramente, di crescere; se non sappiamo perdonare non riusciremo mai a<br />
riconciliarci con gli altri, ma soprattutto non riusciremo mai a riconciliarci con<br />
noi stessi. Possiamo affermare, senza avere paura di essere smentiti, che il<br />
perdono è fonte di una reale guarigione della nostra umanità. Guarisce,<br />
infatti, le ferite provocate dal risentimento, rinnova le persone, i matrimoni,<br />
le famiglie, le comunità, la vita sociale. Mi torna alla memoria una vicenda<br />
tristemente nota, i fatti delittuosi di Erba dell’ dicembre 00 , dove ad un<br />
uomo, Carlo Castagna, furono barbaramente assassinati la moglie, la figlia e<br />
il nipotino. In questa durissima storia dei giorni nostri, quest’uomo trovò la<br />
forza di perdonare. Ricordo che questa scelta coraggiosa del Castagna destò<br />
non scalpore ma scandalo! Proprio così, tutti aspettavano parole di vendetta,<br />
di odio. Non c’era nessuno, in quei giorni, capace di vedere una speranza.<br />
Anche delle maggiori penne dei quotidiani (Pigi Battista sul Corriere della sera,<br />
Adriano Sofri e Umberto Galimberti sulla Repubblica, Elena Loewenthal sulla<br />
Stampa, Ferdinando Camon sull’Unità) non ce ne fu uno che non abbia puntato<br />
il dito accusatorio su qualcuno o qualcosa. Non ce n’è stato uno che abbia<br />
notato l’unica luce di speranza di questa tragedia, cioè le parole di perdono<br />
di Carlo Castagna: “Li perdono e li affido al Signore… Bisogna perdonare in<br />
questi momenti. Bisogna finirla con l’odio”, disse. Ecco, d’improvviso in un<br />
terrificante abisso di odio e di sangue s’accende la luce di una parola cristiana,<br />
di una sofferenza cristiana: il perdono delle vittime. E s’illumina l’unica speranza<br />
che mette fine al gorgo satanico della violenza. Ma i commentatori dei giornali<br />
neanche se ne accorsero. Anzi, Lidia Ravera, sull’Unità, citò il signor Carlo, ma<br />
per scrivere parole spaventose. Diceva che tutti provano “una quota di simpatia”
per il padre del piccolo Joussef che invoca vendetta e invece “meno ne provoca”<br />
secondo la Ravera “il nonno, il signor Castagna, mobiliere, che recita una<br />
cavatina sul perdono e contro l’odio”. Da non credere! Quell’uomo a cui erano<br />
stati tolti violentemente tutti gli affetti più cari, avrebbe – secondo la Ravera -<br />
“recitato” il perdono. Davvero non c’è comprensione per chi perdona. Eppure<br />
lo ha spiegato il signor Castagna, non potrebbe dire ogni giorno la preghiera<br />
del Padre Nostro se non sapesse perdonare. Ma forse è proprio questo che<br />
ci inquieta. Credo che la realtà e il cuore dell’uomo a volte sono più semplici<br />
di quanto pensiamo. Chi è cresciuto ed è stato educato alla fede, quella vera,<br />
fatta di gesti quotidiani, di profondo amore per la realtà, non può vivere senza<br />
perdonare, che si badi bene, non vuol dire non soffrire, non sentire l’ingiustizia,<br />
ma non si può vivere e chiedere perdono se non si è capaci di perdonare.<br />
Nessuno di noi può sapere cosa accade nel cuore di questo uomo, che in un<br />
attimo si è trovato senza moglie, senza figlia, senza il nipotino. Probabilmente ci<br />
saranno cose che avrebbe voluto dire e non ha detto, abbracci che non ha dato,<br />
gesti per i quali sentirà il bisogno di chiedere al Signore perdono, ma proprio<br />
per questo, perché ci riconosciamo peccatori in ogni nostra giornata non<br />
possiamo non essere capaci di perdono. Questo ci insegna il signor Castagna<br />
e questo noi fatichiamo a capire, perché crediamo che il perdono sia una scelta<br />
dell’intelligenza, invece è una scelta del cuore, chi sa di averne bisogno non<br />
può non concederlo e sa che non perdonare sarebbe ingiusto prima di tutto<br />
verso sé stesso, sarebbe come non amarsi due volte. “Padre nostro che sei<br />
nei cieli… rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori,<br />
e non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male. Amen” E’ un perdono che<br />
avrà bisogno ogni giorno del suo “si” della riconferma, perché ci saranno giorni<br />
in cui la solitudine sarà più intensa, i ricordi più dolorosi, ma il signor Castagna<br />
sa, e ci ricorda, che chi ama, chi crede non è mai solo. Ho riportato questo<br />
esempio per far capire che se il perdono è un qualcosa che non appartiene<br />
quasi più alla nostra società è solo per il fatto che abbiamo abbandonato Cristo<br />
stesso. E chi non fa l’esperienza del perdono non è capace, a sua volta di<br />
inchiesta<br />
perdonare. L’uomo oggi sta male, anche se cerca di vivere spensieratamente<br />
il suo malessere, perché si è negato l’esperienza del perdono da parte di Dio,<br />
e quindi l’esperienza della Sua misericordia. L’uomo non può vivere una buona<br />
vita senza questa esperienza. Egli è capace di agire male, ma è incapace di<br />
liberarsi dal male compiuto. Al riguardo c’è un testo del Manzoni che ci aiuta<br />
a capire questo paradosso dell’uomo che può agire male e non può liberarsi<br />
dal male compiuto: la famosa notte dell’Innominato, nel momento in cui egli<br />
passa in rassegna tutte le sue scelleratezze. “Erano tutte sue; erano lui: l’orrore<br />
di questo pensiero, rinascente a ognuna di quelle immagini, attaccato a tutte,<br />
crebbe fino alla disperazione” (Promessi Sposi, cap. XXI). Con le proprie scelte<br />
ciascuno di noi genera se stesso: sei quello che decidi di essere. Gli atti di<br />
ingiustizia non erano solo atti di cui l’Innominato era responsabile ma: “erano<br />
lui”. Esiste una misteriosa ma reale progressiva identificazione del nostro io<br />
con le scelte della nostra libertà. Esiste come un’identificazione della persona<br />
coi suoi atti. La soluzione, la via di uscita sarebbe quella di un “ricominciare<br />
da capo”, come una sorta di rinascita e di rigenerazione. Ma poiché l’uomo
inchiesta<br />
8<br />
non è capace da solo di compiere<br />
una cosa del genere, ha elaborato<br />
e inventato altre vie palliative di<br />
liberazione dal male e inventato<br />
vari surrogati dell’unico atto che<br />
potrebbe rigenerare l’uomo: il<br />
perdono di Dio. Solo l’evento<br />
cristiano è la possibilità offerta<br />
all’uomo di essere rigenerato<br />
mediante il perdono di Dio: di<br />
nascere di nuovo e di cominciare<br />
di nuovo. Il cristianesimo è la<br />
possibilità di dire in qualunque<br />
circostanza: “Ora ricomincio da<br />
capo”, perché è il perdono di Dio<br />
sempre offerto all’uomo e che<br />
consiste nell’azione di Dio che<br />
trasforma la nostra libertà e rinnova<br />
alla radice il nostro io.<br />
La cultura che cerca di abolire<br />
Dio dalla scena del mondo, è<br />
inevitabilmente infastidita da un<br />
fenomeno come il perdono, perché<br />
non è in grado spiegarlo e quindi lo rifiuta, intendendolo come qualcosa di<br />
irragionevole o, nel peggiore dei casi, addirittura ideologico. Ma l’esperienza<br />
di persone, come Carlo Castagna o come Margherita Caruso, la vedova del<br />
brigadiere Giuseppe Coletta ucciso a Nasiriyah, che dopo le circostanze tragiche<br />
che hanno interessato la loro vita hanno perdonato, sono la testimonianza che<br />
il perdono è possibile solo quando si è animati da una forza sostenuta da Dio.<br />
Il perdono è davvero la cosa di cui più abbiamo bisogno; senza perdonare non<br />
si può vivere, perché non c’è vita se non si ammette che esista qualcosa di più<br />
grande del male che ci circonda. Ed è quindi evidente come questa dinamica<br />
sia possibile soltanto grazie all’introdursi di una misura più grande.<br />
Affermava Castagna: “Attraverso la strage mi era chiesto qualcosa, e intuivo che<br />
era una occasione da non lasciarmi sfuggire per percorrere quella strada in cui<br />
la grazia mi accompagnava, sostenendomi nel perdono e nella misericordia”. Ed<br />
esplicitava ancora meglio questo rimando all’origine la giovane vedova Coletta:<br />
“La cosa bella è trovarsi insieme nella fede in Cristo e stupirsi del proprio stesso<br />
perdono nella misura in cui arriva dall’alto, visto che è evidente che non possa<br />
derivare soltanto da uno sforzo del singolo perché le persone da sole non ne<br />
sono capaci”.<br />
La cosa decisiva, quella che cambia radicalmente la prospettiva, è la presenza<br />
costante di Cristo nelle giornate, poiché solo il Suo farsi compagno dell’uomo<br />
nel cammino permette a quest’ultimo di affrontare i dolori che incontra. Ad<br />
ognuno è chiesta un’unica responsabilità di fronte a questa iniziativa di Dio, il sì<br />
fiducioso, segno di un affidamento completo.
RUBRICHE:<br />
parliamone con lo psicologo<br />
Imperdonabili<br />
(perdonare, essere perdonati, perdonarsi)<br />
di Luca Deganutti<br />
Dopo aver parlato delle fratture e dei paradossi prodotti nell’anima, dall’anima<br />
con il furore, mi sento obbligato ad esplorare le vie della ricomposizione ad<br />
opera del perdono, della riconciliazione delle nostre parti scisse, salvandole<br />
da un destino di faide capaci di comprometterne anche il futuro. Perdono e<br />
Colpa: perdonare è perdonarsi, ferire è ferirsi.<br />
Per quel poco che ne so, credo di capire che il processo del superamento<br />
della colpa, attraverso il perdono (ma non solo) è al centro della spiritualità<br />
dell’uomo.<br />
Nei vangeli viene elaborato in almeno quattro tappe (comandamenti?)<br />
successive:<br />
. Non fare all’altro quello che non si vorrebbe fosse fatto a noi stessi<br />
. Perdonare il fratello, che pecca contro di noi, settanta volte sette<br />
. Amarsi gli uni gli altri<br />
. “Amatevi come io vi ho amato”<br />
Il Mahatma Gandhi diceva che il perdono è la più grande virtù dei forti. L’uomo<br />
che subisce un’ingiustizia, viene profondamente ferito e la reazione spontanea<br />
dettata dalla rabbia e dal dolore è quella della vendetta o quella di fuggire per<br />
dimenticare. Col tempo il dolore si affievolisce , ma solo il perdono riesce a<br />
liberare completamente la nostra mente ed il nostro corpo dalla ferita ricevuta.<br />
Il perdono è l’ornamento dei forti.<br />
Per Nelson Mandela: il perdono libera l’anima e cancella la paura.<br />
Confucio diceva, più o meno, che quando cominci a vedere il male negli altri è<br />
ora che guardi dentro te stesso, c’è qualche colpa sospesa da perdonarti che<br />
scarichi sugli altri.<br />
Nel Buddhismo non si parla esattamente di perdono perché questo concetto<br />
9
ubriche<br />
0<br />
è dualistico, implica la separazione fra un agente perdonante ( buono, giusto,<br />
vittima, bravo) e un ricevente perdonato (cattivo, carnefice, sbagliato pentito), un<br />
soggetto e un oggetto. Inoltre è intimamente connesso al concetto di peccato.<br />
Il Buddha disse: “ Se un uomo stupidamente mi fa del male, gli restituirò la<br />
protezione del mio amore senza risentimento; più male mi viene da lui, più<br />
bene andrà da me a lui; la fragranza della bontà torna sempre a me, e l’aria<br />
nociva del male va a lui”.<br />
Nel Corano si prega per il perdono e lo si richiede così che ognuno perdoni<br />
e dimentichi le cattive azioni commesse dai pochi ignoranti, musulmani e non<br />
musulmani. (Ricorda molto il cristiano: “rimetti a noi i nostri debiti, come noi li<br />
rimettiamo ai nostri debitori”).<br />
Pensare di poter perdonare altrui colpe, che ci riguardino, è una lenitiva<br />
arroganza; la colpa è un vissuto privato di espulsione dalla comunità e dagli affetti,<br />
un vissuto di privazione dell’appartenenza, che può arrivare fino all’alienazione<br />
anche da sé stessi. Riguarda sostanzialmente chi si sente colpevole.<br />
Non esiste un solo modo di perdonare e anche senza volerle giudicare cercherò<br />
di esporne delle forme che o conosciuto in campo professionale.<br />
Un primo caso da subito mi spaventò e mi ferì. Era un perdono severo, acuminato<br />
che feriva più della forma impietosa di giudizio alla quale faceva seguito. Pensare<br />
di poter perdonare altri ci appare allora nella sua vera dimensione di fuga<br />
proiettiva da una sofferenza intollerabile. Il perdonatore di terzi rischia di essere<br />
un assassino mancato che non tollerando i propri furibondi propositi di vendetta,<br />
ripiega nel perdono dell’altro non avendo accesso al proprio magma furente<br />
rimosso dalla coscienza. È presunzione forse di assolversi dalla propria rabbia<br />
infierendo con una forma vindice di perdono dalla quale soltanto la derisione<br />
in parte può salvare l’altro, il presunto malvagio. Si trattava di una incredibile<br />
forma arrogante di perdono usato in termini di potere e non di liberazione.<br />
In questi casi tuttavia sarebbe più corretto usare il termine di “grazia”, che<br />
appunto attiene all’esercizio del potere; piuttosto che di libertà. Queste pretese<br />
forme di perdono assicurano in realtà il controllo, essendo motivate dalla paura<br />
piuttosto che dalla speranza e dalla fiducia. Esse si ritrovano in personalità rigide<br />
centrate sulla legge, persone che non si tollerano peccatrici e pertanto non si<br />
possono perdonare. Il loro è un perdono entomologico da giusti, una forma<br />
particolare di abuso dell’altro vissuto soggettivamente come un furore sordo<br />
contro costui per una sensazione di colpevolezza che l’altrui presenza (giudicata<br />
colpevole) riverbera addosso come percezione intollerabile dell’affioramento<br />
alla coscienza del desiderio/peccato non inibito nell’altro. Questa negazione<br />
obbliga all’isolamento in una schiera di eletti, incontaminati ai propri reciproci<br />
occhi e barricati grazie a questa purezza dall’altrui (proprio) male. Una cupa<br />
sofferenza senza pace, senza perdono, senza assoluzione perché non ne viene<br />
riconosciuta l’origine endogena. Vecchio peccato proiettivo da inquisitori fonte<br />
di sofferenza propria ed altrui. A fronte di tanta sofferenza possiamo dire:<br />
“Guai ai puri perché di loro è il regno degli inferi” invertendo la benedizione<br />
degli umili. In queste tetre personalità ho anche avvertito l’esacerbato dolore<br />
che, senza assolverle, le avvicina in un gorgo di sofferenza alle proprie vittime.<br />
Destino che tocca a colui che non riconosce altro perdono che quello dell’altrui
colpa insaziati dell’imperdonabilità della propria… quasi una “santità” nera<br />
degli inferi che nessuna pietà riconosce. Questo perdono paradosso rischia<br />
di scivolare con il tempo e con la sofferenza in una sadica ostentazione della<br />
peggiore crudeltà: quella del giusto, quella dell’inquisitore, quella che fruga<br />
con il coltello nella piaga che ha inferto, quella dell’autoesorcismo attraverso<br />
il corpo degli altri. Un perdono iatrogeno che da pretesa onnipotente di cura<br />
diviene malattia del medico.<br />
Questo caso partiva chiaramente dalla impossibilità di quella persona di<br />
pensarsi colpevole in quanto non perdonabile. Come a dire che le persone<br />
sane tollerano la loro colpevolezza potendosi perdonare.<br />
Tento allora di partire da un assunto laterale defilato dalla scena del crimine: non<br />
è possibile perdonare altri che non il noi stessi imperdonabile. Il bambino non<br />
perdonabile/colpevole gode la sensazione serena della bontà e del perdono nel<br />
riconoscere conservata l’amorevolezza del contesto che lui ha compromesso<br />
con la sua colpa (forse è per questo che ogni tanto la compromette?). Il<br />
ladrone non perdonato che dileggia il Cristo è il non perdonabile, l’espulso<br />
definitivamente dal suo contesto amorevole; il “bandito” condannato a<br />
confondere il proprio abbandono in una sorta di nebbiosa appartenenza alla<br />
comunione dei maggiori colpevoli. Un portatore di tali e tante colpe che nessun<br />
perdono assolve e che lui deride in compagnia dei parimenti emarginati… è<br />
questa la colpa di vivere che solo la morte, come uccisione di sé, risolve/<br />
assolve. Spesso è la colpa del tossicodipendente. Nemmeno Cristo assolve:<br />
al massimo constata la remissione dei peccati a chi ha avuto la benigna sorte<br />
di potersi riconnettere con se stesso, con Lui, con gli altri. Da questo disturbo<br />
da colpa, paradossalmente, se ne esce chiedendo perdono una volta che si<br />
sia avuto libero accesso alle proprie colpe nell’amorevole contesto perduto.<br />
Una richiesta di perdono che esponendo alla propria colpevolezza garantisca<br />
l’accesso al perdono di sé. Una assoluzione che, se il processo è integro, a<br />
quel punto non richiede espiazione o penitenza o punizione, ma restituzione,<br />
risarcimento, riparazione, compensazione, reintegrazione insomma un<br />
reinserimento nella comunità, nella cittadinanza… cambiamento: umiltà.<br />
Allora forse con il perdonare sè stessi dalla rabbia, da propositi di vendetta<br />
che ci risultino intollerabili può realizzarsi un processo di avvicinamento<br />
all’altro nell’evidenza della comune fatale colpevolezza: nella comune fragile<br />
umanità. Allora anche l’atto del perdonare l’altro è significativo soprattutto per<br />
il perdonante che lascia all’altro la responsabilità di fare i conto con la propria<br />
colpa. Questo perdono non discolpa, non grazia l’altro, libera esclusivamente<br />
dall’ulteriore sofferenza di propositi di vendetta. Anche in questo caso esso<br />
permette di essere liberi, di ricontattare senza distrazioni i nostri sentimenti i<br />
nostri bisogno, la via della elaborazione del lutto. Per queste ragioni è utile il<br />
comunicare sensibile fra vittime e colpevoli.<br />
Poi ho riconosciuto un altro blocco devastante del perdono per la sua proibizione,<br />
meno esternamente proiettata, del precedente: è quello impossibile di chi<br />
riconosce in sé una tale colpa ed in tali forme da non poter essere perdonabile.<br />
Un delitto al disopra delle propria disposizione al perdono. Costui soffre di una<br />
colpa non morale, quasi fisica, biologica, ontologica, una colpa di nuocere<br />
rubriche
ubriche<br />
con il proprio esistere. Il genitore che uccide i propri figli, l’amico che uccide<br />
gli amici. La colpa delle vittime che si trasferisce su altre vittime come quel<br />
rosario di fuoco che un bambino si dipingeva sul braccio con un pennarello<br />
rosso dopo aver visto innumerevoli volte la madre bucarsi nelle vene delle<br />
braccia. Potranno allora quelle braccia sorrette con la forza di chi ne regga<br />
il contatto amorevolmente, contenere con devozione l’angoscia degli infiniti<br />
bambini abbandonati da questa processione di imperdonabili genitori? Dalla<br />
risposta a questa domanda può derivare la possibilità di perdonarsi di questa<br />
mamma ed il suo diventare risorsa per i propri orfani.<br />
E ancora che dire di quel cattivo ladrone che ride mentre sprofonda nella notte<br />
dell’angoscia? Mi ricorda tanto il silenzio alienato dei bambini ai funerali dei<br />
genitori che essi hanno uccisi. Un parricidio alle origini stesse della civiltà,<br />
non per questo meno intollerabile, forse solo meno sconvolgente rispetto<br />
all’ordine storico delle cose: i genitori si ritirano all’incedere dei figli. Ancora<br />
una volta nessuno, nemmeno il genitore morto, possono perdonare; né c’è<br />
compensazione per chi uccide le proprie origini, che la storia a volte vuole<br />
rigenerare. Forse questa colpa esige l’espiazione di un viaggio nel deserto<br />
verso altre terre, forse di un viaggio iniziatico al centro di se stessi del proprio<br />
cuore e del proprio dolore fino alla ri/nascita nella/della futura generazione,<br />
della propria paternità, maternità.<br />
E ancora come sopravvivere al mio nemico? Quel nemico che magari è in me,<br />
nella mia famiglia, nella mia comunità, nello spazio adiacente al mio? Con un<br />
odio simmetrico? C’è spazio o tempo per il mio perdono? E chi sono io, e chi<br />
è lui? Forse da qualche parte, anche qui il perdono insegna qualcosa, parla<br />
forse di una riconciliazione possibile, parla di paura, di un amore negato, di<br />
una reintegrazione impensabile, temuta… che io non credo mai impossibile.<br />
Riconciliazione, pace, amore.<br />
E ancora, colpe e bisogno di perdono si temono, si scansano, si cercano, si<br />
desiderano là dove l’amore e la morte mischiano i propri umori nella difficoltà e<br />
nel dolore della separazione e della ricerca di noi stessi; non ricercandosi nella<br />
identità ma nella contaminazione di comunioni senza esclusioni. Nel confronto,<br />
nel contatto, non nello scontro e nel distacco. Un dono che ci riporta a noi<br />
stessi.<br />
Tralascio un altro singolare caso che riguarda una incredibile forma di abuso del<br />
perdono, in sistemi chiusi, tale da rendere superflua la colpa. Questo discorso<br />
ci porterebbe lontani per cui mi fermo alla constatazione che facilmente in tali<br />
nidi così confusi l’identità, le responsabilità sono impedite da una appartenenza<br />
narcotizzata da una rescissione di umanità per l’impedimento di un minimo<br />
confronto con un mondo eccessivamente temuto ed escluso che può sfociare<br />
nella psicopatia.<br />
Comunque il perdono ci riporta a contatto con il nostro essere e quello degli<br />
altri, ci riporta ad integrarci con la nostra vita e quella altrui, a ritrovare la pace<br />
nella comunione dopo la perdita di noi stessi nell’angoscia, nella solitudine,<br />
nel deserto. La nostra salute il nostro benessere sono in proporzione diretta<br />
con le colpe ed il processo di pacificazione che consente il sentirsi amati di<br />
un amore non compromesso dalla colpa. Penso che nessuno di noi si sia mai
sentito dire: “ti perdono” percependone un qualsiasi senso profondo. Penso<br />
invece che tutte le persone, soprattutto le più fortunate, abbiano conosciuto<br />
la sensazione di benessere che deriva dal sentire solide quelle relazioni che si<br />
temevano compromesse per la propria colpa, reale o immaginaria che fosse.<br />
La nostra serenità dipende da questo bilancio della riconciliazione che ci rende<br />
persona e umani a pieno titolo grazie alla reciproca amorevole accettazione<br />
non compromessa dalle avverse paturnie.<br />
Perdono è essere oggetto di perdono. Un perdono libero non posseduto<br />
da alcuna privativa. È uscire dal buio, dal freddo, dalla solitudine paventati e<br />
ritrovarsi nel calore, nella compagnia, nell’armonia. La pace e l’amore dopo la<br />
tempesta. È questo il processo dolente e benevolo della fatica di vivere (essere<br />
e divenire) facilitato dallo sguardo del padre, dallo sguardo della madre, oggi<br />
così assenti. Un padre che segna le ragioni dell’appartenenza con la legge,<br />
una madre che ne protegge gli affetti con il perdono. Oggi che la loro assenza<br />
lascia una società sempre più polverizzata dalla negazione della colpa capace<br />
di ridicolizzare il bisogno di inclusione del perdonarsi per la ristrettezza di<br />
orizzonti circoscritti ai singoli individui senza colpa e senza perdono.<br />
Sul perdono e la vendetta si misura la nostra felicità ed il senso che vogliamo<br />
dare alla nostra vita.<br />
rubriche
SPAZIO APERTO<br />
Le moderne contraddizioni<br />
della nostra coscienza<br />
di Luciano Petrai<br />
Se solo ci soffermassimo ogni tanto su come stiamo vivendo la nostra modernità,<br />
forse riusciremmo ad afferrare le contraddizioni che governano il nostro vivere<br />
sociale. Mai come ora si sta soffrendo un disagio esistenziale che compromette<br />
seriamente la nostra felicità, parola grossa ma che dovrebbe essere sempre alla<br />
base di ogni nostra azione. Frulliamo come zombi dentro un paese dei balocchi<br />
che non esiste, alla ricerca di emozioni che si rivelano come invitanti bolle di<br />
sapone che appena le tocchi scoppiano.<br />
Chi frequenta i social-network sa come gli utenti invochino (spesso con banalità<br />
disarmanti) un metodo di vita basato sui valori dell’amicizia, sui sentimenti<br />
sinceri, utilizzando frasi ed aforismi famosi, a volte belli e toccanti, ma lontani<br />
anni luce dalla realtà che poi vivono. E’ la contraddizione del nostro tempo,<br />
quella di non riuscire a mettere in atto le cose per le quali varrebbe la pena di<br />
vivere. E così ci adeguiamo ad una realtà precaria e fasulla dove l’immagine ed<br />
il superfluo la fanno da padroni.<br />
Il “gran maestro” di questo metodo evanescente è proprio la televisione che si<br />
sta rivelando come lo strumento più vecchio e diseducativo che mai avremmo<br />
immaginato, dove l’unica funzione rimasta è fare e farsi pubblicità.<br />
E’ moderno, infatti, sbatterti in faccia in un programma popolare, una farfalla<br />
stampata sull’inguine di una bella ragazza che ammicca alla assenza di biancheria<br />
intima, se non sollecitare i pruriti più reconditi e primordiali di un pubblico<br />
abituato a sorbirsi le banalità più sconcertanti?<br />
E cosa significa parlare ossessivamente di una ragazza assassinata,<br />
oltraggiandola ancora nella sua vita privata, e giocarci come maniaci con plastici<br />
improbabili e macabri? Che cosa arriva al pubblico di questi messaggi se non
l’ufficializzazione della banalità e dell’inutile, tanto più in un periodo di gravi<br />
difficoltà economiche e sociali. Qui le contraddizioni si fanno imbarazzanti. E’<br />
concepibile che il 0% della popolazione detenga il 0% delle risorse mentre<br />
un gran numero di persone<br />
ha difficoltà ad arrivare alla<br />
fine del mese? Dovremmo<br />
domandarci perché un<br />
manager pubblico italiano<br />
può guadagnare quattro<br />
volte di più di un presidente<br />
americano, perché la<br />
corruzione nel nostro<br />
paese raggiunge livelli<br />
insopportabili, e le regole<br />
di convivenza sembrano un<br />
opzional. Ed ancora, come<br />
mai stiamo perdendo il<br />
sogno di fare della nostra<br />
vita un percorso significativo di valori ed utopie ed accettiamo di essere solo<br />
degli strumenti di un ingranaggio di cui non comprendiamo nemmeno il<br />
meccanismo, incastrati come siamo tra spread e PIL; dove è finita l’ambizione<br />
di divenire protagonisti di quello che è il regalo più grande: la nostra esistenza.<br />
Quale contratto ha permesso di barattare la qualità con la quantità, il mediocre<br />
con il bello. E così perdiamo di vista quello che veramente ci potrebbe dare<br />
vera gratificazione: l’attenzione per gli altri, e perché no, l’amore. In mancanza<br />
di questi elementi la nostra giornata sembra svanire senza un motivo, e si<br />
somma ad altre giornate che alla fine si rivelano inutili, senza passione. E’ un<br />
percorso che non ha una mèta, è la solitudine dell’anima. “ Due non è il doppio<br />
ma il contrario di uno, della sua solitudine. Due è alleanza, filo doppio che non<br />
è spezzato.”<br />
La modernità ci fornisce tanti strumenti, ci consente una vita più facile, un fisico<br />
più brillante, una comunicazione più incisiva. A patto che non si dimentichi mai<br />
di che pasta siamo fatti, di quali sentimenti ci nutriamo e della necessità della<br />
condivisione.<br />
Senza quest’ultima la felicità non ci può essere. Ecco, a volte dovremmo<br />
rallentare la nostra corsa verso il nulla ed interrogarci sul percorso da fare,<br />
per riprendere la giusta rotta. Se ci sentiamo soli la colpa non è degli altri ma<br />
nostra, come nostra è la colpa di non aver più la capacità di indignarsi per<br />
le brutture che ci circondano. “Com’è che non riesci più a volare” cantava<br />
De Andrè. Ed ancora Gaber “ E ora? Anche ora ci si sente come in due: da<br />
una parte l’uomo inserito che attraversa ossequiosamente lo squallore della<br />
propria sopravvivenza quotidiana e dall’altra il gabbiano, senza più neanche<br />
l’intenzione del volo, perché ormai il sogno si è rattrappito. Due miserie in un<br />
corpo solo.”<br />
Ed allora, avanti, nella prossima trasmissione ci sarà il plastico della nostra<br />
coscienza.<br />
spazio aperto
NOTIZIE DAL CENTRO<br />
Agricoltura sociale<br />
di Francesco Baroni<br />
Era stato preannunciato alcuni mesi fa dalle pagine di questa rivista (<strong>ESSERE</strong>,<br />
n. Luglio/Agosto 0 ), adesso il progetto biennale di Agricoltura Sociale<br />
destinato al reinserimento lavorativo di almeno otto soggetti presenti presso le<br />
strutture del <strong>CSA</strong> ha avuto inizio.<br />
L’iniziativa gode di aspettative e prospettive importanti, tanto che oltre al Centro<br />
di Solidarietà di <strong>Arezzo</strong>, con le sue quattro sedi provinciali, coinvolge anche<br />
altri centri della Federazione Italiana delle Comunità Terapeutiche (il Centro di<br />
Solidarietà “San Crispino di Viterbo” e il Centro Gulliver di Varese).<br />
La visione del progetto è questa : “ripartire dalla terra”.<br />
L’assunto è che operare dentro serre fredde o riscaldate o su campi aperti;<br />
che seminare, diradare, estirpare; che dissodare, aspettare e raccogliere; che<br />
lavorare con le api, fare l’olio, invasettare o imbottigliare; che tutto questo stare<br />
in mezzo alle cose, che tutto questo partecipare - non da soli ma assieme ad<br />
altri colleghi - che tutto questo esserci, insomma che tutti questi verbi all’infinito<br />
ci possano in qualche modo aiutare.<br />
Aiutare a ripartire.<br />
L’agricoltura ci insegna questo o non ci insegna niente: che c’è un tempo per<br />
ogni cosa; che non esistono stagioni morte, perché in effetti morte lo sono<br />
solo in apparenza (gli alberi crescono anche in inverno, anche sotto una spessa<br />
coltre di neve); e che persino le stagioni più accalorate, quelle piene di vitalità<br />
e di rapida crescita, sono fatte di riposi e ripartenze.<br />
Tecnicamente, la notizia dal Centro è questa: nei mesi di gennaio e di febbraio<br />
0 si è tenuto il corso di formazione CoCoPro / Ricominciamo dalla Terra.<br />
Si è trattato di un corso di formazione che ha coinvolto professionisti capaci di<br />
stimolare e sviluppare competenze sia strettamente agronomiche, che correlate<br />
e trasversali (un esempio delle tre differenti competenze incluse nel corso:<br />
tecniche di potatura; sicurezza in ambienti di lavoro; agire nel team building). Il<br />
corso ha mirato a fornire una preparazione tecnica capace di mettere in moto<br />
quanto prima ed efficacemente un discorso di attività agricola e di impresa,
compensando la celerità della formazione iniziale con un potenziamento della<br />
formazione sul campo, di affiancamento on the job.<br />
I primi risultati sono questi: che rispetto agli otto soggetti previsti dal progetto<br />
iniziale, il corso è stato seguito con successo da diciotto soggetti. Per molti<br />
di loro, in collaborazione con le cooperative sociali amiche del <strong>CSA</strong> ed altri<br />
soggetti no profit, sono state attivate le previste borse lavoro.<br />
Infine, a febbraio si sono effettuati i primi lavori sul campo e le prime semine.<br />
notizie dal centro
8<br />
ANGOLO DEL PENSIERO<br />
Brevi pause di riflessione su avvenimenti,<br />
fatti di costume per chi ha voglia<br />
d’interrogarsi.<br />
Il poeta ristretto<br />
prosa dal carcere<br />
di Stefano Angiolini<br />
L’ autore, dopo la pubblicazione de ‘L’Uomo e l’aereo’ (Ed. Statale del<br />
0 ), ha vissuto un’esperienza di ristrettezza fisica e giuridica per una lunga<br />
carcerazione preventiva nel carcere Santo Spirito di Siena.<br />
Le prose poetiche, che ci ha inviato per lui la moglie, sono il frutto di giorni<br />
e giorni, notti e notti di speranza, dolore, paura, tristezza, ma anche gioia e<br />
piacere per gli incontri e le esperienze vissute sulla propria pelle.<br />
Abbiamo scelto per la pubblicazione quelle che più di altre mettono in luce il<br />
dramma umano di chi si trova, a torto o a ragione, privato della sua libertà e<br />
quindi del suo quotidiano modo di vivere e soprattutto della quotidianità dei suoi<br />
affetti, immerso in una solitudine, determinata non soltanto dalla mancanza, ma<br />
anche dalla paura di interrompere legami forti di cui non si può fare a meno.<br />
Senza nessun giudizio letterario sui testi e tanto meno sulle motivazioni che<br />
hanno determinato una situazione di profondo disagio fisico e psichico, offriamo<br />
al lettore un toccante spaccato di vita vissuta.<br />
Dolore<br />
E’ un rumore forte,<br />
una domanda non capita, ecco un uomo non più libero,<br />
capace di esistere solo se forte<br />
di un gesto, di un amore, di una luce,
coltivato a lettere e parole,<br />
tenuto in vita da un assoluto bisogno di risposte.<br />
Anche un solo dubbio può farti morire,<br />
da solo,<br />
anche senza dolore.<br />
Facce di Santo Spirito<br />
Facce da galera,<br />
volti e occhi da cella.<br />
Facce da detenuto, da ristretto in tutto,<br />
facce da guardia, da volontario,<br />
facce ferite, furbe, attonite.<br />
Solo spigoli e rughe,<br />
sorrisi pochi, spesso difficili e forzati.<br />
Ogni faccia una storia,<br />
storie nascoste, lunghe e precise<br />
come lo specchio del mio quotidiano vivere,<br />
l’incubo riflesso che mi viene incontro.<br />
Spaghetti voluti<br />
E’ sera,<br />
la gara di fornelli e profumi veri.<br />
Un corridoio di gas e sughi,<br />
una fila di uomini,<br />
capaci di cucinare qualsiasi cosa,<br />
anche il cuore di una donna lontana, lontana.<br />
Rumori, consigli, assaggi<br />
e poi sfide, inviti e saluti.<br />
Ecco il rito, lo spaghetto scolato,<br />
saltato, diviso, ambito,<br />
finalmente nel piatto,<br />
un trionfo per tutti,<br />
ogni sera una gioia.<br />
Saperti al di fuori<br />
Il mio fango non potrà macchiarti,<br />
il mio odore di cella non deve giungere a te.<br />
Soltanto saperti al di fuori<br />
è l’unica gioia vera<br />
che posso costruire.<br />
Ora vado, mi rituffo nel fango,<br />
perdonami è solo per amore che cerco di sparire.<br />
angolo del pensiero<br />
9
0<br />
PROFILI D’AUTORE<br />
a cura del Prof. Giuseppe Panella<br />
L’altra faccia della luna<br />
La poesia colorata di Roberta Degl’Innocenti<br />
I graffi della luna, pubblicato dalle Edizioni del Leone nel 0 con una<br />
prestigiosa Prefazione di Paolo Ruffilli, è un libro “capitale” (secondo una<br />
definizione che campeggia nella quarta di copertina). Il libro continua la<br />
linea descrittiva presente in D’aria e d’acqua le parole (uscito sempre presso<br />
le Edizioni del Leone nel 009). Di quella prova lirica conserva il nitore e la<br />
passione struggente, il languore del ricordo, la manutenzione della memoria.<br />
Ma ora il mondo intorno sembra essere più aperto e meno sfumato nel tratto,<br />
i colori più intensi, l’occhio più vivo e meno velato dalle lacrime. La luna, nume<br />
tutelare dei poeti, non è soltanto la guardiana silente degli amori degli umani<br />
ma è anche un personaggio teatrale di cui ci si può garbatamente prendersi<br />
gioco nel descriverla:<br />
«La luna dei poeti è vagabonda, / tappa le orecchie ai versi, alle canzoni, / sogghigna<br />
delle lacrime disperse, s’indigna degli improperi improvvisi. / La luna quando è allegra<br />
starnutisce: / il rimbombo si muove nella valle, / alza polvere bianca e si confonde, / una<br />
fessura gli occhi, ciglia umide. / La luna dei poeti è una briccona, / promette spesso e<br />
non mantiene mai…» (p. ).<br />
La poesia di Roberta Degl’Innocenti è leggera senza essere frivola, è cantante<br />
e melodiosa senza sciogliersi in canzonetta, è sorridente e pensosa insieme, si<br />
concede al lettore ma gli nega, però, la parte nascosta di se stessa che bisognerà<br />
trovare frugandone a fondo tra le righe.<br />
« I graffi della luna si confondono, / sono farfalle adulte, la cantilena / dolce della neve,<br />
due labbra rosse / invito della pelle. / Un sogno di coralli sulle mani» (p. ).<br />
Questi versi, qui riportati solo in parte, sono un trionfo della mente colorata<br />
di Roberta Degl’Innocenti, la dimostrazione che le parole della sua poesia<br />
sono fatte di luce e di colori e che sono la dimostrazione della sua capacità<br />
pittorica di trasformare il mondo a sua misura.
Il Centro dove<br />
AREZZO<br />
Sede Amministrativa<br />
via Teofilo Torri, 42 - tel. 0575 302038 - fax 0575 324710<br />
Programmi residenziali: Pedagogici - Terapeutici - Specialistici<br />
Loc. Petrognano - tel. 0575 362285<br />
Loc. Baciano - tel. 0575 420728<br />
Prevenzione:<br />
I CARE, Organizzazione di Volontariato<br />
via Teofilo Torri, 42 - tel. 0575 356798 - icarearezzo@gmail.com<br />
GROSSETO<br />
Sede Amministrativa<br />
via Alfieri, 11 - tel. 0564 417973<br />
Programmi residenziali: Pedagogici - Terapeutici - Specialistici<br />
via della Steccaia Loc. S. Martino - tel. 0564 411386 - 0564 416399<br />
CITTA’ DI CASTELLO<br />
Programmi residenziali e semiresidenziali: Diagnostici - Terapeutici - Specialistici<br />
via Pomerio S. Girolamo, 2 - tel. 075 8520390<br />
Loc. S. Maria del Popolo - via Cortonese, 2 - tel. 075 8554627<br />
ABBADIA SAN SALVATORE<br />
Programmi residenziali: Terapeutico<br />
Loc. Podere Nardelli - tel. 0577 776785