4 - Consiglio Regionale della Basilicata

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31.05.2013 Views

Quadro metodologico e rivisitazione delle tecniche

Quadro metodologico e<br />

rivisitazione delle tecniche


L’intervista aperta, le immagini di una città e la voce degli invisibili che si muovono a Potenza<br />

8. IL BISOGNO DI UNA CITTÀ:<br />

L’URBANESIMO IN BASILICATA VISTO COL RANK-SIZE RULE<br />

Ho bisogno <strong>della</strong> città come condizione <strong>della</strong> mia esistenza.<br />

Wim Wenders<br />

Si vuole sostenere che in <strong>Basilicata</strong> l’attuale assetto dell’armamentario urbano<br />

sia passato attraverso una precisa strategia di rafforzamento voluto e<br />

pianificato di alcuni centri su altri, a cominciare dall’attuale capoluogo. Si è<br />

perseguita, quindi, una politica socio-amministrativa volta alla creazione di<br />

due sole “città”, i capoluoghi, per poterne rafforzare i caratteri e la cultura<br />

urbana, estranea su tutto il territorio regionale. Per tale motivo si è deciso di<br />

parlare di “artificialità urbana”. Inoltre, il processo è stato molto lungo e non<br />

ha ancora sortito gli effetti desiderati, tanto che ancora si può riscontrare un<br />

latente “bisogno di città” <strong>della</strong> regione.<br />

Si proverà ad approcciarsi al problema per più vie, attraverso l’uso di un<br />

modello deterministico (causa-effetto), la rank-size rule, e attraverso la storia<br />

locale, con particolare attenzione alle vicende e alle divisioni politico-amministrative,<br />

oltre che alle iniziative (di piano) progettuali e normative, essendo<br />

la dimensione economica assai irrilevante e di difficile comprensione in una<br />

realtà urbana ancora fortemente legata a modi di produzioni precedenti ed<br />

assistiti.<br />

La realtà urbana <strong>della</strong> regione viene quindi esaminata da un punto di<br />

vista particolare, che è quello del caso studio <strong>della</strong> città capoluogo, Potenza,<br />

l’agglomerato urbano di dimensioni maggiori e con maggiori spinte verso un<br />

modello di vita “più urbano”, rispetto al resto del tessuto insediativo ancora<br />

con forte connotato agricolo-pastorale. La dimensione demografica sarà il<br />

parametro e l’indicatore di maggior interesse per la nostra ricerca e su essa si<br />

baseranno e graviteranno tutte le altre nostre e altrui considerazioni.<br />

- 137 -


Vito Garramone<br />

La costruzione di Potenza come “città”. Anche da una semplice analisi<br />

di tipo matematico-geografico, si possono ricavare delle considerazioni<br />

importanti. Basta saper leggere il dato e “vestirlo” di altre informazioni,<br />

opportunamente indagate. Nel dettaglio, si farà uso di un modello “classico”<br />

di analisi e interpretazione delle realtà territoriali, un modello territoriale<br />

deterministico: la Rank size rule. Ma come funziona tale modello e cosa<br />

indaga?<br />

«La rank-size rule (la regola rango-dimensione), riconducibile al filone <strong>della</strong><br />

Teoria <strong>della</strong> polarizzazione, assume a spia dei processi di crescita ed evoluzione dei<br />

sistemi urbano-territoriali un indicatore complessivo costituito dalla dimensione<br />

demografica del centro stesso» (E. Scandurra, Tecniche urbanistiche per la pianificazione<br />

del territorio, 1987, p. 107).<br />

Quindi nulla di più semplice. Facilmente si può entrare in possesso dei<br />

dati ISTAT sulla Popolazione residente dei Comuni. La serie può partire<br />

dall’Unità ad oggi. Ma oltre a questo, partendo da una sola variabile, ovvero<br />

la “popolazione”,<br />

«La rank-size rule ha dimostrato più recentemente di poter [ancora] essere<br />

utilizzata come un valido strumento per l’analisi dei processi di diffusione spaziale<br />

<strong>della</strong> crescita di sistemi regionali e subregionali …» (Scandurra, p. 110).<br />

Questa legge fu messa a punto nel 1941 da Zipf, che elaborò studi e<br />

applicazioni precedenti di Auerback (1918), Lokta (1925), Singer (1936),<br />

Gibrat (1938).<br />

Intento del ricercatore era quello di poter classificare e catalogare i centri<br />

di uno stesso sistema territoriale in base alle loro dimensioni e ai rapporti di<br />

dipendenza e gerarchia. Era così possibile definire comprensori e distretti per<br />

dar luogo a strategie di programmazione.<br />

«La formulazione originaria di Auerback, in particolare, stabilisce che la<br />

dimensione demografica (P i ) di un qualsiasi centro del sistema è data dal rapporto<br />

tra la popolazione <strong>della</strong> città più grande (P 1 ) e la posizione (rango=r i ) occupata<br />

dal centro i nella graduatoria decrescente per grandezza demografica, secondo la<br />

progressione aritmetica del rango» (Scandurra, p. 107).<br />

In formula<br />

P i = P 1 /R i = K/r i<br />

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L’intervista aperta, le immagini di una città e la voce degli invisibili che si muovono a Potenza<br />

potendo considerare la dimensione demografica (popolazione residente)<br />

come una costante (K), poiché dato a noi noto attraverso Censimenti ed<br />

Anagrafe.<br />

Tale formula non è altro che l’equazione di una iperbole equilatera. Però<br />

tale formula era troppo rigida e presentava l’inconveniente di non poter essere<br />

generalizzabile in molti casi. Per questo Lokta aggiunse un esponente “q” al<br />

rango.<br />

La formula divenne<br />

P = K i r q<br />

i<br />

dove l’esponente q permetteva di poter calibrare la formula, oscillando tra<br />

0 (caso in cui tutti i centri hanno la stessa dimensione) e 1 (caso in cui una città<br />

concentra tutta la popolazione del sistema territoriale). Quindi, q è un indicatore<br />

di distribuzione <strong>della</strong> popolazione. Applicato alla formula di Auerback,<br />

q è uguale ad 1 ed è l’«espressione teorica rank-size in senso stretto» (Scandurra,<br />

p. 108). Naturalmente l’esponente q dipende dai dati a disposizione:<br />

q = log r i (K/P i )<br />

visto che sono noti il rango (r i ), la popolazione del centro maggiore (K) e<br />

la popolazione di tutti i centri (P i ).<br />

Inoltre, l’espressione di Lokta può essere rappresentata su un sistema di<br />

assi cartesiani o su diagramma con doppia scala logaritmica, riportanti rispettivamente<br />

i valori <strong>della</strong> popolazione o anche quelli del log (P i ) sull’asse delle<br />

ordinate e i valori del rango o quelli del log (r i ) sull’asse delle ascisse, secondo<br />

la trasformazione:<br />

log (P i ) = log (P 1 ) – q log (r i ) = log (K) – q log (r i ) = K 1 –q log (r i ).<br />

Questa è l’espressione di una retta che interseca l’asse delle ordinate quando<br />

log (P i ) = 0, cioè nel punto corrispondente al valore di log (P i ) = K 1 , mentre<br />

interseca l’asse delle ascisse nel punto corrispondente a log (r i ) = K 1 /q.<br />

Per q = 1 la retta traccerà con l’asse delle ascisse un angolo di 45°.<br />

- 139 -


Vito Garramone<br />

Tale teoria si presta ad un uso e confronto sincronico (allo stesso tempo)<br />

o diacronici (in tempi diversi). Noi lo utilizzeremo nei due modi contemporaneamente.<br />

Però, non sempre tutti i valori appartengono alla retta q=1. Si parlerà di<br />

centri sottourbanizzati nel caso in cui il valore ad essi corrispondenti si trova<br />

al di sopra <strong>della</strong> retta, mentre si parlerà di centri sovraurbanizzati nel caso<br />

opposto.<br />

Un’altra informazione che si ricava da tale analisi riguarda la città o le<br />

città dominanti o principali. Si parla di modello <strong>della</strong> primate-rule quando il<br />

valore di q di una città presenta valori di molto superiori a quelli degli altri<br />

centri. In questo modo si evidenzia “un forte grado di dipendenza da un’unica<br />

città”. È proprio il caso in cui verrà a trovarsi il capoluogo di Potenza.<br />

Per valori bassi di q ci possiamo trovare di fronte a sistemi a struttura<br />

oligarchica. Non sempre, però, la regola rank-size trova una verifica sperimentale,<br />

anche se in realtà molto semplici e non eccessivamente grandi è raro che<br />

non sintetizzi la situazione.<br />

Secondo Zipf i centri formavano delle gerarchie per il semplice scopo di<br />

minimizzare i costi di trasporto. Quanto più vasti sono i territori maggiore<br />

sarà l’aderenza alla realtà. Erano considerazioni che molto avevano a che fare<br />

con la dimensione geografico-economica. Nel nostro caso la realtà è diversa.<br />

Si vuole discutere una strutturazione dell’armatura urbana dal punto di vista<br />

dell’equilibrio degli assetti socio-amministrativi, considerando la componente<br />

economica come una variabile costante e quindi non soggetta ad ulteriori<br />

attenzioni.<br />

E se per alcuni la realtà si approssima al modello «quanto più è sviluppata<br />

la sua [del sistema urbano-territoriale] vita economica, sociale, politica, ovvero<br />

quanto più è elevato il grado di organizzazione urbana …» (Scandurra, p. 114),<br />

noi sosteniamo una semplificazione maggiore, ovvero che la dimensione demografica<br />

nella realtà lucana sia comprensiva di tutte le attività e di tutte le<br />

funzioni.<br />

Per questo si è applicata la regola rank-size ai Comuni <strong>della</strong> provincia di<br />

Potenza per studiare i rapporti e le dipendenze tra i vari centri del sistema<br />

territoriale.<br />

I dati usati per tale applicazione sono dati di fonte ISTAT e ricoprono<br />

un intervallo di tempo superiore al secolo, in particolare interessano gli<br />

- 140 -


L’intervista aperta, le immagini di una città e la voce degli invisibili che si muovono a Potenza<br />

anni 1881, 1911, 1931, 1951, 1971, 1981, 1991. In questo lungo periodo<br />

di tempo, quasi dall’Unità 1 ad oggi, i Comuni hanno in molti casi presentato<br />

variazioni amministrative più o meno rilevanti, ma nella nostra applicazione<br />

si suppone che questo non sia rilevante.<br />

Da una prima presentazione delle realtà urbane attraverso i Censimenti<br />

si passa alla elaborazione di questi dati, classificati ora non più in ordine alfabetico<br />

e secondo i codici ISTAT, ma attraverso il rango, ovvero attraverso una<br />

graduatoria dei centri in base alla loro popolazione, in maniera decrescente.<br />

È sempre il rango la chiave, o l’indicazione fondamentale, insieme alla<br />

dimensione demografica, del modello e delle sue rappresentazioni.<br />

Oltre alla rappresentazione <strong>della</strong> popolazione in base al rango su assi cartesiani<br />

e con una stessa scala di rappresentazione per rendere più evidente e facile<br />

il confronto, si è fatto uso anche di rappresentazioni su diagramma a scala<br />

bilogaritmica. In questo caso il rango (ascissa) e la popolazione (ordinata)<br />

figurano in maniera logaritmica ora per indicare la “distribuzione rank-size dei<br />

centri” ora per mettere a confronto questa con rette di interpolazione, come<br />

riportato più nel dettaglio nella parte integrale di questa tesi. Per completezza<br />

si daranno alcune indicazioni per gli appassionati di matematica.<br />

y i =log (P i ), per il log <strong>della</strong> popolazione;<br />

y i =inter, per indicare la retta di interpolazione passante per il centro maggiore<br />

e avente come coefficiente angolare “m” la formula che minimizza<br />

gli scarti;<br />

q=-1 o q=1, la retta di interpolazione parallela alla bisettrice del II e III<br />

quadrante (q sta ad indicare il coefficiente angolare <strong>della</strong> retta), che forma<br />

con gli assi angoli di 45°, altrimenti nota come la distribuzione rank-size<br />

di Auerback.<br />

Infine, si confronteranno questi dati ad altri dati ed altre considerazioni<br />

di diversa origine e provenienza disciplinare.<br />

In un contesto a bassa densità territoriale come la <strong>Basilicata</strong>, e, nel nostro<br />

caso, come la provincia di Potenza, la popolazione è sempre oscillata intorno<br />

ad uno stesso livello di equilibrio, ovvero intorno alle 400.000 unità. Pur<br />

1 La data dell’Unità è stata da noi posticipata di un ventennio per via dei problemi di<br />

assestamento ed organizzazione del Regno, oltre che per i problemi legati ai fenomeni del<br />

brigantaggio, con presenza di popolazioni non locali da ambo le parti.<br />

- 141 -


Vito Garramone<br />

presentando due picchi marcati, negativo nel 1911, quando la popolazione è<br />

scesa a 373.672 unità, e positivo nel 1951, quando ha raggiunto le 445.188<br />

unità, non è riuscita a superare tale soglia. Anzi rispetto al valore di partenza,<br />

411.266 (1881), si è verificato un calo progressivo, 402.416 (1991), a testimonianza<br />

del peso notevole che in questa regione hanno avuto le migrazioni,<br />

nonostante l’alta natalità ed un saldo naturale positivo.<br />

ANNI<br />

1881<br />

1911<br />

1931<br />

1951<br />

1971<br />

1981<br />

1991<br />

POP. TOTALE<br />

411266<br />

355859<br />

373672<br />

445188<br />

408435<br />

406616<br />

402416<br />

Tab. 5 – La Popolazione <strong>della</strong> Provincia di Potenza negli anni<br />

(Nostra elaborazione su fonte Istat)<br />

Il calo non può essere addebitato al conflitto bellico poiché è proprio nel<br />

periodo post-bellico che si verifica un vero e proprio boom demografico, si<br />

manifesta una crescita, crescita che culminerà innescando un altro fenomeno<br />

caratteristico delle regioni meridionali, le emigrazioni. Ma di questa spinta<br />

altra se ne parlerà altrove.<br />

Dagli anni settanta, e forse un po’ prima si viene a verificare una perdita<br />

di popolazione la cui entità si aggira all’incirca intorno alle 4.000 unità a<br />

decennio. In altri termini, la dimensione media dei comuni <strong>della</strong> provincia.<br />

Quindi ogni decennio in <strong>Basilicata</strong>, e soprattutto nella provincia di Potenza,<br />

un Comune scompare. Questa la prima questione o problema da affrontare.<br />

Siamo in una regione in cui avviene un calo demografico di dimensioni inaudite.<br />

In tale realtà che ruolo hanno i nodi o centri maggiori? Quale è, in queste<br />

condizioni, il modello ed il sistema urbano dominante in questo territorio?<br />

Con il variare <strong>della</strong> popolazione complessiva dell’intera provincia è variata<br />

anche quella che si potrebbe definire la “popolazione media dei Comuni del<br />

potentino” (anche se questo indicasse un aspetto ideale). Ad esempio nel 1881<br />

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L’intervista aperta, le immagini di una città e la voce degli invisibili che si muovono a Potenza<br />

Lagonegro (già distretto o circoscrizione <strong>della</strong> provincia <strong>della</strong> Lucania ad inizio<br />

del secolo) poteva essere considerato il comune “medio” e più rappresentativo<br />

<strong>della</strong> provincia, per via dei suoi valori vicino alla media. Al 1991 il suo posto<br />

era assunto dal comune di Rotonda. Da questa prima semplificazione e<br />

generalizzazione emerge una ulteriore informazione. Questo singolo dato si<br />

dimostra essere la chiave di volta di un ragionamento molto importante sui<br />

centri lucani. Mentre Lagonegro, comune “medio”, aveva in passato rango<br />

(posizione decrescente in base al numero di abitanti) 35, Rotonda oggi ricopre<br />

la posizione 29. Cosa indica questo? Se si osservano tutti gli anni in esame<br />

si vede una oscillante ma continua salita di rango dei centri di volta in volta<br />

“medi”. Come è possibile tale fenomeno se contraddittoriamente abbiamo<br />

affermato che la popolazione decresce? In realtà non c’è contraddizione.<br />

Qualcosa li avrà fatti avanzare questi centri medi. La risposta è presto servita. I<br />

centri minori non hanno presentato grandi variazioni, solo cambi di posizione,<br />

che, debolezza <strong>della</strong> regola, ma anche difficoltà di rappresentazione, restano<br />

anonimi. Dunque, visto che i centri minori non hanno presentato grandi<br />

variazioni, bisogna prestare attenzione ai centri maggiori. È su questi che<br />

baseremo le nostre considerazioni e i nostri approfondimenti.<br />

Ed ancora un elemento cattura immediatamente la nostra attenzione. I<br />

centri del sistema presentano un forte grado di dipendenza dal capoluogo di<br />

provincia, che è cresciuto in maniera smisurata rispetto ai restanti centri, guadagnando<br />

un grande vantaggio o gap. Vantaggio guadagnato a scapito del secondo<br />

centro, Avigliano, che mentre nel 1881 aveva 3.000 unità in meno del<br />

capoluogo è finito per averne ora circa 53.000, retrocedendo in 7° posizione<br />

e quasi diventando, poiché nella “conurbazione”, nell’hinterland (inteso come<br />

intorno, vista la mancanza di fenomeni di continuità rilevanti e il carattere<br />

sparso delle estreme periferie e/o frazioni di tutti questi piccoli centri), la “città<br />

dormitorio” del capoluogo se non avesse avuto uno sviluppato artigianato<br />

locale e tradizioni molto forti. Staccandosi dal suo gregario, come Coppi da<br />

Bartali, la città di Potenza ha finito per correre da sola la sua corsa al primato,<br />

aumentando da tutti il suo distacco, anche in maniera vistosa e sempre crescente.<br />

A conferma si vedano le seguenti rappresentazioni.<br />

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Vito Garramone<br />

Graf. 1 – Distribuzione rank-size rule, al 1881, dei Comuni <strong>della</strong> Provincia di Potenza<br />

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L’intervista aperta, le immagini di una città e la voce degli invisibili che si muovono a Potenza<br />

Graf. 2 – Distribuzione rank-size rule, al 1911, dei Comuni <strong>della</strong> Provincia di Potenza<br />

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Vito Garramone<br />

Graf. 3 – Distribuzione rank-size rule, al 1931, dei Comuni <strong>della</strong> Provincia di Potenza<br />

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L’intervista aperta, le immagini di una città e la voce degli invisibili che si muovono a Potenza<br />

Graf. 4 – Distribuzione rank-size rule, al 1951, dei Comuni <strong>della</strong> Provincia di Potenza<br />

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Vito Garramone<br />

Graf. 5 – Distribuzione rank-size rule, al 1971, dei Comuni <strong>della</strong> Provincia di Potenza<br />

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Graf. 6 – Distribuzione rank-size rule, al 1981, dei Comuni <strong>della</strong> Provincia di Potenza<br />

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Vito Garramone<br />

Graf. 7 – Distribuzione rank-size rule, al 1991, dei Comuni <strong>della</strong> Provincia di Potenza<br />

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L’intervista aperta, le immagini di una città e la voce degli invisibili che si muovono a Potenza<br />

E la stessa condizione di Avigliano viene condivisa da tutta la conurbazione.<br />

Anche questa vede diminuire, aumentare di poco, diminuire e poi<br />

aumentare di poco la sua popolazione, mentre quella del capoluogo, dopo un<br />

calo nel 1911, mostra una crescita continua, una sorta di staccata in salita.<br />

Graf. 8 – Confronto fra Potenza e la sua conurbazione<br />

Oggi, ovvero al 1991, ultimo dato utile non potendo ancora disporre dei<br />

dati relativi al 2001, il quadro gerarchico <strong>della</strong> provincia è il seguente. In posizione<br />

indiscussa di primate-rule campeggia il capoluogo, seguito con molto<br />

stacco dal comune di Melfi (la città di Federico II e delle sue costituzioni), in<br />

seconda posizione. La terza posizione è occupata da un centro che col tempo<br />

ha cercato di sostituire la nodalità ed importanza relativa che in passato svolgeva<br />

il distretto di Lagonegro, Lauria. Dopo questa seguono Lavello (rango<br />

4) e Rionero (rango 5), che in prossimità di Melfi, con questo compongono<br />

il nuovo polo industriale <strong>della</strong> regione. Forse ad essi deve anche la crescita,<br />

l’importanza e la conservazione del suo ruolo il sesto centro <strong>della</strong> provincia,<br />

Venosa. Dall’inizio del secolo ad oggi si è dimostrata essere un gregario fedelissimo<br />

a questi. Dopo di questi stancamente e in funzione simbiotica col capoluogo<br />

si conferma il vecchio comune vicino e rivale d’altri tempi, Avigliano.<br />

Questo semplice modello ha spiegato i complessi fenomeni di urbanesimo<br />

<strong>della</strong> provincia.<br />

- 151 -


Vito Garramone<br />

COMUNI<br />

Potenza<br />

Melfi<br />

Lauria<br />

Lavello<br />

Rionero in V.<br />

Venosa<br />

Avigliano<br />

Senise<br />

S. Arcangelo<br />

Muro L.<br />

Pi = POP.<br />

65714<br />

15757<br />

13752<br />

13215<br />

13201<br />

11905<br />

11761<br />

7316<br />

7270<br />

6380<br />

RANGO<br />

1<br />

2<br />

3<br />

4<br />

5<br />

6<br />

7<br />

8<br />

9<br />

10<br />

Tab. 8 – Rango dei primi 10 comuni al 1991<br />

(Nostra elaborazione su fonte Istat)<br />

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L’intervista aperta, le immagini di una città e la voce degli invisibili che si muovono a Potenza<br />

9. I VARI POSSIBILI MODI DI TRASPORTO E COMUNICAZIONE<br />

Abbiamo bisogno di re-imparare a pensare lo spazio.<br />

Marc Augé<br />

Seguendo il consiglio di Marc Augé riguardo al bisogno di reimparare<br />

lo spazio e considerando i mezzi di trasporto in maniera mcluhaniana come<br />

medium, faremo un tentativo per elaborare delle riflessioni circa il valore<br />

mediatico di questi mezzi di comunicazioni ancora troppo trascurati.<br />

9.1 L’AUTO(-CASA)MOBILE ED IL TESSUTO URBANO<br />

L’amore è come un’automobile senza problemi.<br />

I problemi sono solo nel guidatore, nei passeggeri e nella strada.<br />

Franz Kafka<br />

Quando il cavaliere venne disarcionato dal suo splendido destriero e il<br />

contadino macellò con gran soddisfazione il proprio ronzino si era giunti al<br />

momento in cui la forza meccanica cercava di imporsi in maniera pervasiva in<br />

tutti gli ambiti <strong>della</strong> vita sociale quotidiana. Ma la caduta da cavallo fu molto<br />

lenta e la nostra Luigia Pallavicini non perse la sua bellezza subito. La forza<br />

meccanica che spiegava allora le sue ali, ancora incerta sul da farsi annaspava,<br />

in attesa di un rafforzamento <strong>della</strong> sua identità.<br />

- 153 -


Vito Garramone<br />

Cavallo e portantine di vario genere esistevano dalla notte dei tempi, ma<br />

solo nel seicento poterono farsi concorso nelle vie cittadine. E pensare che nel<br />

cinquecento Enrico II poteva far mostra di sé ed accrescere la vanità di sua<br />

moglie e di sua figlia, anche attraverso il loro privilegio di poter attraversare la<br />

Capitale, Parigi, in vettura, stando a quanto ci dice Henand 1 . Nel cinquecento<br />

e seicento le città videro come il loro tessuto poteva essere considerato fuori<br />

moda da dei piccoli cambiamenti, delle piccole trasformazioni nei modi di<br />

vita e nemmeno in quelli <strong>della</strong> maggioranza dei suoi abitanti. Molte volte era<br />

l’esigenza di renderle accessibili a degli abitatori 2 che costringeva a modifiche<br />

nel loro “vestito”. Almeno le porte e le strade principali dovevano essere carrozzabili.<br />

Il seicento fu l’era delle carrozze o vetture in città. Sempre Henard<br />

ci mostra con qualche dato il loro prender piede in città. Nel 1612 abbiamo<br />

le prime vetture a nolo e nel 1658 giravano per Parigi almeno 310 “carrozze<br />

di lusso” 3 . Ed infatti stavano prendendo piede, o meglio la notte avrebbero<br />

preso anche di più se non si fosse stati attenti ad attraversare le strade. Il secolo<br />

successivo Parini ironizzerà su come fosse più conveniente nelle città, ed<br />

in special modo a Milano, camminare di giorno che vagabondare di notte,<br />

a meno che non si avesse un codazzo di servi a proteggere e ad illuminare il<br />

cammino. Oltre ai brutti incontri c’era il rischio di essere investiti da qualche<br />

carrozza. Non siamo ancora di fronte alla motorizzazione comune ed individuale<br />

e già esistevano i “pirati <strong>della</strong> strada”. L’automobile dovette attendere fino alla<br />

fine del secolo XIX per poter far mostra di sé nel vocabolario quotidiano e<br />

nelle prime industrie anonime di stampo fordista. Ancora nel 1863 J. Verne<br />

parla delle automobili, ovvero dei primi prototipi di automobili ed è costretto<br />

ad usare un neologismo forse di sua invenzione. Immagina, col suo fare fantascientifico<br />

da futurologo, di far muovere i suoi personaggi attraverso Parigi<br />

a bordo di una “gazcab”, ovvero di una “gasmobile”, “una vettura da piazza”<br />

alimentata da gas. Nelle sue parole<br />

«In effetti, delle innumerevoli vetture che solcavano le carreggiate dei viali,<br />

la maggior parte andava senza cavalli; esse si muovevano grazie a una forza<br />

1<br />

Henand è citato da G. Giovannoni in “Vecchie città ed edilizia nuova”, p. 87.<br />

2<br />

Per noi l’“abitatore” indica al tempo stesso colui che abita la città, l’abitante, e colui che la frequenta,<br />

l’utilizzatore.<br />

3<br />

Ancora Henand citato da G. Giovannoni, p. 87.<br />

- 154 -


L’intervista aperta, le immagini di una città e la voce degli invisibili che si muovono a Potenza<br />

invisibile, per mezzo del gas. Era la macchina Lenoir applicata alla locomozione.<br />

Questa macchina, inventata nel 1859, presentava come primo vantaggio quello<br />

di sopprimere caldaia, fuoco e combustibile; un po’ di gas da illuminazione, misto<br />

all’aria introdotta sotto il pistone ed infiammata dalla scintilla elettrica, produceva<br />

il movimento» (J. Verne, Parigi nel XX secolo, 1995, p. 19).<br />

Ma sebbene manifestasse i suoi primi effetti sulle città, attraverso le<br />

modifiche fisiche (piccoli e grandi sventramenti, aggiunta di posti di stallo,<br />

di rifornimento e di riparazione, ecc…) e sociali (cambiamenti di direzioni e<br />

relazioni, di abitudini, di mestieri, di rapporti, di relazioni tra zone centrali<br />

e periferiche, ecc…), non poteva ancora essere chiamata col nome che noi<br />

ora attribuiamo a questo prodotto dell’era meccanica. Secondo Dogliotti e<br />

Rosiello, solo nel 1892 si suggella e si identifica quella particolare macchina<br />

per le sue caratteristiche, ora molto evidenti. L’automobile o la macchina<br />

“che si muove da sé” viene finalmente battezzata e caricata di una personalità<br />

che ha sempre meno a che spartire con la sua antenata, la carrozza, ma che<br />

cerca di recuperare quello che a lungo è stato un altro antenato illustre<br />

dimenticato e oscurato: il cavallo. Il cavallo è sicuramente più vicino, almeno<br />

simbolicamente e metaforicamente a quello che sarà il bolide futurista. Non<br />

interessa tanto il vantaggio del trasporto collettivo o del farsi trasportare. Le<br />

energie individuali devono sfociare in un vitalismo superumano con l’ausilio<br />

delle forze di provenienza meccanica. Ora le regole sono cambiate come è<br />

cambiato il secolo. Altra è la cultura e lo spirito delle sue genti.<br />

I futuristi e le automobile. Oltre alle macchine anche le genti cominciano<br />

a manifestare la loro dipendenza dall’energia. Ma questa nuova forza,<br />

questo rinvigorirsi del vitalismo, crea “coraggio”, “audacia” e “ribellione” che si<br />

manifesteranno esaltando «il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di<br />

corsa, il salto mortale, lo schiaffo e il pugno» (Manifesto del Futurismo, comparso<br />

sul giornale Le Figaro già il 22 febbraio 1909 a firma di F. T. Marinetti). Da<br />

questa nuova energia e dalle ceneri piangenti del vecchio secolo è nata una<br />

nuova e splendida fenice: la “velocità”. Ma chi meglio potrà manifestare questo<br />

supremo e vitale impeto titanico se non l’automobile. O meglio ad inizio<br />

secolo e in cultura alquanto maschilista “lo” automobile e “gli” automobili<br />

(almeno fino agli anni trenta). “Un” automobile non qualunque, naturalmente.<br />

«Un automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti<br />

dall’alito esplosivo … un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia,<br />

- 155 -


Vito Garramone<br />

è più bello <strong>della</strong> Vittoria di Samotracia 4 ». I futuristi, inoltre, amavano autocelebrarsi<br />

anche nella posa dell’“uomo che tiene il volante, la cui asta ideale attraversa la<br />

Terra, lanciata a corsa, essa pure nel circuito <strong>della</strong> sua orbita 5 ”.<br />

Anche se ben presto la spinta individuale avrebbe dovuto trovare un referente<br />

meno ristretto (la “folla”) e rivolgere la sua attenzione verso quelli che<br />

saranno più tardi identificati come i non-luoghi e i loro vettori.<br />

«Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa;<br />

canteremo le maree multicolori e polifoniche delle rivoluzioni nelle capitali<br />

moderne, canteremo il vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri<br />

incendiati da violente lune elettriche, le stazioni ingorde, divoratrici di serpi che<br />

fumano; le officine appese alle nuvole pei contorti fili dei loro fumi, i ponti simili<br />

a ginnasti giganti che scavalcano i fiumi, balenanti al sole con un luccichio di coltelli,<br />

i piroscafi avventurosi che fiutano l’orizzonte, le locomotive dall’ampio petto,<br />

che scalpitano sulle rotaie, come enormi cavalli d’acciaio imbrigliati di tubi, e il<br />

volo scivolante degli aeroplani, la cui elica garrisce al vento come una bandiera e<br />

sembra applaudire come una folla entusiasta 6 ».<br />

E si profilerà anche un altro aspetto dell’evoluzione mentale dell’uomo, la<br />

morte delle ultime due categorie ancora rimaste in vita: lo spazio e il tempo.<br />

«Il Tempo e lo Spazio morirono ieri. Noi viviamo già nell’assoluto, poiché<br />

abbiamo già creata l’eterna velocità onnipresente 7 ».<br />

Ma fino ai nostri giorni la velocità sarà sempre e soprattutto associata all’automobile<br />

(gli aeroplani e anche i treni non hanno la stessa presa e poi anche<br />

nelle competizioni sportive le moto godono di meno popolarità rispetto alle<br />

auto).<br />

Il medium più celebre: l’auto. Alla velocità però col passare di un solo<br />

decennio subito vennero aggiunte altre virtù e qualità coprimarie e, forse, più<br />

<strong>della</strong> velocità stessa, importanti.<br />

«Negli anni venti [essa, l’automobile, è il caso degli Usa o di qualche lustro<br />

più tardi per l’Europa] spezzò, o almeno così parve, l’unità familiare. Separò il<br />

lavoro dall’abitazione come mai in passato. Fece esplodere ogni città in una dozzina<br />

4 Dal “Manifesto del futurismo”.<br />

5<br />

Ibid.<br />

6<br />

Ibid.<br />

7<br />

Ibid.<br />

- 156 -


L’intervista aperta, le immagini di una città e la voce degli invisibili che si muovono a Potenza<br />

di suburbi, ed estese parecchie forme <strong>della</strong> vita urbana lungo le autostrade, al punto<br />

che le strade parvero diventare città ininterrotte. Creò le giungle d’asfalto e fece sì che<br />

venissero coperte di cemento 40.000 miglia quadrate di terra verde e ridente» (M.<br />

McLuhan, Gli strumenti del comunicare, 1995, pp. 244-5).<br />

L’automobile si dimostrava essere un mezzo di grande influenza e per di<br />

più dava luogo a trasformazioni che non erano facilmente definibili in un<br />

campo specifico. Ai cambiamenti all’interno <strong>della</strong> città, che con Giovannoni<br />

possiamo chiamare “attraversamenti” e “diradamenti”, si contrappongono<br />

quelli fuori di essa. Prendono vita i suburbi, le città satellite e i dormitorio, le<br />

frazioni che l’automobile riusciva ora a collegare facilmente al centro capoluogo.<br />

In alcuni casi, come una infezione, erano proprio le strade di collegamento<br />

con la città a far “vomitare” la città stessa e la sua cultura sul territorio extraurbano.<br />

Iniziava così l’avventura analitica e di definizione delle città-diffuse<br />

che ancora non trova pace. Ma l’auto doveva scomporre e moltiplicare anche<br />

luoghi comuni, tanto nella città quanto nella famiglia. Come le piazze non<br />

erano più i centri e nuclei di aggregazione delle città così le famiglie perdevano<br />

la loro capacità di aggregazione. La separazione del lavoro dalla casa di<br />

abitazione e la possibilità di essere insieme ad altri, con il carico <strong>della</strong> propria<br />

solitudine, facevano sì che l’auto si rafforzasse sempre più come elemento<br />

vettore dei non-luoghi. Con questi rafforzerà anche la sua stessa immagine ed<br />

avrà narcotizzato l’uomo nella sua roccaforte <strong>della</strong> solitudine. Le dinamiche<br />

saranno lente, ma non per questo inconcludenti.<br />

«Negli anni trenta, quando milioni di album a fumetti inondavano di sangue<br />

la gioventù, nessuno pareva rendersi conto che sul piano emotivo la violenza<br />

delle milioni di auto che viaggiavano sulle nostre strade era incomparabilmente<br />

più isterica di qualunque cosa che potesse essere data alle stampe. Se si radunassero<br />

in una città tutti i rinoceronti, gli ippopotami e gli elefanti del mondo, non<br />

si riuscirebbe ad avvicinarsi neppure lontanamente alle minacce e all’intensità<br />

esplosiva proprie dell’esperienza che apporta ogni giorno e ogni ora il motore a<br />

combustione interna. Si pensa davvero che la gente possa interiorizzare – cioè<br />

vivere con – tutto questo potere e questa violenza esplosiva senza manipolarlo ed<br />

esprimerlo in qualche forma fantastica a fini di compensazione e d’equilibrio?»<br />

(McLuhan, p. 239).<br />

Anche se, detto altrimenti, si arriva ancora alle stesse conclusioni di<br />

Augé. Ma McLuhan avverte che possiamo capire chi o cosa ha prodotto<br />

- 157 -


Vito Garramone<br />

tutto questo. Sono stati i mezzi di comunicazione, poiché «con una nuova<br />

tecnologia cambia anche la cornice e non soltanto il quadro che in essa è contenuto»<br />

(McLuhan, p. 239). Occorre allora analizzare i mezzi che l’uomo ha per<br />

esprimersi e vedere come questi hanno influenzato e diffuso i loro messaggi<br />

prima ancora che il non-luogo, ovvero la manifestazione del vivere lo spazio<br />

altrimenti.<br />

Inoltre, l’auto è «un medium caldo, esplosivo, di comunicazione sociale»<br />

(McLuhan, p. 241). È questa una delle motivazioni di così larga presa, di<br />

questa, sulla gente. Come ogni medium caldo ha una alta definizione, ovvero<br />

trasmette una grande quantità di informazione, talmente alta che nessuno<br />

deve completare o apportare una qualche forma di partecipazione. In questa<br />

la sua esplosività e il suo successo. È il mezzo dei nostri giorni a cui sono<br />

state date le maggiori preferenze. E questo medium ha in qualche modo ricambiato<br />

il favore, creando «la prima società senza classi che sia mai esistita al<br />

mondo» (McLuhan, p. 244). Come la morte, l’automobile per molto tempo<br />

ha costituito una “livella”, uno standard per tutti, tanto da diventare la macchina<br />

per antonomasia. Il linguaggio e l’abitudine hanno portato a concepire<br />

come sinonimi il termine “automobile” e il termine “macchina”. È divenuta<br />

una delle tante macchine o aggeggi di cui non se ne può più fare a meno.<br />

Sempre più sta diventando un prodotto destinato al consumo personale ed<br />

individuale. Nelle famiglie si sta arrivando al rapporto uno ad uno con i suoi<br />

componenti, nonostante rappresenti l’“elettrodomestico” più costoso. Il suo<br />

uso con il suo consumo non sono nemmeno giustificati da criteri di ammortamento,<br />

visto il suo ciclo di vita, i problemi urbanistici ed ambientali, i costi<br />

non sempre concorrenziali agli altri modi di trasporto, ed altro ancora. Via<br />

alle giustificazioni economiche. L’automobile è la macchina più domestica ed<br />

addomesticata dall’uomo. Come con tutti gli altri animali domestici l’uomo<br />

ha cercato di dominarla e di sfruttarla, al meglio possibile, per i suoi bisogni.<br />

L’automobile è passata da macchina per “eccellenza”, quindi esprimente<br />

una prerogativa ed anche una forma di dandismo, a macchina per “eccellere”,<br />

dove si faceva avanti una aspettativa alquanto rivoluzionaria. L’auto avrebbe<br />

indirizzato il proprio potere livellatore verso l’alto. Nelle parole di McLuhan,<br />

l’auto (americana, ma l’automobile in genere) «di fatto non livella verso il basso,<br />

ma verso l’alto, verso un ideale “aristocratico”» (McLuhan, p. 244). Ecco come<br />

l’addomesticamento ha alimentato una aspettativa che si è fatta sempre più<br />

- 158 -


L’intervista aperta, le immagini di una città e la voce degli invisibili che si muovono a Potenza<br />

pervasiva e diffusa. Ma come ogni aspettativa basata sull’ottenimento di un<br />

qualcosa insperabile ed irraggiungibile, all’ottenimento dei primi risultati si<br />

smorza e si adagia mostrando il suo vero volto, la sua velleità, così l’auto è<br />

diventata un domestico reperto archeologico, come un pesce rosso o un cane,<br />

che tutti hanno e che non assolve più le funzioni di caccia e guardia o di sostentamento.<br />

Ha conservato, purtroppo, anche se in maniera positiva e non<br />

passiva, una funzione necessaria alla nostra vita, si è insinuata in essa come<br />

un “bisogno”. R. Barthes, prendendo a prestito la definizione di un intervistato<br />

8 , la definisce “un aggeggio del tutto comune”. L’automobile è diventato<br />

un oggetto del tutto comune di cui non se ne può fare a meno, un po’ come<br />

sta avvenendo per la telefonia mobile oggi, per fare solo un esempio molto<br />

lampante e noto ai più.<br />

L’automobile, un oggetto del tutto comune. «L’auto ha smesso di essere<br />

un lusso ed è diventata un bisogno: essa non è più l’oggetto di un discorso utopistico,<br />

non viene più favolosamente sognata […]; l’auto ha definitivamente raggiunto<br />

la classe degli oggetti domestici e solo il prezzo la rende differente dall’elettrodomestico,<br />

dal telefono o dalla doccia; essa è ormai, come ha detto un soggetto particolarmente<br />

ispirato, un “oggetto del tutto comune”» (R. Barthes, L’automobile: un<br />

“aggeggio del tutto comune”, 1998, p. 42).<br />

L’auto non è più solo sognata, ma si progetta anche di acquistarla. È un<br />

oggetto di massa, per tutti, e ne parlano tutti da chi la possiede a chi fa di tutto<br />

per non averla. L’auto logora chi non ce l’ha.<br />

«L’automobile è un tema attivo di riflessione generale; è un “soggetto” di discorso<br />

e, per qualcuno (che non necessariamente è il più colto), addirittura di<br />

dissertazione. Tutti percepiscono che l’automobile è un oggetto-segno offerto a un<br />

commento generale sull’uomo, i costumi, la civiltà» (Barthes, p. 42).<br />

Ed è strano e curioso notare questo paradosso di ricchezza dell’oggetto<br />

in proporzione alla sua banalità. «Tuttavia (ed ecco un paradosso interessante)<br />

l’automobile, “un aggeggio del tutto comune”, resta sempre il luogo di investimenti<br />

psichici estremamente ricchi: quest’oggetto banale cristallizza coscientemente preoccupazioni<br />

che provengono da ogni aspetto <strong>della</strong> psiche individuale. Fate parlare<br />

8 Indicazioni tratte dal breve saggio intitolato L’automobile: un “aggeggio del tutto comune”, facente<br />

parte <strong>della</strong> raccolta “Scritti. Società, testo, comunicazione”, da cui siamo partiti per le nostre<br />

considerazioni. Anche questa ricerca (era stata commissionata dalla rivista “Réalités”), come le<br />

nostre, si basa su una indagine tramite interviste condotte da M. A. Gougeon.<br />

- 159 -


Vito Garramone<br />

qualcuno dell’auto che possiede, o di quella che avrà, e saprete immediatamente che<br />

cosa pensa <strong>della</strong> vita, <strong>della</strong> sua famiglia, del suo paese» (Barthes, pp. 43-44).<br />

Dimmi che auto vuoi e capirò chi sei! Se poi mi dirai che auto hai si<br />

scopriranno le frustrazioni, i compromessi e gli adeguamenti alla realtà. E<br />

dalla macchina, come da un cilindro, escono fuori tutti gli argomenti <strong>della</strong><br />

quotidianità. Alla macchina si legano discussioni sulla famiglia. La macchina<br />

deve consentire lo spostamento a tutti i componenti, quindi rafforzare e<br />

raggruppare la famiglia coniugale; permette di allontanarsi dalla famiglia parentale,<br />

accorciando le distanze e avvicinando le separazioni; la o le macchine<br />

mostrano le differenze di status all’interno <strong>della</strong> stessa famiglia: la macchina<br />

grande di papà, quella cittadina di mamma, quella vecchia per i figli, ecc.; ancora,<br />

mostra ed accende problemi generazionali e di rapporto tra padre e figlio<br />

(un figlio non comprerebbe mai la macchina del padre oppure crea nel figlio<br />

quell’ambiguo rapporto di obbligo e soggezione nel chiedere la macchina al<br />

padre); ecc…<br />

L’automobile è, anche, un modo per introdursi a temi di politica economica<br />

nazionale, ad esempio attraverso le diffusissime discussioni sul prezzo <strong>della</strong><br />

benzina per voler sfruttare come citazione anche una nota canzone di P. Conte<br />

(“la Topolina amaranto”). Poiché<br />

«A partire dall’auto e dai problemi economici immediati che essa suscita<br />

(prezzo d’acquisto e di manutenzione, costo <strong>della</strong> benzina, bollo, rete stradale,<br />

parcheggi), i Francesi [ma possiamo allargare le sue conclusioni in generale<br />

anche ai nostri casi] sviluppano a profusione un’affettività civica, fatta di rivendicazioni<br />

e di pianificazioni personali, che spesso prende il posto <strong>della</strong> coscienza<br />

politica: l’auto consente di individuare gli errori nazionali (l’inciviltà nella guida,<br />

per esempio) o i vizi economici (compensare il prezzo elevato <strong>della</strong> benzina sacrificando<br />

la comodità e la sicurezza <strong>della</strong> macchina)» (Barthes, p. 44).<br />

L’automobile diventa segno di emancipazione sociale. L’auto logora chi<br />

non ce l’ha. Tutti vogliono prendere la patente come primo effetto <strong>della</strong> maggiore<br />

età, per poter manifestare e dar sfogo a libertà di poter viaggiare e possedere<br />

questo oggetto banale dal “potere mitico”. Sicuramente è più importante<br />

il giorno che si prende la patente che quello in cui si vota per la prima volta,<br />

per fare un ordine di preferenze e di aspettative <strong>della</strong> maggiore età.<br />

La funzione domestica e quella sportiva dell’auto. L’auto assolve inoltre<br />

una funzione “domestica” e una funzione “sportiva”. Ed è più “mitica” e di<br />

rivolta quest’ultima funzione.<br />

- 160 -


L’intervista aperta, le immagini di una città e la voce degli invisibili che si muovono a Potenza<br />

«In una macchina viene percepito come sportivo tutto ciò che permette ancora<br />

l’esercizio di un certo individualismo: la “sportività”, di conseguenza, è una qualità<br />

che dà luogo a determinati comportamenti: viaggiare in orari non abituali (cioè<br />

quando gli altri non viaggiano), percorrere senza motivo l’autostrada (per sottrarsi<br />

alla folla): ecco due esempi di “sportività” automobilistica, virtù soprattutto etica, che<br />

consiste nel sottrarre l’auto all’uso di massa, per ritrovare, grazie ad essa, una qualche<br />

forma di solitudine: sia disponendo, se possibile, di un oggetto più complicato di quello<br />

degli altri, sia assoggettandolo a singolari modi di guida» (Barthes, p. 46).<br />

Come non riconoscersi in questa definizione e nel protagonista de Il sorpasso,<br />

di D. Risi. Eppure bisogna pensare che è un residuo di lontana ascendenza<br />

futurista, non più «quel miscuglio di velocità, scomodità e rischio che<br />

caratterizza il primo mito dell’automobile, bensì un certo modo di sottrarsi al<br />

conformismo <strong>della</strong> guida e di ricercare una certa complicazione tecnica del veicolo»<br />

(Barthes, p. 45).<br />

Ma sebbene «la sofisticazione meccanica dell’auto le fornisce ancora l’apparenza<br />

di una lotta» (Barthes, p. 45) non è da intendersi più come «una lotta fra<br />

l’uomo e la natura (pesantezza, velocità), ma [come] il contatto privilegiato fra<br />

un corpo e una meccanica» (Barthes, p. 45).<br />

Così «appare sportiva solo quella macchina di cui si può dire che la “si pilota”»<br />

(Barthes, pp. 45-6).<br />

Le bravate con la macchina o il clamoroso caso delle gare notturne al<br />

Pilastro di Bologna, per fare un esempio in passato molto discusso, sono<br />

l’estasi estrema di questo contatto con le meccaniche ritenute vitali e unico<br />

modo di accendere e dare realtà a questo contatto, nonostante il pretesto del<br />

guadagno monetario offerto dalle scommesse. Ma questi sono casi estremi, in<br />

altre forme è presente anche in maniera inconscia nell’uomo col cappello 9 .<br />

Per la maggior parte e per le norme in vigore derivanti da un codice che<br />

costringe ad andature moderate, la “velocità” viene ad essere sublimata, perdendo<br />

così importanza, per lasciare il posto ad una sua sorellastra, la “potenza”<br />

capace di poter attivare un “sorpasso”.<br />

Senza dubbio, per la maggioranza, la funzione che predomina è quella “domestica”.<br />

L’auto viene confusa e paragonata alla abitazione domestica.<br />

9 Espressione che indica colui che va piano con l’auto e che col suo modo di guida innervosisce e<br />

crea intralcio alla circolazione. Una forma di perditempo nell’ordinato flusso veicolare.<br />

- 161 -


Vito Garramone<br />

«L’auto, per molti, è una casa. Ancora prima <strong>della</strong> nascita del mito, l’auto e la casa<br />

entrano in rivalità, ossia in contiguità. Infatti, quanto meno per un certo periodo di<br />

tempo, di solito l’una impedisce di comprare l’altra, di modo che, fatalmente, si ambisce<br />

a possederle contemporaneamente; il che ha portato […] a scambiare le loro caratteristiche<br />

e ad assimilare l’una all’altra» (Barthes, p. 46).<br />

Ma avviene che per lavoro o con i primi soldi del lavoro si accordi la precedenza<br />

e preferenza alla macchina.<br />

«La macchina, meno cara e più facilmente acquistabile, diviene in tal modo<br />

[…] una casa per procura; l’acquisto di un’auto e quello di un appartamento non<br />

vengono considerati come una alternativa fra due diversi bisogni, ma come due<br />

momenti successivi di un unico itinerario» (Barthes, p. 46).<br />

Possiamo addirittura considerare l’auto come il primo monolocale di cui<br />

si fa conoscenza ed uso. La prima ragazza la si porta in macchina e non in casa,<br />

per voler far solo un esempio. Che sia, poi, un surrogato <strong>della</strong> casa questo è<br />

oramai fuori da ogni dubbio. Infatti, «la gente vuole che l’auto riproduca “casa<br />

propria”» (Barthes, p. 47). E visto che «“Casa propria” possiede evidentemente,<br />

nella società contemporanea, un valore di rilassamento (opposto al lavoro) e<br />

di libertà (opposto alle costrizioni sociali) […] l’auto consentirà al proprietario<br />

gli stessi atti liberi e distensivi normalmente compiuti in casa, atti che non sono<br />

per nulla «automobilistici»: leggere il giornale, distendersi “come su un divano”,<br />

dormire (queste ultime due esigenze sono molto più frequenti di quanto si pensi),<br />

parlare di quel che si desidera» (Barthes, p. 47). O ancora, proseguendo con<br />

Barthes, possiamo aggiungere che «l’auto tende a diventare un’appendice <strong>della</strong><br />

casa, distaccata da quella principale; per esempio, avendola parcheggiata vicino<br />

all’ufficio, ogni tanto vi si può fare un salto per cercare un oggetto familiare o<br />

riempire la pipa, in modo da essere al contempo – con un rapido sali e scendi – al<br />

lavoro e a casa propria» (Barthes, p. 47).<br />

Uno spazio da arredare. Che l’auto sia una casa lo dimostra anche il fatto<br />

che venga considerato come “uno spazio da arredare” (Barthes, p. 47). Ognuno<br />

la personalizza con lo stesso impegno che ci mette per la casa, e l’acquisto di<br />

una macchina con gli interni in pelle e in radica di noce non è altro che la<br />

riproduzione in piccolo del mobilio, delle tende e del sofà presenti o ambite<br />

nella prima. Poi, si aggiungeranno piccoli oggetti, suppellettili, elementi di<br />

vestiario, libri, repertori e vari supporti musicali ed altro ancora, affinché la<br />

personalizzazione possa giungere al suo massimo grado. Si aggiunga, inoltre,<br />

- 162 -


L’intervista aperta, le immagini di una città e la voce degli invisibili che si muovono a Potenza<br />

che gli stessi proprietari possono entrare in intimità con la propria auto, sviluppare<br />

il senso del possesso attraverso la cura zelante di questa e la sua continua<br />

pulizia. Molti psicoanalisti hanno voluto vedere in questo un archetipo<br />

materno 10 ed una forte componente erotica.<br />

Insomma, «ecco gli elementi che fanno miticamente dell’auto una seconda<br />

casa: protettiva, riempita, inviolata» (Barthes, p. 47).<br />

Una casa ambulante. Ma non si trascuri il carattere ambulante di questa<br />

casa, che permette di arrivare e sostare ovunque, quale segno di un nuovo<br />

nomadismo avanzato. Vanno in questa direzione anche i lavori di molte avanguardie<br />

degli anni sessanta e settanta, uno per tutti quello degli Archigram,<br />

che sarebbe opportuno considerare, ma che l’economia <strong>della</strong> nostra ricerca<br />

non lo consente.<br />

«L’auto permette di uscire dalla città, di regalare ai bambini dei week-end all’aria<br />

aperta; libera dalla schiavitù degli orari, dei calendari, aiuta a «catturare»<br />

il bel tempo (basta andare più lontano); fornisce docilmente a chi la usa il ritmo<br />

stesso con il quale trascorrere la vita (per esempio: ammirare un paesaggio, fare un<br />

giretto, non prenotare la camera d’albergo […] )» (Barthes, p. 48).<br />

L’auto e l’immaginario collettivo. L’auto ha prodotto nell’immaginario<br />

collettivo più di quanto doveva, essendo ancora una propaggine e «uno splendido<br />

esempio di meccanismo uniformemente standardizzato» (M. McLuhan, Gli<br />

strumenti del comunicare, 1995, p. 244) <strong>della</strong> galassia gutenberg. È un meccanismo<br />

dell’era meccanica riattualizzato e rivitalizzato dall’era elettrica che crea<br />

più sottili norme di status e funzione.<br />

L’automobile si è dimostrata, e continua a dimostrare di essere, «uno strumento<br />

di perfetta libertà, di disponibilità, poiché concede all’uomo moderno ciò<br />

che per lui è più raro: l’imprevedibile» (Barthes, p. 48). Può sempre cambiare<br />

all’ultimo momento un po’ come Dean Moriarty di On the road di J. Kerouac.<br />

Ma nei più dei casi l’uomo moderno non ha di questi slanci e la libertà che<br />

la macchina gli procura «non è per nulla percepita come avventurosa: è libertà<br />

di consumare non di esplorare; questa casa in movimento non ha come modello<br />

10 Va in questa direzione anche una piece del teatro-canzone di G. Gaber e S. Luporini: “e quando<br />

siete tutti soli/ tu e lei/ sul prato/ e te la lavi/ e te la asciughi/ … o mamma!” (O mamma, in Il<br />

teatro canzone, con S. Luporini). Il saggio sull’automobile di M. McLuhan non reca un sottotitolo<br />

ambiguo ma provocante, sebbene un po’ distante ma di trovata altrettanto “erotica” nella dizione<br />

“La sposa meccanica”?<br />

- 163 -


Vito Garramone<br />

originario (e mitico) il riparo improvvisato dell’uomo primitivo (come quando si<br />

gioca a “fare i selvaggi”) ma la casa viaggiante dei nomadi che, incessantemente,<br />

con un movimento dialettico assaporato fino in fondo, al contempo si installa e si<br />

sposta» (Barthes, pp. 48-9).<br />

L’auto rafforza così non tanto la «libertà di essere l’altro ma [la] libertà<br />

di essere “se stessi”» (Barthes, p. 49), anche se questo si manifesta sempre più<br />

difficilmente, e contrariamente a quanto pensava Barthes, come evasione o<br />

“desiderio” di evasione <strong>della</strong> società di massa. L’evasione, oggi più che ieri, è<br />

sempre più difficile da evidenziare ed esplode raramente o sotto forme molto<br />

implicite. Infatti è più giusto e si può convenire con una ulteriore affermazione<br />

dell’autore sul fatto che «ben presto, forse, non bisognerà scrivere una mitologia<br />

dell’automobile, ma una mitologia <strong>della</strong> guida» (Barthes, p. 50) tanto per<br />

spostare lo studio su una declinazione di comportamento o di rapporto con il<br />

mezzo-medium, visto che il problema sta nell’illimitato potere degli uomini di<br />

attribuire alle cose il senso che essi preferiscono. Comunque, non si è verificata<br />

la profezia di McLuhan circa il sopravvento <strong>della</strong> televisione sull’automobile.<br />

Ancora oggi non facciamo la spesa su un canale televisivo, ma affolliamo le<br />

tangenziali ed occupiamo immensi piazzali davanti ai centri commerciali, le<br />

basiliche del consumismo. E anche se la televisione ha permesso il miracolo del<br />

semaforo, dove anche un bimbo può fermare un pesantissimo camion, questi<br />

è pur sempre costretto a girare in mascherina fino a che non venga concesso<br />

(o imposto?) il blocco del traffico, totale o a targhe alterne. Anche i duri colpi<br />

inferti da quella (la televisione) a questa (l’automobile) non hanno sbalzato di<br />

sella “il cavaliere in automobile”, anzi “raffreddando i gusti del pubblico” e mettendo<br />

«in dubbio i presupposti meccanici dell’uniformità e <strong>della</strong> standardizzazione,<br />

nonché i valori di consumo» (McLuhan, p. 241) hanno fatto sì che il medium<br />

cambiasse prima di poter essere abbandonato dal suo “utilizzatore”. Infatti,<br />

più che declino o sottomissione dell’auto alla televisione si può vedere come<br />

si cerchi sempre più di dar luogo ad una integrazione di questi due media,<br />

caldo il primo e freddo il secondo. Le automobili sono ancora, e sempre più,<br />

la popolazione delle città. La pedonalizzazione dei centri storici e di zone di<br />

pregio fa fatica a misurarsi con questi nuovi abitanti meccanici. La sfida tra i<br />

due media ha portato ad una loro ibridazione in “liaisons dangereuses”. Si confondono<br />

sempre più l’uno nell’altro. Come ne risente l’uomo e come questo<br />

rapporto uomo-medium si concretizza e prende forma in città?<br />

- 164 -


L’intervista aperta, le immagini di una città e la voce degli invisibili che si muovono a Potenza<br />

Il fatto che l’auto è soprattutto un medium caldo in un ambiente caldo<br />

come la città è negativo? Naturalmente, di segni negativi ce ne sono molti ma<br />

vanno studiate le possibili combinazioni e gli sviluppi sul tessuto urbano e<br />

nervoso dei suoi abitatori.<br />

Il sorpasso. Vi è poi la considerazione circa il fatto poi che «[…] l’automobile<br />

individuale sia principalmente un giocattolo idiota e secondariamente un mezzo<br />

di trasporto» (AA.VV. Internazionale Situazionista. 1958-69, 1994, p. 13).<br />

Lo si capisce benissimo anche attraverso il film de Il sorpasso 11 (1962) di<br />

Dino Risi e con Vittorio Gassmann come protagonista. L’auto è una “machine<br />

à vivre”, un modo per giocare col delicato filo <strong>della</strong> vita e <strong>della</strong> morte,<br />

per esaltare la componente di vitalismo che ha avuto origine coi futuristi, un<br />

modo per fuggire la realtà e il tempo, continuando a rimandare i problemi<br />

quotidiani con il distacco di un sorpasso che si lascia alle spalle tutto, anche<br />

la vita stessa.<br />

Il protagonista sorpassa tutti, con prepotenza e facendosi sentire con grida,<br />

col claxon e con prese in giro. Quando finge di dare un passaggio ad un<br />

anziano e poi scatta all’ultimo momento. “Ah, vuoi correre … mo’ ti faccio<br />

vedere io … ti piace correre?”<br />

Alle volte la sua vita si compone di “inversioni”. Ad esempio, quando lui<br />

pirata <strong>della</strong> strada dice ad un altro: “Ma tu non sai guidare … sei proprio un<br />

selvaggio”.<br />

La condizione di fusione col proprio medium caldo provoca delle vere<br />

e proprie situazioni ideali e personalizzate, in cui ognuno crede di essere nel<br />

proprio mondo. “Io basta che guido mi riposo”.<br />

L’auto è anche un qualcosa che crea momenti di intimità. La scappatella<br />

in auto non è che l’esaltazione e l’estremo di tale condizione.<br />

O ancora l’auto è un modo per acquisire una identità collettiva, una complicità<br />

e forza di gruppo contro gli altri. “Se non ci aiutiamo tra noi automobilisti”.<br />

È, inoltre, un modo per fuggire la solita routine e vivere la città velocemente,<br />

senza pensieri, di passaggio. “Quando [invece] vedo la città deserta così<br />

con le strade vuote, i negozi chiusi …io mi avvilisco, perché lei no?”.<br />

11 Il Sorpasso (1962) con V. Gassmann, regia di Dino Risi su sceneggiatura dello stesso in<br />

collaborazione con Ettore Scola e Ruggero Maccari, che hanno poi curato ed ideato tutti i<br />

dialoghi.<br />

- 165 -


Vito Garramone<br />

Ma l’auto è un giocattolo che fa dimenticare col suo potere ludico. “A<br />

Robe’ e che te ne frega <strong>della</strong> tristezza”.<br />

L’auto è, ancora, un modo per cambiare sempre. Si cambia marcia, contesto,<br />

paesaggio, scenario, tempi e situazioni, oltre che persone ed umori. Si<br />

vede, si scopre, si riscopre, ecc… È l’ideale del vivere alla giornata, con tutto<br />

quello che può avvenire e venire.<br />

L’auto è anche un modo di riconoscimento sociale e di prestigio. Gassmann<br />

a bordo <strong>della</strong> sua Aurelia Sport Super Compressor può ben dire ad una famigliola<br />

intenta ad allontanarsi dalla città per il week end, “ma dove andate con<br />

sta Seicento?!”<br />

E il medium prende quello che dà, e con gli interessi. Il medium automobilistico<br />

diventa una protesi, per il protagonista, una protesi tra la sua anima e<br />

la sua vita, tanto che occuperà il primo posto nella graduatoria personale delle<br />

importanze, ancor prima <strong>della</strong> figlia e <strong>della</strong> ex-moglie, che ancora lo ama (e<br />

lo odia).<br />

Il medium esalta nell’enfasi partecipativa alla vita, la solitudine umana.<br />

Ognuno è una persona sola, che cerca compagnia per riempire il vuoto <strong>della</strong><br />

propria vita. Si è tristi e senza autorità da soli. Si ha solo spirito e frementi<br />

potenzialità. Ma quando il medium prende il sopravvento si diventa “balordi”,<br />

nelle parole dello stesso protagonista. Infatti, anche quando ha dei “momenti<br />

morali”, non è né credibile e né creduto, per fare solo un esempio.<br />

Comunque, una volta vittima di tale anestetica ebbrezza, non si riesce a<br />

sfuggire.<br />

“Il mondo è più bello così, a testa in giù”.<br />

Fuori dagli schemi, perché tutto il resto sono<br />

“Sono sensazioni che passano”.<br />

Poi il medium prende piede col suo divertissement. E la vita ritorna così<br />

“come piace a me, senza paragoni”.<br />

Quindi adelante!<br />

“Oh! Chi c’è davanti a noi … superare”.<br />

Fino a che non compare la morte o qualcos’altro a far svanire la vertigine<br />

dell’anestesia.<br />

- 166 -


L’intervista aperta, le immagini di una città e la voce degli invisibili che si muovono a Potenza<br />

9. 2 LE STAZIONI E IL TRENO<br />

Appunto per questo arrossiva quando gli capitava<br />

di udire un treno passare e si scopriva una strana<br />

angoscia che poteva far pensare a nostalgia.<br />

Georges Simenon<br />

La modalità di trasporto ferroviario non raccoglie grandi consensi nelle<br />

analisi riferite al traffico e alla mobilità. È un mezzo di trasporto che suscita<br />

soprattutto gli interessi degli scrittori e dei letterati in genere. Ed invece ha<br />

tanta influenza sulla struttura <strong>della</strong> città, sui modi di vita quotidiana e sull’immagine<br />

<strong>della</strong> città.<br />

La ferrovia e le stazioni: la struttura <strong>della</strong> città. La modalità ferroviaria<br />

esercita una forte influenza ed un forte condizionamento sulla struttura <strong>della</strong><br />

città. È un capitale fisso sociale difficilmente riutilizzabile e dai grandi impatti<br />

sul territorio. Non permette l’utilizzo ad altre modalità, quindi è un capitale<br />

fisso sociale a modalità esclusiva. Inoltre, provoca problemi di intersezione non<br />

trascurabili con le altre modalità soprattutto quelle del trasporto su gomma:<br />

passaggi a livello, soprapassi o sottopassi, piazzali per la sosta e fermata degli<br />

automezzi, l’interscambio modale, la presenza di servizi minimi, ecc… La città<br />

viene segnata da tale “nastro d’acciaio”, in maniera evidente e con traumi e<br />

separazioni non sempre indolori. Infatti, i binari e l’avamposto <strong>della</strong> stazione<br />

segnano delle barriere, dei confini da una zona all’altra. Quasi sempre il dietro<br />

la ferrovia è diverso dal davanti anche in termini socio-funzionali (dietro alla<br />

ferrovia ci sono quasi sempre gli slums).<br />

Inoltre, se la ferrovia riesce ad esplicare anche funzioni metropolitane,<br />

l’importanza di tale modalità, l’influenza dei suoi non-luoghi e l’effetto di<br />

separazione si moltiplicano enormemente.<br />

Vediamo il caso di Potenza. La ferrovia penetra la città a guisa di serpente,<br />

entrando nelle sue viscere, scomparendo e riaffiorando, più volte e con più<br />

nodalità. Il sistema ferroviario diventa un sistema metropolitano grazie alla pre-<br />

- 167 -


Vito Garramone<br />

senza di molte stazioni ferroviarie nella città, che compongono quasi un ring<br />

intorno alla montagna su cui sorge l’insediamento. Nonostante il fallimento del<br />

raccordo del cerchio, per l’ufficializzazione del sistema ferroviario metropolitano,<br />

la struttura esistente ben si presta ancora a tale funzione. I flussi pendolari<br />

riescono a penetrare la città nelle nodalità desiderate con gran smistamento e<br />

“puntualità”, essendo almeno per l’hinterland un servizio dalle alte frequenze.<br />

La struttura <strong>della</strong> città è quindi caratterizzata da cinque avamposti, che ne<br />

sono anche bandiere di funzionalità diverse, cluster in cui la città si struttura.<br />

Inoltre, sono un sistema di relazione delle periferie da non trascurare, portano<br />

in periferia dei servizi minimi importanti che potrebbero fungere da elemento<br />

riqualificante. Anzi, si potrebbero bandire dei concorsi per progetti e servizi<br />

di riqualificazione del sistema e di quei punti <strong>della</strong> città ora semplice luogo di<br />

passaggio.<br />

«La metropolitana è uno sconnesso mondo inferiore, ed è appassionante speculare<br />

su quali mezzi potrebbero venire usati per intesserlo nella struttura generale»<br />

(K. Lynch, L’immagine <strong>della</strong> città, 2001, p. 75).<br />

La ferrovia e il pendolarismo. La ferrovia rappresenta ancora al giorno<br />

d’oggi, il modo di trasporto di una popolazione urbana ben distinta dalle altre.<br />

Se si escludono viaggiatori occasioni, la ferrovia è ancora oggi il modo del<br />

pendolarismo. «Verso le otto e mezzo, nove meno un quarto, la folla è ancora<br />

densa ma la socievolezza più manifesta: colleghi che si incontrano, si chiamano,<br />

conversano, scherzano» (M. Augé, Un etnologo nel metrò, 1986, p. 57).<br />

Nessuno studio del traffico e dei trasporti si preoccupa di sviluppare e<br />

costruire una ricerca che tenga conto dei diversi tipi di utenza, per motivazione,<br />

età, distanza. Non parlo di statistiche ma di profili socio-psicologici degli<br />

utenti.<br />

Forse più semplice e accettabile può apparire la proposta di uno studio in<br />

dettaglio dei flussi. Ad esempio nel caso di Potenza, è possibile comprendere<br />

gli spostamenti dei flussi pendolari, in termini di loro origine, destinazione,<br />

orari e quantità, oltre che presenza puntuale nella città di polarizzazioni e di<br />

elementi centripeti e zone centrifughe. Le ferrovie caratterizzano a Potenza i<br />

luoghi di particolari nodalità.<br />

«I percorsi del metrò disperdono ai quattro angoli […] uomini e donne frettolosi<br />

e affaticati che, presi nell’urgenza <strong>della</strong> loro vita quotidiana, sognano vetture vuote<br />

e banchine deserte, e che […] nelle stazioni che sfilano individuano solo lo scorrere<br />

- 168 -


L’intervista aperta, le immagini di una città e la voce degli invisibili che si muovono a Potenza<br />

più o meno rapido del loro percorso individuale valutato in termini di anticipo e di<br />

ritardo» (Augé, p. 39).<br />

Intorno ad esse si organizza la città <strong>della</strong> popolazione diurna. Ed ecco che<br />

le stazioni sono vicine a scuole, università, uffici, centri di ogni sorta e sorte.<br />

Si provi a vedere cosa sorge intorno alle stazioni di Potenza, questo esercizio<br />

darà risultati molto importanti e molti spunti pianificatori.<br />

Ed ecco che queste zone sono le zone dove forti saranno i problemi di<br />

interscambio modale, di traffico, di necessità di integrazione con la città e<br />

quindi di servizio. Sono dei muezzin che gridano, ma noi non vogliamo stare<br />

a sentire nulla.<br />

La ferrovia: profili degli utenti e loro azioni. Si potrebbero ad esempio<br />

studiare le azioni che vengono svolte all’interno dei convogli. C’è chi legge,<br />

chi dorme, chi scrive, chi fa l’uncinetto, chi ascolta musica, chi conversa,<br />

ecc… Non a caso alle stazioni è facile trovare chioschetti, bar o giornalai.<br />

Una proposta potrebbe essere quella di trasformare le sale d’attesa in luoghi<br />

di servizi non solo per i viaggiatori. Ad esempio, una biblioteca o emeroteca<br />

nei locali delle stazioni, oggi sempre più abbandonati e fatiscenti potrebbe<br />

rivitalizzare quei luoghi anche quando vi sono ore di morbida. Inoltre, alcune<br />

stazioni, nel caso di Potenza vanno nella direzione opposta a quella appena<br />

enunciata, è il caso di Macchia Romana o Inferiore, nei cui prefabbricati o<br />

piccoli alloggi non vi è alcuna attività e la situazione in ore notturne si fa<br />

preoccupante o almeno di potenziale degrado. Molte volte sono i luoghi in<br />

cui si ritrovano coloro i quali hanno qualche forma di disturbo o agitazione.<br />

Si potrebbero fornire spazi per mostre o per suonare, come avviene in tutte<br />

le metropolitane e stazioni del mondo, legalizzando e legittimandone la forma.<br />

In questo modo si favorirebbero anche esigenze di giovani e artisti in altre parti<br />

vincolati. Ma queste sono solo alcune indicazioni. C’è tanto da fare.<br />

La ferrovia e il controllo sociale. Un aspetto che soprattutto la ferrovia<br />

fà emergere è il rapporto tra la posizione del ricercatore e come le infrastrutture<br />

siano un modo per poter esercitare, e in cui si esplica, il controllo sociale.<br />

Questa considerazione era già stata evidenziata dalle riflessioni di P. Somma<br />

riguardo allo spazio e al suo rapporto col razzismo. La ferrovia è sempre ricordata<br />

come una cintura oltre la quale nascono gli slums. Ma questo è già<br />

qualcosa di molto evidente. Pensiamo a qualcosa di più implicito. Basta fare<br />

attenzione ad uno dei viaggi di lunga percorrenza.<br />

- 169 -


Vito Garramone<br />

Le considerazioni che vengono fatte di seguito sono l’insieme di appunti<br />

e suggestioni registrate lungo l’ultima (si fa per dire!) esperienza in treno. Si<br />

noterà anche come il sud sia reso bestia da altri e da se stesso, visto che sfioriamo<br />

i temi o meglio la questione meridionale. Gramsci diceva che per scalzare<br />

il potere occorre combattere una guerra di logoramento a partire dalle infrastrutture.<br />

È per questo che abbiamo preso in considerazione tra i tanti mezzo<br />

di comunicazione anche la modalità ferroviaria. Stiamo banalizzando l’intellettuale,<br />

ma questo ben si presta al nostro discorso. Purtroppo tutti abbiamo<br />

pensato soltanto a considerare i mass media ignorando per troppo tempo che<br />

tra le infrastrutture o meglio tra i mezzi di comunicazione ve ne sono altri che<br />

seppur in sordina possono avere i medesimi esiti o effetti di quelli già noti.<br />

Allora si considererà il caso dei mezzi di trasporto. Ma di questi premerà sottolineare,<br />

in queste righe, soprattutto l’importanza delle ferrovie e del treno,<br />

il mezzo di comunicazione più di massa che ci sia tra i mezzi di trasporto. Si<br />

afferma che con esso e soprattutto con il suo servizio differenziato e localizzato<br />

oltre al suo disservizio, ancora di più, si vengono a creare le condizioni e le<br />

giustificazioni di un controllo sociale alquanto brutale nonché subliminale.<br />

Basta vedere le condizioni in cui versano i treni ed ancor più le persone che<br />

viaggiano dirette verso il sud, in condizioni disumane e in perfetta linea con il<br />

trasporto bestiame, prima delle proteste degli animalisti. Treni quasi d’epoca,<br />

rimessi sui binari per dar luogo ad un revival anni sessanta, quando esisteva il<br />

pendolarismo, a detta del più importante urbanista d’Italia 12 . Questo di oggi<br />

da molti chiamato o nascosto come un fenomeno di nuovo nomadismo si<br />

presenta o non lo si fa apparire come quegli anni. Il problema è che non è una<br />

questione di apparenza, ma una realtà vera e propria.<br />

Si invita il lettore a fare un esperimento in modo da trarre le proprie conclusioni<br />

tranquillamente e senza condizionamenti dettati dal non sapere. In<br />

12 Un grande urbanista italiano, di cui non faccio il nome, affermò, in una conferenza, che oggi non<br />

esistono più i flussi pendolari di una volta, le grandi migrazioni dal sud al nord. Ringraziandolo<br />

<strong>della</strong> brillante constatazione lo si invita a viaggiare sui treni in periodi festivi per rendersi conto<br />

dell’esodo di ritorno al sud e <strong>della</strong> diversa strutturazione delle migrazioni oggi. È tutta gente<br />

proveniente dalle regioni meridionali che lavora o studia nel settentrione del paese, la più parte<br />

di quelli che affollano i treni. Addirittura molti lavorano ininterrottamente per alcune settimane<br />

ricavando permessi accorpati per scendere dalle proprie famiglie alla pausa lavorativa. Si provi ad<br />

intervistare qualcuno sul treno. Si scopriranno linee di continuità col passato sconvolgenti, sebbene<br />

il cambiamento ne abbia trasformato le forme esteriori.<br />

- 170 -


L’intervista aperta, le immagini di una città e la voce degli invisibili che si muovono a Potenza<br />

attesa di quello mostriamo le nostre impressioni. Si prenda qualche treno di<br />

lunga percorrenza di una qualche direttrice per il sud al fine settimana, al venerdì<br />

direzione Nord-Sud, quando finisce la settimana lavorativa, o alla domenica<br />

direzione Sud-Nord, ancor più nei periodi festivi, si vedranno treni gonfi di<br />

gente, dove chi ha una parte di corridoio se ne impossessa gelosamente e ne<br />

detta le regole di attraversamento o ancora chi fa <strong>della</strong> “ritirata” (così è chiamato<br />

il servizio sanitario, il bagno) il suo quartiere generale attrezzato. E cataste di<br />

valige non sempre di cartone, ma valige e bagagli che ingombrano, impediscono<br />

il passaggio, creano piccole o grandi scaramucce tra chi è già acceso di suo e<br />

non sa come sfogare la sua rabbia. Il sud che si muove, che continua inesorabilmente<br />

a protrarre la sua lunga epopea ed esodo lavorativo, il sud che è ancora<br />

un elemento indispensabile per il sistema produttivo (industriale, commerciale,<br />

dell’istruzione, ecc…) del nord, il sud che suda e subisce ancora per recuperare<br />

uno svantaggio che non si appiana mai. Questo sud diventa sempre più sud.<br />

Provate a prendere un treno nei periodi vicino a qualche festività e se avete la<br />

fortuna di partire dal capolinea vedrete lo sviluppo concreto di una dinamica<br />

che se avrete un po’ di cuore, ma anche un po’ di cervello, non potrà non indignarvi<br />

e farvi vergognare di essere cittadini di un tale paese. La gente fuori attende<br />

con molto ansia di salire per ritornare a casa. Provatevi a confondere con<br />

loro, con le loro preoccupazioni, dategli qualche input e vedrete che riuscirete a<br />

strappare loro delle profonde confessioni, ovvero delle interviste per voi sconvolgenti.<br />

Le considerazioni che seguono sono costruite proprio su un collage di<br />

quelle. Le riporto senza citazione perché non potevo e non volevo registrarne i<br />

nomi. Vedrete quale umanità e riflessioni. Questo perché non ce la fanno più di<br />

stare ancora in una realtà che non è loro, che servono per necessità e costrizione.<br />

Che se ci fosse da fare qualcosa alle loro case gli interesserebbe ancora di stare in<br />

una città più o meno organizzata rispetto ai loro posti incantevoli e sperduti?<br />

Molti sono sì abbagliati dal miraggio del Nord, perché qui possono trovare<br />

tutto quello, che dove sono (stati o nati), gli è sempre mancato. Ed è giusto a<br />

vostro avviso vivere dove non c’è niente quando non lo hai scelto di tua spontanea<br />

volontà? Ed ecco che gli si presenta subito l’opportunità o meglio l’esigenza<br />

di spostarsi per motivi di studio, di lavoro e alle volte anche di malattia.<br />

Scopri un’altra dimensione, il nuovo, ma ad un prezzo che ben presto si fa caro.<br />

Sei sradicato dalla propria realtà e se non hai delle radici superficiali molto forti<br />

finirai per perderti e seccare. E sarà una lotta molto forte giorno per giorno<br />

- 171 -


Vito Garramone<br />

quando imparerai a misurare la distanza tra la tua e l’altrui cultura. Ma di adattare<br />

ci si adatta. Si sa che c’è sempre un prezzo da pagare. Purtroppo non c’è<br />

coscienza, che forse quelli che pagano sono sempre la maggioranza. Questa<br />

purtroppo è stata sempre la fortuna di qualsiasi classe politica, e non solo in<br />

Italia. Ma a noi preme mostrare cosa diventa un semplice treno nelle mani di<br />

coloro che sono abituati a distrarsi e a far uso protettivo del loro potere. Ecco<br />

che sulle banchine si innesca uno scontro, un conflitto che molte volte degenera<br />

in qualche scaramuccia, ma che produce degli effetti deleteri sulle masse. La<br />

gente che si rivolta alla gente, il pendolare lavoratore che si rivolta contro il<br />

pendolare lavoratore. L’unica differenza per uno spettatore esterno, relativo,<br />

non è la lingua dialettale, i vestiti, l’età, il sesso, ma da quale parte, quale spazio<br />

fisico stanno occupando. Subito qualsiasi osservatore capisce che il conflitto è<br />

tra quelli che stanno dentro nella pancia del treno e quelli che stanno fuori.<br />

Tutti vorrebbero stare dentro, ma quelli che sono arrivati prima preferiscono<br />

conservare le loro conquiste o meglio un po’ di comfort in più (o un po’ di<br />

“scomfort” in meno, che è lo stesso) bloccando, mettendo le barriere all’ingresso,<br />

evitando di far salire gli altri. Eppure entrambi hanno gli stessi diritti, entrambi<br />

hanno stipulato un contratto per il quale sono detentori di un titolo di viaggio.<br />

Ed ecco che una società semipubblica produce due grossi reati: truffa ai danni<br />

dei suoi clienti vendendo biglietti o titoli di nessun valore visto che posto non<br />

c’e ne è e visto che continua a diffondere fenomeni di discriminazione più o<br />

meno impliciti. Bisogna ricorrere alle statistiche per sapere che ci vogliono altre<br />

carrozze o altri treni in quei periodi? La situazione è sempre la stessa da molti<br />

lustri ormai e l’inerzia non ha più alcun motivo o giustificazione. E lo sanno,<br />

tutti lo sanno dai più corrotti dirigenti al più osservante e ligio frenatore o capotreno.<br />

Ed anche lo sanno loro, la merce in gioco le vittime sacrificali del potere.<br />

Ma le masse spesso si confermano nelle vesti del gregge stupido che subito<br />

dimentica, e ama con molto sadismo poter raccontare dei suoi disagi, come si<br />

raccontano barzellette per intrattenere gli amici le sere d’inverno. Mai una volta<br />

che questi arrabbiati e sottomessi prendano in mano la situazione, in rari casi<br />

hanno bloccato il treno anche cominciando a menare botte a chiunque quell’autorità<br />

rappresenti. Naturalmente quest’ultimo è un modo sbagliato di attivarsi<br />

anche se pur rappresenta una qualche momentanea presa di coscienza. Ed<br />

invece ognuno preferisce il piccolo stratagemma che lo vede spuntar vantaggio<br />

sui suoi consimili. Interesse individuale ed ignoranza dei bisogni collettivi. Ed<br />

- 172 -


L’intervista aperta, le immagini di una città e la voce degli invisibili che si muovono a Potenza<br />

ecco come si producono e si protraggono situazioni di clandestinità, di vantaggio<br />

sull’altro, basato sulla capacità di incutere terrore. Troveremo almeno queste<br />

situazioni e qualche altra ci sfugge sicuramente. C’è chi non paga il biglietto. Il<br />

suo discorso alquanto logico parte da motivazioni etiche e di principio. Se pago<br />

devo avere un servizio, ma visto che ho esperienza che questo servizio non lo<br />

avrò, anzi che dovrò sicuramente avere a che fare con un disservizio (non trovare<br />

posto, lottare per avere un po’ di spazio nel corridoio, per avere le proprie<br />

valige vicino, per andare al bagno, per prendere aria, per non essere affumicato<br />

da tabacco o da qualche altra cosa più o meno stupefacente, ecc…) non pago,<br />

ma viaggio lo stesso perché non infrango nessuna regola. Sacrosanta verità per<br />

ogni consumatore, sta protestando, ed è un suo diritto, per avere un miglioramento<br />

del prodotto e <strong>della</strong> sua utilità. Ma tutto questo si mostra essere altamente<br />

discriminante ed ingiusto nei confronti di chi il biglietto o titolo di<br />

viaggio ha pagato. Intanto è in una condizione di svantaggio, ha pagato per un<br />

servizio che non ha avuto, in più sottostà alla beffa dell’esempio e <strong>della</strong> tentazione<br />

del free ridering. Il suo diritto viene calpestato anche dal fatto che non vi<br />

sarà nessun sistema di controllo e/o di sanzione. L’esempio dell’impunità farà<br />

cadere nella loro mente l’importanza ed il rispetto delle regole, ed il sistema per<br />

un attimo vacillerà. Non cadrà perché la situazione avrà degli alti e bassi e non<br />

sarà uniforme. Ma sia il free rider che il passeggero pagante avranno capito che<br />

ci sono delle falle nel sistema normativo e di controllo, e quindi agiranno di<br />

conseguenza e cercheranno di approfittare di questa situazione di assenza di<br />

potere, di questo vuoto di potere per dar vita a piccole pretese di potere a loro<br />

volta. Pretese che si accamperanno sui loro simili. Allora la forza e l’astuzia avranno<br />

il sopravvento. Può capitare di tutto (nel bene e nel male) nei treni notturni,<br />

dallo stupro 13 al litigio, al furto, alla sottomissione, all’ostruzione e appropriazione<br />

di spazi interi 14 . L’arbitrio. Si è soggetti a questo punto all’arbitrio di tutti. E<br />

fin quando si mangia e si scherza insieme va bene, finché si è solidali anche, ma<br />

per il resto non vi è più alcuna garanzia. Allora sarà difficile salire anche se si avrà<br />

il biglietto, anche se si avrà la prenotazione. Un momento. Cosa è una prenota-<br />

13<br />

Mentre era in viaggio per iscrivermi all’Università (agosto 1996), un controllore cercò di far violenza<br />

su una passeggera tedesca.<br />

14<br />

Chi non ha cercato di chiudersi nello scompartimento e nascondere dietro alle tende la voglia di una<br />

dormita sdraiati.<br />

- 173 -


Vito Garramone<br />

zione se non un meccanismo per dare legittimità ad una ingiustizia? Chi ha la<br />

prenotazione ha un posto a sedere automaticamente e questo è chiaro, ma chi<br />

non la ha che cosa ha comprato? Ha dovuto pagare il suo ingombro o spazio vitale<br />

minimo nel caso sta in piedi o dorme nei corridoi? Paga il fatto che salendo<br />

potrebbe sporcare le già luride pavimentazioni, tendine, potrebbe far cadere cenere<br />

e briciole a terra o magari sporcare il bagno nell’incapacità di non usare bene<br />

i servizi in esso contenuti? È questo che paga? Allora il biglietto consta del costo<br />

del posto a sedere solo nella quota relativa alla spesa suppletiva, quella seppur ridotta<br />

rispetto all’entità del biglietto, quella <strong>della</strong> prenotazione. Eppure non dovrebbe<br />

essere un pagamento legato alle fasce chilometriche?<br />

Ma torniamo all’arbitrio. Dove non c’è arbitrio né regola c’è insicurezza<br />

e questa provoca paura e situazione di abuso. Ed ecco che viaggiare non è<br />

più sicuro, figurarsi per i soggetti più svantaggiati: ragazze, anziani, disabili,<br />

ragazzi, ecc… eppure siamo all’interno di mezzi pubblici in territorio pubblico,<br />

viaggiando con comportamenti derivanti da regole aziendali si ma di ordine<br />

pubblico. Eppure la “società” gestrice in complicità con chi questa gestione gli<br />

consente, mostra di sé un aspetto lindo e stacanovista. Tutti possono viaggiare<br />

comodamente anche gli animali, primo tra tutti il piccione bianco <strong>della</strong> pubblicità.<br />

In realtà, il messaggio è stato capovolto. A loro non interessa niente riguardo<br />

agli utenti ed il fatto che siano persone o animali non fa alcuna importanza.<br />

Se volete qualcosa e la richiedete con molta volontà allora siete nel bisogno e rispetterete<br />

silenti le volontà di chi questa può darvi. Il potere è ancora nel possesso<br />

dei mezzi, in questo caso non di produzione vera e propria come siamo stati<br />

abituati a vedere, ma in una forma più subdola. Ed ecco che la forza lavoro è<br />

peso pagante, è un pagare il proprio peso per spostarsi con le regole, i modi e le<br />

beffe dei nuovi “capitalisti” ovvero di coloro che hanno le macchine che fanno<br />

per tutti. Un viaggio è come l’acquisto di un bene. Lo spostarsi è come comprare<br />

un televisore. Mi dai quello che mi serve e te lo fai pagare. Va bene, ma se mi<br />

dai la televisione è come se mi dessi una dose di eroina. Mi hai reso dipendente<br />

da quella. Nel caso dell’acquisto di un modo per spostarmi la situazione è più<br />

subdola mi stai dando la stessa droga ma mi dici che non è che ti viene data, è<br />

che tu la cerchi e poi te la fai da solo, quindi la tua è una doppia responsabilità<br />

personale. È solo tua. Se non ti va bene puoi sempre scegliere un’altra via. Nel<br />

nostro caso puoi sempre andare in macchina o in aereo. Ma il fatto è alquanto<br />

assurdo poiché chi prende un mezzo di trasporto ha già fatto una scelta ed ha<br />

- 174 -


L’intervista aperta, le immagini di una città e la voce degli invisibili che si muovono a Potenza<br />

già escluso le altre alternative. Quindi al problema una soluzione così leggera<br />

non si dovrebbe porre.<br />

Non potendo uscire da questi meccanismi ed avendo poca pazienza, tempo<br />

e risorse, e molta voglia di ritornare nel proprio habitat il nuovo pendolare diventa<br />

chi non è o meglio quello che si vuole che egli sia. Il potere ha così esercitato<br />

un forte condizionamento nei suoi confronti costringendolo a rientrare nei<br />

propri ranghi, continuando ad esercitare su di esso le solite forme di controllo<br />

di cui si disponeva in precedenza. Non vi è via di uscita. Allora il malcapitato<br />

andrà ad ingrossare le fila dei suoi consimili e farà di tutto affinché la sua condizione<br />

di sfortuna venga ad essere condivisa con altri suoi presunti consimili.<br />

Così basta un pregiudizio per far ricadere nella rete altri malcapitati e far si che<br />

si perdano le speranze. Questa è la forza del male comune, questo è il feedback<br />

che il potere mette in moto per il controllo sociale delle masse.<br />

Se chi legge sta pensando che questo sia stata una esagerazione “ideologica”<br />

provi a vedere cosa è contenuto in un’intervista comparsa su un giornale<br />

del sud, riguardo ai treni del sistema ferroviario delle FAL (Ferrovie Appulo-<br />

Lucane).<br />

«“Siamo stufi! Ogni mattina autobus superaffollati, treni dell’anteguerra,<br />

lenti, scomodi e trascurati, un trattamento non adeguato per chi paga cifre<br />

tutt’altro che modiche per usufruire di un servizio pessimo”. È solo uno stralcio di<br />

una delle tante lettere di protesta giunte in rete.<br />

E le Ferrovie Appulo-Lucane adesso piacciono ai francesi. Trattative riservate<br />

avviate dalla compagnia che gestisce i trasporti di Parigi e dintorni. Con qualche<br />

sorpresa» (F. Giotta, su La Gazzetta del Mezzogiorno 1999).<br />

La ferrovia, modo efficiente e meno energivoro di altri. «Essendo l’Italia<br />

il Paese europeo in maggior debito con l’estero per le importazioni energetiche,<br />

la scelta del mezzo di trasporto più energivoro [l’automobile] costituisce un errore<br />

ancor più imperdonabile» (G. Campos Venuti, La terza generazione dell’urbanistica,<br />

1987, p. 114). Modo di trasporto economico, con meno costi per la<br />

collettività in termini di inquinamento, spreco di spazio, presenza di servizi<br />

minimi è il servizio su rotaia. Anche se manca <strong>della</strong> possibilità dello spostamento<br />

porta a porta, o tendenzialmente porta a porta tipico del trasporto su<br />

gomma. Le ferrovie sono il modo di trasporto più economico anche forse con<br />

meno comfort a disposizione. Ma forse questo secondo aspetto non è rilevante<br />

come il primo.<br />

- 175 -


Vito Garramone<br />

«L’arretratezza dei trasporti di massa, delle ferrovie nazionali e metropolitane,<br />

costituisce inoltre un elemento di grave debolezza per l’Italia di fronte al processo<br />

di trasformazione urbana e produttiva irreversibilmente iniziato in tutti i paesi<br />

sviluppati» (Campos Venuti, p. 114).<br />

La ferrovia come media. La ferrovia è un altro medium, un mezzo di<br />

comunicazione di massa e come tale andrebbe analizzato. La sensibilità <strong>della</strong><br />

letteratura e sempre passata per i treni, ma non l’abbiamo ancora capito. «Da<br />

questo punto di vista, ciascuno scopre nel metrò ciò che vi porta (la rivolta o la<br />

fascinazione e, più in generale, una sottile combinazione delle due) e allo stesso<br />

tempo una specie di conferma oggettiva <strong>della</strong> realtà del mondo che lo circonda e<br />

dei valori che vi si dispiegano spettacolarmente: l’immagine continua a confermare<br />

l’immagine» (Augé, p. 95).<br />

La ferrovia come modo interiore. È sempre un treno che accompagna<br />

e scandisce i momenti <strong>della</strong> vita di Kees Popinga tanto a Groninga quanto a<br />

Javisy e a Parigi. L’ansia dei primi stati d’animo che passano, poi uno decisivo<br />

seguito come punto di riferimento fino a che non lo imprigiona in esso stesso.<br />

La ferrovia appare e si materializza come un “nastro trasportatore”<br />

(Barthes) di sogni ed illusioni, di attese e delusioni. Quello che Marc Augè<br />

afferma per il metrò può essere condiviso e rivisto nei termini del trasporto<br />

ferroviario con funzioni e declinazioni di trasporto metropolitano.<br />

«In questo i miei itinerari sono simili a quelli degli altri al cui fianco mi trovo<br />

tutti i giorni nel metrò [anche il nostro treno pendolare e metropolitano] senza<br />

sapere che scuola hanno frequentato, dove hanno vissuto e lavorato, da dove vengono<br />

e dove vanno, e mentre i nostri sguardi si incontrano e si distolgono, a volte<br />

dopo essersi attardati un istante, anch’essi stanno forse abbozzando un bilancio,<br />

facendo il punto o, chissà, prefigurando un cambiamento di vita e, in via accessoria,<br />

di linea del metrò» (Augé, p. 22).<br />

La ferrovia e l’utenza quotidiana ha fatto un tutt’uno <strong>della</strong> sua vita con<br />

gli spostamenti. Sono la sua linea <strong>della</strong> vita contrassegnata da tappe di lavoro,<br />

di residenza, svago, d’età, ecc… Storia del vissuto quotidiano, di cui non si<br />

sceglie di conservare nessuna memoria, ma che comunque è altamente condizionante.<br />

«La maggior parte dei percorsi singoli nel metrò sono quotidiani e obbligatori.<br />

Non si sceglie di conservarli o meno nella memoria: se ne resta impregnati,<br />

come del ricordo del servizio militare» (Augé, p. 26).<br />

- 176 -


L’intervista aperta, le immagini di una città e la voce degli invisibili che si muovono a Potenza<br />

Poi vi è l’evidenziazione di uno degli aspetti ineliminabili dell’esistenza<br />

umana, la solitudine, ma in una particolare manifestazione. «La definizione<br />

prosaica del metrò: la collettività senza la festa e la solitudine senza isolamento»<br />

(Augé, p. 22).<br />

La ferrovia così come il metrò può essere spiegata dalla metafora dell’album<br />

di fotografie. Ad ogni stazione emergono immagini con ancorati dei ricordi.<br />

«[…] nel metrò, al contrario che in televisione, è lo spettatore a passare e l’immagine<br />

a restare» (Augé, p. 92).<br />

Il treno ha sempre suscitato, in chi scrive, una grande funzione di stimolo<br />

ed un effetto di materializzazione. Lasciavo il mio corpo seduto più o meno<br />

comodamente e vagavo con i miei occhi e la mia mente, saltando da un ricordo<br />

o da una impressione all’altra, in maniera inconscia in base agli stimoli a cui<br />

venivo sottoposto o che i miei organi sensoriali captavano (selettivamente?).<br />

La libertà di potersi spostare. Quale soddisfazione. Si entra e si esce da un<br />

vettore che ci trasporta. Noi gli accordiamo la fiducia di farci portare. Non<br />

siamo più peso, ma mente che si muove con gli occhi alla velocità convenuta e<br />

per posti di cui non si ha sempre una chiara e precisa conoscenza. I nostri occhi,<br />

tramite esterno del nostro cervello, entrano in realtà, in luoghi e persone,<br />

che non si conoscono, altri da sé, e li si attraversa, vi si attarda, ci si ferma e si<br />

riparte. E si viaggia a fianco di tante altre esistenze parallele, traiettorie similari<br />

di compagni di viaggio occasionali, con cui si divide la vita, o una frazione di<br />

essa, all’interno e/o all’esterno del vettore.<br />

Ogni scompartimento (qualsiasi abitacolo, ma ancor di più in quelli separati<br />

e contigui dei treni e delle metropolitane) è un piccolo mondo con la sua, seppur<br />

minima, varietà. Gente di diversa provenienza, di diversa età, sesso, costume,<br />

abitudine, con diverse qualità, aspirazioni e aspettative, che si muovono verso<br />

orizzonti diversi, forse con alcuni per periodi più lunghi che per altri. Ma cosa<br />

hanno in comune tutti? Il fatto di respirare la stessa aria, vedere gli stessi paesaggi<br />

e luoghi, di obbedire più o meno volontariamente ad un codice e ad una consuetudine<br />

dettata, ad essi, dal vettore che li sta portando e dal comportamento<br />

del personale addetto alle varie funzioni del vettore. Si respira, si vede e si siede<br />

assieme. Un vettore è sì preposto al trasporto, ma cerca di farlo mettendo in campo<br />

un certo ventaglio di possibilità e combinazioni di elementi per l’ottenimento<br />

di alcuni comfort. Ma non ci si accorge che la gente identificata come “utenza”<br />

svolge e dà luogo ad un momento collettivo. Attivando più o meno meccanismi<br />

- 177 -


Vito Garramone<br />

di socializzazione, la gente si avvicina, si sfiora, sta seduta accanto, incrocia lo<br />

sguardo, chiede 15 , subisce i comportamenti altrui, ecc… La prossimità è una condizione<br />

necessaria ma non sufficiente nei fenomeni di socializzazione. A questa<br />

ora dobbiamo interessarci. Dobbiamo abituare la gente a stare bene con se stessi e<br />

con gli altri, ad unire le solitudini, non ad affiancarle come si fa per una collezione<br />

o per una mostra. Poiché è indubbio ora che questi sono i nuovi luoghi di incontro,<br />

assieme ai centri commerciali, alle discoteche, ai terminal di ogni genere,<br />

alle stazioni di servizio o di turismo. Sono luoghi multifunzione atti ora soltanto<br />

all’incontro sterile, neutro, ma finanziariamente remunerativo. Dovremmo farli<br />

diventare i nuovi luoghi di socializzazione, incontro socializzante. Molte volte<br />

è più facile capire popolazioni isolate lontanissime che nostri vicini quotidiani.<br />

Secondo Augé si viene a creare una sorta di “sentimento di fratellanza”, poiché<br />

le nostre vite si sfiorano e gli altri riflettono noi stessi. «L’altro comincia accanto a<br />

me» (Augé, p. 31).<br />

La ferrovia come modo di osservazione partecipante. Allora mettiamo<br />

che il ricercatore per un momento diventi un osservatore relativo e veda o si<br />

trovi costretto in queste realtà. Quali modi di pensare e di agire si aprono alla sua<br />

mente? Da che parte dovrà agire e in nome di quali esigenze? Di quali voci deve<br />

farsi carico?<br />

Dovrà partecipare alla realtà che si accinge a studiare e captare da questo<br />

tutto il captabile, osservando, ascoltando ed intuendo, oltre a vivere sulla propria<br />

pelle le esperienze di quegli che si accinge a capire.<br />

L’osservazione partecipante, in breve, è ciò che fanno gli angeli nel film Il<br />

cielo sopra Berlino. Anche lì la metropolitana è un luogo preferenziale dell’osservazione<br />

comprensiva, come la strada e la biblioteca. Augé consiglia di studiare le<br />

metropolitane a partire dagli aspetti posizionali, dall’arredo (panchine, ingresso,<br />

locali, macchinette, ecc…), dalla frequenza dei convogli, dall’affollamento<br />

15 Oltre alle semplici informazioni legate all’orario e alle stazioni, non tanto tempo fa sono stato<br />

testimone nella tratta Bari-Potenza (Fal) <strong>della</strong> stipula di un rapporto-assunzione di lavoro. Un<br />

uomo in giacca e cravatta, distinto e sfacciato chiede ad una ragazza, che stava studiando un codice<br />

di leggi, alcuni consigli su una situazione di anomala amministrazione di cui era stato testimone e<br />

che ora gli procurava dei problemi legali. Dopo aver esposto il suo caso e averla interrogata le dà<br />

gli estremi di una legge e alcune delucidazioni su sentenza e istruttorie a carico suo e dell’azienda<br />

dove lavora. Dandosi i reciproci indirizzi i due avevano stipulato un accordo professionista-cliente.<br />

Erano due pendolari, lei settimanalmente per studio e lui saltuariamente per lavoro.<br />

- 178 -


L’intervista aperta, le immagini di una città e la voce degli invisibili che si muovono a Potenza<br />

nelle varie ore <strong>della</strong> giornata, dalle connessioni e collegamenti dell’intorno, dagli<br />

aspetti grafico-pubblicitari (manifesti, scritte, annunci, ecc…).<br />

Il ricercatore deve essere a metà strada tra il demiurgo-illuminista e il<br />

rilevatore-ignorante e sottopagato, tenuto all’oscuro del disegno <strong>della</strong> ricerca,<br />

ma curioso di imparare e capire. Deve essere la soluzione di sintesi di queste<br />

due posizioni perché in entrambe si manifesta e si raccoglie un sapere differente<br />

ed ugualmente utile soprattutto nelle potenzialità di somma.<br />

«Il metrò, proprio perché ci accosta all’umanità quotidiana, svolge un ruolo<br />

di uno specchio di ingrandimento e ci invita a considerare un fenomeno che in sua<br />

assenza rischieremmo o forse tenteremmo di ignorare» (Augé, p. 22).<br />

9.3 GLI ALTRI POSSIBILI MODI<br />

Che idea pensare che si possa pensare il moto<br />

senza l’immagine di qualcosa che si muove!<br />

Peirce in U. Eco<br />

Quanti modi abbiamo? Modi di fare, modi di pensare, modi di capire, modi<br />

di vestire, modi “maudit”, … modi per ogni cosa. Ogni cosa fatta a modo, in un<br />

dato modo. Perché ogni modo consente di arrivare a qualcosa, ne è il mezzo e la<br />

strada.<br />

Poi, nel nostro specifico caso, come dice Wim Wenders, «la fascinazione<br />

[<strong>della</strong> città] proviene dalle automobili e dai diversi mezzi di trasporto. […]<br />

Normalmente in macchina non ti rendi conto di tante cose perché sei rinchiuso<br />

nel tuo mondo, sei isolato. Credo che i sistemi di trasporto pubblico siano una<br />

gran cosa ed anche il camminare» (H. Kollhoff, La città. Conversazione tra Wim<br />

Wenders e Hans Kollhoff, 1989, pag. 67).<br />

- 179 -


Vito Garramone<br />

Inoltre, i mezzi di comunicazione e trasporto permettono il nascere e l’ampliarsi<br />

di una nuova sensibilità, cosa che già era affermata da Filippo Tommaso<br />

Marinetti, nel Manifesto del futurismo:<br />

«Il futurismo si forma sul completo rinnovamento <strong>della</strong> sensibilità umana avvenuto<br />

per effetto delle grandi scoperte scientifiche. Coloro che usano del telegrafo,<br />

del telefono e del grammofono, del treno, <strong>della</strong> bicicletta, <strong>della</strong> motocicletta, dell’automobile,<br />

del transatlantico, del dirigibile, dell’aeroplano, del cinematografo,<br />

del grande quotidiano (sintesi di una giornata del mondo) non pensano che queste<br />

diverse forme di trasporto e d’informazione esercitano sulla loro psiche una decisiva<br />

influenza» (G. Di Milla, Boccioni in Art Dossier).<br />

Gli autobus e le fermate. Quella del trasporto pubblico e collettivo su<br />

gomma è la modalità che maggiormente viene studiata nei piani di settore<br />

legati al movimento. Lo abbiamo visto anche nel caso di Potenza.<br />

«Riflessione non incoraggiante è inoltre notare come il traffico sia l’elemento<br />

predominante nella caratterizzazione in negativo del centro [ci si riferiva a Milano<br />

ma l’esempio è calzante per la maggior parte delle città] (57,5%) degli elementi<br />

che non piacciono […]. I trasporti sono dunque nello stesso tempo il mezzo con cui<br />

ci si avvicina al centro e la causa per cui ce ne si vorrebbe allontanare. Essi presentano<br />

perciò due dei caratteri che principalmente concorrono a facilitare la memorizzazione<br />

di un particolare oggetto o funzione <strong>della</strong> città […]. Essi sono inoltre<br />

il mezzo principale attraverso cui si conosce lo spazio a motivo <strong>della</strong> ripetitività<br />

dei percorsi cui costringono il passeggero; sono cioè dei selezionatori involontari del<br />

paesaggio urbano, anche se la logica a cui si adeguano non è mossa primariamente<br />

dai valori ambientali» (E. Bianchi, F. Perussia, Il centro di Milano: percezione e<br />

realtà. Una ricerca geografica e psicologica, 1982, p. 114).<br />

Nessuno invece fa pensare al fatto che il bus è la prima modalità di trasporto<br />

che prendiamo già da piccoli, o da soli, la prima forma di emancipazione<br />

individuale. Infatti in Forrest Gump 16 il piccolo bambino così definisce<br />

il bus che lo porta a scuola: “l’autobus […] puoi andare in macchina con sconosciuti”.<br />

Addirittura C. M. Schultz, il disegnatore dei Peanuts, lo vede come un<br />

mezzo di grande costrizione, per andare a scuola, per andare al campo estivo,<br />

16 Film americano degli anni novanta di R. Zeneckis, sulla storia di un ragazzo con disturbi alle gambe<br />

e alla psiche (T. Hanks) che facendo a modo suo stupisce e domina la società americana, quando chi lo<br />

conosce lo reputa uno “stupido”.<br />

- 180 -


L’intervista aperta, le immagini di una città e la voce degli invisibili che si muovono a Potenza<br />

ecc. E molte volte, con la sua poetica ironia (appunto “torpedone 17 ”), non<br />

trascura di considerarlo come un mezzo di separazione, dalla famiglia, dagli<br />

ambienti familiari, dagli amici.<br />

Non mancano coloro i quali ne fanno un mezzo di ironia, mostrando il<br />

fenomeno dei free riders che è sempre presente dove ci sono beni pubblici.<br />

«L’Italia è il Paese dei più furbi. Ieri ero a Roma, sono salito su un autobus e ho<br />

timbrato il biglietto: tlic-tlac. Il guidatore si è girato di scatto e ha detto: “Cosa<br />

cazzo è questo rumore?”» (Beppe Grillo).<br />

Le scale mobili. Sono la modalità che permette di arrivare da un posto<br />

all’altro senza che si abbia l’impressione di prendere un mezzo di trasporto.<br />

Sembra di continuare nella modalità a piedi, eppure ci si sposta senza sforzo, si<br />

superano dislivelli senza attivare muscoli o ghiandole sudorifere. Le scale mobili,<br />

però, conservano delle altre modalità i locali e le caratteristiche proprie<br />

del non-luogo, che alle volte si estendono per tutta la durata del condotto.<br />

I walking people. I walking people sono, invece, tutti coloro che vivono<br />

nella città e vivono la città. Ne sono divenuti parte di questa per il semplice<br />

fatto di attraversarla quotidianamente, e nel modo più naturale: a piedi.<br />

La città non dimentichiamolo, si scopre a delle aperture segrete e cattura<br />

(chi vuol farsi catturare) per far rivivere mondi alternativi di suggestioni e di<br />

percezioni parallele, universi <strong>della</strong> solitudine individuale variamente graduati<br />

dalla scansione materiale del tessuto urbano. Aspetti, momenti, situazioni,<br />

parti <strong>della</strong> città esercitano un potere misterioso e inconscio sulla nostra<br />

mente, facendoci perdere l’aderenza con la realtà quotidiana e accendendo<br />

improvvisamente i sensi assopiti. Ecco l’affezione ai luoghi, la preferenza<br />

dell’uno all’altro, le varie funzioni o risposte alle diverse esigenze (fuga, evasione,<br />

divertimento, normalità, ecc…). Non è detto che la funzione assegnatale o<br />

la destinazione d’uso sia proprio quella. Siamo nella sfera dell’assegnazione<br />

individuale di valori e quindi nell’anarchia affettiva più che normativa. Sono<br />

pulsioni, stati d’animo, umori, ricordi ed altro ancora a legarsi a degli spazi<br />

piuttosto che altri, inscrivendo ed incidendo in essi parte <strong>della</strong> nostra stessa vita,<br />

che altrimenti andrebbe riposta nei meandri più profondi e sconosciuti <strong>della</strong><br />

nostra mente. I non-luoghi non son altro che una tipizzazione di alcuni di essi,<br />

17 Non è ironico chiamare un normale e quotidiano autobus “torpedone”, ovvero «automobile<br />

per molte persone, specie per turisti in rapida visita delle città» (F. Palazzi, Novissimo dizionario <strong>della</strong><br />

lingua italiana) ?<br />

- 181 -


Vito Garramone<br />

legati al carattere umano <strong>della</strong> instabilità (mentale e fisica). Sono il luogo in cui<br />

si condensano le aspettative e le paure; in cui si cerca di incanalarsi e confondersi<br />

con gli altri senza sforzi o dimostrazioni; sono il luogo in cui tutto, nonostante<br />

il caso, mostra di rispondere a delle regole di una qualche forma di ordine;<br />

sono i luoghi silenti <strong>della</strong> parabola esistenziale del nostro cammino, ma senza<br />

coscienza di questo; sono i luoghi in cui si può portare la propria solitudine<br />

in mezzo agli altri, senza provarne vergogna. In questi luoghi di fruizione<br />

temporale interstiziale ci si allontana dal prima e dal dopo, per riconnettere e<br />

ricucire un proprio rapporto inconscio con se stessi. In questi luoghi ci vuole<br />

“bravura” per farsi prendere totalmente dall’assuefazione. Stiamo interagendo<br />

senza tramiti e filtri con il mondo esterno e non conosciamo le potenzialità e le<br />

paure (riduttori di potenzialità) che ci portiamo insieme.<br />

Il “Quartiere” di Pratolini. Abbiamo un caso letterario, già noto a Lynch,<br />

quello di Vasco Pratolini e del suo “Il Quartiere”. Il titolo già mostra il vero<br />

e proprio protagonista del suo romanzo. Infatti è sempre contrassegnato da<br />

lettera maiuscola, così come è sempre presente. Fa da sfondo a tutto e le varie<br />

individualità non possono fare a meno di esso, di assecondarlo, di contraddirlo,<br />

di sublimarlo, di allontanarsene, di rimpiangerlo, di ricordarlo, di confrontarsi<br />

ad esso. È un protagonista immateriale ma sempre presente. È la cellula vitale,<br />

di incubazione delle individualità. Forma e disgrega. Può anche essere chiuso<br />

e atemporale. Il Quartiere, così come la città identifica ognuno. Per questo<br />

l’autore, in una raccolta di poesie, può dire che “la città ha i miei trent’anni”. O<br />

ancora che «possiamo leggerci dentro il cuore l’uno con l’altro, seguirci in ogni strada<br />

o piazza e fra le mura delle nostre case di Quartiere. I nostri sogni sono stati così<br />

uguali che per formare diverse le nostre storie abbiamo dovuto dividerci le occasioni,<br />

come da fanciulli si prendeva ciascuno una qualità diversa di gelato per assaggiarle<br />

tutte» (V. Pratolini, Il Quartiere, 1947, p. 72).<br />

Il sentimento del Quartiere unisce tutti. Quando alcune parti del Quartiere<br />

subiscono sventramenti, alcune demolizioni, queste continuano ad esistere<br />

con i loro muri invisibili pregni di una quotidianità ormai andata. «Lasciando<br />

il Quartiere mi sarebbe parso [… dice la nonna di Valerio, l’identificativo<br />

dell’autore] che tu non dovessi più tornare. Qui tutti mi chiedono di te ed era<br />

come se tu fossi sempre presente. Poi io ci vedo poco e se esco mi sento più sicura<br />

perché le strade le conosco a memoria. A volte, se cammino un po’ soprappensiero,<br />

mi accorgo delle demolizioni soltanto quando faccio per entrare in un negozio e<br />

mi trovo davanti lo spianato» (Pratolini, p. 72).<br />

- 182 -


L’intervista aperta, le immagini di una città e la voce degli invisibili che si muovono a Potenza<br />

Il Cielo sopra Berlino, ovvero la poesia dei vuoti urbani. Il vecchio<br />

cantore ad un certo punto, in mezzo ad un vuoto urbano di Berlino, comincia<br />

a rimuginare i seguenti pensieri. “Non riesco a trovare la Potsdamer Platz. No.<br />

Credo sia qui. No, no, non può essere, perché alla Potsdamer Platz c’era il caffè<br />

Iosti, ci venivo il pomeriggio, a chiacchierare e a bere un caffè. Guardavo la gente<br />

dopo aver fumato i miei sigari Daloes e Wolfs, una tabaccheria prestigiosa, proprio<br />

qui di fronte. Allora non può essere qui la Potsdamer Platz, e no! Non si incontra<br />

nessuno cui poter chiedere. Era una piazza animata. Tram, omnibus a cavalli e<br />

due auto, la mia e quella <strong>della</strong> cioccolata Hammam. Anche i magazzini Berthaim<br />

erano qui e poi all’improvviso là sventolarono delle bandiere … e l’intera piazza<br />

ne era piena e la gente non era più gentile e … neanche la polizia. Ma non mi do<br />

per vinto finché non ho trovato la Potsdamer Platz. Dove sono i miei eroi?”.<br />

O, per fare un altro esempio, si legga I ragazzi <strong>della</strong> via Pal, di F. Molnar,<br />

storia di ragazzi che in un vuoto urbano hanno creato il loro mondo, un mondo<br />

di giochi con nulla, che alla fine devono dimenticare per lasciar spazio ai<br />

sogni di ricchezza dei grandi.<br />

L’atto del Correre, l’alternativa al camminare. La corsa o l’accelerazione<br />

dell’andamento pedonale non è una semplice passeggiata a ritmo maggiore.<br />

Porta con sé altri stati d’animo e considerazioni. Vediamo alcuni esempi<br />

abbastanza noti e conosciuti.<br />

Forrest Gump. Nel film americano intitolato Forrest Gump la corsa è vista<br />

come momento di liberazione da tutto quello che ci impedisce. Ed allora<br />

la corsa romperà le catene <strong>della</strong> costrizione così come ha rotto le protesi del<br />

protagonista.<br />

La corsa, inoltre, sarà anche un modo per evitare i guai, le situazioni, l’impegno,<br />

tutto. La corsa non sarà solo fuga, ma anche disimpegno, anche immotivato.<br />

Ecco perché correre rende o fa sembrare pazzi. Si fugge da ogni<br />

convenzione sociale. Chi corre non partecipa mai. Un modo, più che una<br />

modalità, ma che crea anch’essa una sua forma di ipnosi. “Di solito correvo per<br />

arrivare dove stavo andando”. “E così lei ha corso e basta?”.<br />

Diventa così una autoesaltazione individuale ed inconscia. “E non so proprio<br />

perché, ma continuai ad andare …visto che sono arrivato fino a qui tanto<br />

vale girarmi e continuare a correre”.<br />

Infine, la corsa è anche solitudine. “Corsi così veloce che presto mi ritrovai<br />

da solo, che non è una bella cosa”.<br />

- 183 -


Vito Garramone<br />

E alla domanda perché corre? “Avevo voglia di correre. […] Quello che facevo<br />

è come se avesse un senso per la gente”.<br />

Vesna va veloce. il film Vesna va veloce (Italia, 1996, di Carlo Mazzacurati)<br />

parla di una ragazza che arriva dalla Repubblica Ceka. È costretta a prostituirsi.<br />

Antonio (Albanese) si innamora di lei. Ma lei è alla ricerca di altro e allora<br />

scappa anche da lui. Scappa sempre. Vesna non ha mai pace non riesce a<br />

trovare quello che vuole e nemmeno la felicità quando ci sono seri impegni<br />

affinché ciò avvenga.<br />

Jamel. Su una rivista per donne, non ricordo nemmeno quale (forse<br />

Donna di La Repubblica, non ho riferimenti a riguardo), qualche anno addietro<br />

fui attratto dalla notizia di un “eccentrico nomade” francese di 39 anni di<br />

Lione, un certo Jamel Balhi, che girava il mondo correndo. Il giro del mondo<br />

in corsa lo hanno titolato, se non erro. Da solo, senza assistenza, ed in soli<br />

15 anni aveva percorso all’incirca 300.000 km. Jamel sosteneva che la corsa<br />

si presentava come l’unico modo di esprimere se stesso. È un nomade d’altri<br />

tempi. Afferma di se stesso: “Ho iniziato a correre per sfuggire alla noia, ad una società<br />

che non mi piaceva, a un modo di vivere che trovavo ipocrita e dannoso. Volevo fare<br />

qualcosa di diverso”.<br />

Inoltre, ha sempre amato la strada, “è la mia vita. Quando poi mi fermo imparo<br />

sempre qualcosa di nuovo, scopro di poter parlare con la gente più facilmente,<br />

capisco dove mi trovo”.<br />

O ancora brillantemente, “un amico è solo uno straniero che ancora non ti<br />

hanno presentato”.<br />

Ha scritto dei libri su lui e molti dicono che è un buon fotografo, e si<br />

iscrive involontariamente tra la schiera degli osservatori partecipanti.<br />

Il modo in cui corro. «Il modo in cui corro non è incerto» dice l’apostolo<br />

Paolo nella lettera ai Corinzi (1 cor. 9:24-27). Correre è un’azione o esercizio<br />

di impegno e di autodisciplina. È uno stabilire delle mete ed impegnarsi a<br />

raggiungerle con le nostre sole forze e senza aiuto alcuno.<br />

Camminare come il quarto stato. Altro che quarto e precedenti stati, chi va<br />

a considerare il quadro di Pellizza da Volpedo, vede prima di tutto gente che cammina,<br />

i Walking men, con la sola differenza che oggi chi vi appartiene non cammina<br />

in gruppo, come allora (il quadro risente del background culturale dell’ottocento),<br />

ma da solo, o meglio da “soli”, visto il grande numero di gente che cammina<br />

da sola, in mezzo ad altri che fanno lo stesso, nell’una e nell’altra direzione.<br />

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L’intervista aperta, le immagini di una città e la voce degli invisibili che si muovono a Potenza<br />

Gli ascensori e le questioni delle strade ballatoio: il condominio città.<br />

Potenza, a chi la attraversi e la viva nella dimensione pedonale, appare<br />

come un grande condominio popolare dove si condivide tutto. Molte volte<br />

si condividono scale, strade ballatoio, che vanno ben oltre le case ringhiere,<br />

visto l’utilizzo pubblico dello spazio privato. In effetti si è privati di spazio<br />

per via <strong>della</strong> morfologia urbana. Ma strutture viarie e passerelle, le ringhiere e<br />

gli androni cittadini sono di tutti. Anche l’ascensore comunale che da Piazza<br />

18 Agosto porta a Via del Popolo trasmette questa idea. È un ascensore del<br />

condominio città.<br />

Molte volte tutte queste strutture sembrano dei veri e propri ponti o<br />

strutture sospese in una città di montagna i cui ponti sono solo dei luoghi<br />

dell’attraversare e non indicano la presenza di fiumi.<br />

«Sono convinto che oggi sia possibile costruire ponti sui quali si possa sperimentare<br />

qualcosa, dove si possa sentire che in quel preciso istante, si sta passando<br />

sopra i binari del treno e che è come un sentiero che attraversa tutta la città da<br />

un estremo all’altro, da un’area alla seguente. I ponti dovrebbero farci coscienti<br />

dell’attraversare» (Kollhoff, p. 61).<br />

Le biciclette. Affronteremo il problema di questa modalità non in<br />

riferimento alla letteratura sulle piste ciclabili, ma a partire da vari stimoli<br />

diversi.<br />

Brizzi: il “vecchio” Alex e la bicicletta. L’uso di tale modalità permette,<br />

meglio dell’auto, di entrare in sintonia con la città, le persone, i suoi ritmi, i<br />

suoi stimoli per la percezione e, soprattutto, con la struttura <strong>della</strong> città e la sua<br />

rete relazionale. Ed ecco frecce umane infilarsi in quella e in quell’altra strada.<br />

«Il vecchio Alex l’amava il pavè di via Collegio di Spagna, l’asfalto veloce dei viali,<br />

la distesa di porfido di Via Rizzoli e amava anche tutto il resto, i tramonti arancioni<br />

dietro San Luca indossare una maglietta nuova salire a salutare nonna Pina e<br />

far merenda da lei» (E. Brizzi, Jack Frusciante è uscito dal gruppo, 1995, p. 11).<br />

La bici presenta una forte e decisa scelta modale, quasi sempre antagonista<br />

all’uso del trasporto collettivo, soprattutto su gomma. «Comunque, a parte<br />

l’estate, il resto dell’anno per me è quasi sempre così, e allora vado in bici e non in<br />

bus, perché almeno a pedalare col freddo che surgela i passeri sui rami, ti senti vivo.<br />

Almeno ti pare che stai facendo qualcosa di un po’ strano, ma anche di eroico e solitario»<br />

(Brizzi, pp. 75-6).<br />

Il dover affrontare degli sforzi rafforza e rende consapevoli del rapporto<br />

col proprio corpo. «Un abbraccio dolcissimo nel tramonto arancione, e si era<br />

- 185 -


Vito Garramone<br />

lanciato dalla discesa di via Codivilla a gran velocità, abbastanza chilometri l’ora<br />

per non riuscire a tenere aperti gli occhi senza farli lacrimare: la camicia aderiva<br />

perfettamente al petto e al torace; i capelli, appendici assolutamente inessenziali<br />

alla tensione del momento, apparivano schiaffeggiati all’indietro; il naso irregolare<br />

di Alex tagliava l’aria di cui avvertiva la consistenza tangibile, la pressione sugli<br />

zigomi; tricipiti e dorsali tesi; non trasmettere nessun input al suo corpo se non<br />

quello di fotografarsi così per l’eternità di quindici secondi» (Brizzi, p. 146).<br />

Muscoli tesi, sudore, gambe, mani strette sul manubrio. Uno sforzo umano<br />

e si potevano fare “coguariche fughe in bicicletta”. Non bastava altro che una<br />

bici e poi «Solo. Come un Girardengo d’altri tempi» (Brizzi, p. 164).<br />

Ladri di Biciclette. Da questo film di De Sica si evincono alcune considerazioni<br />

utili. La bicicletta assume vari valori. Cominciamo dal valore d’uso.<br />

Una bici serve per spostarsi, per lavoro, per svago, per professione, come avviene<br />

per i ciclisti. Quindi, la bici può divenire possibilità, un qualcosa in più<br />

rispetto agli altri, che sono a piedi. Inoltre, anche a questa modalità è connessa<br />

la condizione di status che può procurare o trasformare. Ma la città non è<br />

abituata a tal modalità. La bici nel film segna ancora il passaggio dal legale<br />

all’illegale tramite il furto o la possibilità che questo possa avvenire. Inoltre,<br />

la bici è un modo individuale di assolvere la funzione del pendolarismo urbano,<br />

ovvero degli spostamenti intrazionali di una città. Lo si vede tanto in De<br />

Sica quanto in Brizzi. La bici porta una sfida alla corriera. Avevamo visto con<br />

Brizzi il divario generazionale tra i due modi. Il suo Alex entra nell’autobus<br />

urbano solo quando è ubriaco, ma lui è giovane e i vecchietti sul bus non lo<br />

capiscono e quasi lo sfidano. De Sica aveva anche fatto vedere come i più<br />

fortunati, o meglio chi poteva o tentava il rischio dell’investimento-pegno, si<br />

potevano permettere la bici. Poiché avere la bici significava non dover attendere<br />

la corriera e non adeguarsi ai ritmi di quella; non dover lottare e litigare<br />

con altri per la ressa ad entrare; essere immuni dalle attese e dalle congestioni<br />

urbane; ecc.<br />

Ciclismo. In passato tutti andavano in bici. Fare il ciclista era come specializzarsi<br />

in un qualcosa di quotidiano. Inoltre, era l’esaltazione <strong>della</strong> sola forza<br />

umana. Del ciclismo ora ci resta solo il suo rapporto con le città in chiave agonistica<br />

e spettacolare con i “giri” d’Italia, quando si può entrare in città che non<br />

si conosce, stando seduti davanti al proprio telelevisore.<br />

Altri due modi. Il taxi. Pensiamo ai taxi in modo svincolato da quanto<br />

siamo di solito abituati a fare. Per fare questo utilizzeremo due esempi estre-<br />

- 186 -


L’intervista aperta, le immagini di una città e la voce degli invisibili che si muovono a Potenza<br />

mi: il film di Taxi driver 18 e la Parigi di J. Verne. Fare il tassista in Taxi driver è<br />

un modo per “portare gli altri”. È una forma di altruismo, anche se malcelato<br />

e non consapevole. Ci si distrae, si fa qualcosa, si osserva, specie se di notte,<br />

un’altra umanità. Ma non c’è scampo per la solitudine. I giorni sono tutti<br />

uguali, tutti in fila.<br />

J. Verne immaginando il futuro sconvolge le sue e nostre concezioni<br />

presenti. L’auto per J. Verne appare solo come un taxi, nel futuro. La gente<br />

non ha voglia di vitalismi futuristici o di impegnare in un banale spreco<br />

il proprio tempo e le proprie risorse. Tutto è contabilizzato e razionale. Si<br />

preferisce farsi portare. E chi guida la macchina non è un autista, ma si badi<br />

bene un meccanico. Colui che sa riparare le macchine le conduce.<br />

«L’indomani quest’ultimo [cioè Quinsonnas] prese di buon mattino una vettura<br />

a gas e andò a prendere Michel [il protagonista], che lo aspettava; questi scese,<br />

saltò nel veicolo, e il meccanico mise in moto la macchina; che meraviglia vedere<br />

quella vettura avviarsi rapidamente senza alcun motore apparente; Quinsonnas<br />

preferiva di gran lunga quel mezzo di locomozione alle ferrovie.<br />

Era bel tempo; la vettura a gas circolava attraverso le strade che si erano appena<br />

risvegliate, effettuando agilmente le curve, inerpicandosi senza fatica sulle<br />

salite, e filando a tratti con una meravigliosa rapidità sulle carreggiate asfaltate»<br />

(J. Verne, Parigi nel XX secolo, 1995, p. 68).<br />

Il furgone, ovvero l’idea di gruppo nelle politiche di car pulling. Il<br />

furgone non viene quasi mai indicato tra le opzioni di scelta modale, a meno<br />

che non identifichi un gruppo, come nel caso dell’Ospedale o delle ambulanze,<br />

o si leghi a esigenze di gruppo, si pensi ai furgoni che trasportano quotidianamente<br />

lavoratori da un posto all’altro. Coniugando tali esigenze, anche nel<br />

caso dei taxi collettivi, con politiche di car sharing (noleggio), ma con finalità<br />

di car pulling (auto piene), o di assistenza ai disabili, si possono risolvere problemi<br />

puntuali di trasporto pubblico.<br />

In passato vi erano più opzioni per le scelte modali, oggi si tende a<br />

privilegiarne soltanto una, con grave perdita economica e di percezione<br />

personale. Ecco perché Peter falk, ne Il cielo sopra Berlino può dire: “Non la<br />

stazione dove fermano i treni, ma la stazione … dove si ferma alla stazione”.<br />

18 Film di regista americano, del 1976, col giovane Robert De Niro ed ambientato a New York.<br />

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Vito Garramone<br />

10. IL RUOLO DEGLI INTERVISTATORI COME ATTORI<br />

Oggi (c’è bisogno di dirlo?) l’interpretazione ha assunto un<br />

aspetto più conglobante; non si limita più a una traduzione<br />

o a una trascodificazione. È un atto di conoscenza.<br />

Jean Starobinski<br />

Analizzare etimologicamente il termine “intervistatore” ci porta ad affermare<br />

l’unione tra due figure diverse, ovvero chi realizza l’intervista, in gergo<br />

l’“operatore”, e chi compie ricerche attraverso tale strumento, in questo caso<br />

il “ricercatore”. Le due figure non coincidono quasi mai, ad esempio nelle<br />

ricerche di mercato, mentre negli esperimenti di natura sociale, soprattutto in<br />

psicologia o sociologia, tale aspetto è spesso ricorrente se non dominante. Si<br />

è parlato del tentativo di aggiornamento ed integrazione di questo strumento<br />

da parte di tutti i fondatori e continuatori <strong>della</strong> psicologia ambientale. Il<br />

loro era un uso creativo essendo viva la fusione tra ricercatore ed operatore<br />

dell’intervista. Si partirà considerando inizialmente l’intervistatore come<br />

fusione dei due ruoli.<br />

Inoltre, visto che per Peirce (indicazione mutuata da U. Eco), anche l’interpretante<br />

è un segno, forse aggiungeremo uno dei segni più difficili da interpretare,<br />

innescando un circolo infinito di “riferimenti circolari”.<br />

Comunicazione e interpretazione: il ruolo dell’attore. L’intervista è un<br />

momento di relazione ed interazione comunicativa, e l’intervistatore ne è sicuramente<br />

un fomentatore o promotore di tale azione. Sono queste le doti di<br />

un attore.<br />

Bisogna partire dall’assunto che l’intervista è «una relazione sociale coincidente<br />

con una situazione linguistica» (A. Sormano, L’intervistatore come attore,<br />

1988, p. 350-1).<br />

Ma una relazione particolare, poiché nella relazione c’è la minaccia stessa<br />

al motivo <strong>della</strong> relazione.<br />

- 188 -


L’intervista aperta, le immagini di una città e la voce degli invisibili che si muovono a Potenza<br />

«I risultati <strong>della</strong> ricerca dipendono dalla qualità delle interviste perché nessuna<br />

elaborazione nel corso dell’analisi può rimediare agli errori fatti nel corso <strong>della</strong><br />

raccolta dei dati (Hyman H. H., “Disegno <strong>della</strong> ricerca e analisi sociologica”,<br />

1967)» (E. Boccuzzi, Parcellizzazione e reificazioni nelle ricerche sociologiche: il<br />

punto di vista di una intervistatrice, 1985, p. 241).<br />

Una relazione in cui entrambi i membri (<strong>della</strong> relazione) devono svolgere<br />

al meglio il loro ruolo.<br />

«Nell’intervista ideale la domanda dell’uno dovrà essere conforme, la risposta<br />

dell’altro dovrà essere pertinente. Spazi di metacomunicazione fra intervistato<br />

e intervistatore non saranno previsti o lo saranno soltanto nella forma di una<br />

tecnica arguta a cui l’intervistatore potrà ricorrere per “estrarre” la “verità” dal suo<br />

intervistato» (Sormano, p. 350-1).<br />

La loro è una scelta finalizzata al risparmio di energia e risorse. Anzi mira<br />

all’ottenimento del massimo dei risultati dalle minime risorse attivate. E questo<br />

rende più difficile il ruolo dell’intervistatore sia esso operatore o ricercatore.<br />

«La situazione non potrebbe essergli più sfavorevole: vuole infatti ottenere<br />

gratuitamente (vedremo poi in quanti sensi) qualcosa da qualcuno che non ha<br />

mai visto prima» (Boccuzzi, p. 243).<br />

Infatti, cosa ha in cambio un soggetto sottoposto ad intervista? Impiega<br />

risorse intellettive, sottrae tempo a sé stesso, viene sottoposto a vari stress o<br />

a situazioni di impegno senza la corresponsione di alcunché, eccezione fatta<br />

per i colloqui a scopi terapeutico-curativi. Perché dovrebbe allora partecipare<br />

a tale interazione, che sicuramente si conclude a vantaggio di chi la innesca,<br />

ovvero dell’altro? Cosa ne ricava? L’asimmetria dell’intervista è il riflesso di<br />

una illogicità da parte di uno dei due poli. È per annullare tale illogicità che<br />

l’intervistatore deve impegnarsi. Deve alimentare le speranze e le aspettative<br />

<strong>della</strong> sua “cavia”; deve incuriosirlo; farlo partecipare; dargli un momento di<br />

riscatto e considerazione; deve sollecitarlo dal torpore quotidiano; deve fargli<br />

vedere dei vantaggi; deve imporgli qualcosa e pretendere con una certa autorità,<br />

perché c’è asimmetria di potere; deve dargli qualcosa in cambio, anche<br />

semplicemente un rapporto dialogico di stima, considerazione, umorismo,<br />

ecc… (qui l’introduzione del ruolo di attore-intrattenitore si dimostra essere<br />

indispensabile per lo svolgimento dell’azione dell’intervistatore); ecc...<br />

Si richiede ad un intervistatore un forte impegno e l’attivazione di molte<br />

risorse. Quindi, l’uso del semplice termine “operatore” comincia a divenire<br />

- 189 -


Vito Garramone<br />

superfluo, facendo propendere sempre più per attore, animatore, improvvisatore<br />

di eventi, intrattenitore, esaminatore, ecc…<br />

Il problema degli intervistatori, e la scarsa fiducia e considerazione per<br />

le loro capacità, nasce nel momento in cui questi sono persone diverse dal<br />

ricercatore.<br />

Boccuzzi interpreta il problema degli intervistatori come un problema<br />

di marginalità. Gli intervistatori sono volutamente tenuti nella marginalità.<br />

Sono quasi sempre malpagati, poco controllati, poco invogliati o privi degli<br />

interessi e delle conoscenze che riguardano la ricerca. Eppure contraddizione<br />

delle contraddizioni, sono uno degli anelli importanti di tutta la catena del<br />

processo analitico. Inoltre, in molti altri casi il problema è amplificato dal<br />

fatto che ci possono essere anche degli intermediari ulteriori tra il ricercatore<br />

e l’operatore dell’intervista. Si sa che ogni intermediazione è uno spreco<br />

“entropico”, di perdita di energie e risorse, oltre che deformazione e perdita<br />

di informazioni. Come pure è entropica la mancanza di considerazione di<br />

momenti dell’intervista che hanno significati impliciti: i rifiuti, i silenzi, i<br />

tempi, l’ambiente, ecc…<br />

All’intervistatore, inoltre, occorrono conoscenze ed informazioni sulla ricerca.<br />

Per questo è opportuna una certa istruzione sia teorica e particolare<br />

sulla ricerca sia generale e di esperienza. Non devono essere trascurate o sottostimate<br />

le caratteristiche e le motivazioni dell’intervistatore. A riguardo delle<br />

motivazioni occorre tener presente la reciprocità delle motivazioni. Ancona e<br />

Gemelli (1959), parlavano di “motivazione estrinseca”, ovvero di quelle motivazioni<br />

frutto di processi imposti in cui non vi è consenso da ambedue le<br />

parti. Ma la classificazione più dettagliata delle motivazioni e delle qualità<br />

dell’intervistatore ci viene da Metello di Lallo (1954). Occorre tener conto<br />

nell’analisi dell’operato e delle competenze dell’intervistatore di<br />

- motivazione intrinseca, ovvero la motivazione al compito;<br />

- disponibilità psichica, apertura e disponibilità;<br />

- mentalità psicologica, capire le deformazioni e le autocensure;<br />

- impegno nel compito, nessuna fretta o scoraggiamento;<br />

- riservatezza e libertà.<br />

Inoltre, è l’intervistatore che deve far si che il suo “accoppiamento” con<br />

il soggetto intervistato non sia inadeguato. Alcuni parlano di personale altamente<br />

qualificato e ben retribuito, visto che le sue carenze si trasformeranno<br />

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L’intervista aperta, le immagini di una città e la voce degli invisibili che si muovono a Potenza<br />

in carenze di dati o inquinamento degli stessi. Altri, invece sostengono che<br />

comunque ci sono tempi infruttuosi, attese, ritardi, assenze, trasferimenti e<br />

che l’elevata qualificazione degli intervistatori vada a ridurre la varianza delle<br />

informazioni, a favore di maggiore omogeneità e comparabilità. Altri ancora,<br />

sostengono che l’omogeneità e la comparabilità richiedono la presenza di un<br />

solo intervistatore come condizione ideale, ma ciò comporta tempi lunghi e<br />

anche maggiori costi e spostamenti. Un altro gruppo di ricercatori sostiene<br />

che ogni esperienza prolungata incide influenzando l’operatore dell’intervista,<br />

e questo farà variare le sue scale di giudizio man mano che la ricerca<br />

procede.<br />

O ancora, l’intervistatore, chiunque esso sia, ricercatore od operatore,<br />

è sempre uno sconosciuto, un altro, uno sfacciato che si intromette ed<br />

interrompe il cammino e l’attività di un altro. A questo inconveniente si può<br />

rimediare in vari modi, attraverso un cartellino di identificazione, attraverso<br />

una “lettera di presentazione”, attraverso le doti e la cortesia (il savoir-faire)<br />

del nostro “attore”.<br />

Altro ancora è il problema del coinvolgimento. Questo aspetto ha due<br />

facce: il coinvolgimento dell’operatore e il coinvolgimento dell’intervistato.<br />

Nel primo caso abbiamo a che fare con la formazione oltre al coinvolgimento<br />

dell’operatore. Di solito la loro formazione si limita alle poche informazione<br />

per la gestione e l’economia del questionario di intervista, senza alcun<br />

approfondimento sul tema, sugli errori e sulle possibili deformazioni, sulle<br />

modalità di conduzione dove gran peso hanno le doti degli stessi. Eppure alle<br />

doti dell’attore vanno attribuite le capacità di coinvolgimento dei soggetti.<br />

«La rilevanza o l’irrilevanza dei risultati dell’intervista dipende dalla capacità,<br />

dall’intuito, dalla personalità dell’intervistatore» (Statera, “Metodologia <strong>della</strong><br />

ricerca sociale”, 1982, in R. Fideli, A. Marradi, “Intervista”, 1994, p. 74).<br />

All’intervistatore si chiede di essere un attore, un bravo attore, per svolgere<br />

al meglio diverse parti. Deve interpretare diversi ruoli, oltre che diverse<br />

informazioni. Un intervistatore è una sorta di “007” 1 , un agente segreto, una<br />

spia in missioni meno pericolose. Deve con i suoi piccoli strumenti riuscire<br />

a districarsi in situazioni estreme e sempre con un carico informativo di<br />

1 Usando a prestito la sigla di riconoscimento del famoso agente segreto protagonista dei romanzi<br />

gialli di I. Fleming e di una collana di film americani per il cinema, di grande successo.<br />

- 191 -


Vito Garramone<br />

qualche interesse. Deve sapere cosa cercare e come cercarlo, per il resto è stato<br />

addestrato a svolgere diversi ruoli ed assumere diverse sembianze. Ora è un<br />

presentatore, ora un promoter, ora un intrattenitore, ora un venditore, ora un<br />

mediatore, ora un decodificatore, ora un interprete, ora un coautore, ora un<br />

esperto, ora un fomentatore di conflitti, ora un risolutore, ora una spalla, ora<br />

un amico e confidente, ecc… Vediamolo in ognuna delle sue “parti”.<br />

Presentatore e promoter. Un aspetto del ruolo dell’intervistatore spesso<br />

trascurato è quello <strong>della</strong> presentazione e promozione <strong>della</strong> motivazione<br />

dell’intervista. Occorrono capacità di dialettica, dizione (l’Istat, ad esempio,<br />

raccomanda di «Leggere le domande in modo fluido da dare un ritmo il più<br />

naturale possibile all’intervista»), nozioni e chiarimenti per catturare senza<br />

truffare l’intervistato. Tali informazioni permetteranno di promuovere tale<br />

azione in maniera da far aderire il numero desiderato di soggetti, con le<br />

migliori intenzioni di collaborare ai fini delle linee <strong>della</strong> ricerca.<br />

Civetta ed intrattenitore. Questo problema potrebbe essere risolto con<br />

l’espediente <strong>della</strong> bella ragazza e del bel ragazzo, come avviene per le mostre<br />

e gli stand fieristici. In realtà, l’intervista non ha lo scopo di pubblicizzare<br />

alcunché, ma di suscitare interesse e collaborazione per la ricerca, e di far si<br />

che queste si prolunghino per tutta la durata dell’interazione. E non è più<br />

solo indispensabile la “bellezza” dell’operatore, ma le conoscenze e le “doti<br />

umane”, visto che il rapporto ha una sua durata e non attiva solo la percezione<br />

del senso visivo.<br />

Venditore e mediatore. Il suo scopo è quello di “vendere” interazioni<br />

e “acquisire” informazioni. Sono le sue doti di “mercante” a permettere la<br />

transazione, il passaggio dell’oggetto intervista all’intervistato. «L’interpres in<br />

origine si dice abbia designato “colui che si intromette in una transazione, la<br />

persona i cui buoni uffici sono necessari perché un oggetto cambi proprietario,<br />

mediante pagamento del giusto prezzo”; colui che assicura “un passaggio” e nello<br />

stesso tempo “bada a ricostruire il valore esatto dell’oggetto trasferito” assistendo<br />

alla sua trasmissione “in modo da constatare che l’oggetto giunga al destinatario<br />

nella sua integrità (Starobinski, 1974)» (J. Starobiski, La letteratura: il testo e<br />

l’interprete, 1981, p. 375).<br />

Deve innanzitutto superare e permettere ai malcapitati di superare il loro<br />

rifiuto. Deve far credere a questi che sono all’altezza <strong>della</strong> situazione, che hanno<br />

delle capacità e dei saperi che non sapevano di avere, che il loro contributo è<br />

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L’intervista aperta, le immagini di una città e la voce degli invisibili che si muovono a Potenza<br />

indispensabile. «Comunque si presenti motivato il rifiuto (diffidenza, scetticismo,<br />

indifferenza, onore in pericolo, etc.), alla sua base sta l’incapacità di cogliere il<br />

senso di un contributo personale da dare per un bene (la ricerca) la cui utilità<br />

è collettiva. Questa incapacità affonda le radici in una consolidata tradizione<br />

culturale per cui manca alla gente l’esperienza di una comunità che non sia il<br />

ristretto nucleo familiare (più o meno esteso), e ancora di più l’idea di una comunità<br />

che dà per arricchire se stessa. Tutto si basa su rapporti di scambio estremamente<br />

individualizzati (a cominciare da quelli con la “pubblica” amministrazione),<br />

tendenti solo al tornaconto personale» (Boccuzzi, p. 243).<br />

Figurarsi l’amplificazione di questo problema in una realtà di per sé<br />

chiusa come quella <strong>della</strong> città di Potenza. Ma contrariamente alle nostre<br />

aspettative, l’ottenimento <strong>della</strong> collaborazione dei passanti, <strong>della</strong> gente, non<br />

ha comportato difficili e seri problemi. I potenziali intervistati si sono fatti<br />

“catturare” con molta facilità, e alcune volte sembravano addirittura aspettare<br />

l’intervista, aspettare di essere fermati. La loro accettazione ha avuto varie<br />

origini e motivazioni:<br />

- Curiosità, riguardo al tema trattato;<br />

- Inabitudine alle interviste;<br />

- Stimoli provenienti dagli operatori;<br />

- Motivazione <strong>della</strong> ricerca, tesi di laurea e studio di una particolare realtà<br />

locale;<br />

- Condivisione ed aspettative legate all’attenzione per la realtà locale;<br />

- Voglia di compiacere gli operatori e il ricercatore, perché molto giovani ed<br />

intraprendenti;<br />

- Cortesia e incapacità di sottrarsi agli operatori, e quindi attenti e veloci nelle<br />

risposte per poter rendere il meno possibile duraturo l’interazione.<br />

Tale problema è stato affrontato in due modi diversi, attraverso l’uso di<br />

un gruppo di intervistatori coordinato dal ricercatore stesso e attraverso il<br />

supporto al ricercatore del registratore. Nel primo caso si è cercato di risolvere<br />

i maggiori problemi con la particolare scelta del gruppo. Un gruppo di amici e<br />

“conoscitori” <strong>della</strong> ricerca. Quindi informati e devoti, per vincoli di amicizia,<br />

stima e voglia di “dare una mano”. Non sempre aventi relazioni “di studio o<br />

professionali” col tema trattato. Essi, inoltre hanno svolto i loro compiti in<br />

assenza totale di corrispettivo o ricompensa pecuniaria. Tutti si sono accollati<br />

le spese di spostamento, di inattività, di tempo, di energie, ecc… restituendo<br />

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Vito Garramone<br />

un risultato per niente sottovalutabile. Inoltre, la loro azione si è svolta alla<br />

presenza del ricercatore, supporto e al tempo stesso controllo in ogni momento.<br />

La conduzione ludica, competitiva e principiante delle azioni ha permesso<br />

l’attivazione di una formula “ottima”, col minimo consumo di risorse e col<br />

massimo grado di soddisfazione generale. Soddisfatto il ricercatore dei risultati<br />

ottenuti, soddisfatti gli operatori <strong>della</strong> nuova esperienza, soddisfatta la gente<br />

che si è vista partecipe di un momento di considerazione e di protagonismo.<br />

Eppure si era attivata la modalità più difficile delle interviste, quella con<br />

questionario a domande aperte, dalla maggior parte degli studiosi esclusa<br />

anche per via dei problemi con la qualificazione personale degli operatori.<br />

Questo soprattutto perché in quei casi «l’intervistatore non si limita a registrare<br />

la risposta del suo interlocutore ma contribuisce attivamente a produrla […].<br />

Forzando le regole dissimmetriche dell’intervista: con le pause, le sue reticenze,<br />

le sue interruzioni, le sue ripetizioni non richieste, le sue incongruenze, le sue<br />

domande, ecc…» (Sormano, p. 350).<br />

Nel secondo caso l’operato dell’intervistatore, che coincideva con il ricercatore,<br />

si è sottoposto a verifica dei suoi effetti e dei risultati derivanti attraverso<br />

la registrazione dell’interazione a mezzo di mangianastri. Avendo riportato<br />

per intero le interviste tale analisi può essere controllata da chiunque a mo’ di<br />

verifica e di valutazione del grado di capacità e di distorsione delle informazioni<br />

e del rapporto attraverso un confronto con i materiali grezzi.<br />

Comunicatore, decodificatore ed interprete. È l’intervistatore che seleziona<br />

e attiva il momento di relazione. Infatti, «ogni debolezza, ogni insufficienza<br />

da parte del soggetto (del lettore) non è meno fatale dell’efficacia del lavoro<br />

critico [dell’intervistatore]. Non che il soggetto che interroga possa mai essere completamente<br />

cancellato: con la sua scomparsa tutto svanirebbe. Voglio soprattutto<br />

ricordare che la forza dell’interrogazione, l’inventiva esplicita nella stessa ricerca<br />

ricostruttiva, devono essere difese senza cedimenti, se si vuole mantenere viva la<br />

relazione critica. Perché è il vigore del nostro disegno personale che rende nuovamente<br />

attuale l’oggetto, (l’opera). Che cosa resta <strong>della</strong> critica, se la nostra domanda<br />

è timida, se il nostro linguaggio è stereotipato, se i nostri concetti sono male assicurati?<br />

L’oggetto stesso diventa banale e debole, se manca di una sollecitazione vigorosa.<br />

[…] Perché il testo [ovvero il teste che parla tramite questo] ha il diritto<br />

di controllare ciò che si dice di esso; rappresenta, per il discorso interpretativo, una<br />

referenza che non si lascia eludere» (Starobiski, p. 199-203).<br />

- 194 -


L’intervista aperta, le immagini di una città e la voce degli invisibili che si muovono a Potenza<br />

Quindi l’interprete come tramite di una comunicazione, e come conoscitore<br />

dell’oggetto e delle sue qualità. «Secondo gli storici <strong>della</strong> lingua, la parola<br />

“interpres”, in origine, designa colui che s’intromette in una transazione, la persona<br />

i cui buoni uffici sono necessari perché un oggetto cambi proprietario, mediante<br />

pagamento del giusto prezzo. L’“interpres” assicura dunque un passaggio; nello<br />

stesso tempo, bada a riconoscere il valore esatto dell’oggetto trasferito, assiste alla<br />

trasmissione in modo da constatare che l’oggetto giunga al destinatario nella sua<br />

integrità. Nell’ordine verbale, l’interprete, anche quando non è che un semplice<br />

traduttore, è ancora una volta l’agente di un passaggio (da una lingua all’altra)<br />

e il responsabile dell’integrità di un messaggio che non deve subire, per principio,<br />

nessuna alterazione. […] L’interprete assicura questa “trascodificazione”, ha il<br />

compito di sostituire una rete lessicale con un’altra; sostituisce alle parole del testo<br />

altre parole (o gruppi di parole), in modo che il messaggio iniziale, pur conservando<br />

la sua sintassi, il suo movimento, la propria organizzazione, si presenta con un<br />

secondo senso: è l’altro testo di uno stesso senso. Ancora una volta, l’interpretazione<br />

si propone di assicurare una persistenza e un’integrità, pur operando un passaggio.<br />

Ma questa volta l’interprete ci mette del suo, anche quando pretende di limitarsi<br />

a una semplice decifrazione. Infatti è in larga misura l’autore di ciò che scopre nel<br />

testo, perché sceglie, in conformità con i suoi bisogni intellettuali e con quelli <strong>della</strong><br />

sua epoca, il codice in cui inserirà il “senso proprio”» (Starobiski, p. 205-6).<br />

Sono queste qualità che gli permettono di poter condurre la transazione<br />

anche in termini di “trascodificazione”, sostituzione di un termine con l’altro,<br />

pur conservando lo stesso senso.<br />

La loro, nei casi riusciti, è una operazione di aiuto allo scambio e alla<br />

lettura di tali informazioni scambiate. Si traduce da una lingua all’altra, da<br />

una bocca all’altra, per attivare uno scambio di informazioni con condizioni<br />

di facilità nella lettura e nella comprensione, altrimenti l’operazione non avverrebbe.<br />

Anche un attore fa lo stesso. Interpreta un testo per meglio renderlo<br />

appetibile o comprensibile agli altri, nella sua totalità o in alcune delle sue<br />

parti. Ecco perché l’aspetto di attore, la recitazione, si muove di pari passo con<br />

l’interpretazione. Ma l’intervistatore fa due operazioni interpreta il questionario,<br />

ovvero il canovaccio, ed interpreta anche le risposte, ovvero gli stimoli<br />

del pubblico. Nel nostro caso occorreva anche realizzare una interpretazione<br />

ulteriore, quella dal dialetto all’italiano, con la difficoltà che i codici linguistici<br />

aggiungevano.<br />

- 195 -


Vito Garramone<br />

Confessore. Come un prete o custode di segreti, come un amico o persona<br />

di fiducia, l’intervistatore è uno scrigno di segreti, informazioni e fiducia.<br />

Per questo alcune informazioni non potranno essere trasmesse e rese pubbliche,<br />

ma rimarranno di esclusivo dominio dell’intervistatore. Una perdita di<br />

informazione necessaria o una sua traduzione in forme indirette.<br />

Coautore. Per quanto detto in precedenza circa il ruolo di interprete,<br />

decodificatore, ma anche per tutti gli altri ruoli, l’intervistatore si pone come<br />

coautore delle risposte. Sia perché le sintetizza, sia perché le registra, sia perché<br />

ne fissa il senso, ecc. Ed è per questo che occorre conoscerlo e sapere<br />

quali possono essere i condizionamenti da questo innescati. In un sistema<br />

matematico diremo che l’intervistatore è la variabile costante, il coefficiente,<br />

da cui dipende la variabile indipendente, l’intervistato. È l’annoso problema<br />

che interessa ogni interazione sociale: il problema <strong>della</strong> neutralità. Non si può<br />

fare a meno di innescare il “Processo circolare” di influenzamento reciproco e<br />

contemporaneo.<br />

Stack Sullivan, nel 1954, parlava del “teorema <strong>della</strong> emozione reciproca”:<br />

nell’interazione nascono, si risolvono o si aggravano bisogni, schemi di attività<br />

o altro ancora.<br />

Investigatore. Grazie alle considerazioni di R. Auzelle si è vista anche<br />

emergere la posizione dell’intervistatore come un investigatore volto alla<br />

scoperta di indizi utili alla conoscenza <strong>della</strong> realtà. Nel questionario riportato<br />

dall’autore e fonte per l’analisi di Assisi da parte di G. Astengo, si trova il<br />

termine francese “marque”, appunto “indizi, impronte”. Ed ecco che si ricollega<br />

a quanto da noi detto circa le capacità che lo assimilano ad un investigatore<br />

privato, un agente segreto, una spia, uno 007.<br />

Esperto. Un intervistatore non può non essere esperto, o non sapere dell’argomento<br />

che verrà trattato nell’intervista, o delle finalità che si inseguono<br />

nella ricerca. Sono norme dettate dal buon senso. Eppure nella stragrande<br />

maggioranza dei casi questo non avviene. Delle volte addirittura si ricorre a<br />

delle agenzie o cooperative che realizzano la campagna interviste indifferentemente<br />

dal campo o dal settore che gli commissiona la ricerca. Il modello che<br />

prevale in questi casi è quello dell’esperto <strong>della</strong> tecnica, colui il quale sa come<br />

usare il suo strumento, ma non sa per quale motivo, ed ha bisogno di tale volontà.<br />

Sarebbe la situazione dell’“intervistatore ideale”. «L’atteggiamento (quasi<br />

“idealtipico”) cui deve tendere l’intervistatore deve quindi assomigliare ad un<br />

- 196 -


L’intervista aperta, le immagini di una città e la voce degli invisibili che si muovono a Potenza<br />

“mettere tra parentesi se stessi, le proprie idiosincrasie e la propria eredità culturale”<br />

per la durata <strong>della</strong> interazione dell’intervista (Bonte, Izard: “Dictionnaire de<br />

l’ethnologie et de l’anthropologie”, 1991)» (A. Mela, M. C. Belloni, L. Davico,<br />

“Sociologia e progettazione del territorio”, 2000, p. 271).<br />

O ancora possiamo parlare di intervista ideale quando si viene ad instaurare<br />

tra i due una relazione di cooperazione, anche se unilaterale. I fini che si<br />

perseguono non sono quelli <strong>della</strong> ricerca, quelli sono i risultati di riflesso dei<br />

fini principali, ovvero quelli del perseguimento <strong>della</strong> scientificità e dell’oggettività.<br />

Nella nostra ricerca si è negato tale ruolo, in favore dell’inesperienza delle<br />

tecniche, <strong>della</strong> conoscenza parziale del tema di ricerca (era esplorativa) e<br />

<strong>della</strong> conoscenza di frammenti di cultura informale, diffusa e locale. Forse<br />

nell’esperienza diretta del ricercatore come intervistatore si è potuta affermare<br />

l’importanza del ruolo di esperto solo nel momento in cui era opportuno andare<br />

più a fondo nella conoscenza ed attivare una dimensione monografica.<br />

Fomentatore di conflitti. In una interazione dialogica asimmetrica,<br />

quale l’intervista, è sempre possibile che si verifichi una situazione di conflitto,<br />

attraverso la “denegazione”, figura retorica freudiana, in cui l’intervistato<br />

rifiuta l’ultima rappresentazione che gli può venire affibbiata. Occorre che il<br />

ricercatore studi e riconosca i linguaggi, i conflitti e i consensi. Si capiranno<br />

le costruzione mentali dei due attori e si andrà oltre il “realismo ingenuo”,<br />

come afferma L. Gallino, portando alla luce anche rappresentazioni latenti.<br />

Ma anche quando il conflitto non è evidente c’è il rischio di attivarlo (il che<br />

non indica un qualcosa di negativo, visto che il conflitto è “il sale <strong>della</strong> vita”)<br />

tramite l’opposizione ai concetti e agli schemi tradizionali. L’intervistatore sta<br />

seminando dubbi, è un “vettore di germi di dubbio”.<br />

Risolutore. Tale ruolo si viene ad avere quando l’intervistatore produce<br />

nell’intervistato un momento di bilancio individuale ed intimo, fornendo<br />

informazioni, chiavi di lettura e l’“originaria definizione metaforica di sé”.<br />

Quando innesca meccanismi di confessione ed espulsione volontaria di<br />

informazioni, il noto aspetto maieutico. Ovvero quando il dialogo diventa<br />

sempre più monologo, negando la sua stessa natura di interazione dialogica.<br />

Spalla, amico e confidente. L’intervistatore, infine, diviene di volta in<br />

volta controfigura, deuteroprotagonista (nella tragedia greca è l’attore che ha<br />

il secondo ruolo), spalla, amico, complice e confidente. Molti sostengono<br />

- 197 -


Vito Garramone<br />

che la trasformazione dell’intervistatore a secondo attore e l’“investitura”<br />

dell’intervistato a primo attore siano le motivazioni maggiori che inducono<br />

il primo a dirsi disponibile all’interazione. E maggiore è l’autorità del<br />

secondo maggiori saranno queste due trasformazioni, ovvero maggiore sarà il<br />

cambiamento di identità dell’intervistato, ora con prestigio e dotazioni maggiori<br />

rispetto al suo secondo. Invece, nel caso contrario, in cui l’intervistatore non<br />

faccia ricorso ad alcuna autorità, si corre il rischio di acquisire (l’intervistatore)<br />

il ruolo <strong>della</strong> controfigura o complice nel conflitto, ma senza una possibilità<br />

di confronto e di intervento. Fenomeno noto in sociologia come “dialogo tra<br />

sordi”, dove si riflette la crisi delle due identità.<br />

Quando, invece, l’interazione propende per toni e relazioni di tipo<br />

maggiormente colloquiale, angelistico, amichevole, l’intervistatore può essere<br />

tentato di scrivere più di quanto espresso, rispondendo alla voce del “suo<br />

proprio interlocutore interiorizzato”. Anche le interpretazioni vanno fatte, ma<br />

solo se è possibile disporre dell’originale, del confronto o se è possibile vedere<br />

e capire l’esplicazione di tale confronto.<br />

Inoltre, si deve far in modo di evitare l’innesco nella mente dell’intervistato<br />

di complessi di “desiderabilità sociale”.<br />

Burocrate. Comprende tutti quegli intervistatori addetti al controllo<br />

burocratico e fiscale, molte volte portatori di un potere coercitivo in merito<br />

e dovuto alle motivazioni che li hanno mossi. Non ammettono “spazi di<br />

confidenza” e di “amichevole collaborazione” e si connotato per una neutralità<br />

meccanica, visto che i criteri che li muovono sono altamente studiati e con<br />

casistiche ben definite, in modo da ridurre il più possibile casi anomali e<br />

libero arbitrio o discrezionalità degli intervistatori-rilevatori.<br />

L’intervistatore neutrale dell’Istat (i principi guida) 2 . L’intervistatore<br />

deve essere, per l’Istituto, una persona usa alla “massima cortesia” nello<br />

svolgimento di tale azione. Al massimo potrà tendere a maggiore confidenza,<br />

dando «del tu, specialmente se ciò può contribuire a migliorare il clima di<br />

collaborazione» (Istat, Guida per l’intervistatore allegato all’indagine Aspetti<br />

2 A quanti non hanno mai letto le informazioni, i chiarimenti, i criteri e le metodologie dell’Istat,<br />

si avverte che queste informazioni provengono da tale fonte. Una motivazione in più per suffragare<br />

la nostra tesi che un uso creativo dei dati debba passare obbligatoriamente e necessariamente per<br />

lo studio e l’analisi <strong>della</strong> loro costruzione.<br />

- 198 -


L’intervista aperta, le immagini di una città e la voce degli invisibili che si muovono a Potenza<br />

<strong>della</strong> vita quotidiana, 2002, p. 6), o cercando di spiegare in modo semplice le<br />

domande, evitando commenti o spiegazioni troppo dettagliate.<br />

Inoltre, deve essere neutrale (per applicare i due criteri fondamentali<br />

dell’Istat: quello di prevalenza, nell’identificazione dei comportamenti più<br />

abituali, e quello di soggettività, che elimina criteri esterni al rispondente) e<br />

riservato, poiché dovrà conservare «il più rigoroso segreto sulle notizie rilevate»<br />

(Istat, p. 6) e chiedere il recapito telefonico, «affinché sia eventualmente possibile<br />

ricontattare la famiglia per chiarimenti o rettifiche» (Istat, p. 9) o controllo da<br />

parte di terzi del suo stesso operato e dell’avvenuta intervista.<br />

Ancora, l’intervistatore non deve mostrare l’obbligatorietà delle risposte,<br />

per «evitare che le persone interessate possano pensare a un qualche tipo di controllo<br />

burocratico o fiscale» (Istat, p. 6), visto anche che non si stanno svolgendo altre<br />

azioni al di fuori dall’intervista.<br />

Nel concetto di intervistatore dell’Istat, questi non ha possibilità di<br />

gestire l’azione di intervista non potendo improvvisare, cambiare l’ordine<br />

delle domande, chiedere ulteriori approfondimenti, far leva su ciò che<br />

può pensare in confidenza, ecc. L’intervistatore è tenuto a «Rispettare<br />

scrupolosamente le istruzioni», interponendo il meno possibile gli spazi morti.<br />

Questo poiché il questionario è stato costruito per essere facilmente utilizzato<br />

dall’intervistatore.<br />

Insomma, quello dell’Istat è un intervistatore neutrale, altamente “gentile”<br />

ed “efficiente”, continuamente soggetto alle istruzioni e alle indicazioni<br />

didascaliche 3 dell’Istituto. Da buon dipendente può segnalare ai superiori sia<br />

punti critici ed altre informazioni che possano migliorare la ricerca, ma mai<br />

prendere iniziativa.<br />

L’intervistatore-semplificatore delle domande. Tutti gli intervistatori,<br />

indifferentemente dalla linea prediletta, devono essere in grado di saper<br />

semplificare le domande nel caso non vengano capite dagli intervistati, «usando<br />

in tal caso un linguaggio semplice, di uso comune, facilmente comprensibile»<br />

(Istat, p. 6), oltre a dover «Leggere le domande in modo fluido in modo da dare<br />

un ritmo il più possibile naturale all’intervista» (Istat, p. 7).<br />

3 I questionari di intervista più “belli e chiari” restano pur sempre quelli dell’Istat, sia per l’estrema<br />

cura grafica e di impaginazione che per l’uso di colori, frecce, didascalie, riferimenti, ecc… a guida<br />

dell’intervistatore e dell’intervistato.<br />

- 199 -


Vito Garramone<br />

I precedenti. Dopo l’esperienza di indagini al cordone realizzate in<br />

occasione di una campagna rilievi per un piano del traffico e <strong>della</strong> sosta,<br />

sono aumentati gli interessi dell’autore-ricercatore per questo strumento,<br />

il questionario di intervista, e sul suo maggior limite, lo sdoppiamento<br />

dell’intervistatore nei due ruoli, ricercatore ed operatore. In quella esperienza<br />

era forte il distacco tra ricercatore ed operatore; l’esperienza formativa era<br />

stata molto breve; l’unica fonte di motivazione per gli operatori era stato il<br />

corrispettivo monetario, con l’eccezione del sottoscritto, motivato da finalità<br />

ed interessi di formazione professionale. Non vi era stato alcun momento di<br />

autoformazione e coscienza del proprio ruolo, nessun momento di analisi e<br />

comprensione degli errori, ecc… Da tale esperienza esce questo paragrafo,<br />

come pure da tale esperienza lo studio <strong>della</strong> tecnica, del questionario e del<br />

momento circolare autoriflessivo.<br />

È sempre per tale motivo che si è anticipata la campagna rilievi con una<br />

campagna monografica e di interviste realizzata dal ricercatore. Per meglio<br />

comprendere lo strumento con cui si aveva a che fare. L’esperienza va sempre<br />

accompagnata con momenti precedenti (pre-test), successivi (analisi dell’operato<br />

e bilanci) e contemporanei di riflessione teorica.<br />

A latere di tali considerazioni, come delle digressioni, ma a tema, ci sono<br />

poi alcuni problemi tecnici che all’intervistatore sono dati conoscere e risolvere,<br />

come pacchetto minimo di competenze professionali. Tra questi citiamo<br />

almeno i vari problemi del silenzio, <strong>della</strong> denegazione, dei luoghi comuni,<br />

dell’uso e <strong>della</strong> conoscenza delle tecniche retoriche, oltre che il superamento<br />

di modalità collusive e di difesa. Non volendo prolungar oltre tali questioni si<br />

affronteranno con una certa rapidità i primi tre aspetti avendo a che fare con<br />

riflessi e spiegazioni che si riscontreranno in altre parti <strong>della</strong> ricerca.<br />

Innanzitutto, il silenzio e le pause, gli inciampi linguistici. Non sono<br />

elementi da trascurare.<br />

«Quando ci troviamo di fronte ad un silenzio che è qualcosa di diverso da<br />

una semplice pausa o ad una interruzione del discorso che è qualcosa di diverso<br />

dalla sua conclusione; o a un lapsus o ad un quiproquo o più in generale ad una<br />

qualche sorta di “inciampo” del discorso dell’attore le cui rappresentazioni vogliamo<br />

ricostruire, che facciamo? Lo registriamo e tentiamo di analizzarlo oppure no?<br />

Se, così come gli “atti mancanti” sono “atti che riescono”, le “parole che inciampano”<br />

sono “parole che confessano” (Lacan, 1975)» (Sormano, p. 350-1).<br />

- 200 -


L’intervista aperta, le immagini di una città e la voce degli invisibili che si muovono a Potenza<br />

In coerenza con tali linee nelle interviste monografiche sono stati riportati<br />

e rappresentati tutti questi aspetti. Sono atti mancanti che confessano, come<br />

fa ad esempio in giurisprudenza il silenzio-assenso e il silenzio-dissenso.<br />

Altro aspetto è quello <strong>della</strong> denegazione. «Si tratta di denegazione<br />

(Verneinung) con cui il soggetto confessa ciò che egli è confessando ciò che egli non è»<br />

(Sormano, p. 356).<br />

Si dice il contrario di quello che si pensa.<br />

Infine, abbiamo i luoghi comuni, altrove già trattati sia come pregiudizi<br />

sia come immagini mentali. «I luoghi comuni non sarebbero tanto affollati se<br />

non fossero così immediatamente comodi» (Sormano, p. 367).<br />

Si può concludere affermando con Gilli, che l’importanza <strong>della</strong> distorsione<br />

prodotta dall’individuo aumenta di importanza, di amplificazione e qualità<br />

dei risultati solo a partire dalla motivazione dell’elemento che la scatena,<br />

l’intervistatore.<br />

«Secondo Gilli, “l’intervista riesce quando suscita disturbo” e cioè quando<br />

fa prendere coscienza ai soggetti delle contraddizioni e dei conflitti presenti nella<br />

nostra società; essa non deve finire senza che si sia data una risposta al “che fare?”.<br />

Modificherei questa prospettiva: l’intervista suscita disturbo di per sé in quanto<br />

attività cognitiva, non pratica. È attività cognitiva, però, solo se condotta da un<br />

intervistatore coinvolto e responsabilizzato» (Boccuzzi, p. 249).<br />

Una ricerca, come un buon colpo assestato ad una palla nel biliardo a<br />

stecche, non può sperare di arrivare a colpire un’altra o entrare in buca se non<br />

si è ben calibrata la forza, il modo di colpire e la traiettoria del prima e del<br />

dopo l’impatto. E sicuramente una di queste parti, e il suo esito (la conoscenza),<br />

riguarda l’aspetto dell’interpretazione.<br />

«Oggi (c’è bisogno di dirlo?) l’interpretazione ha assunto un aspetto più conglobante;<br />

non si limita più a una traduzione o a una trascodificazione. È un atto<br />

di conoscenza» (Starobiski, p. 206).<br />

- 201 -


Vito Garramone<br />

11. IL RUOLO DELLA GENTE COME PROTAGONISTA RITROVATO<br />

Chi guarda avanti 10 anni pianta alberi,<br />

chi guarda avanti 100 anni pianta uomini.<br />

Proverbio cinese<br />

In questo paragrafo si tratterà del problema dei campioni. Per grosse<br />

linee, diremo che ci sono due scuole di pensiero a riguardo dei campioni,<br />

coloro i quali considerano il campione una rappresentazione e proiezione<br />

statistica di un universo di grandi numeri e coloro i quali lo considerano una<br />

testimonianza di un universo nascosto, di cui importanti sono le dinamiche<br />

intra ed interpersonali e le loro complessità.<br />

Su quale base deve avvenire il campionamento? Un problema non sempre<br />

risolto brillantemente. Se il campionamento è la prima spia di malfunzionamento<br />

<strong>della</strong> ricerca ed anche il suo limite maggiore, perché costruirlo ogni<br />

volta, o almeno, nei casi in cui si attiva una ricerca di esplorazione e sperimentazione?<br />

Avendo a che fare con le resistenze delle travi in cemento armato alle sollecitazioni,<br />

saremmo degli stolti a non ricorrere al primo caso o prima scuola<br />

di pensiero. Ma quando si ha a che fare con gli uomini, avremmo ancora la<br />

stessa sicurezza di poter riuscire a trovare il campione giusto? Il secondo caso<br />

o la seconda scuola, ci pare presenti maggiore onestà intellettuale, anche se<br />

porta con sé una certa tentazione a passare dal campione all’universo totale.<br />

Per queste ragioni e per coerenza diremo che i casi a cui si farà riferimento<br />

saranno solo un insieme di casi e non un campione analitico. Le inchieste di<br />

Dolci saranno i nostri referenti, per tale aspetto. «Particolare attenzione ci ha<br />

richiesto il metodo. Si è cercato: costantemente la più distaccata casualità; di comunicare<br />

con solo una persona alla volta: la presenza di altri intorno avrebbe provocato<br />

risposte facilmente retoriche; di avere le ultime risposte, non le prime, le più<br />

istintive e ancora, si direbbe, superficiali; e si sono cercate alle risposte le possibili<br />

- 202 -


L’intervista aperta, le immagini di una città e la voce degli invisibili che si muovono a Potenza<br />

verifiche. Ma ci è cresciuto dentro man mano il rimorso di non esser potuti stare di<br />

più, con ciascuno. Non si voleva esaminare, giudicare: ma riuscire a sentire, come<br />

attorno a un grande tavolo, le notizie e le opinioni di ciascuno, uno per uno, per<br />

schiarirci l’uno con l’altro» (D. Dolci, Inchiesta a Palermo, 1962, p. 10).<br />

Sulla scia di Dolci (anche se lontano dalla sua imitazione per nostri limiti<br />

riconosciuti), la Nostra Ricerca contiene una documentazione di persone e<br />

ambienti, oltre ad un sondaggio statistico-psicologico. Come questi abbiamo<br />

usato statistiche elementari per una maggiore accessibilità: totale, numero di<br />

frequenze o risposte uguali, costruzione di gruppi.<br />

Ci sono, però, ancora alcune considerazioni da fare. Alcuni sostengono<br />

che le interviste non rispecchino dei campioni casuali perché «le persone socialmente<br />

marginali si mostrano [… maggiormente] disponibili proprio perché<br />

apprezzano il fatto che qualcuno si ricordi di loro e sia interessato a quanto hanno<br />

da dire» (Pitrone, Il sondaggio, 1984, in R. Fideli, A. Marradi, Intervista, 1994,<br />

p. 71-2).<br />

Noi diremo semplicemente che intendiamo prestare attenzione anche a<br />

quelli, ma soprattutto ai passanti, alle persone senza un nome. Persone <strong>della</strong><br />

quotidianità. Se poi questi sono “persone socialmente marginali” ben venga.<br />

Abbiamo estesa la nostra opinione riguardo a rappresentanza e rappresentatività.<br />

Possiamo condividere quanto contenuto in una canzone del gruppo<br />

Modena City Ramblers:<br />

“La mia gente non ha certo un nome/ non si trova sui libri di storia/ a volte<br />

è perduta, a volte arrabbiata/ o allegra o sola o ubriaca./ La mia gente non è originale/<br />

e non parla con parole strane/ ma cammina per la strada e sogna e lavora/<br />

confusa e inquieta e contorta” (La mia gente, contenuta nell’album La grande<br />

famiglia, 1996).<br />

Per far questo, ovvero “Per comunicare, […] è necessario che ognuno sia<br />

creativo nell’ascoltare-interpretare”. Lo andava sostenendo Danilo Dolci. E noi<br />

con lui.<br />

Ma non solo. Secondo Rogers (1951), il processo dinamico che vuol essere<br />

centrato sull’intervistato<br />

- non deve esercitare autorità sul soggetto;<br />

- deve essere molto attento al soggetto;<br />

- deve saper ascoltare;<br />

- deve permettere pause lunghe per consentire al soggetto di elaborare;<br />

- non deve discutere col soggetto, né dare consigli, ammonimenti o valutazioni.<br />

- 203 -


Vito Garramone<br />

Alcuni sostengono che la disponibilità a rispondere alle interviste sia il<br />

frutto <strong>della</strong> percezione e concretizzazione nelle pratiche quotidiane di tempi<br />

lunghi. Come i basilischi 1 sotto il sole, la gente del sud ed ancor più quella<br />

di una delle regioni meno dinamiche delle altre, quale si presenta essere la<br />

<strong>Basilicata</strong>, non trova noioso e troppo improduttivo l’impiego di tempo in<br />

altre pratiche esogene, ovvero di riflesso la sottrazione del proprio tempo e<br />

l’ostacolazione dei propri programmi. Molte volte è proprio la labilità di questi<br />

o la loro totale inesistenza, o ancora l’aspettativa di situazioni impreviste ad<br />

attutire questo impatto. Da questo punto di vista la concessione dell’intervista<br />

si dimostra essere una concessione generosa, lungimirante e poco costosa in<br />

termini di perdite e risorse impiegate e limitate. Il tempo, come le proprie<br />

risorse nella più totale inflazione e relativa illimitatezza, ha dei costi molto<br />

bassi, che quasi si approssimano alla gratuità. E anche se questa è una ipotesi<br />

condivisibile, non è sostenibile integralmente, poiché essa non giudica e indaga<br />

l’impegno e l’attendibilità delle risposte. L’attenzione è spostata solo sul<br />

tempo e sulla concessione e non sull’importanza e sul contenuto di queste. In<br />

questo caso si ritiene sufficiente solo una semplice e passiva sottomissione di<br />

cortesia con poca attenzione alla ricchezza di significati ed informazioni, che<br />

questo comporta.<br />

Le risposte a tutti i nostri quesiti, ovvero ai quesiti che la pianificazione<br />

apre sono nella gente. O altrimenti lo stesso concetto, ma nelle parole di<br />

Bruno Zevi.<br />

«I nostri piani non funzionano perché non riusciamo a individuare la natura<br />

del rapporto produttore-utente, non sappiamo qualificare la presenza attiva<br />

dei consumatori» (B. Zevi, Danilo Dolci: la pianificazione dal basso, 1979,<br />

pp. 304-5).<br />

1 Si può a questo punto parafrasare il titolo, ma anche il contenuto, del film <strong>della</strong> regista di origine<br />

lucana Lina Wertmuller, “I Basilischi”. L’immobilità dei lucani può essere avvicinata a quella<br />

delle quasi omonime lucertole, che amano stendersi al sole senza uno scopo evidente, lasciandosi<br />

scorrere il tempo addosso. Declinando con questo “neologismo” (in realtà omologismo) il nome<br />

<strong>della</strong> regione a tutti i suoi abitanti, la regista ne fissa in qualche modo i loro tratti, a suo avviso,<br />

distintivi e alquanto variegati, ma essendo, a nostro avviso, il termine bivalente ovvero avente una<br />

bivalenza significativa, si vengono a indicare sia i relativi appartenenti alla famiglia dei rettili sia le<br />

semidivinità dallo sguardo pietrificante. Infatti, sulla testa di Medusa ci sono basilischi. Quindi i<br />

basilischi potrebbero essere in tale linea interpretativa gente che annulla pietrificando tutto ciò che<br />

li circonda per sprofondare in una certa apatia e torpore letargico.<br />

- 204 -


L’intervista aperta, le immagini di una città e la voce degli invisibili che si muovono a Potenza<br />

Queste sono le precondizioni, le premesse. Il problema degli intervistati<br />

rimanda direttamente ad un problema di ordine sociale e politico al tempo<br />

stesso, al problema <strong>della</strong> scelta degli intervistati, e poi al problema <strong>della</strong> rappresentatività.<br />

Tutto questo quando la selezione di persone o cose tramite un<br />

qualche criterio risponde a requisiti di significatività. Onde evitare incomprensioni<br />

si forniranno indicazioni ed istruzioni sull’uso dei termini, a premessa ed<br />

accordo tra chi scrive ed un possibile lettore. Partiremo dalla spiegazione ed<br />

elencazione dei significati dei due termini sotto accusa: “significativo” e “rappresentativo”.<br />

Il termine “significativo” è un aggettivo che qualifica l’attitudine<br />

a significare, o meglio a manifestare, ad altri, un qualcosa con alcuni mezzi,<br />

che si ha a disposizione e che possono essere ora i segni, ora le parole, ora la<br />

scrittura, ora i gesti ora le azioni, e così via. Di volta in volta “significare” assumerà<br />

toni diversi che andranno dal semplice “voler dire” al “dimostrare”, dal<br />

“presagire”, dal “pronunziare” al “simboleggiare”, passando attraverso la vasta<br />

gamma dell’“esprimere”, “indicare”, “palesare”, “manifestare”, “far intendere”,<br />

“valere”, “inferire”, “importare”, “equivalere”, “specificare”, “annunziare”, “rivelare”.<br />

Tutto questo facendo notare ad altri un qualcosa in modo più o meno<br />

chiaro e aperto. Le “manifestazioni” non sono un modo per scoprire e far<br />

scoprire qualcosa, dando indizi, accuse, confessioni, dimostrazioni, espressioni?<br />

Anche i dati, e soprattutto in statistica, si dicono significativi quando rispondono<br />

ai criteri sopra menzionati. Bene, ora occorre comprendere meglio<br />

il senso del termine “rappresentativo”. Per “rappresentativo” si intende tutto<br />

ciò che è atto a, e si pone di, rappresentare, figurare, ritrarre fatti, cose, nature<br />

e persone. E proprio di questi ne assume, bandiera, stendardo e vessillo nella<br />

declinazione di “uomo rappresentativo”, una astrazione volta ad assommare<br />

in sé i caratteri umani, di volta in volta esplicati dall’età, dal ceto politico,<br />

dalla classe sociale di appartenenza, ecc. E questo spiega quelli e quelli spiega<br />

questi, implicandosi a vicenda o in base alla direzione che la ricerca, di volta<br />

in volta, segue. Il termine rappresentativo, allora, viene ad unire nella sua capacità,<br />

la “rappresentatività”, tutte le caratteristiche <strong>della</strong> famiglia semantica<br />

di appartenenza, composta dal verbo “rappresentare”, ma anche dai sostantivi,<br />

“rappresentazione”, “rappresentante”, “rappresentanza”, e dagli aggettivi<br />

“rappresentabile” e “rappresentato”. Vi sono dei soggetti che per il solo fatto<br />

di esistere e per una loro conferma volontaria, più volte ripetuta, assumono<br />

la qualificazione di “rappresentati”. Ma chi li rappresenta? come avviene tut-<br />

- 205 -


Vito Garramone<br />

to ciò? I rappresentati divengono tali in seguito ad una istanza che al tempo<br />

stesso li rappresenta attraverso un meccanismo di delega e uno di nomina, la<br />

“rappresentanza”. Coloro i quali vengono nominati, selezionati, eletti, assegnati,<br />

messi a contratto, ecc… sono i “rappresentanti”. Essi sono coloro i quali<br />

sono stati preposti, in un qualche modo, allo svolgimento di un qualcosa<br />

che “rappresenti” coloro i quali ne hanno chiesto istanza, i rappresentati. Ma<br />

cosa vuol dire “rappresentare”? e in che modo si ha una “rappresentazione” di<br />

qualcosa o qualcuno? Si rappresenta per rendere presente qualcosa in qualche<br />

modo (disegno, pittura, ecc…), in modo che figuri, faccia figura, mostri in sé<br />

qualcosa di altro, ad esempio la figura di un bicchiere per il bicchiere stesso,<br />

ma in generale. In tal modo quel qualcosa che si vuole rappresentare prende<br />

forma e figura, diventando immagine e a volte anche simbolo. Ad esempio,<br />

Garibaldi non è stato simbolo dell’Unità d’Italia come eroe prima, come personaggio<br />

storico e toponimo (Piazze, Corsi e Vie) poi? Eppure all’epoca era, a<br />

suo modo, un rappresentante, o si spacciava tale, ora del re, ora dei contadini<br />

in rivolta, fungendo da istanza, veicolo e soggetto di rappresentanza. Dunque,<br />

il “rappresentare” passa sempre per il sostegno di una parte, fosse anche un<br />

parere, fosse anche una ricostruzione romanzata e letteraria su un palco. La carica<br />

vincente e fondamentale del rappresentare è e resterà sempre la capacità di<br />

descrivere, esporre, mostrare, operare in nome di altre persone. È un prendere<br />

e fare le veci di altri, identificandosi ora con delle idee, ora con delle dottrine,<br />

ora con dei principi, ora con delle competenze e funzioni. Ecco perché si parla<br />

spesso, o si identificano i politici con degli attori. Rappresentare è recitare,<br />

adombrare, atteggiarsi, colorire, definire, descrivere, dipingere, effigiare, figurare,<br />

impersonare, incarnare, personificare, porre in luce, rassembrare, rassomigliare,<br />

registrare, rilevare, riprodurre, scrivere, segnare. Ed è anche unirsi,<br />

dar luogo a consenso intorno a qualcosa. È costituire, dare forma, dare idea,<br />

definire, delineare, far le veci, mettere i propri sforzi al servizio di qualcosa,<br />

immaginando un futuro fosse solo con l’ausilio <strong>della</strong> logica o <strong>della</strong> fantasia,<br />

ma facendo in modo da lasciar un segno (simboleggiare, segnare). E se il rappresentare<br />

ne illumina il modo di fare, l’azione intorno a qualcosa in un dato<br />

modo, questo dato modo è la rappresentazione. La rappresentazione porta<br />

con sé tutte le modalità del rappresentare, indica il risultato di quell’azione.<br />

Ed è per questo che la rappresentazione può indicare sia uno spettacolo che<br />

un ricordo, una riproduzione, un concetto, una descrizione, una immagine,<br />

- 206 -


L’intervista aperta, le immagini di una città e la voce degli invisibili che si muovono a Potenza<br />

una proiezione, una rassomiglianza, una personificazione ed infine una “rappresentanza”.<br />

Allora, ciò che si può obiettare circa la rappresentazione non interesserà<br />

più il diritto di essere rappresentati, ma le modalità di rappresentazione e le<br />

possibilità o capacità che possano essere “rappresentabili”. Inoltre, “rappresentabile”<br />

già nell’accezione del termine indica sia chi può, ovvero ha il potere<br />

(ma la sovranità non è popolare nella nostra Repubblica?), e sia chi deve essere<br />

rappresentato (perché la sovranità non è popolare nella nostra Repubblica?).<br />

Avendo considerato come diritto-dovere l’istanza di essere rappresentati si affermerà<br />

la possibilità e la rappresentabilità stessa. Non occorre altro. Diamo<br />

alla gente, non solo ai residenti, la possibilità, il potere e il diritto che spetta<br />

loro. Risolto tale problema potremmo dichiarare conclusa la problematica<br />

<strong>della</strong> rappresentatività.<br />

Ed infine occorre confrontare il “valore” <strong>della</strong> “significatività” con quello<br />

<strong>della</strong> nostra “rappresentatività”. Se nelle astrazioni, con “oggetti”, ovvero<br />

con delle cose, di natura inanimata, la questione <strong>della</strong> riduzione dei fattori<br />

può essere importante alla risoluzione del problema, col fattore umano tale<br />

regola non ha alcun senso e valore, o regola che tenga. Ogni individuo di per<br />

sé è rappresentativo ed ha diritto ad essere rappresentato, e nella misura in<br />

cui non riceve una degna rappresentatività sarà la sua stessa presenza e le sue<br />

stesse caratteristiche, qualifiche, dichiarazioni, connotazioni, ecc… a far di<br />

questo un rappresentato rappresentabile, degno di rappresentazione tramite<br />

sé stesso. Vengono a decadere i termini e i criteri di una significatività statistica<br />

con l’inaccettabilità di alcun concetto medio. La varianza esprime il<br />

fallimento <strong>della</strong> statistica e di quanto si appoggia a questa, nel caso esclusivo<br />

del fattore umano. Occorre che gli uomini ritrovino la loro giusta e degna<br />

rappresentatività.<br />

- 207 -


Vito Garramone<br />

12. L’ESUBERO DI DATI E IL LORO SCARSO UTILIZZO<br />

Qualcosa da bere, signore? – Qualcosa di forte, di molto<br />

forte – Ha bisogno di tirarsi su, signore? – Ebbene sì. – Un<br />

Bloody Mary andrebbe bene? – Ehm, si. – Una delusione<br />

d’amore? – Come lo ha capito? – Dal sospiro, signore. Dal<br />

sospiro? Esattamente. Il sospiro dell’innamorato deluso è assai<br />

diverso dal sospiro del bancarottiere o dal semplice depresso.<br />

Faccio il barista da trent’anni e non mi è difficile riconoscerlo:<br />

lei ha tutti i sintomi di un uomo abbandonato di fresco.<br />

– Beh, non ci vuole molto. Basta guardarmi in faccia. – Certo.<br />

Una ragazza alta e bionda, vero? – Questo come fa a saperlo?<br />

– Deduzione di barista. Lei ha un capello biondo sulla spalla e<br />

un segno recente di rossetto sulla tempia. Essendo lei di buona<br />

statura, solo una ragazza alta almeno un metro e settantacinque<br />

può lasciarle un segno così.<br />

Stefano Benni, Il manifesto Cara libertà, 1997<br />

In questo scritto si vuole esaltare l’overdose di informazioni e dati che<br />

affollano la nostra quotidianità, a tutto scapito <strong>della</strong> ricerca a volte spasmodica<br />

di nuove formule cabalistiche di divinazione tanto <strong>della</strong> realtà presente, nei<br />

casi peggiori, quanto <strong>della</strong> sua evoluzione futura, come normale esercizio di<br />

routine.<br />

Nella maggior parte dei casi, le analisi fanno uso di dati di “tipo<br />

strutturale”, cioè di dati atti a definire le caratteristiche fondamentali di un<br />

sistema. Si pensi all’apparato dell’Istat, ma non solo visto che in alcuni ambiti<br />

i dati strutturali sono forniti direttamente dalla stessa struttura. Non è poi<br />

l’Istat un organo <strong>della</strong> “stessa” struttura statale?<br />

Ma proseguiamo. Nel più dei casi, in particolare, si ha a che fare con dati<br />

di tipo quantitativo, numerici, già presenti sul “mercato”, per questo definiti<br />

dati secondari o di secondo livello.<br />

- 208 -


L’intervista aperta, le immagini di una città e la voce degli invisibili che si muovono a Potenza<br />

Tra questi dati, si possono ancora considerare quelli di maggior diffusione<br />

o interesse, ovvero quelli di tipo demografico.<br />

Inoltre, è opportuno che questi possano essere confrontati ed incrociati.<br />

Per questo, occorre sapere come sono stati raccolti e costruiti i dati. L’utilizzo<br />

di dati di fonte Istat elimina ogni problema finora incontrato.<br />

Purtroppo ai dati, anche quelli forniti dall’Istat, si pongono alcuni<br />

problemi:<br />

- l’accessibilità;<br />

- l’aggiornamento;<br />

- l’ostruzionismo (ad es. per via <strong>della</strong> legge sulla privacy, la L. n° 675/1996) o<br />

l’illegalità;<br />

I dati a maggiore complessità sono quelli cosiddetti “aggregati”. Tra essi<br />

troviamo gli indicatori, avvero degli indici numerici costruiti con procedimenti<br />

statistici e volti alla sintesi di particolari fenomeni, restando nell’esempio<br />

del caso demografico, di fenomeni sociali. Inoltre, gli indicatori sono quei<br />

particolari numeri che consentono una grande comunicazione, evidenziazione<br />

e comparabilità dei dati.<br />

I dati di primo livello. Per informazioni di maggiore dettaglio e maggiore<br />

precisione di tipo spazio-temporale, si ricorre ai dati di primo livello, detti<br />

anche esplorativi. Sono ricavati tramite una apposita ricerca sul campo, aspetto<br />

che ha le sue origini nelle varie inchieste del XIX secolo. Di solito sono usati<br />

raramente, fatta eccezione per i metodi di intervista.<br />

Questa la prassi di routine, associata al dato o al trattamento delle<br />

informazioni a scopo analitico, nella maggior parte degli ambiti disciplinari.<br />

In realtà, qualsiasi opinione o ipotesi, con fondamento di tesi, ha bisogno di<br />

informazioni particolari, quali i dati, per potersi affermare. I dati, altro non<br />

sono che informazioni con un certo grado di formalizzazione. Tanto più è alto<br />

il grado di formalizzazione tanto più sarà possibile e facile il loro trattamento<br />

(nei più dei casi automatico). Ma queste sono semplificazioni o agevolazioni<br />

da dilettanti e dimostrano una pigrizia mentale. Il dato non è semplicemente<br />

un qualcosa da combinare, correlare, incrociare, ed altro ancora. Quella è<br />

una declinazione di natura pratico-formale, ma non una questione semantica,<br />

di significato e struttura dell’oggetto in esame. Un dato è e resterà sempre,<br />

nonostante una verifica semasiologica (dell’evoluzione del significato), un<br />

qualcosa che ha pretese di “certo, determinato, stabilito”, a cui sono state sottese<br />

- 209 -


Vito Garramone<br />

“espressioni […] con valore ipotetico o casuale”, anche non dimostrate. Infatti,<br />

è lecito usare l’espressione “dato e non concesso”. Un dato è un qualcosa che<br />

qualcuno fa involontariamente. Ed il suo uso può essere tanto individuale<br />

quanto collettivo. Ed è per questo che noi pensiamo che le informazioni di<br />

esercizio o di natura routinaria, che non hanno alcuna natura analitica, altro<br />

non siano che potenziali dati, ovvero con le dovute precauzione possono<br />

diventare tali. Se la loro costruzione lo consente si possono considerare ed<br />

associare ai dati di una indagine, senza peraltro l’attivazione delle risorse, dei<br />

tempi e delle intelligenze per quelle necessarie. Si ha un vantaggio enorme<br />

ed in ogni ambito. I dati sono immediati, ottenuti con l’impegno altrui di<br />

risorse, tempi ed intelligenze, e per noi c’è, inoltre, il pronto uso. Molte volte,<br />

però, tali dati non hanno la dovuta considerazione, pubblicità, mercato e<br />

accessibilità. La loro esistenza è nota a pochi e non sempre legata ad un uso<br />

analitico-operativo, o perlomeno, non in settori altri. Conviene fare alcuni<br />

esempi per meglio comprendere tale questione.<br />

Esempi di riutilizzo di dati di “altra” costruzione. Ad esempio, poniamo<br />

che si voglia organizzare un meeting o un convegno di possibili persone<br />

interessate alla pianificazione, anche solo di professionisti e figure legate al<br />

mondo accademico. Come fare a dotarsi di un indirizzario di semplice consultazione<br />

(efficace) ed utile (efficiente) ai nostri scopi? Niente di più semplice.<br />

Non occorre mobilitare tempo ed energie nella ricerca quando tale lavoro<br />

è già stato fatto, e per giunta da altri, e forse meglio di quanto noi potessimo<br />

fare. Se poi lo hanno reso anche accessibile, ad esempio attraverso le “Guide<br />

alle Università”, nel nostro caso la fortuna è stata sfacciata e ci ha sorriso<br />

enormemente. Tale strumento indirizzato e costruito per i futuri studenti<br />

universitari, può servire ancora di più per chi dell’Università voglia capire le<br />

specializzazioni, le strutture, il corpus disciplinare e le sue evoluzioni 1 , le localizzazioni<br />

del “sapere”, … gli indirizzi. Ed ecco come dei dati di servizio, di un<br />

particolare e settoriale servizio, costruiti con altre finalità (quelle di orientare<br />

gli studenti, per altri quelli di catturare utenze, quindi già due punti di vista<br />

1 Molte volte ho avuto la tentazione di studiare l’evoluzione del particolare sapere codificato ed<br />

accademico di una disciplina facendo una analisi “storica” delle varie presentazioni delle stesse:<br />

manifesti degli studi, guide agli studenti, inserti pubblicitari di ogni sorta, ecc…. Forse molti lo<br />

hanno già fatto e non ne sono stati affatto delusi.<br />

- 210 -


L’intervista aperta, le immagini di una città e la voce degli invisibili che si muovono a Potenza<br />

differenti) possano essere usati e piegati a nostro vantaggio (organizzare un<br />

meeting, conoscendo le strutture, gli indirizzi e le possibili linee sulle quali<br />

muoversi). Molte volte il fine non richiede dei rigidi mezzi per perseguirlo,<br />

quindi una maggiore flessibilità di questi è anche un modo per ammettere<br />

maggiore libertà nelle scelte. È tutta qui la creatività o l’approccio creativo<br />

di cui vogliamo essere portatori e divulgatori. Il fine non giustifica i mezzi,<br />

poiché i mezzi sono mezzi, dipendono da quale uso se ne voglia fare. Noi ne<br />

abbiamo elencato un modo, è probabile e certo che ce ne possano essere tanti<br />

altri. Ed è qui che la creatività di ognuno può ampiamente spaziare esplorando<br />

soluzioni.<br />

Ma molti potrebbero, come sempre, obiettare la scelta di un esempio di<br />

comodo. Allora si può complicare il problema e affermare che, e questo è un<br />

altro esempio, da qualche anno, forse qualche decennio non c’è più bisogno di<br />

esaurire risorse nei rilievi sulle destinazioni d’uso urbane. Le carte dell’uso del<br />

suolo urbano almeno per quanto riguarda le famiglie e le varie attività possono<br />

essere facilmente costruite stando seduti dietro al proprio personal computer. Il<br />

segreto? Saper leggere gli Elenchi telefonici e le Pagine telefoniche 2 di interesse<br />

specialistico (Pagine Gialle, Pagine bianche, Utili, internet, ecc…). Queste ci<br />

forniscono delle informazioni dettagliate, col dettaglio <strong>della</strong> via e del numero<br />

civico, e con un aggiornamento costante, anno per anno. Sappiamo quali<br />

sono i cognomi, e quindi se ci sono delle concentrazioni parentali, etniche, o<br />

quant’altro; molte volte sappiamo anche la professione visto il vezzo di alcuni<br />

di specificare o appuntarsi dei prefissi professionali, quali “avv.” per avvocato,<br />

“prof.” per professore, “ing.” per ingegnere e così via; dal numero di persone<br />

in una via sappiamo dell’affollamento e densità di questa; sappiamo quali e<br />

dove sono le varie attività, siano esse commerciali, industriali, amministrative,<br />

culturali, sanitarie, sociali, d’istruzione, ecc…; possiamo studiare concentrazioni,<br />

localizzazioni, destinazioni, ed evoluzioni di tutti questi aspetti con una serie<br />

storica. Il confronto potrebbe interessare non solo alcune aree di una città, ma<br />

anche alcune città o agglomerati urbani, essendo il sistema di comunicazione<br />

telefonico gestito da un unico ente o società ed essendo la redazione degli<br />

elenchi unificata in tutta la penisola. Quindi, avremo elenchi, o meglio archivi<br />

di informazioni dello stesso tipo e per questo confrontabili. Il principio<br />

2 Considerazione elaborata e mutuata da Giuseppe Abbate e dalle sue lezioni.<br />

- 211 -


Vito Garramone<br />

dell’uguaglianza: il confronto avviene solo tra eguali. Per fare un altro esempio.<br />

E l’elenco potrebbe ancora continuare. Quindi, basta solo associare tali dati<br />

ad una normale cartografia in uso, o per maggior dettaglio far ricorso ai GIS,<br />

per avere georeferenze e indicazioni civiche, ad esempio. Almeno fino a che la<br />

telefonia mobile non conquisti il settore. Ma già oggi è possibile far ricorso a<br />

delle guide telematiche degli utenti e forse accedere ai dati, col mantenimento<br />

dell’anonimato e col rispetto <strong>della</strong> privacy.<br />

Chi invece non ha in molto conto la privacy dei privati sono i Testimoni<br />

di Geova. Spesso sottovalutati o derisi per i loro modi di azione, propaganda,<br />

penetrazione e addestramento, manifestano, invece, forti capacità analitiche<br />

ed organizzative, oltre ad una conoscenza e uso di strumenti cartografici non<br />

del tutto comune. È invidiabile e incredibile, peraltro anche sorprendente da<br />

scoprire, come i Testimoni di Geova abbiano una conoscenza elevata <strong>della</strong> città,<br />

come siano in grado di usare mappe per ripartirsi il territorio, pur non avendo<br />

nessun fondamento di topografia e cartografia, e in molti casi essendo oltre ad<br />

analfabeti cartografici anche analfabeti “di scrittura e di lettura”. Essi sono in<br />

grado di dividersi la città o gli agglomerati urbani sulla base di registrazionirilievi<br />

attraverso l’uso dei campanelli e attraverso il filtro <strong>della</strong> risposta e<br />

dell’invito ad entrare. Dunque, un altro esempio di indicatore costruito su<br />

dati esistenti: i campanelli delle case. Quasi sempre ogni appartamento è<br />

dotato di un pulsante, più o meno grande ed accessoriato, per la chiamata<br />

o avviso di entrata o allarme (a seconda dei gradi di xenofobia di ognuno),<br />

noto come campana, campanello, campanello elettrico, videocitofono, ecc…<br />

E quasi sempre tale campanello è sinonimo di presenza di una convivenza o<br />

famiglia o nucleo di qualche sorta. In alcuni casi esistono delle informazioni<br />

ed indicazioni ben note circa la persona più autorevole, gerarchicamente<br />

maggiore, intestataria, domiciliata, subaffittuaria (più o meno nel rispetto<br />

<strong>della</strong> legalità), ecc… Non potendo e non volendo usare i filtri dei Testimoni<br />

di Geova, quello <strong>della</strong> risposta-dialogo di conoscenza reciproca veloce e<br />

dell’invito ad entrare e presentare le proprie ragioni dell’invasione, si può<br />

ugualmente redigere una carta delle densità abitative non per numero di<br />

persone, per quello potremmo fare solo una ipotesi in termini di numero<br />

medio per famiglia <strong>della</strong> zona, su base Istat o anagrafica, quanto per numero<br />

di famiglie o nuclei o convivenze. Magari da confrontare, incrociare e<br />

verificare con le indicazioni o archivi “telefonici”. È il metodo poliziesco, in<br />

- 212 -


L’intervista aperta, le immagini di una città e la voce degli invisibili che si muovono a Potenza<br />

versione “borghese”, o meglio il metodo di investigazione per finalità altre che<br />

l’adempimento delle funzioni di polizia. Il metodo è e potrebbe comunque<br />

essere lo stesso, quello che sicuramente cambia è la finalità ed il suo punto di<br />

vista. La creatività recupera ogni mezzo.<br />

Per il traffico è ancora più semplice. Ci sono le macchinette contatraffico<br />

o quelle dei parcheggi, quelle contapassaggi delle metropolitane, dei percorsi<br />

meccanizzati, le macchinette delle obliterazioni alle stazioni, oggi i semafori<br />

con fotocontrollo <strong>della</strong> velocità, le statistiche e i verbali <strong>della</strong> polizia municipale<br />

3 , o <strong>della</strong> polizia stradale, le campagne rilievo, o meglio multa, a mezzo<br />

di autovelox, ecc… In questa ricerca si è fatto uso di dati di servizio almeno<br />

in due occasioni. Si è studiata l’utenza, relativamente alla sua numerosità e<br />

alla frequenza, lungo il percorso meccanizzato attraverso i dati dei passaggi<br />

relativi alle macchinette segna-passaggio, realizzati e custoditi dal servizio di<br />

sorveglianza dello stesso. Erano dati anche commissionati dal settore mobilità<br />

del Comune, ma mai utilizzati o resi noti. Ma il loro uso non è tanto creativo<br />

e nuovo, quanto di denuncia del mancato utilizzo per il miglioramento del<br />

sistema e per una sua integrazione nel sistema generale di modalità di trasporto<br />

e di influenza nell’ambito del traffico e <strong>della</strong> mobilità. L’altra occasione, di<br />

maggior innovazione, vede l’uso delle statistiche ferroviarie, come possibilità<br />

di integrazione <strong>della</strong> mobilità infrazonale <strong>della</strong> città e di penetrazione oltre che<br />

di espulsione, non solo tra le zone <strong>della</strong> città quanto tra la città stessa e l’esterno.<br />

È un discreto indicatore dei flussi di pendolarismo e delle attrazioni delle<br />

destinazioni di questi. Entrambi sono dati su base giornaliera e oraria, con la<br />

precisione ora dei minuti, nel caso ferroviario, ora di una unità base e standard<br />

di questi (15 minuti nel percorso), già presenti e quindi subito utilizzabili,<br />

ottenuti senza l’impiego precedente di proprie risorse. Visto il loro uso “altro”<br />

non è possibile neanche che i possessori di tali informazioni possano pretendere<br />

corrispettivo monetario. Essi le avrebbero realizzate comunque e magari<br />

per le nostre finalità sarebbero state opportune alcune precauzioni e attenzioni<br />

particolari, che ne minacciano e scoraggiano l’appetibilità di mercato.<br />

3 In occasione di una esercitazione didattica, per il Corso di Pianificazione dei Trasporti, il gruppo<br />

del sottoscritto ha realizzato una statistica degli incidenti urbani a Jesolo relativi ad alcuni anni<br />

(1996-7), sulla base delle informazioni derivate dai verbali <strong>della</strong> polizia municipale. Avevamo<br />

informazioni dettagliate sulla via, a volte sull’incrocio, sul periodo, sulla tipologia e sulla gravità<br />

dell’impatto. Cosa altro volere?<br />

- 213 -


Vito Garramone<br />

Ma questi sono solo due esempi, le pubbliche amministrazioni sono le<br />

maggiori banche dati (anagrafe, ici, tasse, ecc.) a cui possiamo e dobbiamo<br />

attingere.<br />

Anche il cinema è pieno di trame coerenti a quanto da noi prima enunciato,<br />

circa l’approccio creativo ai dati, manifestando la presenza di una idea non<br />

originale ma diffusa. La punta massima viene toccata nei gialli polizieschi<br />

e nella fantascienza. Tra i tanti esempi ne ricordiamo uno, che non rientra<br />

nelle due categorie limite ora esposte, il film I signori <strong>della</strong> truffa, di regista<br />

americano ed interpretato da Robert Redford. In una particolare sequenza del<br />

film la trama si sofferma, tra i tanti, su un particolare modo di acquisire dati:<br />

il controllo dei rifiuti. Una persona, e quindi una personalità, viene studiata<br />

attraverso l’analisi dei suoi rifiuti, per un dato periodo. È una idea geniale, ma<br />

normale se considerata in questa linea di pensiero.<br />

Di questi stratagemmi e metodi si serviranno gli studiosi fondatori<br />

dell’indirizzo ambientale <strong>della</strong> psicologia. In precedenza già si è accennato<br />

alla loro fantasia nella costruzione degli strumenti e delle categorie di analisi<br />

e monitoraggio. Anche K. Lynch come tutta la psicologia ambientale sembra<br />

pensarla alla stessa maniera.<br />

«Ci sono molte fonti, nelle quali possiamo cercare riferimenti all’immagine<br />

ambientale: nella letteratura antica e moderna, in libri di viaggi o di esplorazioni,<br />

in resoconti giornalistici, o in studi di psicologia e d’antropologia. Riferimenti siffatti<br />

sono generalmente sparsi, ma frequenti e rivelatori» (K. Lynch, “L’immagine<br />

<strong>della</strong> città”, 2001, p. 134).<br />

La grande e generale produzione di dati ci consente di utilizzare dati di<br />

ogni sorta per i nostri più disparati interessi, importanti sono la comprensione<br />

e la motivazione <strong>della</strong> costruzione di tali dati, del loro uso e dei loro limiti.<br />

La necessità di uno studio <strong>della</strong> semantica del dato. Occorre, quindi,<br />

studiare la semantica del dato e scoprirne tutte le possibili utilizzabilità.<br />

Questo ci porta alla seconda questione, la questione euristica, atta, tramite<br />

metodo e procedimento, alla scoperta di nuovi risultati. La rilevazione di tipo<br />

process-produced, ovvero questa basata sulla raccolta delle informazioni già registrate,<br />

deve fare i conti con i nuovi risultati a cui si può arrivare. Abbiamo<br />

già detto che di dati ed informazioni le varie realtà sono piene: registrazioni<br />

anagrafiche, notizie date dai giornali, dalla televisione, dalle statistiche, dai<br />

dati censuari, dalle fotografie, ecc… I dati in tale modo sono costruiti sul caso<br />

- 214 -


L’intervista aperta, le immagini di una città e la voce degli invisibili che si muovono a Potenza<br />

studio e non su informazioni generali, quindi sono dati ad hoc e non ipotetico-probabilistici.<br />

Inoltre, consentono un risparmio di risorse e di tempo. Ma<br />

i problemi maggiori sono però dovuti alle modalità di costruzione di dati,<br />

senza uno studio <strong>della</strong> loro origine (semantica) non potremmo controllare i<br />

“nuovi” risultati scoperti.<br />

Ancora, tale studio dell’origine e <strong>della</strong> destinazione del dato ci consente<br />

di meglio comprendere le problematiche umane. È la terza questione, o meglio<br />

la questione ermeneutica, atta all’interpretazione dei “testi” (nell’eccezione<br />

estesa e barthesiana) come dimensione costitutiva dell’esistenza umana.<br />

Vi è, però, una minaccia implicita in tutto questo, che non è la minaccia<br />

o il fallimento del metodo, ma la tentazione che qualsiasi informazione possa<br />

fornire, ovvero la questione ipnotica o di suggestione di massa. È probabile<br />

che tale esercizio o frequentazione dei dati o delle informazioni possa produrre<br />

ipnosi su coloro i quali con queste lavorano o con chi è destinato ad essere<br />

il destinatario del messaggio. Parlando di numeri (e la maggior parte delle<br />

informazioni tradotte in dato lo sono), McLuhan ci parla di come dietro<br />

ad esso si possano nascondere le folle. Il numero è un profilo di folle. Al<br />

numero isolato, misterioso, comprensibile ma inaccessibile, che in passato<br />

aveva frantumato l’unità tribale, si è sostituita una capacità onnicomprensiva<br />

dello stesso. Oggi, l’ombra del numero è il linguaggio <strong>della</strong> scienza. Ad esso<br />

sono associate e affidate le spiegazioni di tutte le “cause”. Esso ha una capacità<br />

iconica, ovvero una capacità di dare una immagine “compressa e inclusiva”.<br />

Grazie ad esso tutto si presenta più semplice da esporre o da capire. Basta<br />

aprire un giornale e vedere quale impatto esso abbia. Subito ci compaiono<br />

le varie icone e gli stereotipi associati: il ciclista di 21 anni, il caporeparto<br />

di 51, il giovane architetto di 40 anni. Inoltre, la cultura industriale ed<br />

economica dipende in maniera ossessiva dal numero, basti vedere la frenesia<br />

<strong>della</strong> borsa con i suoi indici comunicatici con zelante tempismo più volte al<br />

giorno, o anche la continua frequentazione con altri indicatori quali i prezzi,<br />

le statistiche, i dati numerici, le varie misure (lunghezze, costi, tempi, ecc…).<br />

Come ben concretizza con le sue immagini antropomorfiche, McLuhan<br />

considera questi, i numeri, come una specie di mano tattile, prolungamento<br />

del nostro sistema nervoso. Anche se ai numeri, fatta eccezione per lo zero (lo<br />

“sifr” arabo, ovvero il vuoto di posizione, la lacuna), si deve sempre associare<br />

uno stress visivo.<br />

- 215 -


Vito Garramone<br />

Il superamento dello “stress” dei numeri. Tale stress può anche essere<br />

dovuto all’effetto quantità. Che sia evidente e reale, o percepito ed indotto, il<br />

concetto di quantità tendente ai grandi numeri trova associazione nella massa,<br />

nella folla. Ecco che ancora ritorna il concetto di numero come profilo <strong>della</strong><br />

folla, <strong>della</strong> moltitudine. Come le tecnologie, e da esse supportate i numeri,<br />

soggiogano le menti degli uomini sia in positivo (si pensi ai grandi raduni<br />

tematici, ai cortei e alle assemblee, alla grande adesione alla giornata del 1°<br />

maggio in Piazza S. Giovanni a Roma, all’Heineken festival, al SunSplash,<br />

ecc…) che in negativo (emozione, tensione, agorafobia, crisi di ansia o panico,<br />

ecc…). Indifferentemente dal motivo dell’adesione o meno alla moltitudine,<br />

questa genera di per sé un’emozione o “ipnosi”, per usare un termine<br />

caro a McLuhan. Nelle parole dello stesso, «il piacere di trovarsi in mezzo a una<br />

folla è l’espressione misteriosa <strong>della</strong> gioia per la moltiplicazione dei numeri» (M.<br />

McLuhan, Gli strumenti del comunicare, 1995, p. 120).<br />

O ancora, «a teatro, a un ballo, alla partita, in chiesa, ogni individuo gode<br />

<strong>della</strong> presenza di tutti gli altri. Il piacere di essere tra la gente esprime il senso di<br />

gioia per la moltiplicazione dei numeri» (McLuhan, p. 116).<br />

Cosa che mai avrebbe approvato, ad esempio A. Manzoni 4 , che pure aveva<br />

a queste (alle folle) dato la voce.<br />

Nulla di nuovo sotto al sole! In effetti. Le quattro questioni (semantica,<br />

euristica, ermeneutica e ipnotica) dell’approccio creativo ai dati e alle informazioni,<br />

sono già tutte espresse e ben note ad uno Sherlock Holmes.<br />

«Ho già visto quei sintomi”, disse Holmes, gettando la sigaretta nel fuoco.<br />

“Oscillare sul marciapiede indica sempre un affaire de coeur. Vorrebbe chiedere un<br />

consiglio ma ha paura che la faccenda sia troppo delicata per essere diffusa. Eppure<br />

anche in questo caso bisogna distinguere. Se una donna ha subito un torto da un<br />

uomo non oscilla più e il sintomo abituale è il cordone di campanello rotto. Qui<br />

possiamo pensare che si tratti di una questione sentimentale ma che la donna non<br />

sia tanto arrabbiata quanto perplessa e addolorata. Ma ecco che viene di persona<br />

a risolvere i nostri dubbi”.<br />

Mentre parlava si sentì bussare alla porta e il ragazzo in livrea entrò per<br />

annunciare la signorina Mary Sutherland, mentre una signora in persona si sta-<br />

4 Alcuni critici letterari affermano, sconfinando nella biografia, che A. Manzoni soffrisse di una<br />

qualche forma di ansia o nevrosi legata alla presenza delle folle, delle moltitudini.<br />

- 216 -


L’intervista aperta, le immagini di una città e la voce degli invisibili che si muovono a Potenza<br />

gliava dietro la piccola e scura figura, come un mercantile a vele spiegate dietro<br />

una minuscola pilotina. Sherlock Holmes diede il benvenuto alla donna con la<br />

spontanea cortesia che lo contraddistingueva e, dopo aver chiuso la porta e averla<br />

fatta accomodare in una poltrona, la guardò con quel suo sguardo caratteristico,<br />

scrutatore distratto al tempo stesso.<br />

“Non trova”, disse, “che con la sua miopia sia un po’ faticoso battere così tanto<br />

a macchina?”.<br />

“All’inizio si”, rispose, “ma ora conosco la posizione delle lettere anche senza<br />

guardare”. Poi realizzando di colpo il senso pieno delle parole, sobbalzò violentemente<br />

e alzò lo sguardo, con la paura e lo stupore dipinti sul volto largo e bonario. “Lei<br />

mi conosce, signor Holmes”, esclamò, “altrimenti come può sapere tutto questo?”.<br />

“Non importa”, rispose Holmes ridendo; “sapere le cose è il mio lavoro. Forse<br />

mi sono allenato a vedere quello che gli altri trascurano. Altrimenti perché mai<br />

verrebbe a chiedermi consiglio?».<br />

O più oltre Watson incuriosito al suo maestro. «Sembravate leggere in lei<br />

una grande quantità di elementi che mi parevano invisibili”, osservai.<br />

“[…] In una donna, per prima cosa guardo sempre le maniche. In uomo,<br />

forse, è meglio osservare le ginocchia dei pantaloni.<br />

Come lei ha notato, questa donna aveva <strong>della</strong> felpa sulle maniche, che è un<br />

materiale utilissimo perché conserva le tracce. La doppia linea poco sopra il polso,<br />

dove la dattilografa poggia contro il tavolo, era ben definita.<br />

Una macchina da cucire del tipo manuale, lascia un segno analogo, ma solo<br />

sul braccio sinistro, e dalla parte opposta al pollice, invece che lungo la parte più<br />

ampia, come in questo caso. Poi l’ho guardata in faccia e, notando il segno di una<br />

pincenez su entrambi i lati del naso, ho azzardato la mia osservazione sulla miopia<br />

e il battere a macchina, cosa che è sembrata sorprenderla» (Arthur C. Doyle,<br />

“Un caso di identità”, in A. C Doyle, Le avventure di Sherlock Holmes, 2002,<br />

pp. 60-61 e 68-69).<br />

È buona regola di deontologia professionale e di rispetto del prossimo la<br />

motivazione dell’uso di tali dati, anche se nessuno, o la maggior parte, può<br />

dubitare. Purtroppo sono rari i casi in cui la spiegazione è esauriente. Per noi<br />

è esauriente una spiegazione che consente di ripercorrere e riprodurre ogni<br />

tappa <strong>della</strong> ricerca.<br />

«Ma lei sta scherzando. Cosa potrebbe mai dedurre da questo vecchio feltro<br />

rovinato?”.<br />

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Vito Garramone<br />

“Qui c’è la mia lente. Conosce il mio metodo. Lei cosa deduce <strong>della</strong> personalità<br />

dell’uomo che ha indossato questo articolo?”.<br />

Presi in mano l’oggetto malridotto e lo rigirai con una certa pena. Era un<br />

normalissimo cappello nero dalla solita forma rotonda, rigido e molto rovinato<br />

dall’uso. La fodera originariamente era di seta rossa, ma ormai era molto scolorita.<br />

Non c’era il nome di chi l’avesse fabbricato; ma come aveva osservato Holmes, su<br />

un lato erano scarabocchiate le iniziali H.B.. Sulla tesa erano stati praticati due<br />

forellini per far passare un elastico che tenesse fermo il cappello, ma l’elastico mancava.<br />

Per il resto era rovinato, pieno di polvere e macchiato in più punti, anche<br />

se sembrava che qualcuno avesse provato a nascondere le parti scolorite tingendole<br />

di inchiostro.<br />

“Non vedo niente”, dissi, restituendolo al mio amico.<br />

“Al contrario, Watson, lei vede ogni cosa. Ma non riesce a ragionare su ciò che<br />

vede. È troppo timido nel trarre le sue deduzioni”.<br />

“Allora, la prego di dirmi cosa riesce a dedurre lei, da questo cappello”.<br />

Lo tirò su e lo osservò in quel particolare modo introspettivo che gli era caratteristico.<br />

“Forse è meno indicativo di quanto avrebbe potuto essere”, disse, “ciononostante,<br />

se ne posso dedurre alcuni elementi molto precisi, e alcuni altri che presentano<br />

almeno un ampio margine di probabilità. Si capisce subito, ovviamente,<br />

che si tratta di un uomo molto intelligente, ed anche che se l’è passata piuttosto<br />

bene negli ultimi tre anni, anche se ora è caduto in disgrazia. Era previdente, ma<br />

ora lo è meno, e questo indica una regressione morale che, considerata insieme al<br />

declino delle sue fortune, sembra indicare un’influenza negativa, probabilmente<br />

il bere, che sta agendo su di lui. Questo potrebbe spiegare anche l’ovvietà del fatto<br />

che sua moglie non lo ama più”.<br />

“Mio caro Holmes!”.<br />

“In ogni caso, egli ha mantenuto un qualche grado di dignità”, continuò,<br />

senza far caso alla mia rimostranza. “È un uomo che conduce una vita sedentaria,<br />

esce di rado, è del tutto fuori forma, di mezza età, ha i capelli brizzolati e se li è<br />

fatti tagliare da poco, e li tratta con un unguento al tiglio. Questi sono i fatti più<br />

evidenti che si deducono dal suo cappello. E, a proposito, anche che non ha un<br />

impianto del gas in casa”.<br />

“Lei sta senz’altro scherzando, Holmes”.<br />

“Niente affatto. È mai possibile che anche ora che le ho esposto i miei risultati,<br />

lei sia incapace di vedere come vi sono arrivato?» (Arthur C. Doyle, “L’avventura<br />

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L’intervista aperta, le immagini di una città e la voce degli invisibili che si muovono a Potenza<br />

del carbonchio azzurro”, in A. C Doyle, Le avventure di Sherlock Holmes, 2002,<br />

pp. 153-4).<br />

Un nuovo e creativo rapporto col dato. Il nostro non è altro che un<br />

atteggiamento, un modo nuovo e creativo di rapportarsi al dato. Nella attuale<br />

situazione di overdose da dati e informazioni si vuole proporre un approccio<br />

creativo a questi. Occorre il più possibile intrecciare dati e conoscenze attuali,<br />

sfruttarli nel modo migliore fino ad un loro esaurimento. In molti casi non<br />

occorre nemmeno costruire dei dati appositi, potendo far uso dei dati di servizio<br />

o dei dati impliciti, come ad esempio abbiamo fatto notare nel film I<br />

signori <strong>della</strong> truffa, come ci ha mostrato Doyle con il suo investigatore. Basta<br />

lo studio giornaliero del sacchetto <strong>della</strong> spazzatura per sapere con chi si ha a<br />

che fare. La “metafora del faro”, che ci permette di vedere il rapporto visibile<br />

ed invisibile dei dati, stando attenti a non smarrirsi di fronte all’entropia indiziaria,<br />

la “metafora <strong>della</strong> soffitta”.<br />

Di segni e dati ce ne sono a non finire nell’investigazione quotidiana.<br />

Perché non portare questi nella pianificazione e contribuire, anche minimamente,<br />

a conoscere un po’ di più la natura umana?<br />

Quindi, possiamo dire, ancora una volta, che non è l’analisi che è stanca,<br />

ma che siamo noi che abbiamo perso ogni entusiasmo ed empito vitale.<br />

E se come affermava Astengo, la fase analitica esprime le precondizioni<br />

delle trasformazioni, cosa si potrà mai ottenere senza questa?<br />

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