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DOLO EVENTUALE E COLPA COSCIENTE ... - giovanniolmi

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che la prima formula configuri un giudizio ipotetico: si dovrebbe infatti, in applicazione<br />

della seconda formula, valutare lo stato psicologico del soggetto che fosse<br />

effettivamente sussistente al momento di realizzazione della condotta, inquadrabile,<br />

come si è detto, nella determinazione ad agire “ad ogni costo”, “a costo di provocare<br />

l’evento”; non verrebbe in gioco, d’altro canto, la valutazione dello stato psicologico<br />

che il soggetto avrebbe assunto se, ipoteticamente, avesse avuto la certezza di<br />

realizzazione dell’evento collaterale. Il ragionamento del tipo “può accadere o non<br />

accadere; in ogni caso, io agisco” appare effettivamente come elemento psicologico<br />

il quale permetta di distinguere dolo eventuale e colpa cosciente, posto che<br />

quest’ultima – come si è già avuto modo di accennare, e come meglio si vedrà nel<br />

paragrafo seguente – consiste anche essa in una certa misura di accettazione di<br />

rischio 371 : entrambe le figure (dolo eventuale e colpa cosciente), quindi, sarebbero<br />

caratterizzate dalla rappresentazione, positiva e persistente al momento di<br />

realizzazione della condotta, della possibilità di verificazione del fatto di reato,<br />

accompagnata dall’assunzione del relativo rischio e, quindi, da una componente di<br />

accettazione del rischio; ciò che mancherebbe alla colpa cosciente e che, invece,<br />

contraddistinguerebbe il dolo eventuale, sarebbe la disponibilità alla realizzazione del<br />

fatto di reato, pur di tenere (o persistere nel tenere) la condotta correlata al<br />

perseguimento del proprio fine intenzionale.<br />

In secondo luogo, dovrebbe venir meno anche la critica negativa, mossa con<br />

riguardo all’eventualità di applicazione della prima formula di Frank, in base alla<br />

quale tale formula condurrebbe ad escludere in ogni caso il dolo nelle ipotesi in cui la<br />

verificazione dell’evento rappresenti la frustrazione del fine intenzionalmente<br />

perseguito dall’agente: infatti, il ragionamento del tipo “può accadere o non accadere;<br />

in ogni caso io agisco” può essere effettuato anche se la realizzazione dell’evento<br />

comporterebbe il fallimento dell’obiettivo intenzionalmente perseguito; un soggetto<br />

potrebbe certamente essere disposto ad agire “costi quel che costi” pur di persistere<br />

nella tenuta della condotta necessaria per il perseguimento del proprio fine<br />

intenzionale, mettendo anche in conto l’eventuale frustrazione di quest’ultimo.<br />

Altresì, l’applicazione della seconda formula di Frank non dovrebbe esporsi al<br />

pericolo di ricorso a valutazioni dell’autore, anziché del fatto: non si tratterebbe,<br />

invero, di andare a valutare fino a che punto il soggetto sarebbe “stato capace” di<br />

arrivare se avesse avuto la certezza di realizzazione dell’evento (dal che<br />

conseguirebbe una valutazione della capacità a delinquere ai fini del giudizio di<br />

colpevolezza, la quale è inammissibile); del resto, è possibile effettuare un<br />

ragionamento interiore del tipo “può accadere o non accadere; in ogni caso io<br />

agisco” indipendentemente dal livello di capacità a delinquere. Ciò che andrebbe<br />

valutato non è il punto a cui il soggetto “sarebbe stato capace di arrivare” se avesse<br />

avuto la certezza di realizzazione dell’evento, bensì se egli fosse stato disposto, a<br />

fronte della rappresentazione della possibilità di verificazione dell’evento, a tenere la<br />

371 S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 38, evidenzia che l’assunzione di un rischio sia implicita nella<br />

condotta consapevolmente negligente o imprudente (l’Autore sottolinea – ivi, 41 – che la colpa con<br />

rappresentazione di cui all’art. 61, n. 3, debba necessariamente essere “cosciente”, nel senso che<br />

debba essere caratterizzata dalla coscienza del fatto di trasgredire regole cautelari di condotta):<br />

ragion per cui la determinazione ad agire, o a persistere nella tenuta della condotta, a fronte della<br />

rappresentazione della possibilità di verificazione dell’evento (la quale, ai sensi dell’art. 61, n. 3, ed ai<br />

fini della colpa cosciente, deve persistere al momento della tenuta della condotta, e non deve essere<br />

stata sostituita da una controprevisione, da una rappresentazione negativa o dalla rimozione del<br />

dubbio) comporterebbe, giocoforza, una certa misura di “accettazione del rischio”.<br />

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