DOLO EVENTUALE E COLPA COSCIENTE ... - giovanniolmi

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Per quanto concerne l’elemento volitivo, è opportuno richiamare la nozione di “volontà” prospettata dalla psicologia, in base alla quale si tratterebbe di un impulso fisico e cosciente attinente alla sfera del volere e ai fini della produzione di movimento corporeo 36 : accogliendo, in questo frangente, la teoria della volontà (senza entrare, per ora, nel dettaglio dell’analisi del dibattito fra teoria della rappresentazione e teoria della volontà), il concetto di “volontà” appena delineato può coordinarsi non solo con riferimento all’azione od omissione, bensì con riferimento ad ogni elemento costitutivo della fattispecie penale, posto che quest’ultima deve essere considerata in senso unitario 37 . Del resto, una ricostruzione di questo tipo appare coerente anche se si richiama la teoria finalistica dell’azione, in base alla quale ogni condotta umana non viene realizzata come fine a sé stessa, bensì come orientata al conseguimento di un fine 38 . Occorre poi precisare che il concetto di “volontà” rilevante ai fini del dolo esula da valutazioni inerenti aspetti di carattere meramente emotivo (desideri, speranze) o semplici tendenze, inclinazioni o componenti di carattere simile; né attiene alla sfera della volontà il semplice movente 39 . L’ulteriore questione che deve essere affrontata ai fini dell’inquadramento dell’essenza del dolo, anche essa suscitata dalla scarsa univocità del tenore letterale dell’art. 43 comma 1 alinea 1 c.p., è data dall’individuazione del significato e della portata che debbano essere attribuiti all’inciso “secondo l’intenzione”. Considerando, infatti, come doloso soltanto il comportamento “intenzionale” rispetto ad un determinato evento, cioè soltanto il comportamento di chi abbia provocato un evento con corrispondenza fra prospettiva psicologica assunta dall’agente ed evento concretamente realizzato (in altri termini, qualora la prospettiva psicologica dia causa alla condotta) 40 , si ricadrebbe con il limitare l’ambito della rilevanza del dolo al solo dolo intenzionale, con esclusione delle forme non intenzionali, ossia dolo diretto e dolo eventuale, nonché dolo indiretto, se si accoglie la ricostruzione che prospetta tale forma quale ulteriore rispetto a dolo diretto e dolo eventuale. Parte della dottrina si è sforzata di individuare un’impostazione la quale consenta di rendere coerente la concezione delle forme non intenzionali di dolo rispetto all’inciso “secondo l’intenzione” di cui all’art. 43, precisando che detta formula non debba indurre a ritenere che l’art. 43 limiti l’ambito del dolo al solo dolo intenzionale 41 . Occorre prendere le mosse, anzitutto, dalla teoria finalistica dell’azione, in base alla quale ogni condotta umana non è attuata come fine a sé stessa, ma è sempre orientata ad uno scopo 42 : in base a tale premessa, la classificazione delle tipologie di dolo andrebbe effettuata tenuto conto del grado di conformità (maggiore o minore) di quanto concretamente realizzato rispetto al fine intenzionalmente perseguito dall’agente: così, secondo la dottrina che concepisce la distinzione fra dolo “diretto” ed “indiretto”, il dolo diretto si avrà per la fattispecie non perseguita per sé stessa come fine, ma che sia mezzo necessario per la realizzazione di quanto 36 M. GALLO, Il dolo. Oggetto e accertamento, in Studi Urbinati, Anno XX, 1951 – 1952, 143. 37 M. ROMANO, Commentario sistematico del codice penale. I. Art. 1 – 84, II ed., Milano, Giuffrè, 1995. Nello stesso senso G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit. 353. 38 G. CERQUETTI, Il dolo, Torino, Giappichelli, 2010, 10, ove si richiamano citazioni da M. GALLO, op. ult. cit., 208 ss. 39 G. FIANDACA – E. MUSCO, op. loc. ult. cit. 40 L. EUSEBI, Il dolo come volontà, Brescia, Morcelliana, 1993, 175. 41 S. PROSDOCIMI, op. cit., 33 e 137. 42 S. PROSDOCIMI, op. cit., 33. 8

intenzionalmente perseguito, e qualora l’“intenzionalmente perseguito” e la “fattispecie – mezzo” siano realizzabili con la medesima condotta materiale; mentre il dolo indiretto si avrà per la fattispecie realizzata, non intenzionalmente perseguita, la quale, tuttavia, sia considerata come necessaria conseguenza connessa e collaterale rispetto alla realizzazione del fine intenzionalmente perseguito, e sia prevista come certa o altamente probabile 43 ; la fattispecie sorretta da dolo eventuale (si riserva la trattazione specifica della definizione di “dolo eventuale” secondo le varie teorie al cap. II) si distinguerebbe quindi, rispetto a quella realizzata con dolo indiretto, in primis dal punto di vista quantitativo, in quanto nell’ipotesi del dolo indiretto la realizzazione della fattispecie è prevista come certa o “quasi certa”, mentre nell’ipotesi del dolo eventuale la realizzazione del fatto è ritenuta dall’agente come possibile o probabile (comunque non “certa”); tuttavia, tale aspetto di carattere quantitativo comporterebbe conseguenze anche sul piano qualitativo dato che, nell’ipotesi del dolo indiretto, l’accettazione del fatto sarà senz’altro piena, mentre nell’ipotesi del dolo eventuale si resterà nell’ambito di graduazioni inferiori del livello di accettazione, che resterà quindi nella sfera dell’ipotetico 44 ; in ogni caso (dolo diretto, dolo indiretto, dolo eventuale) si avranno fattispecie realizzate con condotta caratterizzata comunque da un fine intenzionale (che nelle ipotesi diverse dal dolo intenzionale, ovviamente, non coincide con la fattispecie realizzata e che si assume sorretta, a seconda dei casi e alternativamente, da dolo diretto, indiretto o eventuale): in questo senso sarebbe soddisfatto il tenore letterale dell’art. 43, comma 1, c.p., laddove vede inserito l’inciso “secondo l’intenzione” 45 . L’impostazione dottrinale la quale considera, quale forma intermedia fra dolo intenzionale e dolo eventuale, il solo dolo diretto, identifica quest’ultimo nell’ipotesi in cui la fattispecie non intenzionalmente perseguita sia realizzata in quanto mezzo necessario per il conseguimento del fine intenzionale, ed alla luce della certezza o “quasi certezza” di realizzazione della fattispecie stessa, facendo tuttavia rientrare in quest’ambito anche le ipotesi che, come si è osservato, altra parte della dottrina classifica come “dolo indiretto” 46 : il che, ad ogni modo, non appare in contrasto con la tesi per cui il termine “intenzione” utilizzato dal legislatore all’interno dell’art. 43 sarebbe riferito all’intenzionalità della condotta umana; anche in quest’ultimo caso, in effetti, si tratta di identificare una fattispecie non intenzionalmente perseguita e realizzata tramite una condotta la quale perseguisse intenzionalmente un fine ulteriore. Sulla base di quanto si è esposto, è possibile individuare una ricostruzione in base alla quale le diverse forme di dolo (intenzionale, diretto, indiretto, eventuale) sono (e devono essere) tutte caratterizzate da elementi i quali concretizzano il requisito psichico della volontà, seppur con gradazioni diverse di tale requisito: in questo senso, il rapporto fra “intenzione” e “volontà” si inquadra nel paradigma plus – minus, nel senso che si tratta di elementi i quali esprimono diverse gradazioni di un medesimo concetto sostanziale (e non concetti sostanzialmente differenti) 47 ; ne deriva, chiaramente, la riconduzione al paradigma plus – minus del rapporto fra dolo intenzionale, dolo diretto, dolo indiretto e dolo eventuale. 43 S. PROSDOCIMI, op. cit., 132 – 135. 44 S. PROSDOCIMI, op. cit., 135. 45 S. PROSDOCIMI, op. cit., 33 e 137. 46 G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit., 361. 47 G. CERQUETTI, op. cit., 184. Si accoglie, in particolare, la ricostruzione effettuata da Mario Romano relativamente al requisito della volontà nelle varie forme di dolo. 9

Per quanto concerne l’elemento volitivo, è opportuno richiamare la nozione di<br />

“volontà” prospettata dalla psicologia, in base alla quale si tratterebbe di un impulso<br />

fisico e cosciente attinente alla sfera del volere e ai fini della produzione di<br />

movimento corporeo 36 : accogliendo, in questo frangente, la teoria della volontà<br />

(senza entrare, per ora, nel dettaglio dell’analisi del dibattito fra teoria della<br />

rappresentazione e teoria della volontà), il concetto di “volontà” appena delineato può<br />

coordinarsi non solo con riferimento all’azione od omissione, bensì con riferimento ad<br />

ogni elemento costitutivo della fattispecie penale, posto che quest’ultima deve essere<br />

considerata in senso unitario 37 . Del resto, una ricostruzione di questo tipo appare<br />

coerente anche se si richiama la teoria finalistica dell’azione, in base alla quale ogni<br />

condotta umana non viene realizzata come fine a sé stessa, bensì come orientata al<br />

conseguimento di un fine 38 . Occorre poi precisare che il concetto di “volontà”<br />

rilevante ai fini del dolo esula da valutazioni inerenti aspetti di carattere meramente<br />

emotivo (desideri, speranze) o semplici tendenze, inclinazioni o componenti di<br />

carattere simile; né attiene alla sfera della volontà il semplice movente 39 .<br />

L’ulteriore questione che deve essere affrontata ai fini dell’inquadramento<br />

dell’essenza del dolo, anche essa suscitata dalla scarsa univocità del tenore letterale<br />

dell’art. 43 comma 1 alinea 1 c.p., è data dall’individuazione del significato e della<br />

portata che debbano essere attribuiti all’inciso “secondo l’intenzione”. Considerando,<br />

infatti, come doloso soltanto il comportamento “intenzionale” rispetto ad un<br />

determinato evento, cioè soltanto il comportamento di chi abbia provocato un evento<br />

con corrispondenza fra prospettiva psicologica assunta dall’agente ed evento<br />

concretamente realizzato (in altri termini, qualora la prospettiva psicologica dia causa<br />

alla condotta) 40 , si ricadrebbe con il limitare l’ambito della rilevanza del dolo al solo<br />

dolo intenzionale, con esclusione delle forme non intenzionali, ossia dolo diretto e<br />

dolo eventuale, nonché dolo indiretto, se si accoglie la ricostruzione che prospetta<br />

tale forma quale ulteriore rispetto a dolo diretto e dolo eventuale. Parte della dottrina<br />

si è sforzata di individuare un’impostazione la quale consenta di rendere coerente la<br />

concezione delle forme non intenzionali di dolo rispetto all’inciso “secondo<br />

l’intenzione” di cui all’art. 43, precisando che detta formula non debba indurre a<br />

ritenere che l’art. 43 limiti l’ambito del dolo al solo dolo intenzionale 41 . Occorre<br />

prendere le mosse, anzitutto, dalla teoria finalistica dell’azione, in base alla quale<br />

ogni condotta umana non è attuata come fine a sé stessa, ma è sempre orientata ad<br />

uno scopo 42 : in base a tale premessa, la classificazione delle tipologie di dolo<br />

andrebbe effettuata tenuto conto del grado di conformità (maggiore o minore) di<br />

quanto concretamente realizzato rispetto al fine intenzionalmente perseguito<br />

dall’agente: così, secondo la dottrina che concepisce la distinzione fra dolo “diretto”<br />

ed “indiretto”, il dolo diretto si avrà per la fattispecie non perseguita per sé stessa<br />

come fine, ma che sia mezzo necessario per la realizzazione di quanto<br />

36<br />

M. GALLO, Il dolo. Oggetto e accertamento, in Studi Urbinati, Anno XX, 1951 – 1952, 143.<br />

37<br />

M. ROMANO, Commentario sistematico del codice penale. I. Art. 1 – 84, II ed., Milano,<br />

Giuffrè, 1995. Nello stesso senso G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit. 353.<br />

38<br />

G. CERQUETTI, Il dolo, Torino, Giappichelli, 2010, 10, ove si richiamano citazioni da M.<br />

GALLO, op. ult. cit., 208 ss.<br />

39<br />

G. FIANDACA – E. MUSCO, op. loc. ult. cit.<br />

40<br />

L. EUSEBI, Il dolo come volontà, Brescia, Morcelliana, 1993, 175.<br />

41 S. PROSDOCIMI, op. cit., 33 e 137.<br />

42 S. PROSDOCIMI, op. cit., 33.<br />

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