DOLO EVENTUALE E COLPA COSCIENTE ... - giovanniolmi
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struttura obiettiva della condotta, mentre sotto il profilo subiettivo del dolo il delitto<br />
tentato per nulla si differenzia dal reato consumato” 567 .<br />
Anche parte della dottrina, peraltro, è giunta alla conclusione della compatibilità<br />
fra dolo eventuale e delitto tentato, seppur sulla base di sviluppi argomentativi<br />
differenti rispetto a quelli adottati dalla Suprema Corte all’interno della sentenza alla<br />
quale si è appena fatto riferimento. Il punto di partenza dell’impostazione di cui<br />
trattasi è dato dalla valutazione della c.d. “teoria oggettiva” sull’univocità degli atti 568 ,<br />
conformemente alla quale l’univocità esprimerebbe un requisito di carattere<br />
oggettivo: per cui, ai fini della sussistenza del delitto tentato, sarebbe necessario che<br />
gli atti siano valutati oggettivamente come “diretti in modo non equivoco” alla<br />
realizzazione del reato, tenuto conto delle loro caratteristiche esteriori, in sé stesse<br />
considerate 569 . Si osserva, tuttavia, che la sola oggettività della condotta non possa<br />
dirsi soddisfacente ai fini dell’individuazione del fine delittuoso, poiché praticamente<br />
ogni condotta umana possiede in sé un certo margine di polivalenza: da qui, la<br />
necessità della valutazione di detto fine delittuoso considerando la condotta<br />
congiuntamente al piano concreto dell’agente 570 . In altri termini, in primo luogo<br />
occorrerà effettuare l’accertamento del piano concreto dell’agente; solo<br />
successivamente, e tenuto conto di esso, si potrà passare all’accertamento della<br />
univocità della direzione degli atti rispetto a questo: in tal modo, gli atti “non equivoci”<br />
verrebbero ad essere quelli che, considerato il programma concreto ideato<br />
dall’agente, si collochino come prossimi o contigui alla realizzazione del reato 571 ;<br />
quindi, non svolgerebbero la funzione di indicare l’intenzione dell’agente; al contrario,<br />
sarebbe la valutazione del programma perseguito dall’agente ad orientare il giudizio<br />
sull’univocità degli atti, che risulterebbero effettivamente “diretti in modo univoco” se<br />
orientati alla realizzazione di detto piano 572 . Dunque, in base a ciò, la “direzione non<br />
equivoca” degli atti non rivestirebbe la funzione di “prova” dell’orientamento<br />
teleologico della volontà, ma diverrebbe un “criterio di essenza”; conseguentemente,<br />
nulla osterebbe alla configurabilità del dolo eventuale con riferimento al delitto<br />
tentato: se, infatti, l’agente si rappresenta la possibilità che da una propria condotta<br />
scaturisca la realizzazione di un fatto di reato, è comunque possibile formulare un<br />
giudizio di idoneità oggettiva degli atti rispetto a tale realizzazione, parallelamente<br />
567<br />
Cass. Pen., Sez. I, 12 giugno 1981, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1983, 2, 746.<br />
568<br />
Le principali teorie in ordine all’interpretazione del requisito dell’univocità degli atti sono due:<br />
la “teoria soggettiva”, conformemente alla quale tale requisito costituirebbe un criterio di prova, sicché<br />
sarebbe soddisfatto qualora, in sede processuale, fosse raggiunta la prova del proposito criminoso; la<br />
“teoria oggettiva” la quale, invece, considera l’univocità come caratteristica oggettiva della condotta,<br />
che deve possedere, in sé stessa e considerata nel contesto in cui sia inserita, l’attitudine a rivelare il<br />
proposito criminoso. Sull’esposizione di tali teorie si veda G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit., 465: gli<br />
Autori, in particolare, aderiscono alla teoria oggettiva specificando, tuttavia, che, al fine di evitare una<br />
eccessiva restrizione della sfera di operatività del tentativo, il fine criminoso possa essere,<br />
effettivamente, ricavato anche per altra via e che, una volta conseguita, eventualmente aliunde, la<br />
prova di tale fine criminoso, occorrerà valutare se gli atti, considerati nella loro oggettività, risultino<br />
sufficientemente congrui ad esso.<br />
569<br />
M. ANGELINI, Dolo eventuale e tentativo: una lunga questione ancora alla ricerca di<br />
soluzione, in Cass. pen., 1993, 5, 1108.<br />
570<br />
M. ANGELINI, op. loc. cit.<br />
571<br />
G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit., 466: gli Autori definiscono tale impostazione come<br />
“teoria materiale oggettiva individuale”.<br />
572 M. ANGELINI, op. loc. cit.<br />
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